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Minime. 564
- Subject: Minime. 564
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 31 Aug 2008 01:11:30 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 564 del 31 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Opporsi alla guerra 2. Osvaldo Caffianchi: Esercizi di ipocrisia 3. Alcuni estratti da "Lettera aperta agli economisti" di Carla Ravaioli 4. Alcuni estratti da "Europa di confine" di Enrica Rigo 5. Francesca Lazzarato presenta "La musica de Julia" di Alicia Steinberg 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. OPPORSI ALLA GUERRA Opporsi alla guerra occorre. Opporsi alle stragi. Salvare le vite. * Opporsi alla guerra occorre. Opporsi alle stragi. Salvare la democrazia. * Opporsi alla guerra occorre. Opporsi alle stragi. Salvare la propria umanita', l'umanita' di tutti, l'umanita' intera. * L'unica politica adeguata ai compiti dell'ora e' la pace con mezzi di pace. E' l'opposizione a tutte le guerre e tutti i terrorismi, a tutte le armi e a tutti gli eserciti, a tutte le stragi e a tutte le oppressioni. L'unica politica adeguata ai compiti dell'ora e' la scelta della nonviolenza. 2. LE ULTIME COSE. OSVALDO CAFFIANCHI: ESERCIZI DI IPOCRISIA Cianciare a vuoto dei massimi sistemi ed infischiarsene delle stragi in corso. Pretendersi pacifisti e nonviolenti ed esser complici della guerra afgana, aver votato per la guerra afgana, avere fatto propaganda per la guerra, e sui cadaveri degli assassinati sputato sentenze peggiori del catarro. Non capire che proprio il cedimento alla guerra assassina ha aperto il varco alla vittoria anche nel nostro paese del razzismo piu' cupo e feroce, del potere fascista e mafioso. Cianciare a vuoto dei massimi sistemi ed infischiarsene delle stragi in corso. 3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LETTERA APERTA AGLI ECONOMISTI" DI CARLA RAVAIOLI [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Carla Ravaioli, Lettera aperta agli economisti. Crescita e crisi ecologica, Manifestolibri, Roma 2001. Carla Ravaioli e' un'autorevole giornalista e saggista, si e' occupata principalmente di movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di economia e di ambiente. Tra le opere di Carla Ravaioli: La donna contro se stessa, Laterza 1969; Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione femminile, 1976; Il quanto e il quale. La cultura del mutamento, Laterza 1982; Tempo da vendere, tempo da usare, Angeli 1986; (con Enzo Tiezzi), Bugie, silenzi, grida. La disinformazione ecologica in un'annata di cinque quotidiani, Garzanti 1989; Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta, Isedi 1992; Lettera aperta agli economisti. Crescita e crisi ecologica, Manifestolibri, Roma 2001; Un mondo diverso e' necessario, Editori Riuniti, Roma 2003] Indice del volume Premessa; I fatti della crisi ecologica, di Carla Ravaioli; Il dibattito. Lettera aperta agli economisti; Se il capitalismo disprezza la natura, di Giorgio Lunghini; Trasformare l'ambiente in ricchezza, di Angelo Marano; L'economia della natura, di Riccardo Bellofiore ed Emiliano Brancaccio; Come crescere con cautela, di Giorgio Ruffolo; Dalla carita' ai diritti, di Augusto Graziani; Ecologia ed economia. Sviluppo non crescita, di Giuseppe Prestipino; Ascoltiamo i segnali spediti dal Sud, di Valentino Parlato e Giovanna Ricoveri; Gli sciamani e lo sviluppo, di Giacomo Becattini; Sostenibile. Ma a che prezzo?, di Giuseppe Gavioli; I suggerimenti di Gregory Bateson, di Enzo Scandurra; Dalla crescita allo sviluppo, di Silvia Boba; Bioeconomia, la via del futuro, di Giorgio Nebbia; Quando la teoria non vede la vita, di Bruno Trezza; Lo stato, i bisogni, il ciclope, di Giorgio Lunghini; Cari economisti, sturatevi le orecchie, di Carla Ravaioli; I limiti della crescita, di Paolo Sylos Labini; L'evoluzione dell'economista, di Piero Bevilacqua; Appendice. I numeri della crisi ecologica. * Da pagina 9 In apertura della "Lettera aperta agli economisti" si faceva riferimento al mutamento climatico come a quello che, tra i tanti problemi connessi allo squilibrio ecologico, si pone come l'emergenza piu' grave, capace di conseguenze irreparabili. Il dibattito sulle pagine del "Manifesto" non si era