Minime. 585



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 585 del 21 settembre 
2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro 
di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della 
nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. 
Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Ricciardo Aloisi: Il cinque ottobre il 
voto vicentino
2. Uccidere ed essere uccisi e' la guerra
3. Umberto Eco 
ricorda Kurt Vonnegut (2007)
4. Marina Verzoletto: Bela Bartok
5. La 
"Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME 
COSE. RICCIARDO ALOISI: IL CINQUE OTTOBRE IL VOTO VICENTINO
[In vista 
del referendum del 5 ottobre a Vicenza per impedire la realizzazione 
della nuova base di guerra "Dal Molin" anche il nostro vecchio amico 
Ricciardo Aloisi ha scritto queste righe di amicizia e sostegno alle 
persone vicentine impegnate per la pace, la legalita' costituzionale, 
il diritto alla vita dell'umanita' intera (per informazioni sul 
referendum del 5 ottobre a Vicenza si visiti il sito: www.
dalmolin5ottobre.it)]

Il cinque ottobre il voto vicentino
non tratta 
solo di un lembo di terra
riguarda invece se di pace o guerra
vogliamo 
sia il comun nostro destino.

Alla crudele man dell'assassino,
al 
riarmo stritolante cio' che afferra,
al riarmo che tutto atterrisce e 
atterra,
si opponga del diritto il buon cammino.

Si opponga al male la 
volonta' buona
si opponga alla barbarie il civil lume
si opponga alla 
violenza la saggezza

prevalga sulle tenebre chiarezza
ceda il pessimo 
all'ottimo costume:
tutti i diritti umani a ogni persona.

2. 
EDITORIALE. UCCIDERE ED ESSERE UCCISI E' LA GUERRA

Uccidere ed essere 
uccisi e' la guerra.
Vivere insieme aiutandosi e' la pace.
*
Cessi la 
guerra afgana stragista e terrorista.
Cessi la scellerata 
partecipazione italiana ad essa.
*
Solo la pace salva le vite.
Dell'umanita' e' nemica la guerra.

3. MEMORIA. UMBERTO ECO RICORDA 
KURT VONNEGUT (2007)
[Dal settimanale "L'espresso", n. 18, 2007, col 
titolo "L'anti-utopia di Vonnegut"
Umberto Eco e' nato ad Alessandria 
nel 1932, docente universitario, saggista, romanziere, e' probabilmente 
il piu' noto intellettuale italiano a livello internazionale. Tra le 
opere di Umberto Eco segnaliamo particolarmente Opera aperta, Diario 
Minimo (Mondadori), Apocalittici e integrati, La struttura assente, 
Trattato di semiotica generale, Il superuomo di massa (Cooperativa 
scrittori, poi Bompiani), Lector in fabula, Semiotica e filosofia del 
linguaggio (Einaudi), I limiti dell'interpretazione, Il secondo diario 
minimo, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea 
(Laterza), Sei passeggiate nei boschi narrativi, Cinque scritti morali, 
Kant e l'ornitorinco, La bustina di Minerva, Sulla letteratura, Dire 
quasi la stessa cosa, A passo di gambero, tutti editi presso Bompiani 
(ad eccezione di quelli diversamente segnalati). Opere su Umberto Eco: 
Teresa De Lauretis, Umberto Eco, La Nuova Italia, Firenze 1981; Renato 
Giovannoli (a cura di), Saggi su "Il nome della rosa", Bompiani, Milano 
1985, 1999; AA. VV., Semiotica: storia, teoria, interpretazione. Saggi 
intorno a Umberto Eco, Bompiani, Milano 1992 (con una utile 
bibliografia di e su Eco); Roberto Cotroneo, Eco: due o tre cose che so 
di lui, Bompiani, Milano 2001.
Kurt Vonnegut (Indianapolis, 1922 - New 
York, 2007) e' uno dei maggiori scrittori del Novecento; nel 1944 
prigioniero di guerra in Germania assistette alla distruzione di 
Dresda. Per tutta la vita ha lottato contro la guerra e contro ogni 
fascismo con le armi della poesia. Opere di Kurt Vonnegut: romanzi: 
Player Piano,1952; The Sirens of Titan, 1959; Mother Night; 1961; Cat's 
Cradle, 1963; God Bless You, Mr. Rosewater or Pearls Before Swine, 
1965; Slaughterhouse-Five or the Children's Crusade, 1969; Breakfast of 
the Champions or Goodbye Blue Monday!, 1973; Slapstick or Lonesome No 
More, 1976; Jailbird, 1979; Deadeye Dick, 1982; Galapagos, 1985; 
Bluebeard, 1987; Hocus Pocus, 1990; Fates worse than death, 1991; 
Timequake, 1997; God Bless You, Dr. Kevorkian, 1999; raccolte di 
racconti: Welcome to the Monkey House, 1968; raccolte di saggi: 
Wampeters, Foma & Granfalloons, 1974; Palm Sunday: An Autobiographical 
Collage, 1981; A Man without a Country, 2005; opere di Kurt Vonnegut in 
traduzione italiana: Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini, 
Mondadori, 1970, Feltrinelli, 2003; La colazione dei campioni. Ovvero 
addio triste lunedi', Rizzoli, 1974, Eleuthera, 1992, 1999, Feltrinelli 
2005; Le sirene di Titano, Nord, 1981, Eleuthera, 1993, Feltrinelli, 
2006; Un pezzo da galera, Rizzoli, 1981, Feltrinelli 2004; Madre notte, 
Rizzoli, 1984, Bompiani 2000, Feltrinelli 2007; Il grande tiratore, 
Bompiani, 1984, 1999; Ghiaccio nove, Rizzoli, 1986, Feltrinelli, 2003; 
Comica finale. Ovvero non piu' soli, Eleuthera, 1990, 1998; Galapagos, 
Bompiani, 1990, 2000; Perle ai porci. Ovvero Dio la benedica Mr. 
