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Minime. 576
- Subject: Minime. 576
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 12 Sep 2008 01:03:06 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 576 del 12 settembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Quanti undici settembre in Afghanistan 2. "Peacereporter": Anche oggi una strage 3. La Costituzione non e' un "optional" 4. A Roma il 13 settembre un incontro con Vandana Shiva 5. I nuovi attila non prevarranno 6. Dacia Maraini: In via di estinzione 7. Nello Ajello presenta "Una bambina contro Stalin" di Gabriele Nissim 8. Francesco Anfossi presenta "Partigiani della montagna" di Giorgio Bocca 9. Teresa Pullano presenta "L'inquietudine delle differenze" di Michel Wieviorka 10. Massimo Raffaeli presenta "Leviatan" di Julien Green 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. QUANTI UNDICI SETTEMBRE IN AFGHANISTAN Per l'insaziabile sete di vendetta e di strage dei poteri imperiali quanti afgani innocenti devono essere ancora assassinati? Per la furia omicida dei terroristi di stato per quanti anni gli afgani devono vivere nel terrore e negli stenti, sotto la furia della guerra, umiliati, torturati, feriti, mutilati, privati di tutto e infine anche della vita? * Cessi la guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria in Afghanistan. Cessi la partecipazione italiana alla guerra che viola il diritto internazionale e la legalita' costituzionale. Torni l'Italia alla legalita' e alla civilta', cessi di essere complice delle stragi, e si adoperi invece contro la guerra, per la pace con mezzi di pace, per il disarmo, per la smilitarizzazione dei conflitti. * Salvare le vite umane, questa e' la civilta'. La guerra e' l'estrema barbarie, la catastrofe senza ritorno. 2. AFGHANISTAN. "PEACEREPORTER": ANCHE OGGI UNA STRAGE [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo dell'11 settembre 2008 col titolo "Attacco della coalizione internazionale: morti"] Le forze della coalizione internazionale in Afghanistan hanno attaccato questa mattina la casa di un sospetto terrorista nel villaggio di Shapuri, nella provincia di Ghazni. Stando al comunicato emesso dal portavoce di Enduring freedom, "collaborava all'infiltrazione di combattenti stranieri nel paese". Le forze della coalizione sono intervenute "dopo essere state attaccate", uccidendo "diversi estremisti" e arrestando due persone. Gli abitanti del villaggio hanno parlato invece di tre morti, una donna e due suoi figli, di 12 e 19 anni. 3. LE ULTIME COSE. LA COSTITUZIONE NON E' UN "OPTIONAL" Fanno cadere le braccia certe non meditate dichiarazioni del Presidente della Repubblica, che da' per scontato che per ministri della repubblica e sindaci della capitale la Costituzione della Repubblica Italiana possa non essere un riferimento condiviso e vincolante. Ma a quella Costituzione tutti i sindaci d'Italia e tutti i ministri d'Italia hanno dovuto giurare fedelta'. Altro che chiacchiere. Se non la condividono e non la rispettano non possono ricoprire quegli incarichi di sindaci e di ministri. * La Costituzione non e' un orpello o un balocco, ma il fondamento stesso del nostro ordinamento giuridico e del nostro sistema legislativo. Chi non si sottomette alla sua autorita' non puo' governare la cosa pubblica. Che il capo dello stato, che dovrebbe essere il supremo garante della Costituzione, se ne esca in certe dichiarazioni di resa all'anomia e al tradimento e al crimine e' peggio che sorprendente, e' ignobile. Se un ministro non condivide e non rispetta la Costituzione - cui ha giurato fedelta' all'atto di assumere il suo incarico - va cacciato. Se un sindaco non condivide e non rispetta la Costituzione - cui ha giurato fedelta' all'atto di assumere il suo incarico - va cacciato. 4. INCONTRI. A ROMA IL 13 SETTEMBRE UN INCONTRO CON VANDANA SHIVA [Riceviamo e diffondiamo la seguente notizia. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008] Si svolgera' a Roma sabato 13 settembre, con inizio alle ore 11,30, presso la sede della Provincia, Palazzo Valentini, via IV Novembre 119/A, un incontro con la scienziata e attivista ambientalista Vandava Shiva, impegnata da tempo nella lotta per la tutela della biodiversita' e dei beni comuni, insignita nel 1993 del Right Livelihood Award. 