ancora esaurito quando i giornali incominciarono a dare a piena pagina e con titoli sensazionali notizie di uragani, tornado, frane, alluvioni, che a ripetizione, sempre piu' frequenti e rovinosi, colpivano zone via via piu' estese del globo. Lo spazio insolitamente dedicato alla materia si doveva, oltre che alla estrema distruttivita' degli eventi, anche al fatto che le catastrofi questa volta non toccavano piu' solo Venezuela, Colombia, Guatemala, o Cina, Vietnam, Cambogia, Laos, paesi poveri e lontani, avvezzi a ogni genere di maledizioni, o magari quel Terzo Mondo di casa nostra che da sempre e' per noi il Mezzogiorno, ma si abbattevano su nazioni vicine, ricche e orgogliose, come Francia e Inghilterra, e su regioni opulente come le nostre Emilia, Lombardia, Piemonte, Liguria. La coincidenza non era fortuita, ne' dovuta a particolari virtu' divinatorie dei promotori della lettera. * Da pagina 16 Nella disputa al calor bianco tra ambientalisti e (una parte della) comunita' scientifica, che a lungo ha occupato la stampa di tutto il mondo, e che non e' qui possibile riprendere nemmeno nei suoi argomenti centrali, questo e' forse l'aspetto meno insistito, che forse invece potrebbe risultare decisivo, se debitamente considerato. La liberta' che gli scienziati sacrosantamente rivendicano, non puo' tuttavia non darsi dei limiti: quelli che ogni tipo di liberta' deve darsi, arrestandosi la' dove rischia di ledere la liberta' altrui. Ed e' appunto il rischio che la ricerca di base si trova ad affrontare nel momento in cui i suoi ritrovati vengono usati per applicazioni tecnologiche, destinate all'immissione sul mercato e all'utilizzo pubblico; nel momento cioe' in cui si tratta di vagliare nel modo piu' accurato e ineccepibile quello spazio di ignoto che sempre si apre tra la scoperta scientifica e la sua traduzione in bene d'uso, assicurando una sperimentazione a prova di garanzia totale. * Da pagina 36 Qualche voce diversa di recente si e' pero' levata. Al di la' dei nomi consacrati della critica radicale internazionale (da Gorz a Chomsky, da Latouche a Beck, da Jonas a Bourdieu, da Castoriadis al gruppo francese degli antitutilitaristi) anche in Italia, e anche tra gli economisti, qualcuno mostra di capire qual e' la reale posta in gioco. Faccio il caso di Domenico Siniscalco, un economista appunto, che scrive: "Per ridurre le emissioni di gas serra occorrono politiche incisive, in grado di modificare gradualmente stili di vita e modelli di produzione e consumo, ben al di la' di quanto previsto dal Protocollo di Kyoto, che rappresenta solo un primo passo nella giusta direzione". E precisa: "In discussione e' il modello di sviluppo e il rapporto tra Paesi industriali e Paesi meno sviluppati". Faccio il caso di un intellettuale non certo portatore di istanze rivoluzionarie come Sergio Romano, il quale anche dimostra di cogliere la gravita' del problema, che la maggioranza degli economisti rifiuta di vedere: "Anche se e' difficfle quantificare l'evoluzione del degrado ambientale nei prossimi anni, sappiamo ormai che l'esplosione demografica, l'aumento della produzione industriale, l'uso indiscriminato degli idrocarburi, l'industrializzazione dei paesi sottosviluppati e le catastrofi ecologiche del socialismo reale hanno alterato gli equilibri del mondo. Stiamo consumando la natura senza permetterle di rigenerarsi, e la natura ferita reagisce lasciandoci intravedere una biblica combinazione di siccita' e diluvi". E non solo parla della necessita' di "una gigantesca e costosa riconversione industriale", ma accusa anche il rischio connesso a una "internazionale degli interessi industriali che cerca di far valere le proprie ragioni". Sono analisi condivisibili e affermazioni coraggiose, nessuna delle quali tuttavia affronta direttamente, chiamandolo per nome, il nodo del problema, cioe' la crescita illimitata della produzione, programmata e posta in essere in uno spazio come l'ecosfera terrestre che illimitato non e', e nemmeno estensibile a piacere. La nostra lettera, sia pure nella forma inevitabilmente concisa di un appello, diceva della necessita' di "rimettere in causa i paradigmi tradizionali della scienza economica" ed esplicitamente parlava di "contenimento della crescita