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La domenica della nonviolenza. 181
- Subject: La domenica della nonviolenza. 181
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 14 Sep 2008 12:12:01 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 181 del 14 settembre 2008 In questo numero: 1. Fabio Gambaro intervista Tzvetan Todorov 2. Luca Celada intervista Vandana Shiva 3. Lorenzo Ferrero: Luciano Berio 1. RIFLESSIONE. FABIO GAMBARO INTERVISTA TZVETAN TODOROV [Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 settembre 2008 col titolo "Lo straniero, la cultura, la legge. Intervista con Tzvetan Todorov" e il sommario "Tzvetan Todorov e il suo nuovo saggio, appena uscito in Francia, in cui lo studioso analizza la paura delle diversita'. E' barbarie non riconoscere all'altro la piena appartenenza all'umanita'. La paura dell'islam e' un sentimento dominante. Ma la paura e' cattiva consigliera". Fabio Gambaro, nato a Milano nel 1958, e' saggista, corrispondente culturale a Parigi per quotidiani e periodici italiani e francesi (tra cui "La Repubblica" e "L'espresso"), traduttore in francese di rilevanti autori italiani (tra cui Camilleri, De Luca, Jaeggy). Opere di Fabio Gambaro: Colloquio con Edoardo Sanguineti: quarant'anni di cultura italiana attraverso i ricordi di un poeta intellettuale, Anabasi, 1993; Invito a conoscere la neoavanguardia, Mursia, Milano 1993; Surrealismo, Bibliografica, 1996; Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Unicopli, Milano 2001; L'Italie par ses ecrivains, Laura Levi, Paris 2002. Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali. Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del 'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi, Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi, Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002; (con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino 1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995; Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese, Seuil, Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti, Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano 1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo. Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica, Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007; La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008 (tra esse segnaliamo particolarmente Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001: un'opera che ci sembra fondamentale)] "Sono uno straniero. Vivo in un paese diverso da quello in cui sono nato e da sempre sono sensibile al problema delle differenze di cultura. La relazione tra unicita' e diversita' e' inerente alla condizione umana, va quindi continuamente ripensata per combattere la paura che trasforma qualsiasi straniero in una fonte di pericolo". Con queste premesse, Tzvetan Todorov torna ad affrontare uno dei temi che da sempre gli sono piu' cari, quello delle relazioni tra le culture, a cui in passato ha dedicato libri importantissimi come La conquista dell'America, Noi e gli altri e Le morali della storia (Einaudi). In Italia esce in questi giorni un suo vecchio saggio, Teorie del simbolo (Garzanti), e in Francia sta per uscire La peur des barbares (Robert Laffont, pp. 310, euro 20), un denso lavoro in cui lo studioso francese di origine bulgara - oltre a polemizzare con Huntington e i suoi numerosi seguaci, i quali immaginano un Occidente assediato dalla minaccia islamica - analizza e discute la paura della diversita' che attanaglia la nostra societa'. "Oggi il problema della relazione tra le culture e' diventato centrale", spiega Todorov. "Il dibattito ideologico tra destra e sinistra si e' spento, lasciando spazio alla problematica dello scontro tra le culture. La mondializzazione rimette in discussione la tradizionale supremazia dell'Occidente, mentre le popolazioni del pianeta comunicano tra loro molto piu' facilmente che in passato. La rivoluzione delle comunicazioni e dei trasporti moltiplica i contatti tra le culture. Purtroppo pero', piu' che essere considerati una fonte di arricchimento reciproco, tali contatti vengono vissuti dal mondo occidentale come una minaccia che genera paura. La paura dei barbari". * - Fabio Gambaro: Chi sarebbero i barbari? - Tzvetan Todorov: C'e' chi pensa che la barbarie esista solo nello sguardo di chi considera tale l'altro perche' non lo capisce. Per il mondo occidentale, i barbari sarebbero gli stranieri, coloro che non conoscono la nostra civilta' e la nostra cultura. Da questo punto di vista, la civilta' coinciderebbe con la nostra tradizione culturale. Sappiamo tutti pero' che persone che conoscevano benissimo la nostra cultura hanno potuto comportarsi come barbari. Cio' dimostra che barbarie e civilta' non possono essere definite attraverso l'assenza o la presenza di una cultura. * - Fabio Gambaro: Quindi la barbarie non esiste? - Tzvetan Todorov: La barbarie esiste, ma per definirla, al posto di un criterio culturale, e' bene