Rosewater, Eleuthera, 1991, 1998, poi col titolo Dio la benedica, Mr 
Rosewater o perle ai porci, Feltrinelli, 2005; Benvenuta nella gabbia 
delle scimmie, SE, 1991; Hocus pocus, Bompiani, 1991, 2001; Il potere, 
il denaro, il sesso secondo Vonnegut, Eleuthera, 1992; Barbablu', 
Bompiani, 1992; Piano meccanico, Mondadori, 1994, SE, Feltrinelli, 
2004; Catastrofi di universale follia, Mondadori, 1994; Buon compleanno 
Wanda June, Eleuthera, 1995; Cronosisma, Bompiani, 1998; Dio la 
benedica dott. Kevorkian, Eleuthera, 2000; Divina idiozia. Come 
guardare al mondo contemporaneo, E/O, 2002; Destini peggiori della 
morte. Un collage autobiografico, Bompiani, 2003; Un uomo senza patria, 
Minimum Fax, 2006. Nel nostro notiziario cfr. anche "Minime" n. 64, "La 
domenica della nonviolenza" n. 108, "Voci e volti della nonviolenza" n. 
58]

Una quindicina di giorni fa e' morto un amico, Kurt Vonnegut. 
Aveva ottantacinque anni, ma al giorno d'oggi si poteva vivere ancora 
un poco, e sono molto triste. D'altra parte aveva rischiato di morire 
gia' nel 1945: aveva combattuto nella battaglia delle Ardenne, era 
stato preso prigioniero e mandato a Dresda, giusto in tempo per 
gustarsi il famoso bombardamento di quella citta' (fatto dai suoi), che 
gli aveva poi ispirato uno dei suoi libri piu' belli e disperati 
(diventato poi libro di culto per pacifisti). Si era trovato tra i soli 
sette prigionieri americani sopravvissuti al bombardamento, perche' era 
rinchiuso nella cella sotterranea di un mattatoio, ed ecco il perche' 
del titolo del libro, Mattatoio n. 5 (Slaughterhous-five).
Molti suoi 
libri sono stati pubblicati piu' volte da editori diversi, forse 
perche' inizialmente passava per scrittore di fantascienza - e in un 
certo senso lo era - ma solo dopo si e' capito che era un moralista che 
scriveva utopie negative, come Orwell. Il suo primo libro del 1952, 
Player Piano, e' apparso per la prima volta nel 1969 come La societa' 
della camicia stregata in una collana sf, poi nel 1979 come Distruggete 
le macchine in un'altra collana sf, infine nel 2004 come Piano 
meccanico da Feltrinelli. Come dice la prefazione "non e' un libro 
sulle cose come sono ma come potrebbero essere", ed e' apologo 
amarissimo sul trionfo della tecnologia. Anche il suo secondo libro, 
del 1959, Le sirene di Titano, viene pubblicato nel 1965 sempre da La 
Tribuna, con una mia prefazione. Non ne ho piu' una copia, non lo trovo 
sulle bancarelle e non ricordo piu' che cosa ne avevo scritto. Poi e' 
riapparso nel 1993 presso Eleuthera e recentemente di nuovo da 
Feltrinelli. E' un libro delirante e difficile da riassumere, se non si 
va a coglierne il senso negli ultimi capitoli. Quasi 500.000 anni 
avanti Cristo dal pianeta Tralfamadore (di cui Vonnegut parla anche in 
altri romanzi) viene inviato un automa messaggero per recare un 
messaggio segretissimo agli estremi confini della Galassia. Un 300.000 
anni dopo il messaggero deve fermarsi per un guasto su Titano, e gli 
mancano ancora 18 milioni di anni luce alla meta. Manda appelli a casa 
per chiedere un indispensabile pezzo di ricambio, ma a quelle distanze 
le comunicazioni viaggiano lentamente e il naufrago stellare si rende 
conto che da Tralfamadore gli inviano messaggi interlocutori in forma 
di misteriosi geroglifici che egli vede sulla superficie della Terra. 
Queste "scritture" sono Stonehenge, la Grande Muraglia cinese, la Domus 
Aurea, il Cremlino, il palazzo della Societa' delle Nazioni, e questo 
scambio epistolare prende piu' di duemila anni. Alla fine si capisce 
che tutta la storia della Terra era stata finalizzata dai 
tralfamadoriani al solo scopo di far pervenire il pezzo di ricambio su 
Titano. Una volta il ricambio finalmente arrivato (a prezzo di molte 
stragi che coinvolgono la Terra e Marte), il messaggero (contravvenendo 
agli ordini, per esasperazione) apre il messaggio e si rende conto che 
dice "Saluti". Se si avesse qualche dubbio sul pessimismo di Vonnegut, 
questa storia basterebbe.
