Nonviolenza. Femminile plurale. 206



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 206 del 4 settembre 2008

In questo numero:
1. Fernanda Pivano ricorda Kurt Vonnegut
2. Fernanda Pivano ricorda Ernest Hemingway
3. Fernanda Pivano: Tom Robbins
4. Fernanda Pivano: L'assoluto e l'urlo di Allen Ginsberg
5. Fernanda Pivano: Erica Jong
6. Fiorella Minervino intervista Fernanda Pivano (2001)
7. Mascia Nassivera intervista Fernanda Pivano (2002)

1. FERNANDA PIVANO RICORDA KURT VONNEGUT
[Dal "Corriere della sera" del 13 aprile 2007 col titolo "Pacifista
condannato a parlare di guerra" e il spmmario "La testimonianza. La sua fama
era iniziata con il racconto del dramma di Dresda".
Fernanda Pivano, intellettuale italiana impegnata nei movimenti per i
diritti civili, studiosa della cultura americana e personalmente
intensamente partecipe delle piu' rilevanti esperienze di impegno civile,
artistiche, letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e
particolarmente di quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica
e radicale, pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed
agli stili di vita alternativi), generosa maestra, amica della nonviolenza.
Tra le opere di Fernanda Pivano: oltre a numerose e giustamente celebri
traduzioni (tra cui la classica versione dell'Antologia di Spoon River, di
Edgar Lee Masters; la stupenda raccolta di poesie di Allen Ginsberg, Jukebox
all'idrogeno; la fondamentale antologia Poesia degli ultimi americani), ha
pubblicato tra altri volumi: La balena bianca e altri miti, 1961; America
rosso e nera, 1964; Le belle ragazze, 1965; L'altra America negli anni
Sessanta, 1971; "Pianeta Fresco", 1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri
degli anni Venti, 1976, C'era una volta il beat, 1976, Hemingway, 1985. Dal
sito di "Rai news 24" riprendiamo la seguente scheda: "Ferdinanda Pivano e'
una figura di rilievo nella scena culturale italiana soprattutto per il suo
contributo alla divulgazione della letteratura americana in Italia. Ha
iniziato l'attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese nel 1943 con
la traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters. Da allora
ha tradotto molti romanzieri americani (fra gli altri Faulkner, Hemingway,
Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein) e a quasi tutte le traduzioni ha
preposto lunghi saggi bio-socio-critici. Come talent scout editoriale ha
suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi
d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero
(come Richard Wright) ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni
Sessanta (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso) agli
autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis (per il quale ha
scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo
letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in
Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia
del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni
letterari. Opere di Fernanda Pivano: La balena bianca e altri miti,
Mondadori, 1961, Il Saggiatore, 1995; America rossa e nera, Vallecchi, 1964;
Beat hippie yippie, Arcana, 1972, Bompiani, 2004; Mostri degli anni Venti,
Formichiere, 1976, Rizzoli, 1976; C'era una volta un Beat, Arcana 1976,
Frassinelli, 2003; L'altra America negli anni Sessanta,
Officina-Formichiere, 1971, 1993; Intervista a Bukowski, Sugar, 1982;
Biografia di Hemingway, Rusconi, 1985; Cos'e' piu' la virtu', Rusconi, 1986;
La mia kasbah, Rusconi, 1988, Marsilio, 1998; La balena bianca e altri miti,
Il Saggiatore, 1995; Altri amici, Mondadori, 1996; Amici scrittori,
Mondadori, 1996; Hemingway, Rusconi, 1996, Bompiani 2001; Dov'e' piu' la
virtu', Marsilio, 1997; Viaggio americano, Bompiani, 1997; Album americano.
Dalla generazione perduta agli scrittori della realta' virtuale,
Frassinelli, 1997; I miei quadrifogli, Frassinelli, 2000; Dopo Hemingway.
Libri, arte ed emozioni d'America, Pironti, 2000; Una favola, Pagine d'arte,
2001; Un po' di emozioni, Fandango, 2002; Mostri degli anni Venti, La
Tartaruga, 2002; De Andre' il corsaro, con C. G. Romana e M. Serra,
Interlinea, 2002; The beat goes on, Mondadori, 2004". Tra le piu' recenti
pubblicazioni: Pagine americane. Narrativa e poesia 1943-2005, Frassinelli,
2005; I miei amici cantautori, Mondadori, 2005; (con William Willinghton),
Spoon River, ciao, Dreams Creek, 2006; Ho fatto una pace separata, Dreams
Creek, 2006; Lo scrittore americano e la ragazza per bene. Storia di un
amore: Nelson Algren e Simone de Beauvoir, Pironti, 2007; Complice la
musica. 30+1 cantautori italiani si raccontano a Fernanda Pivano, Rizzoli,
2008; Diari 1917-1973, Bompiani, 2008]