utilizzare la nostra relazione con gli altri. E' civilizzato chi riconosce la piena umanita' degli altri e quindi li tratta nella stessa maniera e con la stessa attenzione che vorrebbe per se'. E' un barbaro invece chiunque rifiuti di riconoscere agli altri la piena appartenenza all'umanita', considerandoli inferiori o infliggendo loro trattamenti disumani. La barbarie trascende le culture, non dipende dall'educazione o dalle conoscenze. Non e' una categoria culturale, ma una categoria morale. Le culture, invece, sono categorie descrittive senza alcun valore morale. Il fatto che io parli il bulgaro e lei l'italiano non implica alcun valore particolare ne' per me ne' per lei. Non e' nella cultura che risiede la civilta', anche perche' nessuna cultura protegge definitivamente dalla barbarie. Cosi', e' barbaro l'islamista che compie un attentato terroristico, ma anche l'esercito americano che uccide i civili o tortura i prigionieri. Purtroppo pero' larga parte dell'opinione pubblica occidentale continua a considerare barbari coloro che non possiedono la nostra cultura. * - Fabio Gambaro: Soprattutto chi proviene dal mondo musulmano, nei confronti del quale prevale un sentimento di paura... - Tzvetan Todorov: La paura dell'islam e' oggi un sentimento dominante. Essa e' ampiamente diffusa dai media, ma anche da opere come quelle di Oriana Fallaci. A volte la paura resta sullo sfondo, altre volte si manifesta apertamente, tanto che molti governi la sfruttano per governare. A cominciare dagli Stati Uniti. Certo, gli americani hanno subito un attacco terroristico senza precedenti, ma l'amministrazione Bush ha poi sfruttato la paura dell'islam per mantenere la popolazione in uno stato di stupore acritico e far accettare piu' facilmente le sue decisioni. Purtroppo la paura e' sempre cattiva consigliera, tanto che la paura dei barbari rischia di trasformarci in barbari, spingendoci all'intolleranza e alla guerra. Oggi, per la prima volta nella storia delle democrazie occidentali, la tortura e' diventata un atto lecito. E la tortura e' un atto barbarico. * - Fabio Gambaro: Il primo a teorizzare lo scontro tra il mondo occidentale e quello islamico e' stato Samuel Huntington. Cosa pensa della sua tesi? - Tzvetan Todorov: Per lui, la guerra fredda costituiva lo stato normale delle relazioni internazionali. Quindi, sparito il blocco comunista (anche se oggi dovremmo domandarci se il vecchio nemico sia veramente scomparso), l'Occidente si e' trovato un nuovo nemico nel mondo islamico. Si tratta di una visione manichea e semplicistica che considera il mondo musulmano come un unico blocco compatto, dimenticando che le culture non sono entita' che si tramandano come essenze platoniche. Le culture non sono blocchi monolitici immutabili nel tempo, sono costruzioni in divenire permanente, realta' meticce al cui interno agiscono numerose sottoculture che si trasformano di continuo in funzione delle loro relazioni e dei contatti con le culture esterne. Parlare di un'unica cultura islamica non ha senso. * - Fabio Gambaro: Dove nasce la diffidenza nei confronti del mondo musulmano? - Tzvetan Todorov: Sono diversi da noi, non li capiamo e allora li consideriamo barbari animati esclusivamente da intenzioni ostili. Non ho alcuna simpatia per gli islamisti, ma e' un'assurdita' pensare che oltre un miliardo di persone siano esclusivamente determinate dal loro Dna culturale e religioso. Come tutti, i musulmani si comportano in base a una quantita' di motivazioni, personali, psicologiche, politiche, sociali, ecc. In Occidente, pero' continuiamo a immaginarci che essi siano esclusivamente mossi dal Corano. Inoltre, non tutti i musulmani sono islamisti e non tutti gli islamisti sono terroristi. La semplificazione nei confronti del mondo musulmano e' profondamente ingiusta, frutto di una pigrizia mentale che si accontenta di facili schematismi. Al manicheismo di questa percezione occorre contrapporre la complessita' di un mondo ricco di sfumature. Occorre sfuggire al politicamente corretto ma anche al politicamente abietto. * - Fabio Gambaro: E' per questo che lei cerca di articolare relativismo e universalismo, evitando gli eccessi da entrambe le parti? - Tzvetan Todorov: Siamo diversi, ma siamo anche tutti umani. I due termini quindi vanno costantemente articolati. Come ci hanno insegnato gli illuministi, dobbiamo riconoscere l'universalita' della condizione umana ma al contempo la varieta' delle differenze culturali. C'e' chi sostiene troppo semplicisticamente che l'illuminismo abbia segnato il trionfo dell'unita' della civilta'. In realta', l'illuminismo riconosce l'universalita' della civilta', ma sempre all'interno della pluralita' delle culture. * - Fabio Gambaro: Sul piano concreto della relazione tra le diverse comunita', lei ipotizza una soluzione pragmatica, vale a dire che la legge prevalga sempre sui costumi. E' cosi'? - Tzvetan Todorov: Difendere il confronto e il dialogo tra le culture non implica avere una visione ingenua della