5. DIRITTI. I NUOVI ATTILA NON PREVARRANNO [Riportiamo il seguente comunicato del 10 settembre 2008 del Comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti] Da quanto riferiscono i mezzi d'informazione l'odierno scandaloso accordo tra l'ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) e la famigerata societa' "Aeroporti di Roma" (Adr) conferma la natura biecamente affaristica dell'operazione che vorrebbe realizzare un nuovo devastante mega-aeroporto a Viterbo, peraltro lasciando nel disagio e nel disastro la popolazione di Ciampino. Se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, i messeri della lobby affaristica ed ecocida hanno definitivamente gettato la maschera, e confessato il pasticciaccio brutto, il maledetto imbroglio. Il piano della lobby affaristica ed ecocida e' semplice: arricchirsi ai danni del pubblico erario; arricchirsi ai danni della salute delle popolazioni vittimizzate; arricchirsi ai danni dell'ambiente; arricchirsi ai danni dei diritti e degli interessi dei cittadini e delle comunita' locali; arricchirsi ai danni delle autentiche vocazioni dei territori investiti. E gli elementi dello scellerato piano sono chiaramente delineati: a) realizzare a Viterbo un enorme e illegale mega-aeroporto per voli low cost che devastera' salute e ambiente; b) mantenere a Ciampino un intollerabile e sciagurato mega-aeroporto per voli low cost che continuera' a massacrare la salute e i diritti della popolazione locale; c) accrescere ulteriormente il trasporto aereo che gia' e' in ingente misura corresponsabile del surriscaldamento del clima, e che e' quindi un'attivita' che occorre invece drasticamente e immediatamente ridurre. * Questo piano di saccheggio e di devastazione va contrastato. Va contrastato con la forza della legalita'. Va contrastato con la forza della democrazia. * Per quanto concerne specificamente la situazione viterbese sara' sufficiente ricordare una volta ancora che la realizzazione a Viterbo di un devastante mega-aeroporto per voli low cost avrebbe esiti inaccettabili e disastrosi. 1. grave nocumento per la salute della popolazione, come dimostrato dal documento dell'Isde (International Society of Doctors for the Environment - Italia) del 18 marzo 2008; 2. grave devastazione dell'area termale del Bulicame, peculiare bene naturalistico e storico-culturale, terapeutico e sociale, economico e simbolico, gia' citato da Dante nella Divina Commedia ed elemento fondamentale dell'identita' di Viterbo; 3. grave impatto su un rilevante bene archeologico come l'emergenza in situ del tracciato dell'antica via consolare Cassia, come ammesso dall'assessore e vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino; 4. grave impatto inquinante sull'Orto botanico dell'Universita' degli Studi della Tuscia, bene scientifico, di ricerca e didattico di cospicua rilevanza; 5. grave impatto inquinante sulle colture agricole - di qualita' e biologiche - insistenti nell'area maggiormente investita; 6. grave danno economico per la citta' con deprezzamento di attivita', esercizi ed immobili; 7. conflitto con attivita' ed esigenze di interesse strategico nazionale dell'Aeronautica Militare, come evidenziato da ultimo dal "Centro Studi Tuscia per lo sviluppo di un aeroporto compatibile" in un recente documento diffuso il 2 agosto 2008 in cui si afferma testualmente "l'incompatibilita' tra l'intensa attivita' di aviazione civile commerciale e la permanenza di un'attivita' di volo militare importante - quella della Cavalleria dell'Aria - che rende Viterbo tra gli aeroporti militari di primaria importanza strategica (come fissato da un recente decreto)" e come gia' precedentemente puntualmente segnalato nella seduta del Consiglio comunale di Viterbo del 25 luglio 2008; 8. immenso sperpero di fondi pubblici per un'opera nociva e distruttiva, quando Viterbo e l'Alto Lazio hanno bisogno di ben altri interventi della mano pubblica: e particolarmente di un forte sostegno a difesa e valorizzazione dei beni ambientali e culturali, dell'agricoltura di qualita', delle peculiari risorse locali; e per quanto concerne la mobilita' un forte sostegno al trasporto ferroviario (riaprendo la linea Civitavecchia-Capranica-Orte; potenziando la linea Viterbo-Orte; potenziando la linea Viterbo-Capranica-Roma); 9. aggravamento di una condizione di servitu' per l'Alto Lazio, territorio gia' gravato da pesantissime servitu' energetiche, militari e speculative e da fenomeni di inquinamento ed aggressione criminale alla salute, alla sicurezza e alla qualita' della vita dei cittadini; 10. concreto pericolo che l'opera veicoli interessi ed affari non trasparenti, conflitti di interessi in figure investite di ruoli e funzioni istituzionali, operazioni economiche illecite e penetrazione dei poteri criminali, come segnalato da autorevoli figure istituzionali; 11. infine, poiche' il punto di riferimento da parte dei promotori dell'opera e' il sedime di Ciampino e l'attivita' che in esso si svolge, si rileva come proprio la situazione di Ciampino sia insostenibile e gravemente lesiva dei piu' elementari diritti della popolazione locale, ed e' quindi evidentemente scandaloso voler "ciampinizzare" un'altra citta' (occorre invece una drastica e immediata riduzione dei voli su Ciampino). 