Oh, Kurt, era li' all'ultimo Pen Club al quale sono andata a New York nel
gennaio 1986 con Allen Ginsberg, l'edizione alla quale Grace Paley ha
chiesto al presidente Norman Mailer, che aveva invitato all'inaugurazione il
segretario di Stato George Schultz, di leggere una lettera contro la
politica di Ronald Reagan. Quel giorno ho visto un bellissimo melanconico
Americano fermo in piedi sull'angolo di una porta e non so come l'ho
riconosciuto: era proprio Kurt Vonnegut. Mi ha fatto un cenno con la mano,
sono andata piu' in fretta che ho potuto nella folla vicino a lui e subito
mi ha detto: "Don't ask me about Dresda". La sua fama era cominciata proprio
con l'ironia che gli ha fatto descrivere l'orrore, l'angoscia, il terrore
dei tre giorni di quel bombardamento di Dresda (dove lui era prigioniero
durante la seconda guerra mondiale), in un capolavoro del 1968: Mattatoio n.
5, col sottotitolo davvero tragico "o La crociata dei bambini". I bambini
erano soldati diciottenni che si erano rifugiati con lui nel mattatoio con
l'idea di restarvi poche ore e ci sono rimasti per tutta la durata del piu'
grande e lungo attacco aereo della storia alla Germania. Dresda era una
bellissima citta' indifesa, non era una citta' aperta, e la sera del 13
febbraio 1945 le sirene antiaeree erano suonate verso le dieci di sera
mentre dal cielo cadevano i primi bengala colorati rischiarando le zone da
colpire. Quella notte 800 Lancaster hanno attaccato Dresda in due ondate
successive, rovesciando sulla citta', oltre a migliaia di bombe dirompenti,
quasi 650.000 spezzoni incendiari per un totale di 2.659 tonnellate,
riducendo la citta' a un incendio che la distruggeva da un capo all'altro e
devastando venti chilometri quadrati di edifici. Il giorno dopo, il 14
febbraio, 300 fortezze volanti americane hanno sganciato sulla citta' in
fiamme 771 tonnellate di bombe, e il giorno dopo, 15 febbraio, nella terza
incursione consecutiva, oltre 200 fortezze volanti americane hanno
rovesciato sui resti della citta' oltre 461 tonnellate di bombe. Non si e'
mai potuto precisare il numero delle vittime, forse 245.000. Le incursioni
si erano interrotte alle quattro del mattino perche' era cominciata a cadere
la pioggia mescolata al nevischio. In quel 1986, quando lo avevo incontrato,
Kurt Vonnegut aveva gia' scritto molti altri libri ed era diventato una
stella, una delle grandi stelle americane, una delle pochissime stelle che
sono diventate famose combattendo contro la guerra ed era popolarissimo tra
i ragazzi. Era un grande pacifista, anzi, piu' coraggioso di un pacifista:
tutte le sue azioni erano contro la guerra e continuava a parlare di queste
cose; chissa' quante cose ha raccontato in quel mattatoio per cercare di
dare coraggio ai suoi compagni poco piu' che bambini. Era un grande eroe
americano. Ha vissuto fino a 84 anni ed e' morto in seguito a una caduta di
qualche settimana fa. Lo ha assistito e ha spiegato la sua storia al "New
York Times" il suo vecchio amico Morgan Entrekin, quello che aveva costretto
Bret Easton Ellis a scrivere Meno di Zero, il suo primo, immortale romanzo
che lo ha fatto diventare famoso nel mondo. Chissa' se Kurt Vonnegut, mentre
stava li' in piedi sulla porta del Pen Club, pensava ai suoi compagni di
Dresda. Chissa' se aveva voglia di sentire qualche storia dei suoi amici.
Chi lo sa. A me sembrava piu' che altro che avesse l'aria di aspettare una
soluzione finale.

2. FERNANDA PIVANO RICORDA ERNEST HEMINGWAY
[Dal "Corriere della sera" del 24 aprile 2007 col titolo "L'incontro con la
baronessina. E Hemingway torno' a sognare"]

Pubblicato il 7 settembre 1950 in 75.000 copie da Scribner's (New York),
Across the river and into the trees (uscito in Italia nel 1965 col titolo Di
la' dal fiume e tra gli alberi) e' piu' o meno la storia della vita di
Hemingway in Veneto nel secondo dopoguerra con tutte le imprecisioni di cui
lui si serviva con civetteria per rendere la storia piu' estatica e per
raccontare episodi un po' piu' privati del solito. La storia piu' estatica
che Hemingway racconta in questo delizioso libro e' quella del suo amore
veramente estatico per una bellissima nobildonna veneziana che, scavalcando
ogni limite di eta', aveva corrisposto l'amore, o forse la passione, di
Hemingway che gia' era avanti negli anni in confronto a lei che ne aveva
diciannove. Se ricordo bene, Hemingway aveva iniziato a scrivere questo
libro a Cortina ma, dopo una malattia infettiva della pelle abbastanza seria
da dover venire ricoverato in un ospedale di Padova, era tornato a Cuba:
otto mesi dopo era andato a Parigi a finirne la prima stesura, ma prima era
tornato in Veneto a controllare i nomi dei luoghi. Hemingway ha sempre
dichiarato "che in questo volume non vi sono persone reali: tanto i
personaggi quanto i loro nomi sono fittizi". Ma non ho incontrato nessuno
che non considerasse il colonnello Richard Cantwell (il protagonista che sta
aspettando a cinquant'anni di morire per la pressione troppo alta) il suo
alter ego: stoico, ricco di humor e pieno di ferite come lui. E non ho
neppure incontrato chi, nella giovanissima aristocratica Renata che lo aiuta
a sopravvivere, non abbia riconosciuto la bellezza eclatante della
baronessina Adriana Ivancich. Con i lunghi e tragici racconti della guerra
appena combattuta e i giri in gondola a volte usati per amplessi
appassionati, il romanzo ha scatenato pettegolezzi a non finire: sono state
in molte le baronessine venete che hanno affermato di essere il modello di
Renata. Ma, quello che a me sembra importante, e' che anche in questo
romanzo Hemingway si e' rivelato un maestro di prosa nato: non so se ne sia
esistito uno piu' definitivo. Con le sue parole e soprattutto con l'esempio
delle sue intenzioni stilistiche ogni pagina e' scritta nel ritmo giusto: il
suo e' in realta' un carattere inimitabile. Un giorno a Cortina, mentre gia'
lavorava a Di la' dal fiume e tra gli alberi, mi aveva spiegato che una
parola puo' distruggere una frase. Da lui avevo imparato che una parola ha
solo un significato possibile e non la si puo' cambiare senza cambiare il
senso di una frase. Vedendo lavorare Hemingway, il problema era di poter
scegliere quale parola rispondesse meglio alla sua fantasia, ma quando
Hemingway la trovava era un assoluto e inutile errore cercare di cambiarla.
Mi piacerebbe poter dire che proprio questo e' il metro stilistico
sopravvissuto a Hemingway. Forse e' questo che da' alla prosa di Hemingway
quel senso di faticosa ricerca che si rivela in una forma descrittiva da un
lato e dall'altro fluttuante di leggerezza; ed e' questo che gli ha fatto
dire: "Tutti i buoni libri sono simili, perche' sono piu' veri che se i
fatti narrati fossero veramente accaduti e quando si e' finito di leggerne
uno si ha la sensazione che tutto sia capitato a noi".