Ma ricordero' anche, tutti tradotti in 
italiano, Comica finale, Dio la benedica signor Rosewater, La colazione 
dei campioni, Dio la benedica dottor Kevorkian, Hocus pocus, Il grande 
tiratore, Barbablu', Destini peggiori della morte, Cronosisma e 
Galapagos, Ghiaccio-nove e Un pezzo da galera. Feltrinelli ha appena 
ripubblicato, dopo un'edizione Se (1993), Madre notte. Qui trovo questo 
dialogo:
"- Tu odi l'America, non e' vero?, disse.
- Odiarla sarebbe 
stupido almeno quanto amarla - dissi. - Non riesco a provare nessuna 
emozione; la terra di per se' non mi interessa. Non riesco a pensare in 
termini di confini. Per me quelle linee immaginarie non sono piu' reali 
degli elfi e dei folletti. Non posso credere che indichino veramente 
l'inizio o la fine di qualche cosa di importante per un essere umano. 
Le virtu' e i vizi, il piacere e il dolore attraversano le frontiere a 
loro piacimento".

4. PROFILI. MARINA VERZOLETTO: BELA BARTOK 
[Dal 
mensile "Letture", n. 625, marzo 2006, col titolo "Bela Bartok" e il 
sommario "Tra avanguardia dodecafonica e ripiegamento neoclassico, il 
maestro ungherese trovo' nel canto popolare e nelle profonde sonorita' 
della natura l'alternativa per un rinnovamento 'umanistico' del 
linguaggio musicale"]

Alla musica colta del Novecento fu luogo comune 
rimproverare il distacco dal pubblico e l'astrattezza 
intellettualistica. L'accusa colpi' soprattutto l'avanguardia atonale e 
dodecafonica, imputata di aver abbandonato il "naturale" linguaggio 
armonico-tonale per un'organizzazione dei suoni estranea all'orecchio e 
al cuore, ma non risparmio' neppure i "neoclassici", biasimati come 
sterili, accademici ripetitori. Tra gli autori che con maggiore 
coerenza e originalita' tentarono di evadere da questo dilemma, 
l'ungherese Bela Bartok occupa una posizione di rilievo.
Bartok nacque 
da una famiglia piccolo-borghese, in un paese periferico dell'impero di 
Francesco Giuseppe. Per trovare Nagyszentmiklos (San Nicola Maggiore) 
oggi dovete cercare Sinnicolau Mare, in Romania; nella geografia 
politica del 1881 si trovava nel regno d'Ungheria. Il padre, Bela 
senior, era direttore di una scuola agraria, ma, come non era 
infrequente nella civilissima provincia asburgica, era un appassionato 
musicista dilettante. Mori' tuttavia quando il figlio era ancora 
bambino e fu piuttosto la madre Paula, maestra di scuola e insegnante 
di pianoforte, a introdurre Bela junior all'arte dei suoni.
La vita del 
ragazzino fu segnata dai frequenti trasferimenti della madre, dettati 
dalla precarieta' professionale ma anche dal desiderio di trovare 
residenza in una citta' adatta a dare al piccolo Bela una formazione 
musicale all'altezza del talento precocemente manifestato. Volendo 
cedere alle tentazioni psicologistiche non sarebbe difficile infiorare 
di speculazioni "freudiane" questo legame di dipendenza dalla figura 
femminile materna, che emerge ricorrente nella vicenda umana e nella 
personalita' artistica di Bartok. Connesso a questo tema e' un altro 
dato biografico: a tre mesi, una reazione alla vaccinazione 
antivaiolosa provoco' un eczema deturpante, che lo tormento' fino 
all'eta' di cinque anni privandolo della vita affettiva normale per un 
bambino di quell'eta'. Scrive Massimo Mila: "La sua prima infanzia 
conobbe il trauma psichico di quell'umiliante sfigurazione che lo 
segregava dalla compagnia e dai giochi dei coetanei, lo privava delle 
carezze materne, poneva una barriera disumana tra lui e il mondo 
esterno. Chi potra' mai esplorare i fantasmi che popolarono, nella 
notte dell'inconsapevolezza infantile, il buio di quella solitudine?". 
E vede qui "la fonte misteriosa di quelle visioni allucinate, di quei 
brividi immateriali che fremono nella sua musica".
La dedizione della 
madre consenti' a Bela di fare buoni studi ginnasiali e musicali, in 
particolare a Posonio, l'antica residenza dei re d'Ungheria che oggi 
conosciamo come Bratislava, mentre per l'ufficialita' asburgica era la 
tedesca Presburgo. Bartok visse in prima persona l'intreccio 
linguistico e multietnico dell'Impero: nella famiglia materna, i Voit, 
si parlava tedesco. A diciott'anni, alla ricerca di un conservatorio 
prestigioso dove completare la propria formazione, dopo aver esitato 
tra Vienna e Budapest opto' per la scelta nazional-patriottica. A 
Budapest si scontro' con un milieu socio-culturale molto diverso da 
quello contadino o provinciale al quale era abituato. In fase di 
brillante crescita urbanistica, la citta', nelle sue elites musicofile, 
mostrava un melting pot di ebrei assimilati e cosmopoliti, folta 
comunita' germanofona, piccola nobilta' inurbata e borghesia magiara 
medio-alta. In tale contesto dovette chiarire, in primo luogo a se 
stesso, la sua posizione rispetto al "nazionalismo" politico e 
musicale.