realta'. So benissimo che i problemi esistono. Ma piu' che occuparsi delle identita', occorre affrontare le situazioni specifiche. Le identita' non sono barbariche, le situazioni invece si'. Quando, ad esempio, ci troviamo di fronte ai crimini d'onore, all'escissione, alle punizioni fisiche, ecc., occorre fare appello alla legge. Questi crimini riguardano spesso le minoranze musulmane, le quali, in nome di un'interpretazione abusiva del Corano, piu' patriarcale che musulmana, ledono i diritti delle donne. Nei confronti di tali comportamenti, non si deve mostrare alcuna indulgenza. Per questo e' necessario ricorrere alla legge, ma anche aiutare le minoranze a conoscere i codici, la lingua e le regole della vita collettiva. * - Fabio Gambaro: Chiedere di riconoscere la legge significa imporre a tutti un'unica cultura? - Tzvetan Todorov: Assolutamente no. Leggi e cultura vanno separate. Anche se in Occidente viviamo in nazioni che tendenzialmente hanno sempre fatto coincidere lo Stato con la cultura, non credo che tutti i francesi o tutti gli italiani abbiano la stessa cultura. Insomma, occorre accettare le culture degli altri senza paura. Dalla pluralita', infatti, si possono trarre grandi vantaggi. E l'identita' dell'Europa risiede proprio nella capacita' di aver elaborato regole comuni per gestire la diversita'. Una lezione che non bisogna mai dimenticare. 2. RIFLESSIONE. LUCA CELADA INTERVISTA VANDANA SHIVA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 settembre 2008 col titolo "Vandana Shiva: il cibo e' democrazia" e il sottotitolo "Intervista. Parla la scienziata indiana". L'intervista accompagna un articolo di Luca Celada su un incontro del movimento Slow Food a San Francisco. Luca Celada scrive sul quotidiano "Il manifesto". Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008] "Il successo del movimento Slow Food e' stato di saper unire molteplici problematiche legate al cibo e all'alimentazione equa in un paradigma unitario, capace di affrontarle in maniera politicamente propositiva. Con Terra Madre e il congresso in Messico dell'anno scorso, Slow Food ha fatto dell'impegno sul sud del mondo una priorita' con la filosofia di usare un'evoluzione illuminata dei consumi nel mondo sviluppato per incidere sulle realta' produttive del terzo mondo perche', nelle parole di Wendell Berry, decano e antesignano del movimento, anche lui presente a San Francisco, 'mangiare e' un atto agricolo'". Vandana Shiva, scienziata indiana e militante contro la fame, nel movimento esprime in modo forte il punto di vista del mondo in via di sviluppo. * - Luca Celada: Perche' e' importante occuparsi di alimentazione? - Vandana Shiva: La ragione per cui il cibo ha assunto un'importanza cosi' cruciale e' che poteri enormi stanno decidendo della vita e della morte dei contadini. Se noi abbiamo o meno diritto a cibi sani, e' diventata una problematica centrale della democrazia. E anche se puo' essere comodo ignorare questi fondamentali equilbri geopolitici e rinchiudersi nel proprio orto, questo movimento dovra' sapere farsi carico diretto di queste problematiche. Pena la perdita di efficacia come forza democratica. * - Luca Celada: In che senso e' centrale per la democrazia? - Vandana Shiva: E' una tematica centrale della democrazia a partire dalla constatazione che in quaranta paesi quest'anno ci sono state sommosse direttamente attribuibili al controllo monopolistico esercitato sulla produzione alimentare da una manciata di grandi comglomerati. Eventi che hanno costretto molti governi a fare un passo indietro dalle politiche liberiste che erano state imposte loro. E' una questione di democrazia per gli agricoltori che non sono piu' in grado di scegliere le sementi da piantare perche' sono legati da contratti-capestro a multinazionali come la Monsanto, che controlla oggi il 90% dei semi geneticamente modificati e il 70% delle sementi del mondo. Quando esiste questo tipo di monopolio sul primo anello della catena alimentare non e' possibile che ci sia liberta' nel resto della catena. Dobbiamo influenzare governi e parlamenti ma questo vuol dire anche far pressione sulle lobby commerciali che ne determinano le politiche. Molto dipendera' se gli Stati Uniti sapranno e vorranno modificare l'attuale modello di business agrolimentare che impone le proprie norme al resto del mondo per agevolare le operazioni di mercato delle proprie corporation. E' questa la sfida. * - Luca Celada: Lei critica i programmi di alimentazione delle grandi organizzazioni mondiali. Perche'? - Vandana Shiva: La catena del cibo risale a ritroso dalle nostre fattorie e dai contadini il cui lavoro determina la quantita' di cibo disponibile, che si coltivi per sussistenza o per profitto. Il modello economico decide altresi' se i produttori di cibo possano sopravvivere o meno. La fame oggi e' un prodotto diretto dell'imposizione ai contadini di cosa possono coltivare, obbligandoli a vendere i raccolti per reinvestire in fertilizzanti. Il World Food Program