3. FERNANDA PIVANO: TOM ROBBINS
[Dal "Corriere della sera" del 26 aprile 2007 col titolo "Tom Robbins, cane
randagio lungo la strada", il sommario "Anarchici. Esce Le anatre selvatiche
volano al contrario, raccolta di articoli degli anni Sessanta. I Doors,
McDonald's, Diane Keaton e Pynchon ritratti da un edonista zen" e la nota
redazionale "L'autore. Tom Robbins e' nato nel 1936 nel Nord Carolina, dal
1962 lo scrittore vive a Seattle. Uno zoo lungo la strada (1971) e' il libro
che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo, a cui sono seguiti, tra gli
altri, Beati come rane su una foglia di ninfea, Coscine di pollo, Villa
Incognito, Le anatre selvatiche volano al contrario e' edito in Italia, come
gli altri, da Baldini Castoldi Dalai (pp. 288, euro 17)"]

Oh Tom Robbins, che gioia, un altro libro suo. In tutti questi anni e in
tutti questi libri non c'e' stato un minuto di noia. Come sono contenta di
poter dire che tutti i suoi otto romanzi sono stati dei bestseller (tradotti
in Italia da Hilia Brinis) e credo di poter dire che lo sara' anche questo
ultimo libro, una raccolta di brani con il titolo Wild ducks flying
backwards, in italiano Le anatre selvatiche volano al contrario, tradotto da
Massimo Bocchiola e edito, come i precedenti, da Baldini Castoldi Dalai. I
nostri lettori conoscono certo qualcuno dei suoi altri otto titoli
divertenti, con un linguaggio sempre nuovo e delle storie sempre
imprevedibili. E' impossibile avere uno dei suoi libri in casa e non
precipitarsi a leggerlo, com'e' successo a Elvis Presley in quella sua
ultima notte, quando e' stato trovato ormai morto sul pavimento del bagno
con accanto una copia di Another Roadside Attraction (Uno zoo lungo la
strada), il primo romanzo di Tom Robbins pubblicato nel 1971. Tom Robbins e'
nato settantuno anni fa a Blowing Rock, nel North Carolina, e a cinque anni
si e' trasferito in Virginia. Ma Tom Robbins non vuole considerarsi un uomo
del Sud: gli piace dire che ha viaggiato in tutto il mondo, ha studiato e ha
assorbito filosofie e costumi dell'Asia e che la sua visione del mondo non
e' diversa da quella di Franz Kafka, ma che, a differenza di Franz Kafka,
non permette al mondo di renderlo infelice: per riuscirci cerca di mescolare
fantasia e spiritualita', sessualita' e poesia, e humour (forse soprattutto
humour). La sua vita di hippy peripatetico e' cominciata quando e' stato
cacciato dall'universita' e per una decina d'anni ha vissuto girando in
autostop finche' ha tentato di fare il poeta al Greenwich Village; un
tentativo troncato dall'Air Force che lo ha spedito in Corea, dove si e'
specializzato nel mercato nero di sigarette, saponette e dentifrici che, ha
detto in una intervista, finivano per la maggior parte in Cina Rossa. Al
ritorno in patria, "dopo aver rifornito per tredici mesi Mao Zedong del
dentifricio Colgate", ha lavorato per alcuni giornali finche', nel 1962, si
e' stabilito a Seattle. Da quei primi anni Sessanta Tom Robbins ha
pubblicato regolarmente dei brevi pezzi su "Esquire" e "Playboy", sul "New
York Times" e altrove, che sono stati raccolti in questo Le anatre
selvatiche volano al contrario. I testi sono brevi e si concentrano in
cinque articoli di viaggio (per esempio "Il canyon delle vagine" e "Il
giorno in cui la terra vomito' facoceri" che vede Tom Robbins attraversare
un grande parco in Tanzania); in venti tributi a celebrita' piu' o meno tali
(dai Doors all'infermiera Duffy, da Leonard Cohen all'uomo che ha diffuso la
catena di hamburger McDonald's, da Diane Keaton a Thomas Pynchon); in
racconti, poesie, parole per musica, riflessioni e critiche piu' quindici
risposte ai lettori. In tutto i testi sono sessantotto. Tom Robbins ama le
parole, le contorce, le trasforma e le combina in modi che nessuno ha mai
pensato di fare prima. In questa raccolta i suoi racconti brevi, astuti e
divertenti brillano di immagini originali e piccanti, di descrizioni argute,
di gioia sensuale e di presa salda della natura umana e della storia. Questi
scritti brevi spesso mostrano le stesse cinque particolarita' che forse
caratterizzano nel modo migliore i suoi romanzi "seriocomici": uno spirito
immaginativo, una disattenzione allegra e audace per la convenzione, un
erotismo dolce e insieme malvagio, un occhio attento, mistico ma acuto e
quel suo amore irreprensibile per il linguaggio. Qualcuno ha detto che la
sua parlata e' smorta, il suo passo tormentosamente lento e la sua
presentazione manca di dinamica vocale, ma a me piace ricordare che Tom
Robbins si definisce un "romantico edonista zen" e "un cane randagio nelle
sale da banchetto della cultura". Per me non e' un cane randagio. I libri di
Tom Robbins sono libri deliziosi, uno piu' divertente dell'altro. Negli anni
sono diventati sempre piu' raffinati e quello che a suo tempo era un po'
esagerato, con quell'idea di Gesu' Cristo mummificato, e' diventato un
trionfo di fantasia da ragazzo. In generale tutte le fantasie dei suoi libri
sono diventate esempio di come si puo' sorridere piuttosto che ridere, piu'
o meno come si puo' sorridere immaginando un uomo non piu' giovane ma sempre
capace di controllare con eleganza le situazioni piu' incredibili. Insomma,
a me pare che questo Tom Robbins si sia un'altra volta affermato come un
poeta in prosa, questa volta si e' anche abbandonato a immagini di poesia
che possono creare commozioni e a volte anche emozioni. Eppure le sue
esperienze sono state attraversate da emozioni non allegre, hanno conosciuto
operazioni chirurgiche a un occhio e tante cose coerenti coi suoi settantuno
anni e la sua capacita' di abbracciare un mondo di crudeli avventure, sempre
concluse da esperienze risolte, che in qualche modo inducono a credere che
il mondo puo' essere, per chi vuole, interpretato in speranza e in fiducia
nell'avvenire.