*
Popolare e popolaresco
La sua carriera di compositore era 
iniziata a nove anni, quando con la madre risiedeva a Nagyszollos (oggi 
Vinogradov, in Ucraina). Fu qui che nacquero brevi pezzi pianistici, 
perlopiu' convenzionali forme di danza, e brani a programma tra cui Il 
corso del Danubio. Il riferimento e' evidentemente la Moldava di 
Smetana: siamo ancora a un nazionalismo musicale romantico che dipinge 
quadretti con le bellezze del suolo natio, citando motivi popolareschi. 
A quattordici anni il catalogo era arrivato all'opera 31. A quel punto 
intraprese la composizione di una Sonata per pianoforte e ricomincio' 
da capo la numerazione, disconoscendo i lavori precedenti. Ma anche 
questa era una falsa partenza e la definitiva Opera 1 fu la Rapsodia 
per pianoforte e orchestra del 1904.
La Sonata coincide con il 
trasferimento, nel 1894, a Bratislava e con l'inizio di piu' regolari 
studi di pianoforte e composizione con Laszlo Erkel. Nella scelta della 
forma classica per eccellenza leggiamo la vicinanza con la Vienna di 
Brahms e di Eduard Hanslick, il teorico del Bello musicale. Erkel, 
anche se il suo rapporto con Bartok fu breve (mori' nel 1896 e fu 
sostituito da Anton Hyrtl), rappresento' invece il legame con l'altra 
corrente della musica germanica di fine Ottocento, quella lisztiana, e 
al tempo stesso con un certo retaggio "ungherese": Laszlo era figlio di 
Ferenc Erkel, artefice del primo tentativo sistematico di creare 
nell'Ottocento una musica nazionale ungherese. Ferenc Erkel aveva 
assunto come base del suo linguaggio quella che nel XIX secolo si 
considerava espressione originale e tipica del popolo magiaro, il 
cosiddetto verbunkos. L'etnomusicologia sa oggi, anche grazie agli 
studi dello stesso Bartok e di Kodaly, che questa musica di danza usata 
dall'esercito imperiale nella Werbung, ossia l'arruolamento di reclute, 
deriva invece dal folclore tzigano.
Bartok eredito' quindi da Erkel 
l'equivoco tipicamente ottocentesco che aveva fatto denominare 
ungheresi le Rapsodie di Liszt e le Danze di Brahms, 
caratteristicamente strutturate sulla successione lassu (parte lenta) - 
friss (parte veloce e progressivamente accelerata). Lo stesso verbunkos 
aveva poi dato origine alla csardas e in questo passaggio si era 
ulteriormente accentuato il suo carattere "inautentico". Non si 
trattava in effetti di vera musica "popolare", bensi' di generi 
"popolareschi", frutto della contaminazione del materiale ritmico-
melodico tzigano con il lessico armonico della musica classica e con le 
sue tecniche strumentali virtuosistiche. In questa forma equivoca la 
musica di fine Ottocento aveva accolto lo stile "all'ungherese" come 
una moda di successo.
Un personaggio significativo di questa situazione 
e importante per la carriera di Bartok fu Erno Dohnanyi. Di quattro 
anni piu' anziano, Dohnanyi fu per il giovane Bartok modello e mentore. 
Fu lui a orientarlo verso l'Accademia di Budapest e non verso il 
Conservatorio di Vienna; successivamente si adopero' con il suo grande 
prestigio di interprete (fu anche direttore d'orchestra) per divulgare 
in tutto il mondo la nuova musica ungherese.
A Budapest, Bartok scopri' 
Wagner e si accese d'entusiasmo per il nuovo, smaliziato modernismo 
tedesco di Richard Strauss. Prodotto di umori patriottico-nazionalisti 
contraddittoriamente tradotti nel linguaggio dei dominatori germanici, 
aggiornato al variopinto turgore orchestrale straussiano, lo stile al 
termine di questa lunga e complessa formazione giovanile e' illustrato 
dal poema sinfonico "risorgimentale" Kossuth (1903) e, con piu' 
originale riuscita artistica, dalla Rapsodia op. 1, con le sue 
"immagini araldiche di un'Ungheria cavalleresca e feudale" (Mila).
*
Alla ricerca del canto perduto
Il 1904 fu l'anno della svolta. Kossuth 
venne eseguita a Budapest il 13 gennaio, con entusiastiche reazioni del 
pubblico precedute invece, durante le prove, dalle proteste degli 
orchestrali di etnia tedesca per il trattamento caricaturale dell'inno 
imperiale haydniano Gott erhalte. Decollo' anche la carriera 
internazionale, sia del pianista, sia dell'autore, con lo stesso 
Kossuth presentato a Manchester dal grande direttore wagneriano Hans 
Richter. Di ritorno dalla lunga tournee in Inghilterra e Germania, 
scelse Gerlicepuszta (ora Ratko'), nella campagna slovacca, per una 
tranquilla villeggiatura estiva da dedicare alla composizione e alla 
preparazione dei concerti pianistici della prossima stagione invernale. 
Nella sua stessa casa soggiornava una famiglia di Budapest con la 
cameriera, una certa Lidi Dosa, di etnia szekely (minoranza magiara 
della Transilvania). Fu dalla sua voce che Bartok udi' per la prima 
volta un vero canto popolare ungherese, Piros alma (Mela rossa): tanto 
lo colpi' che la invito' a cantargliene altri. Ci vorra' tempo perche' 
questo interesse maturi in una scelta estetica radicale e produca 
frutti compositivi, ma il seme era gettato.