produttiva". Ma questo e' il punto su cui gli economisti, e non loro soltanto, si mostrano piu' irriducibili. Cosi' e' stato dieci anni fa con i miei intervistati ai massimi livelli della scienza economica i quali, pur con la scarsa partecipazione di cui ho detto, sovente finivano per ascoltare le mie ragioni, e magari ammettere che la loro disciplina dovrebbe mostrarsi piu' sollecita verso la crisi ecologica, ma nulla concedevano in fatto di crescita: una categoria indiscutibile, da osservare come un dogma, una verita' di fede. Cosi' probabilmente e' stato nel caso dei tanti, anche amici e compagni, ripetutamente quanto inutilmente invitati a rispondere alla nostra "Lettera". Cosi' e' per la grande maggioranza dei rappresentanti di una disciplina cui sempre piu' la societa' fa riferimento, ma che non sembra avere risposte per una delle piu' pressanti urgenze d'oggi. E allora appare una sorta di miracolo un Sylos Labini che nel suo intervento sul "Manifesto" afferma: "La crescita economica e' veramente importante sotto l'aspetto dello sviluppo umano fino a un certo livello critico, oltre il quale la crescita materiale e' sempre meno importante". * Da pagina 43 Lettera aperta agli economisti, dell'Associazione per il rinnovamento della sinistra Sempre piu' allarmanti sono le analisi delle condizioni ecologiche planetarie e le previsioni delle loro conseguenze, in particolare imputabili al mutamento climatico e all'aumento della temperatura media (valga per tutte la fondata possibilita' di un innalzamento del livello dei mari, tale da sommergerte entro il secolo circa meta' delle aree costiere del mondo). Analisi e previsioni elaborate dall'ambientalismo piu' qualificato e responsabile, oggi fatte proprie anche dalla maggioranza della comunita' scientifica internazionale, ora concorde nel riconoscere in questi fenomeni il peso decisivo delle attivita' umane, della qualita' e delle quantita' di produzione, tipiche delle economie industriali. Di fronte a questa situazione, che rimette in causa i tradizionali paradigmi della scienza economica, sarebbe altamente auspicabile una argomentata presa di posizione da parte degli economisti, i quali finora (con l'eccezione di esigue minoranze) indicano l'aumento della domanda e dei consumi e la crescita del Pil, come la migliore soluzione dei problemi d'oggi. Eppure recenti episodi (Seattle e non solo) hanno rivelato l'esistenza di una consapevolezza ecologista nel sociale; cioe' di qualcosa che puo' insidiare le basi dell'economia capitalistica di mercato (la quale con la crescita e il suo continuo rilancio si identifica) piu' di quanto possano farlo oggi le classiche, e certo irrinunciabili, rivendicazioni salariali e normative dei lavoratori. Qualcosa che forse, qualora venisse fatto proprio dal nucleo attivo del lavoro dipendente, potrebbe aprire nuovi orizzonti storico-politici per il ridimensionamento dell'attuale ordine socio-economico. Ci rendiamo conto, certo, che un arresto o un forte contenimento della crescita, specie perseguito in un solo paese, sarebbe rovinoso anche per gli strati popolari. La globalizzazione infatti costringe tutti i paesi a competere su diversi piani, che convergono ancora una volta nell'incremento dei ritmi di crescita. Percio' un'inversione di tendenza dovrebbe aver luogo almeno su scala continentale ed essere compensata dal simultaneo espandersi, mediante iniziative pubbliche democratiche, di settori non mercantili, indirizzati alla produzione di "beni sociali", necessari a uno sviluppo reale (non dunque solo quantitativo e monetario) della ricchezza durevole e delle risorse vitali al servizio delle persone: una produzione per sua natura non lesiva dell'ambiente. Noi siamo convinti che solo da un confronto serio tra le culture dell'ambientalismo e quelle degli esperti di economia e politica economica possano venire stimoli e proposte tali da prospettare una possibile via d'uscita da questa drammatica contraddizione del nostro tempo, per una scelta responsabile tra i vincoli della globalizzazione competitiva e l'urgenza di prevenire danni irreversibili alla vita di tutti. E' agli economisti dunque che ci rivolgiamo innanzitutto per avere risposte e possibilmente per aprire un incontro. Carla Ravaioli, Mario Alcaro, Fulvia Bandoli, Piero Bevilacqua, Giovanni Berlinguer, Gianfranco Bologna, Marcello Buiatti, Paolo Cacciari, Giuseppe Chiarante, Marcello Cini, Elettra Dejana, Enrico Falqui, Franco Ferrarotti, Fabrizio Giovenale, Pietro Greco, Pietro Ingrao, Isidoro Mortellaro, Roberto Musacchio, Giorgio Nebbia, Giuseppe Prestipino, Eligio Resta, Franco Russo, Massimo Serafini, Pierluigi Sullo, Enzo Tiezzi. 