4. FERNANDA PIVANO: L'ASSOLUO E L'URLO DI ALLEN GINSBERG
[Dal "Corriere della sera" del 4 luglio 2007 col titolo "L'Assoluto dentro
un Urlo", il sommario "Anticipazioni. L'inedito per la Milanesiana. I sogni
in versi di Kerouak, Ginsberg, Corso e Burroughs" e la nota redazionale
"Anticipiamo il testo che Fernanda Pivano leggera' domani alle 21 al Teatro
dal Verme di Milano come prologo al concerto di Laurie Anderson, nell'ambito
della Milanesiana. Alla serata, intitolata 'La faccia nascosta della Luna',
partecipano anche Guenter Blobel, Nobel per la Medicina e il geochimico Erik
Galimov"]

Ah, questo Assoluto. Non c'e' scrittore che non sia precipitato
nell'immagine dell'Assoluto, questo Assoluto che per secoli e' stato la base
dei poeti e dei prosatori, che ha ricominciato a fare da base ogni volta che
gli scrittori hanno rappresentato la poesia e ogni volta che nella poesia
scritta in prosa sono precipitati invocando la loro realta'. Piano piano
ogni scrittore ha dato una spiegazione sua, dolce o disperata, con le
immagini dei suoi sogni, dove i sogni si concludevano in un Dio di salvezza
o di distruzione ma sempre collegati con un'immagine, meglio se un'immagine
senza spiegazione, centrata per sempre in visioni di bellezza o in tremiti
di sofferenza, immersa nell'inafferrabile realta' del bene o del male, della
felicita' o del dolore, della speranza o della disperazione. Naturalmente le
immagini dell'Assoluto che mi sono piu' familiari sono quelle che i miei
quattro amici si rimbalzavano la notte, seduti per terra (...). Erano Jack
Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs. E' interessante
scoprire l'Assoluto nei loro versi: non so chi di loro sia stato il primo a
introdurlo nella loro poesia ma, per esempio, Gregory Corso in Il naufragio
del Nordling ha scritto: "Una notte cinquanta uomini s'allontanarono da Dio
a nuoto / E annegarono. / La mattina il Dio abbandonato / Tuffo' un dito nel
mare, / Riemerse con cinquanta anime, / E punto' verso l'eternita'". Oh,
Gregory. Piu' o meno la stessa idea l'ha avuta Jack Kerouac in Poesia, 16
sett. 1961 quando, pensando a sua madre addormentata nel letto su cui un
giorno sarebbe morta, l'ha immaginata dire: "Non c'e' da preoccuparsi della
morte, da questa vita ci avviamo verso un'altra" e ha concluso dicendo:
"Come mi sentivo triste lo stesso". Era stato lui, Jack Kerouac, che quando
un giorno gli ho chiesto perche' si sentiva cosi' disperato, mi ha risposto:
"Voglio che Dio mi mostri il suo volto". Oh, Ti Jean. Allen Ginsberg nel suo
Diario Indiano ha detto che il paradiso e' "non aver piu' paura di nessuno e
di niente". Ma lo stesso Ginsberg in Etere ha scritto: "Non si sa ancora se
Cristo era / Dio o il Diavolo - / Buddha e' piu' rassicurante". Erano gli
anni in cui il Buddhismo era diffuso in America da Daisetz Suzuki e i miei
amici trovavano nel Buddhismo uno stato dove non c'era spazio per la fatica
e il sacrificio e un metodo per cercare una soluzione in se stessi, magari
seguendo il suggerimento dello Hsin-Hsin Ming per cui: "Se vuoi raggiungere
la verita' assoluta / Non essere coinvolto col giusto e l'errato. / Il
conflitto tra giusto e errato / E' la malattia della mente". Erano gli anni
in cui John Cage inventava la silent music e in cui i pittori presentavano
le loro tele monocrome. Poi e' intervenuto Ginsberg col suo Buddhismo e
almeno per loro l'Assoluto e' diventato un amico di famiglia. La loro
visione dell'Assoluto ha preso forma con la ricerca della verita', ma sempre
nel senso di nonviolenza. Forse la sua spiegazione Ginsberg l'ha trovata
proprio in questa ricerca, e l'ha dimostrata nel 1955 quando ha scritto la
sua poesia, Urlo, generata da semi di prosa, ma anche da giornali e
soprattutto da appunti ricavati dalle preoccupazioni immaginiste di William
Carlos Williams. Ginsberg era fuggito a San Francisco servendosi delle
sovvenzioni per i disoccupati e cosi' aveva seguito la sua ispirazione
romantica col respiro bardico ebraico-melvilliano, ha pensato che non
avrebbe scritto una "poesia" ma che avrebbe scritto qualunque cosa volesse
senza paura, improvvisando versi magici dalla sua mente sommando alla sua
vita qualcosa che non avrebbe potuto mostrare a nessuno, qualcosa scritto
per l'orecchio della sua anima e poche altre orecchie. Cosi' e' nato il
primo verso di Urlo: "Ho visto le menti migliori della mia generazione" con
l'intera prima parte battuta a macchina all'impazzata in un pomeriggio, in
una triste, enorme commedia di frasi selvagge, di immagini inseminate per la
bellezza di astratta poesia della mente e ha continuato su cio' che la sua
immaginazione riteneva vero per l'Eternita' (perche', sono parole sue, "anni
prima avevo avuto una illuminazione beatificante durante la quale avevo
udito l'antica voce di Blake e avevo visto l'Universo aprirsi nel mio
cervello") e cio' che la sua memoria poteva ricostruire dai dati di
esperienze celestiali. Oltre che in Howl, in Sunflower Sutra Ginsberg rivela
la benedizione del nostro seme e invita i nostri corpi coi capelli dorati a
crescere come girasoli nel tramonto di San Francisco. Anche questa poesia e'
datata 1955 e l'immagine di questo girasole e' rimasta nella visione di
Ginsberg tra le sue immagini immortali ed e' con un'immagine immortale di
bellezza, anche se solo ricordata, che si puo' credere nell'Assoluto.
Perdonatemi, ma sono le immagini di questi poeti, di girasoli ed altro, a
fare la poesia di qualche decennio d'America: e dove c'e' poesia c'e' anche
Assoluto e ci sono sguardi di poeti rivolti all'eternita' con o senza poesie
a renderli immortali.