Nel 1905 nuove esperienze 
arricchirono i registri linguistici di Bartok, aiutandolo a liberarsi 
dai modelli germanici. In agosto si reco' a Parigi per concorrere al 
Premio Rubinstein. La ville lumiere lo affascino', ma a fargli 
apprezzare la nuova musica francese di Debussy fu piuttosto l'inizio 
dell'amicizia e della collaborazione con Zoltan Kodaly. Mentre Bartok 
aveva scoperto il canto popolare per caso, Kodaly vi si era accostato 
fin dall'inizio in modo sistematico e scientifico. Oltre a possedere 
una formazione di piu' rigorosa qualita' accademica, aveva una 
personalita' affascinante, che spiega perche', nonostante fosse di un 
anno piu' giovane, diventasse agli occhi di Bartok un punto di 
riferimento morale e intellettuale. L'amicizia uni' la recente passione 
di Bartok e le salde competenze filologiche di Kodaly in un'alleanza 
vincente, che si concretizzo' in una richiesta di finanziamento per una 
campagna di raccolta di canti szekely. Questo progetto fu attuato solo 
nel 1907, ma gia' il 1906 fu occupato da frenetiche spedizioni lungo il 
Danubio, nelle quali Bartok, quasi volesse recuperare il tempo perduto 
e fare ammenda degli equivoci sul verbunkos, si impadroni' dei segreti 
d'arte custoditi dalla cultura contadina.
Un articolo del 1931 dal 
titolo "L'influsso della musica contadina sulla musica colta moderna" 
e' un'efficace sintesi dei possibili trattamenti che la melodia 
popolare puo' ricevere da parte del compositore. Il primo modo e' 
"usare la melodia contadina senza portarle alcuna modifica oppure 
variandola lievemente, limitandosi ad aggiungere un accompagnamento o, 
secondo l'occasione, includendola fra un preludio e un postludio". Non 
ci si faccia ingannare dall'apparente innocenza di questo approccio: si 
tratta in effetti dello stadio basilare, senza il quale i due 
successivi sarebbero impensabili. L'accompagnamento non deve tradire la 
melodia, in particolare non deve ingabbiarla negli schemi armonici 
tonica-dominante ne' tra gli accordi perfetti della tradizione 
occidentale colta, dato che le melodie ungheresi, di altri popoli 
dell'Europa orientale, della Turchia e dell'Africa settentrionale 
studiati da Bartok, di solito non fanno uso delle scale tonali maggiore-
minore, ma di altri modi ecclesiastici o greci ovvero di scale 
pentatoniche o d'altro tipo, ma che in ogni caso "non portano richiamo 
alcuno al cosiddetto 'accordo perfetto'". Questo da' al compositore una 
grande possibilita' di liberarsi dalle concatenazioni tradizionali e 
gli permette "di far vivere le melodie nei modi piu' diversi, 
ricorrendo agli accordi delle tonalita' piu' lontane" o addirittura 
arrivando a "nuove concezioni armoniche".
In secondo luogo, il 
compositore puo' inventare egli stesso nuove melodie secondo gli 
stilemi (intervalli melodici e di conseguenza armonici, scale, ritmi) 
della musica popolare. Bartok cita il caso di Stravinskij, che non si 
preoccupa di rivelare quali dei suoi temi "russi" sono citazioni e 
quali sono di sua creazione: circostanza che "ha importanza solo per la 
musicologia e non interessa affatto l'estetica". Infine, il musicista 
puo' astenersi sia dalla citazione, sia dall'imitazione, riuscendo 
comunque "a dare alla sua musica la stessa atmosfera che distingue la 
musica contadina". Questo accade quando la familiarita' con questo 
idioma e' tale che il compositore lo domina come una lingua madre: 
l'esempio citato e' l'amico Kodaly, in particolare lo Psalmus 
Hungaricus.
Le tre tipologie si ritrovano, ovviamente, nella produzione 
dello stesso Bartok. Alla prima possiamo ascrivere, per esempio, i 
Venti canti popolari ungheresi e simili cicli per voce e pianoforte, le 
numerose raccolte per coro a cappella, i Canti contadini ungheresi per 
pianoforte o i cicli pianistici "rumeni" (Danze popolari, Colinde 
rumene). Il secondo modello e' efficacemente esemplificato fin dai 
Dieci pezzi facili per pianoforte, del 1908, nei nn. 5 Sera dai szekely 
e 10 Danza dell'orso. Il terzo, il piu' importante in quanto dimostra 
che nel canto popolare si possono trovare le risorse per rinnovare il 
linguaggio colto, si incontra pure fin dal 1907-1908 nei Due ritratti 
per orchestra e nelle 14 Bagatelle per pianoforte. E' poi pienamente 
realizzato nell'opera matura, a partire dagli anni Venti. Questo non 
esclude che vi si possano riconoscere influssi di altre correnti 
contemporanee e un radicamento nella tradizione classica, di cui fu 
interprete non banale come pianista.
*
Suoni barbari e scandalosi
Nel 
1907 Bartok venne nominato professore di pianoforte presso l'Accademia 
nazionale di musica di Budapest. Tenne la cattedra fino al 1934, quando 
assunse insieme a Kodaly l'incarico di organizzare la raccolta 
nazionale di canti popolari per l'Accademia ungherese delle scienze. 
Per ventisette anni la sua vita fu spartita tra l'attivita' di 
insegnante e di concertista in patria e all'estero, dall'autunno alla 
primavera, e le estati riservate alla composizione e alle spedizioni 
etnomusicologiche.