e' utilizzato sempre piu' da un sistema di ingiustizia globale che usa il cibo per "l'alimentazione d'emergenza", ma questo travisa del tutto il ruolo del cibo che non e' fatto per supplire alle emergenze ma per l'alimentazione, la sicurezza e, si' certo, il piacere quotidiano. E' una tragedia aver permesso di trasformarlo nello strumento di un sistema globale che spende 700 miliardi di dollari in derrate d'emergenza e da' altri 400 miliardi di dollari in sussidi alle corporation che distruggono l'ambiente e creano le emergenze. * - Luca Celada: E l'argomento per cui passare a una economia agricola biologica e sostenibile non potrebbe supplire al fabbisogno alimentare del mondo? Che gli Ogm sono ormai necessari a sfamarci? - Vandana Shiva: Io vengo da quella parte del mondo in cui la fame e' risultato diretto proprio delle politiche di conglomerati come la Cargill e la Archer Daniels Midland, che obbligano il nostro governo ad aprire al mercato globale e usano i sussidi che ricevono dal governo americano per invadere il nostro mercato con prodotti industriali Ogm di cui detengono i brevetti. Cosi' l'invasione del cotone Ogm della Monsanto ha portato al suicidio di oltre mille contadini indiani. E' vero che un cambiamento nelle abitudini dei consumatori dei paesi avanzati ha un ruolo importante nel modificare questo quadro ma piu' in generale dobbiamo ricordare che i principi di sostenibilita' e di agricoltura secondo precetti naturali, della localizzazione invece della globalizzazione e del rispetto dovuto al cibo, sono diritti dovuti anche all'ultimo bambino dell'India. 3. PROFILI. LORENZO FERRERO: LUCIANO BERIO [Dal mensile "Letture", n. 647, maggio 2008 col titolo "Luciano Berio" e il sommario "Cinque anni fa moriva Luciano Berio. Erede di un'illustre tradizione di cui pare il termine ultimo, e' stato al tempo stesso innovatore radicale del linguaggio e come tale protagonista del panorama musicale contemporaneo"] Sono cinque anni dalla scomparsa di Luciano Berio: un tempo insufficiente per usare il filtro della storia e abbastanza lontano per iniziare un ragionamento svincolato dalla cronaca. Certo e' che gia' negli anni Ottanta era considerato, non senza fastidio per alcuni colleghi, il maggior compositore italiano della seconda meta' del Novecento, ed era circondato dal rispetto non solo di quanti lo riconoscevano come un maestro dell'avanguardia, insieme a Stockhausen, Nono, Maderna e Boulez (l'unico ancora in vita), ma anche dalla nuova generazione che andava prendendo strade diverse. Tanto e' vero che fra i suoi ultimi collaboratori-allievi figurano autori diversissimi come Luca Francesconi, Ludovico Einaudi e Filippo Del Corno. Era nato il 24 ottobre 1925 a Oneglia, da una solida famiglia di musicisti. Continuare la tradizione di famiglia, prendendo lezioni dal nonno e dal padre, sembrava la cosa piu' naturale, e pareva inizialmente che il suo futuro fosse il pianoforte, salvo per un incidente alla mano (nel '44), non grave ma sufficiente a fargli perdere la speranza di competere ai massimi livelli. Ma anche la composizione era di casa, e, secondo una tradizione quasi ottocentesca, era tutt'uno con lo studio di uno strumento. La composizione lo porta, nel 1946, al Conservatorio di Milano, tappa inevitabile nella formazione di un giovane di solide ambizioni. Qui trova due maestri di grande valore: il contrappuntista Paribeni e l'ottimo compositore Ghedini. A entrambi, e particolarmente al secondo, tributera' sempre un ricordo affettuoso. * Incontri Non sempre le biografie spiegano le ispirazioni di fondo di un artista, tuttavia nel nostro caso alcuni passaggi sono molto di piu' di una coincidenza. All'insegnamento di Paribeni si puo' far risalire la concezione fondamentalmente contrappuntistica della scrittura musicale, mentre da Ghedini raccoglie l'eredita' di un'antica sapienza compositiva e orchestrale, che lo portera', anche nel momento piu' furiosamente sperimentale delle avanguardie, a rimanere "con i piedi per terra", legato al concreto fatto musicale e strumentale. Chiunque l'abbia conosciuto ricorda bene come nello spiegare la musica le sue mani si muovevano sempre quasi a mimare un gesto esecutivo, perlopiu' di pianoforte o di violino. Complementare a questi insegnamenti e' l'incontro a Tanglewood, negli Stati Uniti, nel 1952, con Luigi Dallapiccola, il principale esponente della dodecafonia in Italia, allora molto rispettato, ma raramente eseguito. Non meno importante e' un fatto privato, il matrimonio, nel 1950, con la cantante Cathy Berberian, un rapporto di fruttuosa collaborazione musicale, a cui si devono alcune pagine considerate tuttora di riferimento. In questi anni trova anche un grande amico, il compositore e direttore d'orchestra Bruno Maderna, con il quale passa piu' volte ai famosi "Ferienkurse" di Darmstadt, dove per una fortunata serie di convergenze si sviluppano le tendenze decisive della cosiddetta avanguardia postweberniana. Berio aveva un rispetto e una curiosita' particolari per