4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "EUROPA DI CONFINE" DI ENRICA RIGO [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Enrica Rigo, Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata, Meltemi, Roma 2007. Enrica Rigo, giurista, impegnata nel movimento antirazzista, e' dottore di ricerca in Filosofia e teoria giuridica, sociale e politica. Attualmente collabora alle cattedre di Filosofia del diritto e Sociologia del diritto dell'Universita' degli Studi Roma Tre. E' consulente alla ricerca presso la Kingston University di Londra. E' autrice di numerosi saggi pubblicati in riviste e volumi, italiani e internazionali, su migrazioni, cittadinanza e postcolonialismo. Tra le opere di Enrica Rigo: Europa di confine, Meltemi, Roma 2007] Indice del volume Prefazione: Il diritto al territorio, di Etienne Balibar; Introduzione; Capitolo primo. Cittadini migranti. 1. Il "posto" delle migrazioni nel dibattito sulla cittadinanza; 2. Asimmetrie liberali; 3. Cittadini e ospiti; 4. Cittadini globali; 5. La proprieta' dei cittadini; 6. Il lavoro degli immigrati; 7. Cittadini illegali; Capitolo secondo. Cittadini d'Europa. 1. Europa di confine; 2. Ethnos e territorio della nazione europea; 3. Riposizionare il confine orientale; 4. L'identita' dello spazio europeo; 5. Il governo della circolazione nello spazio di "liberta', sicurezza e giustizia"; 6. Gli spazi della cittadinanza; Capitolo terzo. Cittadini del confine. 1. Cittadinanze postcoloniali; 2. I confini dell'ordine europeo; 3. L'estensione dei confini europei (e la loro funzione di appropriazione); 4. I confini interni dell'Europa (e la loro funzione di differenziazione); 5. I confini diacronici dell'Europa; Capitolo quarto. Confini d'Europa. 1. Confini virtuali di spazi concreti; 2. Confini e frontiere nelle scienze sociali e nel diritto; 3. Diritto al territorio e diritti sul territorio; 4. Confini d'Europa; 5. Confini d'ordine; 6. Confini di produzione; 7. Disporre dello spazio; 8. Confinare la mobilita'; 9. Il tempo dei confini e il tempo della cittadinanza; Bibliografia. * Da pagina 25 "To outline the experience of the migrant worker and to relate this to what surrounds him - both physically and historically - is to grasp more surely the political reality of the world at this moment. The subject is European, its meaning is global. Its theme is unfreedom. This unfreedom can only be fully recognized if an objective economic system is related to the subjective experience of those trapped within it. Indeed, finally, the unfreedom is that relationship" (John Berger, A seventh man. The story of a migrant worker in Europe, 1973). Gli spalti dello Stadion Dziesieciolecia, collocato in una zona semicentrale di Varsavia sulla riva destra della Vistola, circondano un campo di alte erbacce che non e' mai stato utilizzato per alcuna attivita' sportiva. Dal 1989 quegli stessi spalti si sono pero' trasformati nel piu' grande mercato all'aperto della capitale polacca e nel maggior centro di scambi commerciali per i cittadini provenienti, in particolare, dall'Ucraina e dalle altre Repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Oltre a quella polacca e ucraina, che rappresentano la componente piu' numerosa, vi svolgono attivita' commerciali persone di nazionalita' rumena e vietnamita, migranti provenienti dall'Africa e da altre regioni dell'Asia e del Caucaso. Durante gli anni Novanta, la principale attivita' economica degli ucraini presenti in Polonia e' stata il commercio di beni tra i due paesi, facilitato da una sostanziale apertura delle frontiere dell'Europa centrale e orientale, primo effetto del cosiddetto "collasso" dei regimi comunisti. A partire dal 1997 le restrizioni legislative e amministrative imposte dalla Polonia alla liberta' di circolazione transnazionale hanno fatto decrescere l'ammontare degli scambi, andando