Ventisette anni come professore di pianoforte furono 
un'ottima ragione per dedicare ampio spazio, anche come compositore, 
alla didattica dello strumento: i citati Dieci pezzi facili, la 
raccolta Per i bambini (1908-9, edizione riveduta 1945), Il primo 
contatto col pianoforte (1913) e soprattutto Mikrokosmos (1926-39), 153 
brani in ordine di difficolta' progressiva in 6 volumi, "una serie di 
pezzi in stile diverso che rappresentano nell'insieme un piccolo 
universo, oppure un mondo musicale per i bambini", secondo la duplice 
descrizione dell'autore. Questa musica riveste un'importanza che va al 
di la' della sua efficacia didattica, che non si esaurisce in 
ginnastica digitale, ma comporta una completa educazione dell'orecchio, 
del gusto e dell'intelligenza del testo musicale in tutti i suoi 
parametri linguistici. Ma soprattutto, in un secolo di reciproche 
chiusure comunicative tra artisti e pubblico, dimostra che una musica 
decisamente innovativa non e' necessariamente astrusa e difficile, puo' 
essere capita... anche da un bambino.
Dopo un'opera di rottura rispetto 
alla tradizione tonale come le Bagatelle, il pianoforte fu nuovamente 
protagonista di un brano provocatorio il primo febbraio 1913, quando 
venne per la prima volta eseguito l'Allegro barbaro composto piu' di 
due anni prima. Dopo un secolo durante il quale lo strumento e' stato 
sottoposto a ben altri maltrattamenti ci riesce difficile capire lo 
scalpore che accolse un brano diventato poi quasi popolare. Occorre 
immedesimarsi in ascoltatori avvezzi a pretendere dalla tastiera 
l'amabile eloquio melodico di una voce cantante o, se amanti del 
moderno, infervorati per le perlacee evanescenze debussyane e le 
scintillanti iridescenze alla Ravel. Bartok riportava il pianoforte 
alla natura percussiva, con una timbrica aspra, atta a far emergere 
un'invenzione ritmica di protervo dinamismo, uno scatenamento di 
energie primordiali che giustificano il titolo, non senza saporite 
irregolarita' d'accenti: il 1913 e' l'anno della Sagra della primavera.
Una simile capacita' di inventare nuove sonorita' per destinazioni 
strumentali cariche di storia si consolido' come tratto distintivo del 
linguaggio bartokiano, diventandone elemento strutturale e non solo 
esteriore coloritura timbrica. Tocca in primo luogo il pianoforte, 
culminando nella Sonata per due pianoforti e percussione ed 
esprimendosi con grande originalita' nei primi due Concerti per 
pianoforte e orchestra e nella suite All'aria aperta, con i famosi 
esempi di rabbrividente, misteriosa "musica notturna" che sembra trarre 
il suo materiale sonoro dalle vibrazioni piu' segrete della Madre 
Terra. Ma investe anche, in modo forse ancora piu' sorprendente, gli 
archi. In particolare i sei Quartetti costituiscono una sorta di 
"diario intimo" del compositore e ciascuno sintetizza le piu' 
importanti conquiste estetiche di un periodo creativo. Viene sviluppata 
una tecnica di contrappunto germinale che ha il suo capolavoro nella 
Musica per archi, percussione e celesta.
Un capitolo breve ma intenso 
dell'arte di Bartok e' il teatro musicale. Si apri' con l'unica opera 
lirica, Il castello del principe Barbablu', su libretto di Bela Balazs 
da un dramma di Maurice Maeterlick (lo stesso del Pelleas et Melisande 
di Debussy). Composta nel 1911 ma rappresentata solo nel 1918, segna la 
prima maturita' dell'autore e ben piu' dei tentativi di Erkel inventa 
ex novo l'opera ungherese, ossia un declamato melodico plasmato sulle 
sonorita' uniche di quella lingua. Grondante di oscuro e un po' macabro 
simbolismo fin de siecle, il soggetto offre a Bartok abbondanti spunti 
per sortilegi di invenzione timbrica, quasi un'epitome anticipatrice di 
quelle atmosfere notturne e inquietanti, di quelle tenebre della natura 
e dell'anima, che costituiscono un registro espressivo cosi' frequente 
e caratteristico in tanti suoi capolavori. Il secondo esperimento 
scenico fu Il principe di legno (piu' letteralmente, Il principe 
scolpito nel legno), anch'esso su soggetto fiabesco e simbolista 
elaborato da Balazs, ma in forma di balletto, ovvero di pantomima. 
Composto tra il 1914 e il 1917, anno della prima rappresentazione, reca 
tracce wagneriane e di Debussy, ma anche del Petruska di Stravinskij. 
Il vero capolavoro teatrale e' la successiva pantomima Il mandarino 
meraviglioso, su soggetto alquanto scabroso di Menyhert Lengyel ideato 
forse fin dal 1912 per una commissione dei Balletti russi di Djagilev 
che non ebbe seguito. Il tema, dalla novellistica orientale, 
dell'amante invulnerabile viene trasformato in una vicenda di 
attualita' con forte valenza di denuncia sociale. Iniziata nel 1917 e 
terminata nel 1921, ma nell'orchestrazione solo nel 1925, bloccata 
dalla censura ungherese, ando' in scena infine nel 1926 a Colonia e 
anche qui il sindaco, Konrad Adenauer, ritenne opportuno vietare dopo 
lo scandalo della prima rappresentazione questa "commedia di prostitute 
e di ruffiani", come la defini' il critico del "Koelner Stadt-
Anzeiger". Con incandescente violenza espressionistica, il "contadino" 
Bartok vi enuncia una drammatica protesta contro l'alienazione della 
metropoli, rispetto alla quale l'istinto sessuale ha almeno il rango di 
forza vitale autentica.