il mondo della cultura in generale, che lo portavano ad allargare costantemente i suoi orizzonti ben oltre i confini musicali, traendone ispirazione per i suoi lavori. Ricorderemo almeno tre grandi amicizie: Umberto Eco, Italo Calvino ed Edoardo Sanguineti. Altrettanta curiosita' aveva per qualunque forma espressiva in musica. Non a caso fondo' nel 1955 insieme a Maderna lo Studio di fonologia musicale di Milano, presso la Rai, che divenne un punto di riferimento per la musica elettronica, non solo dei suoi fondatori, ma anche di Cage e di Nono. Il nome suggeriva tra l'altro una equidistanza tra i fautori della musica realizzata con mezzi esclusivamente elettronici (Colonia), e la cosiddetta "musica concreta" creata a partire da registrazioni di suoni e rumori reali (Parigi). Per diffondere le nuove tendenze musicali fondo' la rivista "Incontri musicali" (1956) e organizzo' concerti con lo stesso nome fino al 1959. Ma certamente si distinse da molti suoi colleghi anche per l'interesse per il jazz, e perfino per il rock, su cui negli anni Sessanta pubblico' un saggio che rimane fra i pochi di vero interesse musicologico (trascrisse anche Ticket to Ride dei Beatles), nonche' per la musica popolare, testimoniato da uno dei suoi pezzi piu' famosi ed eseguiti, Folk Songs (1964), e proseguito con un allargamento di orizzonte alla musica etnica. Nello stesso tempo non abbandono' mai la riflessione sul passato musicale, con omaggi diretti e indiretti (come a Bach nella Sequenza per violino solo), e con trascrizioni e adattamenti da Bach a Brahms, da Monteverdi a Boccherini, da De Falla a Verdi, coronate da Rendering (1989), una sorta di restauro degli abbozzi per la decima sinfonia di Schubert, e dal nuovo finale di Turandot di Puccini (2002), su cui torneremo. * La musica Sensibile com'era alle tendenze piu' vive della cultura non poteva certo ignorare lo strutturalismo che era il pensiero sottostante a molte tendenze di Darmstadt. Tuttavia individua immediatamente una sua particolare strada, non astratta, ma legata al potere comunicativo della materia musicale, per sviluppare una tecnica compositiva basata sulla serie come successione di intervalli musicali, anziche' come mero ordine di note. Ne deriva una sorta di riconoscibilita' melodica, che molti, soprattutto all'estero, hanno attribuito alle sue origini italiane, o, meno benevolmente, a una sorta di moderatismo rispetto alle sperimentazioni piu' radicali. Ha scritto il suo piu' acuto commentatore, David Osmond-Smith: "Il suo lavoro ha costantemente reinventato continuita' laddove altri cercavano possibilita' di rottura". Nel lungo percorso artistico di Berio e' possibile distinguere varie fasi, a partire da un tuttora godibile Concertino del '49, frutto degli studi di Conservatorio. Il tratto caratteristico degli anni '50-'60 e' una straordinaria ricerca sperimentale, sia sul linguaggio seriale in senso stretto (Epifanie per voce e orchestra), sia sulle piu' diverse tecniche vocali (Sequenza III per voce femminile), strumentali (Sequenza V per trombone solo, Circles per voce femminile, 2 arpe e 2 percussioni, Laborintus II per ensemble), ed elettroniche (Thema. Omaggio a Joyce). A questo periodo appartengono anche grafismi particolari e controllati spazi di improvvisazione, mai pero' astratti da concrete finalita' musicali. Non manca un tentativo di teatro musicale, Passaggio, su testo di Sanguineti. Corona gli anni Sessanta Sinfonia, per otto voci e orchestra, eseguita la prima volta da Leonard Bernstein e dalla New York Philarmonic nel 1968: un lavoro complesso ma anche di grande impatto comunicativo, di cui resta particolarmente impressa la citazione dell'intero Scherzo della II Sinfonia di Mahler, accompagnato dalla lettura di testi di Levi-Strauss. Inutile dire che un tale lavoro gli valse l'accusa di aver tradito la "vera" avanguardia, un'accusa che vari gruppi di integralisti avrebbero piu' volte ripreso negli anni a venire. Gli anni Settanta sono per molti versi anni di ricapitolazione. I grafismi piu' avventurosi vengono abbandonati e le forme si espandono (Concerto per due pianoforti e orchestra) secondo modalita' piu' vicine, con tutte le virgolette del caso, alla tradizione classica. Alcuni gesti della sua musica (note ribattute, ad esempio) diventano tratti costanti e inconfondibili. Ma la ricerca non cessa per questo, anzi si arricchisce di un'attenzione sempre maggiore alla dimensione armonica, in diretta corrispondenza con l'uso di forme piu' ampie. Dice ancora Osmond-Smith: "Mentre alcuni contemporanei sembravano soddisfatti di trattare l'armonia come una semplice sotto-categoria del tessuto musicale, Berio ritornava insistentemente alla dimensione armonica come punto focale delle sue piu' ampie aspirazioni musicali". Le troviamo tutte nel monumentale Coro, su testi di Pablo Neruda, per coro e orchestra, composto fra il '76 e il '77. Di questo lungo processo vengono raccolti i frutti nei due decenni successivi, caratterizzati da un crescente numero