5. FERNANDA PIVANO: ERICA JONG
[Dal "Corriere della sera" del 29 agosto 2007 col titolo "Con Erica Jong a
lezione d'amore", il sommario "Personaggi. L'autrice di Paura di volare si
racconta all'amica letterata. L'incontro della scrittrice con Fernanda
Pivano: speranze, progetti e sogni", e la nota "'Ghettizzate dalla critica',
'La letteratura al femminile e' ghettizzata. Serve una nuova ondata di
femminismo'. L'appello e' dell'autrice americana Erica Jong che, in un
articolo pubblicato sul 'Publisher Weekly', denuncia il pregiudizio della
critica americana nei confronti delle scrittrici che parlano di sentimenti.
'I temi legati alla guerra destano interesse, quelli legati all'amore no. Se
Jane Austen scrivesse oggi - precisa la Jong - probabilmente andrebbe
incontro allo stesso destino'"]

Quando sei arrivata, Erica, io ero in mezzo al disastro dei miei novant'anni
ma col cuore gonfio di ammirazione per la tua tenacia, per la tua inesausta
scelta di aiutare tutti a trovare la loro felicita', basata sempre sulla
felicita' che riesci a dare a tutti con le parole tenerissime dei tuoi
libri: una felicita' fatta forse di fiducia nella vita, forse di
inalterabile fiducia nel futuro, che nelle tue mani col passare degli anni
diventa sempre piu' intriso di speranze sul messaggio degli uomini. E' un
messaggio che coi tuoi consigli e col tuo esempio diventa sempre piu' aperto
agli splendori dell'esistenza, che tu conosci meglio di chiunque altro e
meglio di tutti riesci sempre a far rinascere con le tue parole, sempre
rivolte al futuro di chiunque voglia dominare il presente con la speranza.
La speranza forse e' sempre condensata nel sogno che il futuro di tutti
prenda una piega ricalcata sulle tue esperienze personali, un marito
delizioso, una figlia deliziosa, un nipote delizioso e li', in testa a
tutto, le tue parole deliziose che ci abbracciano il cuore scavalcando dubbi
e incertezze. I problemi che ha dovuto affrontare Erica Jong nei tre anni
che ha impiegato a scrivere quel Paura di volare, il libro che l'ha fatta
diventare famosa, non sono stati ne' di carattere editoriale ne'
organizzativo, perche' il libro e' stato subito un successo senza fatica,
alla pari di quello che aveva cantato nelle sue pagine rivelative dove si e'
rappresentata come grande biografa di Henry Miller. All'autobiografia
Sedurre il demonio (Bompiani, pp. 250, euro 16), l'ultimo libro, Erica ha
premesso un'introduzione che dice: "Ho cominciato a scrivere queste pagine
come un libro di consigli per aspiranti scrittori", e: "Sto lavorando a
quello che nel mio prossimo taccuino chiamo 'il romanzo numero nove' ormai
da piu' anni di quanto io stessa voglia ammettere". Di queste cose parlavamo
con Erica le ultime due volte che e' venuta a Milano. Il suo messaggio era
stato come sempre un messaggio di amore e di fiducia nella via dell'amore. I
suoi molti libri si sono susseguiti senza alterare di un passo le sue
convinzioni sull'esigenza di basare la vita sulla fiducia in sentimenti non
diversi da quelli che si hanno da adolescenti ma arricchiti dalle esperienze
preziosissime che Erica ha raccolto libro dopo libro con l'amore crescente e
convinzioni sempre piu' certe. E' ancora bellissima, con la sicurezza che le
viene da questo marito dolcissimo, per la prima volta piu' ricco di lei, e
innamorato di lei come il primo giorno che si sono conosciuti, anzi, di
piu', perche' ormai questo illustre avvocato ha imparato a conoscere i lati
piu' segreti e piu' preziosi di questa grande scrittrice e grandissima
donna. Tra l'una e l'altra delle sue visite e' stata sempre piu' presente ai
suoi sogni di liberta' e di passioni, e i suoi libri hanno via via tenuto
conto ed espresso i suoi sogni, senza permettere che le insidie del futuro
dominassero le sue paure. Le sue paure sono quelle che puo' avere l'autrice
piu' famosa d'America, la scrittrice piu' brava d'America, la sognatrice
piu' innocente d'America. Ad ammirare la sua sincerita' e' stato prima di
tutti Henry Miller, che Erica ha celebrato in un libro parlando di lui con
la passione che dividevamo per questo prezioso scrittore d'America. Ma noi
siamo tanto amiche, abbiamo vissuto insieme tanti periodi drammatici,
abbiamo adorato senza speranze questo grande educatore di due generazioni e
con lui abbiamo riproposto una vita fatta di sincerita' e di passioni. E'
attraverso la meditazione sui suoi insegnamenti che noi giudichiamo, si fa
per dire, il mondo che ci circonda; forse sono gli insegnamenti che ci
permettono di riconoscere delle esperienze contemporanee quelle che possono
aiutarci a vivere, con l'amore per la vita, con l'amore per la realta'
terrena, con l'amore per l'onesta' e la capacita' di vincere le difficolta'
economiche che ormai per Erica Jong sono un ricordo di entusiasmo giovanile
e di ansieta' di vivere. E' una gioia parlare con lei, bella, fresca, come a
vent'anni, capace di dimenticare le molte difficolta' che ha avuto per
offrire anche solo l'esempio di una grande scrittrice, forse, come ho detto,
in questo momento la piu' grande d'America. Per me vederla e' come ritrovare
un po' del coraggio che, diverso dal suo, anch'io ho avuto per superare
l'ostilita' del nostro ambiente letterario, ignaro del grande rimedio
offerto da Henry Miller e dalla sua allieva Erica Jong, molto simile a
quello che io stessa ho avuto da Henry Miller e da tutto il suo mondo di
pensieri. E' un mondo che adesso sembra sommerso, ma in realta' e' rimasto
nei nostri cuori, almeno quelli di Erica e miei, come unica proposta di
soluzione. Erica col suo amore leggendario per Venezia, la sua passione per
la chiarezza della sua prosa, coi suoi sogni fatti di pensieri, forse di
illusioni, da difendere, sara' sempre per noi una maestra di stile e
soprattutto una maestra di vita.