*
L'esilio americano
Nonostante il carattere 
schivo e riservato, Bartok non pote' evitare un certo coinvolgimento 
"politico" della sua arte. Desta sorpresa, per esempio, consultare i 
documenti di una querelle sorta quando un musicologo rumeno lo accuso' 
di condividere le tesi della destra ungherese che voleva la revisione 
dei confini stabiliti dal trattato del Trianon, solo perche' in un 
articolo aveva sottolineato il valore artistico della musica della 
minoranza magiara nella Transilvania ora rumena. Nessuno stupore invece 
suscita dover leggere articoli degli anni Trenta e Quaranta nei quali 
respinge ogni tentazione di accostare gli studi etnomusicologici a 
ideologie nazionaliste o, peggio, razziste. Una simile confusione nel 
suo caso e' impossibile, solo che si consideri il ventaglio di etnie 
non solo ungheresi ma slave, bulgare, turche, arabe, alle quali dedico' 
fatiche scientifiche e creativita' artistica. Nessuno meglio di lui 
sapeva quante ricchezze fossero nate, non certo dall'isolamento di 
presunte "razze pure", ma dai reciproci influssi che le culture da 
sempre si scambiano.
Cooptato dalla Repubblica dei Consigli comunista 
di Bela Kun nel Direttorio musicale, Bartok non serbo' memoria troppo 
positiva di quell'esperienza; ancor meno apprezzo' la successiva 
"reggenza" conservatrice dell'ammiraglio Horthy. La situazione 
precipito' con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Nell'autunno 
del 1940 si trasferi' negli Stati Uniti, nelle intenzioni 
temporaneamente, andando a infoltire la colonia di artisti esuli 
dall'Europa nazifascista. Sulla produzione degli anni americani i 
critici "modernisti" fecero piovere accuse di regressione linguistica, 
se non addirittura di cedimento commerciale ai gusti del pubblico. In 
realta' l'orientamento verso un'espressivita' piu' pacata e un 
linguaggio piu' limpido e lineare si era gia' manifestato nelle ultime 
composizioni "europee". Dopo un periodo di sterilita' dovuto alle 
difficolta' pratiche di ambientamento e al declinare della salute, gia' 
minata dalla leucemia, nacquero in questi ultimi anni due delle 
composizioni piu' popolari, il Concerto per orchestra, con la famosa 
parodia della Settima sinfonia di Sostakovic, il Terzo concerto per 
pianoforte e orchestra, scritto per la moglie Ditta; ma anche un lavoro 
"esoterico" come la Sonata per violino solo, per Yehudi Menuhin.
Il 
Terzo concerto fu l'ultima composizione completata, anche se non 
perfettamente rifinita. Allo stato di abbozzo rimase il Concerto per 
viola, commissionato da William Primrose. Fu l'amico e allievo Tibor 
Serly, su incarico del figlio e della moglie di Bartok, a preparare per 
l'esecuzione queste partiture, con interventi che nel caso del Concerto 
per viola furono molto consistenti e quindi contestati nella loro 
aderenza alle intenzioni dell'autore. Nel 1995 e' uscita una nuova 
edizione piu' fedele all'autografo, curata da Peter Bartok con il 
violista Paul Neubauer. Essa comunque non altera la fisionomia di 
questo opus ultimum, estrema decantazione del "terzo stile" bartokiano. 
Rispetto alle opere "barbariche" ed espressioniste vi troviamo 
un'aspirazione alla semplicita' comunicativa: armonie piu' chiare, 
centri tonali piu' evidenti, dissonanze meno aspre; il canto popolare 
e' ormai assimilato nell'invenzione melodica. A Serly si e' 
rimproverato di aver adottato per il movimento lento del Concerto per 
viola la stessa indicazione agogica dell'omologo luogo del Terzo 
pianistico, "Adagio religioso". Quella di Bartok fu una religiosita' 
laica, che ha il suo capolavoro nella purtroppo raramente eseguita 
Cantata profana: un naturalismo panico, che contempla il mistero non in 
una trascendenza ultraterrena, ma nel segreto brulicare vitale della 
materia. Ma nell'ultimo periodo si ha "una depurazione dei grumi troppo 
spessi della materia vitale", "un posare stanco dall'affanno del 
vivere, che se non e' proprio assoluta certezza di pace futura, e' 
almeno distacco, acquisita convinzione della vanita' di tanto gioire, 
soffrire, sperare, lottare" (Mila).
*
Tra "mandarini" e Barbablu'
Esiste un'integrale "doc": Bartok Bela - Complete Edition; 19 cd 
Hungaroton 41002 (anche in volumi per genere e cd singoli delle opere 
piu' importanti).
L'incisione storica per eccellenza (1938), in origine 
Tournabout, e' documento prezioso di precaria qualita' acustica e non 
facile reperibilita': Sonata per due pianoforti e percussione, Bela 
Bartok e Ditta Pasztory-Bartok, pianoforti; cd Pearl Opal 0179.