12. l'opera e' tuttora priva di adeguata progettazione, anzi della stessa precisa definizione di collocazione e dimensioni, come ammesso dallo stesso Consiglio comunale di Viterbo nella parte narrativa dell'atto deliberativo n. 92 del 25 luglio 2008 in cui si afferma testualmente che "devesi fare presente che a tutt'oggi non si conoscono ne' la lunghezza della pista che potrebbe arrivare a superare i 3000 m, ne' il suo orientamento"; peraltro il gia' citato "Centro Studi Tuscia per lo sviluppo di un aeroporto compatibile" ha rilevato "l'impossibilita' oggettiva - dimostrata dagli studi del nostro centro - di allungare la pista di almeno altri due chilometri mantenendone l'orientamento e, tanto meno, di smantellare l'attuale per costruirne altra - come sostenuto da ambienti dell'assessorato al volo - disassata di 10 gradi verso nord o sud"; 13. l'opera confligge con il Piano territoriale paesaggistico regionale e le relative norme di salvaguardia, come riconosciuto dallo stesso Consiglio comunale di Viterbo con l'atto deliberativo n. 92 del 25 luglio 2008; 14. l'opera e' totalmente priva di fondamentali verifiche e di fondamentali requisiti previsti dalla legislazione italiana ed europea in materia di Valutazione d'impatto ambientale, Valutazione ambientale strategica, Valutazione d'impatto sulla salute. Quanto alla procedura di individuazione di Viterbo come sede di un devastante mega-aeroporto per voli low cost del turismo "mordi e fuggi" per Roma: 15. la relazione ministeriale del novembre 2007 che ha dato il via ad una serie di atti amministrativi successivi e' destituita di fondamento in punto di diritto e di fatto, come dimostrato ad abundantiam da un documento del 18 gennaio 2008 del "Centro studi Demetra" che conclude la sua ampia ricognizione dichiarando che "gli atti ministeriali risultano palesemente affetti da gravi vizi di illegittimita' sotto il rilevato profilo dell'eccesso di potere per carenza dell'istruttoria tecnica condotta dalla commissione istituita presso il Ministero dei Trasporti"; 16. non solo: quella relazione contiene dichiarazioni semplicemente dereistiche e si rivela nel merito come non rispondente ad un'analisi fattuale della realta' territoriale: essa infatti ignora del tutto il fatto che il sedime indicato ricade nel cuore dell'area termale del Bulicame e a ridosso di emergenze archelogiche, naturalistiche, scientifiche, culturali, agricole, terapeutiche, economiche ed insediative tali da rendere l'opera ipso facto irrealizzabile; cadendo quindi la validita' di quella relazione, cadono con essa tutti gli atti amministrativi conseguenti, viziati in radice dal vizio dell'atto presupposto e fondativo; 17. peraltro la stessa compagnia aerea Ryan Air - che nelle dichiarazioni dei proponenti l'opera avrebbe dovuto essere il soggetto imprenditoriale maggior fruitore della nuova struttura aeroportuale - ha esplicitamente dichiarato di non intendere affatto trasferire la sua attivita' nell'eventuale scalo viterbese (cfr. intervista trasmessa dalla Rai il 27 aprile 2008 nell'ambito del programma "Report"). 18. realizzare un nuovo mega-aeroporto e' insensato alla luce della situazione aeroportuale italiana (cfr. la gia' citata inchiesta televisiva della Rai ("Report", 27 aprile 2008); 19. realizzare un nuovo mega-aeroporto e' insensato alla luce dell'attuale trend del trasporto aereo internazionale (cfr. ad esempio l'intervento dell'europarlamentare Giulietto Chiesa del primo luglio 2008 che rinvia tra l'altro a un servizio dell'"International Herald Tribune" del 28-29 giugno 2008); 20. realizzare un nuovo mega-aeroporto e' insensato alla luce dell'esigenza di ridurre il trasporto aereo per ridurre il surriscaldamento globale del clima (come richiesto dall'Onu, dalla comunita' scientifica internazionale, dagli statisti piu' avvertiti); 21. occorre procedere alla riduzione drastica e immediata del trasporto aereo (particolarmente a fini di diporto), come richiesto da interventi di autorevoli personalita' come i premi Nobel Desmond Tutu e Wangari Maathai; e sostenere invece un modello di mobilita' piu' adeguato, sostenibile e democratico. * Gli scellerati piani speculativi, nocivi e devastanti della lobby affaristica dei nuovi attila non prevarranno. 6. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: IN VIA DI ESTINZIONE [Dal "Corriere della sera" del 9 settembre 2008 col titolo "Quei bracconieri a caccia di cardellini". Dacia Maraini, nata a Firenze nel 1936, scrittrice, intellettuale femminista, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura democratica italiana. Un breve profilo biografico e' in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 47. Tra le opere di Dacia Maraini segnaliamo particolarmente: L'eta' del malessere (1963); Crudelta' all'aria aperta (1966); Memorie di una ladra (1973); Donne mie (1974); Fare teatro (1974); Donne in guerra (1975); (con Piera Degli Esposti), Storia di Piera (1980); Isolina (1985); La lunga vita di Marianna Ucria (1990); Bagheria (1993). Vari materiali di e su Dacia Maraini sono disponibili nel sito www.dacia-maraini.it] Gli amici della Lac, che proteggono gli animali in via di estinzione, mi scrivono regolarmente. Questa volta la loro lettera contiene qualcosa di paradossale che fa subito teatro. Ma un teatro triste che rammenta le meschinita' di questo nostro Paese che odia le regole e vorrebbe farle tutte