di opere liriche. Le fasi dell'evoluzione del linguaggio di Berio fin qui descritte trovano almeno apparente smentita nel suo catalogo, dove compaiono con continuita' titoli come Sequenza e Chemins. Un'altra costante sono i pezzi per voci sole o accompagnate. D'altra parte le sue fasi evolutive non furono mai segnate da rotture radicali o cambiamenti di rotta, come e' avvenuto per tanti compositori del Novecento, da Stravinskij a Ligeti. Dalle primissime alle ultime composizioni lo "stile Berio" rimane inconfondibile: sono semmai alcuni dettagli a emergere maggiormente e altri a passare in secondo piano, le forme a espandersi o a concentrarsi. Non a caso i suoi allievi di maggior talento hanno evitato accuratamente ogni forma di epigonismo. Basti pensare a Steve Reich o a Louis Andriessen. Le Sequenze (nessun riferimento alla musica liturgica medievale, se non per una certa liberta' formale e altrettanto libere simmetrie) vanno da quella per flauto solo del 1958 a quella per violoncello del 2002. Toccano i principali strumenti conosciuti, come il violino, il trombone, il pianoforte, la viola, e altri particolari come la fisarmonica (1995-'96). Tratto distintivo di ciascuna sequenza e' l'amore e il rispetto per la storia dello strumento, le sue caratteristiche per cosi' dire idiomatiche, e nello stesso tempo la ricerca di nuove modalita' esecutive. La Sequenza III per voce femminile (1965-'66) ad esempio include anche emissioni inusuali, come il sospiro, il pianto e il riso. La Sequenza per trombone (1966) chiede allo strumentista di cantare dentro lo strumento e di soffermarsi, con un accenno di comicita' alla Grock, sulla domanda "Why?". In altre Sequenze il rapporto fra tradizione e innovazione e' piu' difficile da decifrare, ma e' sempre presente e ricco di stimoli sia per l'ascoltatore che per l'esecutore. Nello scriverle Berio lavorava sempre a stretto contatto con un esecutore, spesso dedicatario delle stesse, mai in astratto, con una straordinaria umilta' artigianale. Di alcune Sequenze esistono versioni dette Chemins, in cui la parte solistica e' arricchita dalle sollecitazioni e rifrazioni di un gruppo strumentale. Da un certo punto di vista i Chemins sono una sorta di guida all'ascolto delle Sequenze, ai loro segreti percorsi compositivi, che Osmond-Smith definisce "ascolto in progress". Nel loro insieme, Sequenze e Chemins costituiscono un "unicum" che sfugge alla categorizzazione in periodi, e un filo conduttore essenziale per seguire l'evoluzione del suo pensiero musicale. * Berio americano Dal 1960 Luciano Berio risiede in modo pressoche' permanente negli Stati Uniti. Insegna a Tanglewood, al Mills College in California, dove eredita la cattedra che fu di Darius Milhaud, e infine alla prestigiosa Juilliard School di New York, dove fonda lo Juilliard Ensemble. Si risposa con la giapponese Susan Oyama, psicologa e filosofa della scienza, che gli dara' due figli, anche se sara' un matrimonio di breve durata. Il soggiorno americano riveste molteplici significati. Innanzitutto culturali, segnati da rapporti che vanno dagli esponenti dell'avanguardia, e da allievi che saranno protagonisti del cosiddetto minimalismo, a Igor Stravinskij, agli ambienti delle arti visive e della ricerca scientifica, in particolare la linguistica. Segna anche uno stacco dal relativo provincialismo italiano e dalle sue beghe, che lo porranno fuori dai piccoli giochi politici e di corrente (come si sa il rapporto cultura-politica e' sempre stato stretto nel nostro Paese, ma Berio poteva permettersi di vivere il suo essere di sinistra senza dipendenze e sudditanze). Verso la fine del periodo sono sempre piu' frequenti le visite dell'amico Pierre Boulez, in veste soprattutto di direttore d'orchestra, che lo fara' approdare alla testa della New York Philarmonic. Insomma oltre ad allargare i propri orizzonti culturali in uno dei periodi piu' fertili per le avanguardie in America, Berio consolida insieme all'amico Boulez la posizione delle avanguardie europee negli Stati Uniti. * Ritorno in Europa All'inizio degli anni '70 torna brevemente in Italia, ma presto, a partire dal '74, si sposta a Parigi, dove sotto la guida di Boulez prende forma un progetto di incontro fra la ricerca musicale e la ricerca scientifica, fortemente sostenuto dal presidente Pompidou, che si chiama Ircam, acronimo per Istituto di ricerca e coordinamento fra acustica e musica. Si realizza in questo istituto, dotato di ampi mezzi e di attrezzati laboratori, fra cui una sala da concerto ad acustica variabile, il sogno delle avanguardie postbelliche di una ricerca musicale scientifica e oggettiva, anestetizzata dalla mutevole e vulnerabile instabilita' del soggetto e dalla sua adesione emotiva a questo o quello stimolo del materiale musicale. A rigore era questa piu' l'idea di Boulez che di Berio, il quale si interessava piuttosto a un uso dell'elettronica come arricchimento dell'acustica realizzato "in tempo reale", ovvero senza le attese legate ai tempi di