a incidere soprattutto sulla mobilita' di coloro che attraversavano il confine per brevi viaggi commerciali della durata di uno o due giorni (Grzymala-Kazlowska, Okolski 2003). Cio' nonostante, la presenza ucraina nel mercato di Stadion Dziesieciolecia e' ancora molto numerosa ma, a differenza che negli anni Novanta, molti dei lavoratori migranti si trovano ora in posizione di "irregolarita'" rispetto alle norme sull'ingresso e il soggiorno. Ad alcune migliaia di chilometri di distanza, nell'area antistante la stazione centrale di Napoli (piazza Garibaldi) e nelle strade limitrofe, vi sono mercati che, gia' dagli anni Novanta, sono frequentati da acquirenti e da venditori la cui composizione nazionale e' analoga, pur se diversa nelle proporzioni, a quella presente nello stadio di Varsavia. Le lavoratrici ucraine e polacche vi si incontrano il giovedi' e la domenica (giornate di riposo dall'attivita' di lavoro domestico) e vi effettuano acquisti, specialmente di capi di abbigliamento, che solitamente vengono spediti nei paesi di origine (Dines 2001; 2002). Anche le merci vendute dai commercianti provenienti dall'Africa sub-sahariana, come occhiali, scarpe e abbigliamento sportivo, sono simili a quelle che i migranti che provengono dalle stesse aree geografiche vendono nel mercato di Stadion Dziesieciolecia. Mancano a Napoli chioschi alimentari gestiti da vietnamiti, mentre aumenta il numero di ristoranti e altri negozi della zona gestiti da cinesi. D'altro canto, vi e' un elemento ulteriore che accomuna Napoli a Varsavia. Alla domanda sul perche' a Napoli la presenza delle lavoratrici provenienti dalle ex Repubbliche sovietiche, diversamente da quella polacca, abbia subito un notevole incremento negli ultimi anni rispetto agli anni Novanta, una sindacalista di origine polacca mi ha risposto in questo modo: "Prima venivano in Polonia perche' le frontiere erano aperte. Non venivano per fare le lavoratrici domestiche, ma il piccolo commercio. Poi qualcuna ha iniziato a fare il visto per l'Italia e la voce si e' diffusa: funziona cosi'". Pur se con i dovuti distinguo, analogie simili a quelle evidenziate tra lo Stadion Dziesieciolecia e l'area antistante la stazione di Napoli si possono rintracciare in altre metropoli europee. Allo Stadion Dziesieciolecia, cosi' come nei mercati di Napoli, ci si trova di fronte ad altrettante riproduzioni di quei "confini globali" che Etienne Balibar ha descritto come istituzioni che tendono a rimpiazzare modelli piu' convenzionali di confine con "varie forme di flessibile equilibrio tra forze 'esterne' e 'interne' confliggenti, e sono sostenute da piu' rafforzati e estesi 'confini globali' che appaiono come proiezioni territoriali dell'ordine (o disordine) politico mondiale" (Balibar 2004, p. 5). Si badi, pero', che l'idea di confine non e' utilizzata qui solo nel suo significato metaforico, come sempre piu' spesso accade in scritti e articoli che, da discipline diverse, si richiamano al filone dei border studies. Il visitatore attento non solo alla merce in esposizione notera' che una delle scene piu' frequenti alle quali si puo' assistere nello stadio di Varsavia e' quella dei venditori migranti che, dopo aver riposto la merce in fretta e furia, si allontanano dal proprio stand all'avvicinarsi della polizia di frontiera. E' proprio questa infatti, lontana alcune centinaia di chilometri dai confini convenzionali della Polonia, una delle aree pattugliate piu' assiduamente dalla polizia di frontiera che ha il suo quartier generale nel centro di Varsavia. Lo Stadion Dziesieciolecia, piu' che rappresentare una metafora del confine, e' quindi una tangibile proiezione dei suoi molteplici significati, a partire da quello letterale di uno spazio con-diviso, fino a quello che vede il riprodursi in esso di misure di pattugliamento e controllo tipiche delle linee di partizione geopolitica fra gli Stati. L'ipotesi di ricerca di questo libro parte da una domanda semplice, che interroga il nesso costitutivo che da sempre la nozione di cittadinanza intrattiene con quella di confine. Eppure, gia' l'immagine dello stadio di Varsavia, cosi' come gli elementi che lo accomunano ai mercati di Napoli, restituisce il tema alla sua complessita'. Non ci parla