fritte. Come quel proprietario di ristorante che e' stato fermato dalla polizia mentre trasportava nella sua automobile "una ventina di reti per uccellagione, cinque trappole a scatto, un richiamo elettroacustico per uccelli selvatici, una cinquantina di sottili bastoncini per uccelli e, bene occultati sotto la ruota di scorta, ben 59 uccellini morti gia' spiumati dalle dimensioni di un cardellino, nonche' il silenziatore per arma da fuoco". Il paradosso non sta in questo. I bracconieri ci sono dappertutto. Anche qui dove sto io, in pieno Parco nazionale d'Abruzzo, ogni anno c'e' chi fa strage di cervi e chi da' il veleno agli orsi perche' "disturbano le pecore e i vitelli". La cosa grottesca, come raccontano gli amici della Lac, e' che il signore fermato dalla polizia con tutto l'armamentario per la caccia agli uccelli protetti, diriga una fantomatica "associazione ornitologica veneta" e ottenga un ampio contributo regionale. La Lac denuncia il fatto e ha ragione. Fra l'altro protesta contro l'ipocrisia politica: ogni anno la Regione Veneto distribuisce mezzo miliardo di vecchie lire alle associazione che si occupano delle sagre degli uccelli in gabbia. Ora si sa che queste sagre fanno pagare il biglietto per mostrare e vendere le piccole creature prigioniere, quindi dispongono gia' di un incasso. Mentre le associazioni che proteggono per davvero le specie in estinzione, prendono le briciole. "Trovo aberrante che in un periodo di vacche magre la Regione Veneto elargisca tanto denaro ad associazioni che sostengono le sagre degli uccelli destinati a una vita in gabbie dove non riescono neppure ad aprire le ali, come e' il caso di fringuelli, peppole, prispoloni, tordi, merli e allodole", scrive Andrea Zanoni, presidente della Lac. "Non ci sono soldi per pagare la Forestale che manca di benzina per le sue auto, i Comuni sono ridotti al collasso per i continui tagli, e la Regione distribuisce a pioggia 240.000 euro a coloro che vendono uccellini in gabbia e uccidono uccelli insettivori protetti dalla legge come la pispola, presi spesso con trappole e reti". Vorrei ricordare che molti di questi uccelli si stanno estinguendo per l'uso sfrenato e insensato che facciamo dei pesticidi. Perche' volere distruggere quei pochi esemplari che resistono alla crudelta' della nostra chimica, dimostrando una voglia di vivere e di riprodursi che commuove? Sedersi a tavola e mettere in bocca un esserino che pesa meno di cinque grammi, tutto ossa e spesso pallini di piombo, magari con la polenta, fa parte di una mitologia gastronomica che aveva un senso quando l'Italia era povera e si mangiavano pure i gatti. Ma oggi non ha piu' senso. E oltretutto e' illegale, per quanto riguarda gli uccelli in via di estinzione. A quando un minimo di coscienza civica? 7. LIBRI. NELLO AJELLO PRESENTA "UNA BAMBINA CONTRO STALIN" DI GABRIELE NISSIM [Dal quotidiano "La Repubblica" del 9 giugno 2007 col titolo "Mio padre ucciso da Stalin" e il sommario "Un libro di Gabriele Nissim sulla tragica sorte di Gino De Marchi. L'uomo fu bollato come un traditore, Gramsci tento' di difenderlo. Ma nel '38 venne fucilato. Protagonista e' Luciana, figlia di un militante comunista emigrato in Urss. Da giovane era stato arrestato a Torino e sotto minaccia aveva fatto il nome di un complice. A Mosca lavora come regista di documentari dedicati alla scienza e alla tecnica"] Una tragedia che porta il marchio del Novecento, il memorabile e funesto secolo delle ideologie. E' lo spettacolo offerto dal volume di Gabriele Nissim, Una bambina contro Stalin, appena uscito in edizione Mondadori (pp. 278, euro 17). La bambina che figura nel titolo si chiama Luciana, ed e' la figlia di Gino De Marchi, un comunista italiano che venne soppresso nel 1938 in Unione Sovietica, dove il suo partito l'aveva inviato perche' potesse espiare, nella patria dei Soviet, una colpa "politica" commessa in patria nella prima gioventu'. Il progetto punitivo, purtroppo, si sarebbe attuato alla lettera. Il caso non puo' dirsi insolito negli annali del comunismo italiano: di nostri connazionali emigrati in Urss negli anni Venti o Trenta e coinvolti fino al sacrificio nelle trame della repressione staliniana se ne contano vari, e ciascuno restituisce a suo modo il sapore d'un tempo spietato. La specialita' che si coglie in questo libro e' data proprio dalla figura filiale associata alla vicenda, fin quasi a contendere al padre il ruolo di protagonista. E' a lei che l'autore si e' rivolto - incontrandola ripetutamente, in anni recenti, in Russia e in Italia - per ricostruire i fatti. Luciana, nata nel 1924, ne e' stata diretta testimone fin dalla prima infanzia, e si e' poi dedicata lungo oltre mezzo secolo, a coltivare "l'arte della memoria": riabilitare suo padre, rievocarne le traversie, ricostruire i tratti della sua figura, e' stata per lei una missione. Accanto a questa erede, Nissim e' riuscito a comporre una saga "dal vero", insieme dolente ed esemplare. Classe 1902, Gino De Marchi