Altro 
famoso live, il concerto con Joseph Szigeti alla Washington Library of 
Congress (1940): Beethoven, Sonata "a Kreutzer"; Debussy, Sonata; 
Bartok, Sonata n. 2, Rapsodia n. 1, cd Hungaroton 12330. Per conoscere 
meglio il pianista: Bartok at the piano, 6 cd Hungaroton Hun 12326/31; 
Bartok recordings from Private Collections 1910/1944, 4 cd Hungaroton 
12334/37.
Interpretazioni storiche: Concerto per violino n. 2, Sonata 
per violino solo, Yehudi Menuhin, Wilhelm Furtwaengler, cd Emi 574799; 
Opere per pianoforte solo (integrale), Gyorgy Sandor, 4 cd Sony 68275; 
Mikrokosmos, Gyorgy Sandor, 2 cd Sony 52528; Quartetti per archi, 
Quartetto Vegh, 2 cd Music & Arts 1169.
Infine, qualche titolo piu' 
recente: Concerti per pianoforte, Maurizio Pollini, Claudio Abbado, cd 
Deutsche Grammophon 415 371; Concerto per orchestra, Il mandarino 
meraviglioso, Simon Rattle, cd Emi 555094; Mikrokosmos, Per i bambini, 
Dezso Ranki, 3 cd Teldec 903176139; Quartetti per archi, Quartetto 
Takacs, 2 cd Decca 455 297; Il Principe di legno, Musica per archi, 
percussione e celesta, Antal Dorati, cd Philips 434357; Il principe di 
legno, Musica per archi, percussione e celesta, Suite di danze, Pierre 
Boulez, 2 cd Sony 64100; Il castello del principe Barbablu', Ivan 
Fischer, sacd Philips 470633.
*
Etnomusicologo oltre che compositore
1881 Nasce il 25 marzo a Nagyszentmiklos.
1886 Prime lezioni di 
pianoforte dalla madre Paula.
1888 Morte del padre.
1890 Prime 
composizioni (Il corso del Danubio).
1892 Prima apparizione in un 
concerto pubblico.
1894 Trasferimento a Bratislava. Studia con Laszlo 
Erkel.
1898-99 Ammesso al Conservatorio di Vienna, preferisce 
l'Accademia di Budapest.
1900-1903 Conosce la musica di Wagner e 
Richard Strauss. Kossuth.
1904 Primo contatto con la musica popolare. 
Rapsodia per pianoforte op. 1.
1905 Inizia l'amicizia e collaborazione 
con Zoltan Kodaly. Prima suite per orchestra.
1906 Prime spedizioni per 
raccogliere canti popolari registrati su fonografo. Canti popolari 
ungheresi per voce e pianoforte.
1907 Assume la cattedra di pianoforte 
all'Accademia di Budapest. Quartetto n. 1 (terminato nel 1909).
1908 
Quattordici Bagatelle; Dieci pezzi facili, primo di molti cicli 
didattici per pianoforte (Per i bambini, 1909; Mikrokosmos, 1939).
1909 
Sposa la giovane allieva di pianoforte Marta Ziegler.
1910 A Budapest, 
primo concerto interamente dedicato alla sua musica. Nascita del figlio 
Bela.
1911 Il castello del Principe Barbablu'.
1914-1918 Cicli 
pianistici: Sonatina, Danze popolari rumene, Colinde, 15 Canti 
contadini ungheresi, Quartetto n. 2.
1918-19 Il mandarino meraviglioso.
1919 Membro, con Zoltan Kodaly e Erno Dohnanyi, del Direttorio musicale 
della Repubblica dei Consigli.
1921-22 Due sonate per violino e 
pianoforte.
1923 Divorzia da Marta e sposa un'altra allieva, Ditta 
Pasztory.
1924 Nascita del figlio Peter.
1926 Concerto per pianoforte 
n. 1.
1927 Quartetto n. 3.
1928 Quartetto n. 4, Due rapsodie per 
violino.
1930 Cantata profana.
1931 Concerto per pianoforte n. 2.
1934 
Quartetto n. 5. Lascia l'insegnamento per dedicarsi, su incarico 
dell'Accademia delle Scienze, alla raccolta e pubblicazione del 
patrimonio di canti popolari ungheresi.
1936 Musica per archi, 
percussione e celesta. Ricerche etnomusicologiche in Turchia.
1937 
Sonata per due pianoforti e percussione.
1938 Concerto per violino n. 
2.
1939 Morte della madre. Divertimento, Quartetto n. 6.
1940 Emigra 
negli Stati Uniti.
1941 Lavora alla Columbia University di New York 
(ricerche sulla musica popolare serbocroata).
1942 Concerto per 
orchestra.
1944 Sonata per violino solo, per Yehudi Menuhin.
1945 
Concerto per pianoforte n. 3, Concerto per viola (incompiuto). Muore di 
leucemia a New York il 26 settembre.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL 
MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione 
della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita 
sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il 
superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di 
violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione 
di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo 
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici 
d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale 
alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le 
ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di 
autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni 
legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla 
religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni 
singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso 
per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, 
inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di 
cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il 
presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono 
un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il 
solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della 
lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del 
dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali 
strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la 
persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la 
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la 
formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per 
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR 
(Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior 
esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per 
contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, 
paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete 
telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale 
per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: 
www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA 
NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 585 del 21 settembre 2008

Notizie minime 
della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace 
di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore 
responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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