6. FIORELLA MINERVINO INTERVISTA FERNANDA PIVANO (2001)
[Dal quotidiano "La stampa" del 21 agosto 2001 col titolo "Pivano, americana
pentita" e il sommario "Ho visto un paese deludente: colpa di Bush. Incontro
con la scrittrice che ha fatto conoscere all'Italia la grande letteratura
Usa, appena rientrata da un viaggio nei luoghi dei suoi amici"]

Santa Margherita. Spalanca gli occhi con lo stupore d'una bimba capace di
meravigliarsi d'ogni cosa davanti a lei: l'immenso mare di Liguria che fu
della sua giovinezza, il suo profumo, quel cielo attraversato d'improvviso
da due gabbiani, le barche simili a quelle dell'infanzia quando possedeva un
guscio di legno con l'ancora arancione o quando correva a rubare fichi
selvatici ai frati nel Monastero della Cervara. Fernanda Pivano, "il mito",
cosi' la chiamano i giovani, e' tornata dopo qualche anno nei luoghi dove
trascorreva le vacanze con la famiglia, il padre banchiere a Genova, la
madre, donna bellissima che la curava teneramente. Nella vicina Portofino e'
capitato una sorta di miracolo: invece di agitarsi per i big della finanza o
le star della politica, il borgo e' in gara per contendersi una donna di
cultura che a 84 anni mostra uno spirito giovane e autentico che incanta,
cosi' e' un continuo succedersi di cene e feste in onore di "Nanda".
La scrittrice e' rientrata ora dagli Stati Uniti, dove hanno girato un film
sulla sua vita. Da quando aveva poco piu' di vent'anni e lavorava accanto a
Hemingway, traducendo e spiegando la sua opera, ha continuato a scoprire e a
svelare all'Italia gli autori americani. Comincio' con Cesare Pavese che le
dava lezioni private a Torino, poi ci furono i lavori insieme all'Einaudi,
poi nacque l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, su su fino a
Kerouac, Corso, Ferlinghetti, McInerney. Sempre scoprendo in ciascuno
qualcosa di speciale per talento e autenticita'. Con loro ha viaggiato e
convissuto a lungo, "senza pero' complicazioni erotiche", precisa, "perche'
io sono severa come un vecchia vittoriana". Cosi' accenna appena alla fiamma
intensa che la lego' a Hemingway, e vuol tacere che lo scrittore la chiese
in moglie, e lei rifiuto' per non rovinare la vita alla terza moglie di lui.
La Pivano e' donna di notevole impegno, si e' battuta sempre a favore delle
minoranze, della pace, contro le disuguaglianze, le sopraffazioni, le
dittature. Nel magnifico parco dell'albergo dove si trova, parla rilassata e
serena.
*
- Fiorella Minervino: Che America ha ritrovato nel suo viaggio? Come mai gli
Usa, all'avanguardia nella protesta, non partecipano ai movimenti
anti-globalizzazione?
- Fernanda Pivano: Ho visto un Paese molto deludente. Forse la presenza d'un
governo repubblicano con un presidente che ha fatto la campagna elettorale
in spagnolo, invece che in inglese, ha creato una spaccatura che mi e' parsa
incolmabile, spero pero' che non lo sia tra i miei sogni e le mie nostalgie
brucianti. Le lobby tenute a bada dal presidente democratico - armi,
petroli, farmaci - sono tornate a dominare. Non a caso si e' subito parlato
di scudo spaziale e di guerra, e' il trionfo della globalizzazione.
*
- Fiorella Minervino: Come ha vissuto i giorni drammatici di Genova?
- Fernanda Pivano: Ero in Italia, appena rientrata con l'immagine
dell'America di Bush, e ho riconosciuto alcuni elementi delle nuove violenze
politiche forse rappresentate dalla nuova Italia e dalla nuova Europa. Cio'
mi ha indotta a riprendere, come facevo negli anni '50-'60, il saluto della
pace con le braccia incrociate, che fanno parte del mio scrigno dei sogni. I
ragazzi mi chiedono in continuazione cosa fare, io dico di comportarsi come
me. Pascal sosteneva che si diventa cattolici toccando l'acqua benedetta,
allora mi illudo che il saluto della pace per lo meno susciti l'idea della