e' stato un comunista della prima ora. Risultava, anzi, iscritto al partito socialista (con netta inclinazione verso la corrente bolscevica), in epoca antecedente alla scissione di Livorno. Idealista, poeta dilettante e politico tutto d'un pezzo, ha svolto attivita' militante fin quasi dall'adolescenza. Nel suo paese di nascita, Fossano, a un passo da Torino, il comunismo s'incarna in un "genius loci", Giovanni Germanetto, autore di Memorie di un barbiere, un'autobiografia popolaresca che, tradotta in Russia dopo il trasferimento dell'autore in quel paese in seguito all'avvento del fascismo, verra' letta come un piccolo classico. L'occupazione delle fabbriche con epicentro nella Torino operaia trova Gino in prima linea, diventando per lui, insieme, un'epopea e una fonte di guai. Proprio a lui, Gino, poco piu' che diciottenne, viene affidato, accanto ad altri, il compito di nascondere un piccolo arsenale di armi raccolte in vista di un'eventuale sommossa proletaria: e la cantina in cui vengono depositate e' proprio a Fossano, a pochi passi dall'abitazione della famiglia De Marchi. L'operazione si svolge in maniera estremamente incauta, nella concitazione del momento. Ed e' percio' facile per i carabinieri arrestare Gino e trasferirlo nel carcere di Mondovi', dopo un breve sopralluogo che ha coinvolto sua madre Maria, anche lei fervida comunista. E' il 26 aprile del 1921. L'interrogatorio del giovane e' breve e bruciante: di fronte alla minaccia di un coinvolgimento di sua madre nel reato, Gino ammette alcune circostanze e fa il nome di un complice, subito a sua volta incarcerato. E' la debolezza o l'errore di chi, giovanissimo, deve misurarsi con un evento cruciale. A lui tocca ora il ruolo del capro espiatorio per una leggerezza collettiva. La qualifica di traditore gli restera' sulla pelle per sempre. Rilasciato dal carcere, verra' sottoposto a un processo ancor piu' lacerante. Rinchiuso per lunghe ore in un deposito dell'"Ordine nuovo" - il quotidiano comunista torinese al quale collabora - subisce pesanti umiliazioni ad opera dei compagni di partito, che lo considerano una spia fascista infiltrata nei loro ranghi. Ormai Gino e' una presenza ingombrante. Il partito trova una scappatoia per dirimere il caso: il reprobo dovra' recarsi in Russia, dove subira' (ma egli non puo' prevederlo) una sorta di pratica "lustrale". Gli spetta - come affermera' Dante Corneli, un altro comunista italiano sprofondato nel terrore stalinista e autore di una memoria dal titolo Il redivivo tiburtino - un malinconico primato: quello di essere "il primo italiano in Russia fatto arrestare dai suoi compagni". Il peccato originale commesso in Piemonte trovera', nella patria del comunismo, il suo epilogo. Giunto nella Russia di Lenin come emigrato politico nel giugno del '21, finisce in carcere: le comunicazioni dall'Italia sono state sollecite. Poi lo rinchiudono in un campo di concentramento, a Vladykino, dove viene tormentato da attacchi di tubercolosi. A liberarlo (temporaneamente) interviene, nel luglio del '22, Antonio Gramsci, che ne ha pubblicato gli scritti nell'"Ordine nuovo" e lo considera "un fratello minore" contro il quale non e' giusto "infierire". Quando De Marchi viene trasferito a Taskent, in "un luogo isolato dal mondo", Gramsci si adopera ancora a suo favore, ottenendo per lui un ulteriore spostamento a Mosca: li' potra' trovare un'occupazione non frustrante. (Gli interventi di Gramsci in soccorso del giovane piemontese sono stati diffusamente raccontati su questo giornale ["La Repubblica" - ndr] il 27 aprile scorso da Simonetta Fiori in un'anticipazione dell'opera di Nissim). Uscito dal carcere e dal lager, Gino non riottiene la tessera del partito. Il "marchio del sospetto" non gli si cancella. E la sua odissea prosegue. Da Mosca, dove ha lavorato come contabile, viene spostato a Sergiev, settanta chilometri dalla capitale, in una comune agricola. Benche' il lavoro dei campi non gli si addica, riesce a farsi apprezzare. Tornato a Mosca per intercessione di un autorevole compagno italiano, Francesco Misiano, nel '28 il giovane piemontese viene chiamato a collaborare all'attivita' della nascente industria cinematografica sovietica. Lo assumono alla Mosfilm, dove s'impegna nella produzione di documentari - i primi dell'epoca sovietica - dedicati alla scienza e alla tecnica in un'ovvia ottica di propaganda. Questa attivita' gli piace. Per qualche anno lo sorregge l'illusione di aver superato la fase piu' critica del suo destino. Ma il sospetto di essere in trappola gli torna quando, mentre appaiono sulla stampa sovietica gli echi dei grandi e catastrofici processi politici staliniani - intestati a uno Zinoviev, a un Kamenev -, la richiesta di De Marchi di recarsi in Spagna per prendere parte, sul fronte della repubblica, alla guerra civile, incontra un netto rifiuto. S'inviano dall'Urss in Spagna soltanto uomini politicamente fidati. Nel suo caso un eventuale assenso dovrebbe tra l'altro giovarsi della