elaborazione dei computer. Chi scrive puo' serenamente confessare l'impressione che Berio si rendesse conto di aver fra le mani un giocattolo che il tempo aveva in qualche modo superato. Nascevano in quegli anni, in Italia e in Germania particolarmente, nuove correnti musicali che rifiutavano i processi "oggettivi" dettati dallo strutturalismo e andavano rivalutando l'idea di musica come espressione e comunicazione del soggetto, tanto che furono definiti "neoromantici". E' forse un indizio utile il fatto che nonostante la dedizione di Berio al "tempo reale", testimoniata dalla fondazione a Firenze nel 1987 di un centro con lo stesso nome, sono relativamente poche le composizioni che fanno uso dei risultati di ricerca dell'Ircam, e anzi nel corso del tempo il fulcro del suo maggiore impegno produttivo diventera' il teatro d'opera. Per contro Berio non dimentica la propria apertura ai piu' vari linguaggi musicali, e, assunta la direzione artistica del Maggio musicale fiorentino nel 1984, fara' realizzare tra l'altro una versione rock del mito di Orfeo. * In Italia Nel 1977 sposa la musicologa israeliana Talia Pecker (da cui avra' due figli), che si rivela nel tempo affidabile collaboratrice, fino a diventarne librettista per l'ultima opera. Trova una casa a Radicondoli nel senese, dove passa progressivamente piu' tempo, dedicandosi con tenace passione hobbistica anche alla coltura del vino e dell'olio. Radicondoli diventa la sede e il punto di partenza per innumerevoli incarichi e impegni anche come direttore d'orchestra, oltre al luogo sereno per ricevere amici e comporre i principali ultimi lavori. * Opere La distanza dal mondo dell'opera, sede, quasi per definizione, della piu' trita conservazione, ha caratterizzato l'atteggiamento iniziale di tutti i compositori della generazione di Berio, salvo riavvicinamenti piu' o meno tardivi e spesso isolati. La costante prospettiva era di considerare il teatro d'opera soprattutto come sede dotata dei mezzi necessari per realizzare uno spettacolo teatrale comunque "altro" dalla tradizione. Tradizione che peraltro, a differenza di molti suoi colleghi, Berio conosceva molto bene, sia per aver lavorato in teatro al tempo dei suoi esordi, sia per cultura. A favore dell'opera agiva anche una particolare passione per l'uso della voce umana, testimoniata da innumerevoli brani da concerto, alcuni dei quali con un certo potenziale teatrale. Il primo lavoro importante, Opera (che sta per plurale di opus, si noti bene, quindi non e' ancora una resa al genere), e' frutto di una lunga elaborazione, e di due versioni, che va dal '69 al '77. Sullo sfondo di un libretto in tre parti alquanto eterogenee c'e' la vicenda del Titanic, insieme a richiami alla storia di Orfeo e "Terminal" dell'Open Theater. Si tratta di un lavoro ingiustamente poco eseguito, perche' in realta' evoca egregiamente il mondo tradizionale dell'opera, ma fermandosi, per cosi' dire, sulla porta. Conserva percio' tutta la freschezza di invenzione del momento piu' vivacemente sperimentale delle avanguardie, e potrebbe ancora trovare in un pubblico giovanile grande attenzione. Qualche analogia di approccio ha La vera storia, del 1981, scritta per il Teatro alla Scala. Il libretto e' di Italo Calvino e si propone di raccontare nelle sue due parti la stessa storia in due modi diversi, uno nel modo tradizionale del racconto operistico (con addentellati nella vicenda del Trovatore), l'altro del tutto contemporaneo. Una sfida quasi postmoderna, che, a dirla onestamente, Calvino raccoglie piu' dello stesso compositore, scrivendo la prima parte in una geniale reinvenzione dei versi e delle metriche dei libretti ottocenteschi. Berio non lo segue fino in fondo con la musica, in modo tale che le due parti sono molto piu' simili di quanto non lascerebbe presagire l'assunto iniziale. La seconda parte risulta quindi piu' riuscita e congeniale alla propensione dell'autore. Le tre grandi opere successive, Un re in ascolto, ancora su libretto di Calvino (che ebbe motivo di polemica con Berio per il trattamento del testo), del 1984, Outis, su libretto proprio e di Dario Del Corno, riferito ovviamente alla vicenda di Ulisse, del 1995, e infine Cronaca del luogo, su libretto di Talia Pecker Berio, del 1999, rappresentano un progressivo avvicinamento ad un modo di narrare che ha sempre maggiori punti di contatto con una tradizione che non e' tanto quella ottocentesca, quanto del Novecento storico, con particolare riferimento a Dallapiccola. Come ha osservato Gerhard Koch, critico della "Zeit", si puo' vedere una sorta di parallelismo fra la vicenda di Ulisse, che per tornare a casa deve percorrere un lungo periplo, e la vicenda compositiva di Berio, vista come una lunga avventura per risolvere la tensione fra il passato e l'avvenire. Chi scrive preferisce tuttavia sospendere il giudizio su questi lavori, di cui comunque e' quasi inutile sottolineare la maestria compositiva e la ricchezza di idee, non tanto per l'esito in se', quanto perche' sembra