infatti di confini che demarcano sfere di appartenenza esclusive, limitate e omogenee, bensi' di istituzioni che riproducono e diffondono il proprio ordine gerarchico su tutto lo spazio europeo. In altre parole, istituzioni la cui meccanica revoca in dubbio la nozione stessa di cittadinanza quale status omogeneo che trova applicazione all'interno di precisi confini territoriali e giuridico-politici. Dopo quasi due decenni in cui la cittadinanza si e' imposta come uno dei temi centrali del dibattito filosofico, politico e giuridico, non sembra dunque possibile eludere ancora la domanda sul significato che assume continuare a investigare questa categoria, invece di escogitarne una piu' adatta a rappresentare le sollecitazioni alle quali sono sottoposte le societa' contemporanee. La sterminata letteratura critica sulla cittadinanza - di cui il primo capitolo offre una parziale rassegna - ne ha messo in luce limiti e tensioni, determinati sia dalle trasformazioni dell'orizzonte politico e istituzionale in cui la moderna nozione di cittadinanza si e' sviluppata, sia dalle richieste di nuovi soggetti individuali o collettivi che hanno fatto della cittadinanza il terreno di rivendicazione delle loro domande di riconoscimento. Anche l'argomento trattato in questo libro, stringendo il fuoco sulle trasformazioni della cittadinanza in relazione al governo delle migrazioni transnazionali, se da un lato si inserisce nel quadro teorico tratteggiato, dall'altro, allude ai suoi limiti. Eppure, proprio il fatto che la grammatica della cittadinanza continui a essere utilizzata anche da coloro che ne sono parzialmente o totalmente esclusi lascia intravedere l'opportunita' di approfondire la ricerca in questo campo, a condizione, pero', che si assuma questa categoria come un campo aperto alla contestazione e una nozione che richiede di essere contestualizzata. Il contesto nel quale si e' scelto di parlare di migrazioni e cittadinanza e' quello delle trasformazioni dei confini europei, in particolare, nell'ambito dell'allargamento a Est dell'Unione. Il dibattito sulle riforme costituzionali nei paesi dell'Europa centro-orientale ha teso, da un lato, ad attribuire gli aspetti escludenti della cittadinanza a processi di costruzione nazionale di livello intra-statuale, dall'altro, a interpretare il rafforzamento di un'appartenenza sovranazionale come connesso a processi di destatualizzazione. Questa rappresentazione dicotomica ha generalmente soprasseduto sul governo della mobilita' transnazionale come cifra caratteristica della cittadinanza europea. Una caratteristica che, nel secondo capitolo, e' esemplificata proprio a partire dalle trasformazioni che i confini orientali dell'Europa hanno subito nel corso degli ultimi due decenni. La Polonia (paese che ha recentemente fatto ingresso nell'Unione europea), la Romania e la Bulgaria (paesi candidati di cui e' previsto l'ingresso nel 2007) sono i paesi scelti, nel terzo capitolo, come casi di studio per analizzare il processo di recepimento dell'acquis Schengen nelle legislazioni su immigrazione e asilo, e per mettere in luce come la meccanica dei confini europei si rifletta all'interno degli ordinamenti nazionali. La ricerca che viene presentata in questo libro si presta, tuttavia, a livelli di lettura ulteriori rispetto a quello informativo. L'ipotesi analitica seguita nell'investigare le trasformazioni dello spazio giuridico e politico dell'Europa - ed esplicitata nell'ultimo capitolo - inverte il ruolo che, in riferimento alla cittadinanza statuale, hanno avuto, rispettivamente, l'istituzione dei confini e l'istituzione del territorio. La tendenza a una crescente "disaggregazione" del principio territoriale nelle trasfigurazioni contemporanee della sovranita' ha portato la letteratura sull'Europa a disinteressarsi di uno dei temi classici della scienza giuridica. Ovvero, di come la legge e i suoi ambiti di governo si dispongono nello spazio. Riportare questo tema al centro del discorso risulta, invece, fondamentale per comprendere il processo di "costituzionalizzazione materiale" della cittadinanza europea. Un processo che va ben oltre la sua formalizzazione istituzionale, e le cui sfaccettature possono essere ricomposte all'analisi solo se viene