firma di un dirigente italiano, un Palmiro Togliatti o un Antonio Roasio. Eventualita' impensabile. Sono passati piu' di quindici anni dall'arrivo del giovane in Unione Sovietica. Ma a dispetto di ogni apparenza il suo titolo di "nemico del popolo" non e' mutato. Nel clima di repressione dei tardi anni Trenta si consumano, anzi, i sospetti arretrati. La svolta finale nel destino di Gino De Marchi porta una data - 2 ottobre 1937 - nella quale egli viene arrestato. In precedenza, una richiesta di chiarimenti sulla personalita' del "sospettato", inoltrata alla sezione italiana dell'Internazionale comunista, aveva avuto una risposta secca: di lui abbiamo "una cattiva opinione". Gli interrogatori "celebrati" a suo carico nel palazzone della Lubianka non si discostano d'un pollice da quelli che stanno portando, in Urss, alla dissoluzione di un'intera generazione di bolscevichi illustri. In quella rete, lui e' davvero un pesce minuscolo. Tre inquirenti - a nome Sedov, Lunevskij e Leonov - si adoperano per dimostrare che Gino ha continuato, in Unione Sovietica, a fungere da spia fascista, dedicandosi a ordire complotti trotzkisti. Queste ed altre menzogne vengono ripetute nelle deposizioni rilasciate dai suoi compagni di lavoro alla Mosfilm: anche da coloro che sembravano suoi amici. Uno degli accusatori decisivi, il comunista italiano Renato Cerquetti, e' a sua volta imputato e sotto tortura ha confessato colpe inesistenti. E' insomma un "corpo inerme" nelle mani della polizia e verra' fucilato nel febbraio del '38. Il 2 giugno dello stesso anno, sara' la volta del trentaseienne De Marchi. Se ho detto all'inizio che questa di Nissim e' una doppia biografia, e' perche' ogni traversia del protagonista e' filtrata attraverso la memoria e la passione documentaria di sua figlia Luciana. Gli episodi che la riguardano - e quelli che concernono, piu' di scorcio, gli altri familiari di Gino: sua madre, una donna coraggiosa, sua moglie, che non trova la forza di difenderlo e lo abbandona - sono altrettanti capitoli d'una favola crudele. Una bambina che ha oggi ottant'anni (o qualcuno di piu') ci invita ad ascoltarla con religioso pudore. 8. LIBRI. FRANCESCO ANFOSSI PRESENTA "PARTIGIANI DELLA MONTAGNA" DI GIORGIO BOCCA [Dal mensile "Letture", n. 606, aprile 2004, col titolo "Lotta di liberazione dal revisionismo"] Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Feltrinelli, 2004, pp. 179, euro 12. * "Nessuno, che vi abbia vissuto, sentira' mai in altro luogo e tempo tanto sapore di liberta' come in quelle strette valli alpine che i partigiani chiamavano le loro repubbliche". A 58 anni di distanza, l'ottantenne Giorgio Bocca fa ripubblicare il libro scritto dal ventenne Giorgio Bocca, reduce dall'esperienza della guerra partigiana. Oggi ventiquattro anni e' un'eta' ancora acerba per molti aspetti. Ma a leggere questa testimonianza si coglie la storia gia' compiuta di un uomo maturo e temprato, che ha partecipato come comandante partigiano al piu' vasto movimento della Resistenza europea dopo quella jugoslava. L'intento della ripubblicazione e' dichiarato nella prefazione: fare memoria di un evento storico sotto il fuoco del "revisionismo dell'ultima ora" che vorrebbe cancellare il passato da cui sono nate la Liberazione del 25 aprile, la Repubblica italiana e la Costituzione. Insomma, un libro che testimonia contro "il revisionismo reazionario che apre la strada alla democrazia autoritaria, da noi e nel resto del mondo". L'introduzione e la tesi di fondo e' talmente veemente che Bocca rischia di scivolare nell'eccesso opposto, un integralismo che esclude il sacrosanto diritto alla rilettura storica di un evento o di un movimento, diritto che vale anche per un fatto tragico e fondamentale per la nostra democrazia come la Resistenza. In realta', Bocca vuole avvertirci, a modo suo, su certe riletture degli ultimi tempi, frutto di un revisionismo peloso, che nasconde "una campagna di denigrazione della Resistenza: diretta dall'alto, coltivata dai cortigiani". Colpisce, fin dalle prime righe, la brillante e profonda capacita' di scrittura del giovane autore. In questo libro c'e' gia' tutto il giornalista degli anni a venire, tutto il codice genetico di un grande inviato speciale. 9. LIBRI. TERESA PULLANO PRESENTA "L'INQUIETUDINE DELLE DIFFERENZE" DI MICHEL WIEVIORKA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 marzo 2008, col titolo "L'inquietudine delle differenze, una raccolta di saggi dello studioso francese Michel Wieviorka per Bruno Mondadori. Smarriti e rancorosi nei luoghi infranti della nazione"] Le scienze sociali, rivoluzionarie alla loro nascita negli anni Trenta, oggi si scoprono in ritardo rispetto all'evoluzione del mondo sociale e politico. Questa e' la diagnosi di Michel Wieviorka nei tre saggi raccolti in L'inquietudine delle differenze (Bruno Mondadori, pp. 96, euro 9) e pubblicati in seguito all'omonimo convegno organizzato dall'Accademia della Carita', associazione culturale milanese