prevalere lo sguardo verso il Novecento storico, senza ne' sperimentare nuovi traguardi, ne' lasciar correre libera una vena lirica che Berio possedeva in misura ben maggiore di quanto l'appartenenza a una certa generazione gli permettesse osare esprimere, e che meglio traspare in lavori piu' brevi dello stesso periodo, come per esempio Ofanim (1988-1997). * Gli ultimi anni Nel 2000 viene eletto presidente e direttore artistico dell'Accademia di Santa Cecilia. Si sta per inaugurare la nuova sede dell'orchestra, il Parco della musica progettato da Renzo Piano (2002). Inizia per lui un lavoro intensissimo e logorante, rivolto a creare una programmazione rinnovata e a conquistare nuovo pubblico per la musica contemporanea. L'attivita' compositiva non sembra risentirne, e vede anche una importante e severa Sonata per pianoforte. L'impresa piu' straordinaria del periodo e' comunque la riscrittura del finale di Turandot di Puccini. Come e' noto Puccini aveva lasciato incompiuta l'opera (completata da Alfano) non solo e non tanto per ragioni di salute, ma soprattutto perche' si interrogava insistentemente sul finale, lasciando appunti di vario genere, anche piuttosto enigmatici, fra cui il celebre "e poi Tristano". Come seguendo la pista di questo appunto, Berio crea un finale aperto e sospeso, evitando ogni trionfale happy end, ma non tradendo l'idea della capitolazione di Turandot all'amore di Calaf, realizzata con una meditazione orchestrale che sottolinea l'abbandono della maschera di gelo della principessa. Tutto il materiale melodico e armonico e' sostanzialmente pucciniano, ma il colore generale porta verso una piu' vicina modernita', in cui Berio pur nell'assoluto rispetto di Puccini non fa nulla per nascondere la propria mano. Resistendo eroicamente al male incurabile che lo aveva colpito, ha lavorato fino all'ultimo, come era nel suo carattere, sempre animato da ottimistica volonta' verso ogni nuovo progetto. Si e' spento a Roma il 27 maggio 2003 ed e' stato sepolto a Radicondoli con un toccante discorso del vecchio amico Umberto Eco. * E la storia di Turandot ebbe fine, 75 anni dopo Musica: La musica di Luciano Berio e' edita da Universal Edition, Wien. Le opere Outis e Cronaca del luogo sono edite da Casa Ricordi, Milano, come anche la versione di Turandot di Puccini. Bibliografia essenziale: Rossana Dalmonte, Luciano Berio. Intervista sulla musica, Edizioni Laterza, Bari, 1981. David Osmond-Smith, Berio, Oxford studies of composers, Oxford University Press, 1991. Autori vari, a cura di Enzo Restagno, Berio, Edizioni Edt, Torino, 1995. Luciano Berio, Un ricordo al futuro (Lezioni americane), Edizioni Einaudi, Torino, 2006. Discografia essenziale: The great works for voice, soprano Christine Schadeberg, Mode Records, 1995. Sequenzas, solisti Ensemble Intercontemporain, Dgg, (3 dischi), 1998. Chamber Music, esecutori vari, Md&G, 1998. Coro, direttore Luciano Berio, Dgg, 2002. Rendering, direttore Riccardo Chailly, Universal Music Italia, 2004. Sinfonia, direttore Peter Eotvos, Dgg, 2005. Finale di Turandot, direttore Riccardo Chailly, in Puccini discoveries, Decca, 2004. Le principali composizioni, con vari interpreti, sono presenti su ITunes Music Store o scaricabili dal sito http://www2.deutschegrammophon.com * In perenne contatto con il mondo della musica 1925 Nasce a Oneglia il 24 ottobre. Prime lezioni di musica dal nonno Adolfo e dal padre Ernesto. 1944 L'incidente alla mano interrompe le promesse di carriera come pianista. 1945 Studi al Conservatorio di Milano con Paribeni e Ghedini. 1950 Sposa la cantante Cathy Berberian. 1951 Diploma in composizione. 1952 A Tanglewood da Luigi Dallapiccola. 1953 Nasce la figlia Cristina. 1954 Fonda con Bruno Maderna lo Studio di fonologia musicale della Rai. 1956-1959 Pubblica "Incontri musicali" e fonda i concerti con lo stesso nome. 1960 Insegna a Tanglewood. 1961 Insegna al Mills College a Oakland. 1965 Sposa Susan Oyama. 1965-1971 Insegna alla Juilliard School di New York e fonda lo Juilliard Ensemble. 1966 Nasce la figlia Marina. 1967 Nasce il figlio Stefano. 1972 Torna in Europa. 1974-1980 Dirige la sezione elettroacustica dell'Ircam. 1975-1976 Direttore artistico dell'Accademia filarmonica romana. 1977 Sposa Talia Pecker. 1978 Nasce il figlio Daniel. 1980 Nasce il figlio Jonathan. 1984 Direttore artistico del Maggio musicale fiorentino. 1987 Fonda Tempo reale a Firenze. 1989 Premio Ernst von Siemens, Germania. 1991 Premio della Fondazione Wolf, Israele. 1993-1994 Norton Professor of Poetry, Harvard University. 1995 Leone d'oro alla Biennale di Venezia. 1996 Praemium imperiale, Giappone. 1999 Dottorato onorario, universita' di Torino e universita' di Edimburgo. 2000 Presidente dell'Accademia di Santa Cecilia e dottorato onorario universita' di Urbino. 2003 Muore a Roma il 27 maggio. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 181 del 14 settembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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