nonviolenza. In realta' non siamo informati di nulla, alcuni mi hanno
riferito che duemila dei miei ragazzi dalle tute bianche sono stati bloccati
prima di entrare a Genova, mentre non c'e' stato problema per parecchi
naziskin. Non sappiamo nulla, facciamo il segno della pace, ripeto ai
giovani che pensano che io sia onnipotente.
*
- Fiorella Minervino: Come e' nata l'idea del film sulla sua vita?
- Fernanda Pivano: Il produttore-editore di dischi Domenico Procacci ha
voluto fare un documentario, ingaggiando un regista di 32 anni, Luca
Facchini, che ha studiato per 7 anni all'Universita' di New York. Con
modesti mezzi economici, il film racconta la mia vita partendo dagli amici
che sono tutti morti, dunque dalle loro tombe. Sono stata nell'Idaho a
Ketchum, dove Hemingway ha vissuto e si e' sparato. La sua tomba e' sotto un
pino, in pianura, d'improvviso un coyote ha scavalcato il recinto e ha fatto
il giro del sepolcro, era bellissimo, grigio e bianco con la coda beige. Il
giorno dopo, di nuovo al crepuscolo, sono tornata e il coyote e' ricomparso
nello stesso modo. Non so se si tratti di rinascita o magia. Hemingway
ripeteva sovente "My dear sweet coyote", in senso positivo. Poi c'erano
tante monetine, come nella Fontana di Trevi, mi ha emozionata vederlo
trattato come una divinita' e ho dimenticato altre orribili iniziative
kitsch create nelle vicinanze.
*
- Fiorella Minervino: Come lavorava con Hemingway?
- Fernanda Pivano: Sono stata sua allieva, la mattina a Cortina e a Cuba
scriveva dalle 5 alle 11, io gli sedevo accanto, mi spiegava il peso delle
parole, le immagini, il suo modo di scrivere. Per una parola distruggeva
interi fogli. Avevo capito subito che era un genio. A Ketchum tento' di
suicidarsi per tre volte, una sotto l'elica d'un aeropolano. Soffriva di
manie depressive e lo curavano rinchiudendolo a chiave in una stanza con
inferriata. Poi gli fecero 24 lobotomie. Tornato a Cuba, mi telefono' e
disse: "Mi hanno tolto l'unico capitale che possedevo, la memoria... non
posso piu' andare a caccia ne' fare l'amore". Due giorni dopo si e' ucciso.
A Cortina gli avevo insegnato una canzoncina: "Tutti mi chiamano bionda, ma
bionda non sono". Lui la cantava mentre scendeva le scale per andare a
ammazzarsi.
*
- Fiorella Minervino: Chi altri compare nel film?
- Fernanda Pivano: Kerouac. Anche lui mi chiese di sposarlo, scappando
insieme a Malibu, ma io non accettai. Alcolizzato all'estremo, a Milano per
salvarlo gli davo bicchieri d'acqua con il profumo di whisky. Sono andata a
Lowell, sulla sua tomba c'erano due lattine di birra e una lettera d'amore.
Inoltre il taccuino da poche lire che usava con la matita spuntata e una
piccola lapide dove si legge 'Ha onorato la vita'".
*
- Fiorella Minervino: Quali autori ha incontrato a New York?
- Fernanda Pivano: McInerney, in un appartamentino di tre stanze, con il
computer e le foto dei figli. Lo ritengo il vero continuatore di Hemingway,
un post-romantico, in reazione al minimalismo. Il suo racconto Nudo
sull'erba e' per lui cio' che furono Le nevi del Kilimangiaro per Hemingway.
Fra quelli che hanno aperto nuove strade c'e' invece Chuck Palahnyuk,
camionista dell'Oregon che, con altri, rappresenta l'ironia in reazione ai
post-romantici.
*
- Fiorella Minervino: Come giudica l'ambiente italiano?
- Fernanda Pivano: Ho sempre rifiutato le cattedre che non mi hanno offerto
sapendo che non avrei accettato. L'universita' italiana non va oltre Henry
James. Ho voluto fare l'outsider, altrimenti non conoscereste gli autori
americani, a partire da Hemingway. Diffido della critica italiana perche'
l'Italia ha avuto il dominio spagnolo per un secolo e mezzo, quello francese
per un secolo e un ventennio fascista. Cosi' ancora adesso non ha potuto
realizzare una forma di cultura davvero italiana.