legata al cardinale Carlo Maria Martini, e dalla fondazione Unidea dell'Unicredit. E' significativo che tale giudizio sia emesso da un sociologo di fama internazionale e figura di rilievo dell'Ecole des hautes etudes en sciences sociales, istituzione creata a Parigi negli anni Settanta, da sempre all'avanguardia nell'"ibridazione" delle scienze umane e la cui sede sara' a breve "delocalizzata" dal quartiere latino alla banlieue parigina. Per recuperare la centralita' di sociologia, antropologia, etnologia e' necessario prendere atto della provincializzazione del pensiero occidentale in generale ed europeo in particolare. Tutte le discipline sociali partono dall'assunto che i fenomeni che sono oggetto della loro indagine si costruiscono nel contesto degli Stati nazionali. Questo e' vero per lo studio delle differenze razziali, culturali, religiose e politiche. Esse sono state sempre interpretate come fenomeni nazionali e quindi di li' nascono le discussioni intorno al modello francese piuttosto che anglosassone o tedesco di integrazione. Lo stato e la nazione sono dunque le strutture implicite che hanno costruito fino ai giorni nostri i concetti di razza, di differenza e di cultura che sono usati nelle scienze sociali. "Ci rendiamo conto - scrive pero' Wieviorka - che il linguaggio costruito intorno al nazionalismo metodologico non e' piu' in grado di catturare le differenze che agitano le nostre societa'". Non e' tanto questa diagnosi, affrontata in lungo e in largo nelle analisi politiche contemporanee, ad essere rilevante nei saggi del sociologo francese, quanto l'ammissione del nesso ineludibile tra contesto e lessico sociale. L'Europa, e con lei gli stati nazionali, non e' piu' lo spazio politico per antonomasia. Le altre culture sono, a partire dall'11 settembre 2001, i luoghi in cui si costruisce il sociale. Quindi, come dice il titolo del libro di Dipesh Chakrabarty, bisogna provincializzare l'Europa e i suoi concetti se si vuole dare ancora un senso al progetto in origine "rivoluzionario" delle scienze sociali. Ed e' in questo contesto che le differenze, soprattutto quando smettono di essere subordinate al nostro sistema di valori e di strutture politiche, diventano inquietanti. Wieviorka ci mette allora in guardia rispetto all'insorgere di nuove forme di razzismo e di populismo, che in Francia hanno trovato esemplificazione nel Front national di Le Pen ma che certo non sono assenti in Italia a destra ma ormai anche nel centrosinistra. La ricetta per affrontarli non e' il "buonismo" di matrice veltroniana, al contrario: e' quando mancano attori sociali - associazioni, sindacati o partiti - che svolgono un ruolo conflittuale e di contestazione, che chi cova rancore nei confronti della maggior parte della societa' perche' escluso, discriminato e si sente vittima di ingiustizie, fa ricorso alla violenza xenofoba. L'elaborazione del conflitto sembra cosi' un fattore sempre piu' rimosso dalle nostre societa' e dalle scienze sociali, che devono quindi riappropriarsene per vincere l'inquietudine delle differenze. 10. LIBRI. MASSIMO RAFFAELI PRESENTA "LEVIATAN" DI JULIEN GREEN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2008 col titolo "Le passioni fredde di Julien Green" e il sommario "Classici. Riedito il Leviatan nella versione di Sereni"] Julien Green, Leviatan, Longanesi, Milano 2008, pp. 275, euro 16,50. * Nato a Parigi col XX secolo e scomparso quasi centenario il 13 agosto di dieci anni fa, Julien Green non e' mai entrato nel senso comune dei lettori italiani. Nonostante una bibliografia imponente e largamente tradotta, non gli ha giovato il doppio stereotipo di autore cosmopolita (francese, ma di formazione statunitense) e di convertito dal protestantesimo al cattolicesimo: si direbbe che Green rimanga da noi piu' un autore rispettato, cioe' tenuto a debita distanza, che non realmente letto e assimilato. La severita' della postura morale e' stata recepita semmai, a partire dal Journal, come l'antipode di Gide e della sua natura invece temeraria, predatoria, complice della vita in ogni suo manifestarsi. Anche per questo si tende a ritenere, e percio' a limitare, l'opera di Green come fosse l'occhio vitreo della Francia profonda, un clinico della provincia cattolica, insomma un autore intermedio fra Mauriac e Bernanos, meno morbido e collusivo con la propria materia di chi ha firmato Groviglio di vipere e, nello stesso tempo, meno dirompente e sanguigno di chi ha scritto Mouchette o il Diario di un curato di campagna. La trilogia in cui culmina la giovinezza artistica di Green (Mont-Cinere del 1926, Adrienne Mesurat del '27 e Leviatan del '29) e' in effetti una meditazione sull'antropologia del male, non tanto un ciclo di romanzi quanto di tragedie scritte in prosa a partire dalla convinzione - e' gia' scritto nel Journal - secondo cui "l'anima umana puo' cambiare ma non in maniera fondamentale". Appena riproposto da Longanesi nella classica versione di Vittorio Sereni, Leviatan e' introdotto da un saggio di Walter Benjamin (fedelissimo lettore di Green, come attestano le Critiche e recensioni, traduzione di Anna Marietti Solmi, Einaudi, 1979) che da un lato lo smarca dall'accostamento con Marcel Proust (perche' "Proust cerca l'ora magica dell'infanzia, Green fa ordine nei nostri piu' remoti terrori") e dall'altro individua nel dolore, anzi in una etimologica "passione", il suo tema dominante; pathos o passio che sono all'origine di una duplice e compresente sequenza del tragico dove l'una rimanda alla Grecia degli Atridi, specie ai miti di Edipo e di Elettra, l'altra direttamente al corpo glorioso e vulnerato del Cristo: in entrambe le circostanze il Caso e' la figura, abbandonata da Dio, della Necessita'. Di qui il titolo del romanzo che allude alla forza inderogabile del Leviatano, cioe' a un potere metafisico che soggioga equamente gli uomini al solo fine di tenerne separato ed incomunicante il destino di individui: "A che scopo tentare di distrarsi da un male che regna sull'anima e sul corpo?" si dice a un certo punto come si trattasse della piu' normale dichiarazione di poetica. Non c'e' azione nel romanzo, ma piuttosto una corrente calma, non meno fatale, che trascina a poco a poco i personaggi nel luogo in cui e' possibile testimoniare una propria verita': vale a dire la morte, o meglio l'agonia che sancisce la vanita' di qualunque desiderio, la terra di nessuno e di tutti dove tutto cio' che aspira ad essere incontra finalmente cio' che deve essere. Julien Green, sia detto per inciso, e' in anticipo sull'analitica esistenziale di Heidegger ma non istituisce alcuna gerarchia fra gli iniziati dell'Essere e i sudditi condannati al mondo del "si fa" e del "si dice": lo scrittore francese guarda agli uomini in quanto tali, a lui interessa interrogare una antropologia, non certo dedurne una glaciale ontologia. E un equivalente della letteratura di Green andrebbe cercato magari nella cinematografia, spoglia e lancinante, di Robert Bresson. Qui lo spazio del romanzo e' cosi' recluso da sembrare concentrazionario, la sua atmosfera e' costantemente fredda, invernale, mentre i colori si tingono di tenebra e di quanto i francesi definiscono "sombre", parola che associa l'oscurita' alla tristezza. Tre creature ignote a se stesse vi si inseguono vanamente, incapaci di un legame che non sia quello della violenza e del totale tradimento di se' e dell'altro: Gueret, poco piu' di un ragazzo, colui che bracca un fantasma ideale e carnale nella donna capace di redimerlo dalla propria condizione di sposo infelice e di uomo irresoluto; Angele, l'oggetto del desiderio che ha nel nome un catastrofico destino ed e' in realta' un'ingenua, inerme prostituta di paese; infine Eve, l'involontaria cuspide del triangolo amoroso, un'algida Bovary che si e' sempre celata, impedendosi di vivere, dietro la corazza della rispettabilita' e del decoro borghese. La loro caratterizzazione vista dall'esterno e' essenziale, schematica, e tuttavia sottoposta a un indagine psicologica la cui nitidezza ha pochi eguali nella letteratura del Novecento: laconici, ammutoliti da un blocco emotivo sempre troppo inesorabile per potersi sciogliere nel senso di colpa, costoro vivono di trasalimenti, di atti mancati e/o incontrollati; in altri termini, il loro impulso alla vita turbina in un caos interiore - di cui nulla sanno se non il perpetuo dolore, lo spasimo psicofisico - che di colpo esplode in atti di inconsulta efferatezza. In Leviatan, e' Gueret ad offendere e sfregiare il corpo di Angele, mentre e' Eve, a sua volta, che perde Gueret nel momento in cui, al culmine dell'odio e della perfidia, scopre di amarlo. Ogni personaggio viene investito e travolto dalla cadenza di una tragedia di cui e' partecipe e responsabile senza esserne paradossalmente cosciente, se non a posteriori e in punto di morte. Questo spiega il motivo per cui nell'atto di aggredire impunemente la vita essi prendano a cancellare la propria: l'omicidio, apice del fato tragico, e' in effetti un suicidio non premeditato, suggerisce lo scrittore, e cio' vuol dire dunque che a nessuno e' concesso di dare forma al proprio caos, sfidando il Leviatano, se non al prezzo della vita medesima. Della bella Angele in agonia, viene detto: "Il mondo svaniva come un brutto sogno; della vita di quaggiu' restava solo il dolore che ancora le martoriava le carni e anche quel dolore si faceva piu' sordo, gli ultimi vincoli si spezzavano. Nell'estrema confusione in cui erano per lei tutte le cose della terra, appena le giungeva il suono delle parole umane, ma gia' non ne capiva piu' il senso. Gia' gli occhi si fissavano nella visione che i morti contemplano per sempre". Aggiungeva Benjamin che Green non era affatto interessato a descrivere i suoi personaggi, ma solo a "renderli evidenti". 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 576 del 12 settembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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