7. MASCIA NASSIVERA INTERVISTA FERNANDA PIVANO (2002)
[Dal "Corriere del Ticino" del 17 luglio 2002 col titolo "Pivano, una
signora controcorrente" e il sommario "Fu la prima in area culturale
italiana a tradurre i testi di molti scrittori statunitensi. Compie 85 anni
la scrittrice che fu amica di Hemingway e del gruppo d'autori della beat
generation. Ci ha fatto conoscere la letteratura americana del secondo
Novecento"]

Un giorno Cesare Pavese le lascio' alcuni libri in portineria; lei li
guardo' incuriosita, ne scelse due e comincio' a sfogliarli rimanendo subito
colpita dalle parole, dai suoni e dalle atmosfere nuove che da quelle pagine
spiravano. Non lo sapeva ancora, ma quel giorno Fernanda Pivano insieme a
Addio alle armi e Antologia di Spoon River aveva scelto anche il suo
destino.
Negli anni Quaranta fu cosi' la prima a tradurre due autori ancora
sconosciuti in area culturale italiana, un certo Ernest Hemingway e un certo
Edgar Lee Masters, scontrandosi con la censura del regime. Ma ormai "Nanda"
si era perdutamente innamorata della letteratura americana.
Piu' tardi, dopo avere stretto amicizia con Hemingway a Cortina, decise il
grande passo e nel 1956 sbarco' negli Stati Uniti, dove fu investita dalla
ventata libertaria e anarchica con cui il gruppo della Beat generation
sperava di cambiare il mondo: questa signora molto dabbene strinse amicizia
col gruppo dei "ragazzacci" d'America formato da Jack Kerouac, Allen
Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, accompagnandoli nelle loro
scorribande e allo stesso tempo traducendo e facendo conoscere in Europa le
loro proteste contro una societa' sempre piu' avida di denaro.
Il mondo accademico non le perdono' mai di aver trascurato i grandi classici
per promuovere una banda di scapestrati ("Fernandaccia" la chiamava Eugenio
Montale con affettuosa disapprovazione), ma lei continuo' con ostinazione a
seguire con simpatia i "vinti", i giovani ribelli: una strada intrecciatasi
spesso con quella di Bob Dylan e Fabrizio De Andre'.
Oggi, alla vigilia dei suoi 85 anni - il compleanno e' il 18 luglio -
"Nanda" ricorda insieme a noi gli scrittori che ha avuto la fortuna di
conoscere.
*
- Mascia Nassivera: Signora Pivano, lei fu molto amica di Hemingway ed ebbe
spesso l'occasione di vederlo lavorare. C'e' qualche piccola curiosita' che
ci vuole svelare?
- Fernanda Pivano: Conobbi Ernest a Cortina nel periodo in cui usci' Addio
alle armi, il libro che trasformo' la letteratura del mondo intero. Oggi
tutti noi siamo debitori del suo stile semplice e diretto, delle sue frasi
ridotte allo scheletro di soggetto-predicato-complemento oggetto, che
rinunciavano all'inutile ampollosita' dei tempi passati. Quando diventammo
amici e io cominciai a tradurre le sue opere, mi capitava spesso di vederlo
scrivere - con la sua inseparabile matita - una pagina e poi, giunto in
fondo, cancellare insoddisfatto l'ultima parola e buttare via tutto il
foglio. Mi ricordo che una volta mi misi a strillare cercando di convincerlo
a non gettare una pagina splendida, ma lui mi rimprovero' indispettito:
"Allora non hai capito niente. Un'intera pagina e' tenuta insieme
dall'equilibrio di una parola". Naturalmente aveva ragione. Anche quando si
fingeva arrabbiato, usava quel suo buffo modo di parlare, una specie di
lingua franca che aveva inventato per nascondere la balbuzie: un miscuglio
di parole inglesi, francesi, tedesche e spagnole pronunciate a bassissima
voce. O lo si capiva o non lo si capiva, non c'erano vie di mezzo".
*
- Mascia Nassivera: Qual e' il ricordo piu' struggente che conserva di
Hemingway?
- Fernanda Pivano: La nostra ultima telefonata, qualche giorno prima che lui
si togliesse la vita. Aveva gia' subito i terribili elettroshock che gli
avevano devastato la mente, e si sentiva un uomo finito. Continuava a
ripetere che non era piu' in grado di andare a caccia, di viaggiare, di
cantare e di scrivere. "Che cosa vivo a fare? Per vivere bisogna volare,
volare...", mi diceva con la sua voce lenta, calma e un po' balbettante.
Sentivo che se ne stava andando, ma non sapevo come aiutarlo. Un altro
ricordo commovente e' legato al mio recente viaggio negli Stati Uniti,
quando sono andata a visitare la sua tomba. Il cimitero di Ketchum, vicino
alle Montagne Rocciose, e' un grande prato circondato da alberi e coperto da
un'infinita' di lapidi, con un sentiero scuro che conduce direttamente al
luogo in cui riposa Hemingway. Al tramonto, mentre mi stavo allontanando, ho
assistito a una scena straordinaria: un coyote, saltata la recinzione del
cimitero, ha raggiunto la tomba di Ernest e si e' fermato li' davanti, quasi
volesse raccogliersi in preghiera; poi, lentamente, mentre il sole scendeva,
si e' allontanato.
*
- Mascia Nassivera: A un certo punto della sua vita lei decise di fare un
viaggio in America e li' conobbe il gruppo della Beat generation...
- Fernanda Pivano: Fui spinta a partire dal desiderio di fare esperienza sul
campo, di conoscere gli autori di persona, leggere i loro libri nel contesto
in cui erano nati e non in una polverosa biblioteca distante anni-luce dalla
loro realta'. Soltanto cosi' si possono fare interessanti scoperte e magari
sfatare le dicerie che i mass-media costruiscono intorno a certi autori.
Pensiamo per esempio ad Allen Ginsberg, uno dei protagonisti del periodo
beat insieme a Jack Kerouac: aveva fama di essere un poco di buono, uno
scontroso dedito all'alcool e alla droga. Ebbene, io mi ricordo di quando,
appena sbarcata in America, mi ammalai e gli telefonai per disdire il nostro
appuntamento. Mezz'ora dopo lui suono' alla mia porta con in mano una rosa e
una scodella di brodo cinese: mise il fiore nella bottiglia dell'acqua
minerale, stese sul tavolo un asciugamano come tovaglia e mentre mangiavamo
tiro' fuori un libriccino e mi lesse poesie struggenti. Ero cosi' commossa,
che non riuscivo neanche a mangiare.
*
- Mascia Nassivera: Le mancano quei tempi?
- Fernanda Pivano: Enormemente. Erano gli anni delle grandi utopie, gli anni
in cui si sognava la fine delle guerre, il rispetto dei popoli oppressi, la
liberta' assoluta: ci sentivamo molto bene, perche' eravamo assolutamente
convinti che le nostre speranze si sarebbero avverate. Adesso, invece, non
so neppure piu' che cosa sognare e, peggio ancora, non so che cosa
consigliare ai giovani di sognare: la sola cosa che riesco a fare da qualche
anno e' continuare a ricordare alle nuove generazioni l'importanza
dell'integrita' morale, l'unico valore che mi sembra ancora possibile. Cerco
di essere sempre molto attenta alle richieste dei giovani e credo che
dovrebbe esserlo il mondo intero, visto che sono sempre loro, in ogni epoca,
a fare la storia.
*
- Mascia Nassivera: Lei fu molto amica di De Andre' che, forse non a caso,
rimase anch'egli folgorato dall'Antologia di Spoon River.
- Fernanda Pivano: Si', e' vero, tanto che nel 1971 scrisse Non al denaro,
non all'amore ne' al cielo, un album interamente ispirato ai versi di Lee
Masters. Mi perdoni lo scrittore americano, ma ho sempre pensato che in
quell'occasione Fabrizio sia riuscito a creare una poesia infinitamente piu'
umana, piu' ricca e piu' mediterranea di quella del suo maestro.
Fondamentale fu la capacita' del cantautore di sentire e ricreare la
passione dei giovani e cosi', ascoltando il disco, non si puo' fare a meno
di immaginare che quelle poesie siano pronunciate da ragazzi. Che e' poi la
stessa atmosfera e lo stesso spirito che mi hanno fatta avvicinare a Spoon
River e a tutta la letteratura americana.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 206 del 4 settembre 2008

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