accettata la sfida di non sottorappresentare l'esperienza soggettiva di coloro che attraversano i diversi spazi di cui l'Europa si compone. Non si tratta di una sfida semplice, soprattutto per discipline, come la filosofia e la scienza giuridica, dove la forma e le categorie assunte dal contesto istituzionale rischiano spesso di segnare i limiti entro i quali viene costretta la ricerca. E' probabilmente questa la ragione per cui il dibattito sulla cittadinanza si e' mosso, prevalentemente, all'interno di un discorso normativo costruito sulla dicotomia tra cittadini e stranieri. Un orizzonte che, rappresentando le migrazioni come un fenomeno che preme dall'esterno sui confini della cittadinanza, impedisce di vedere come le donne e gli uomini che ne sono protagonisti non si pongano affatto al di fuori di tali confini, ma ne siano, piuttosto, la contestazione immanente. Parlare di migrazioni e cittadinanza descrivendo le trasformazioni dello spazio giuridico europeo, e ricollocando i migranti tra gli attori di queste trasformazioni, risponde, in questa prospettiva, a una scelta metodologica precisa. Quello che si propone non e' un modello alternativo di cittadinanza, ma un criterio che consenta di rappresentare la particolare relazione che intercorre tra la mobilita' agita dai migranti, le trasformazioni dei confini europei e quelle della cittadinanza: in altre parole, di rappresentare la stessa cittadinanza europea nella sua complessita'. * Da pagina 77 Parlare di cittadinanza e di diritti dei migranti decontestualizzando dalle trasformazioni dello spazio che le migrazioni attraversano risulta fuorviante. Rischia di far apparire le migrazioni come un oggetto di ricerca astorico ed essenzializzato: quasi che se ne potesse parlare a prescindere dalla specifica forma di organizzazione giuridico-territoriale rispetto alla quale viene costruita la distinzione tra cittadini e stranieri. Assumere la cittadinanza nella sua dimensione contestuale significa certamente riconoscere come essa si sia presentata sotto forme diverse a seconda dei mutati contesti storici, sociali, politici e istituzionali; ma significa anche riconoscere come questi non siano le narrative di evoluzioni deterministiche, bensi' il risultato di processi concreti e conflittuali. Il contesto a cui si fara' riferimento nell'indagine analitica sulle trasformazioni della cittadinanza e' quello dell'Europa e delle trasformazioni del suo spazio giuridico e politico. L'Europa non e' certo soltanto, e neppure principalmente, un'espressione geografica. Cio' nonostante, i processi di trasformazione che la investono non fanno venire meno la necessita' di considerare come i dispositivi della sovranita', pur se trasfigurati, continuino a distendersi nella dimensione dello spazio. Una dimensione che per essere compresa non puo' prescindere dai confini che la delimitano, siano essi confini geografici, simbolici o politico-giuridici. Sono i confini in quanto "soluzioni di continuita'" nell'estensione dello spazio (Cella 2006) a renderne conoscibili le partizioni e, allo stesso tempo, e' la possibilita' di superarli a far si' che la continuita' dello spazio venga percepita come una condizione possibile. Anche lo spazio giuridico segue regole che vengono dettate dai suoi propri confini: ovvero, da quelle norme e disposizioni che governano la condotta umana attraverso lo spazio. L'ambito topografico e cronologico rispetto al quale le norme producono i loro effetti e' determinato dalle norme stesse, secondo quel rovesciamento di prospettiva per cui, nella modernita', sono la politica e il diritto a dare forma allo spazio geografico, rendendolo politico (Galli 2001). Questo, tuttavia, non deve far perdere di vista che, come ha evidenziato Georg Simmel, le forme specifiche di organizzazione della politica "ottengono soltanto in virtu' di altri contenuti la particolarita' dei loro destini" (1908, p. 523). I confini dell'Europa attengono a questo secondo genere di contenuti. Non potendo essere circoscritti a quella linea di demarcazione territoriale che, come gia' sottolineava Friedrich Ratzel (1897), ne costituisce solo l'astrazione figurativa, essi rappresentano piuttosto la zona di tensione dove, venendo esercitata in relazione a un limite, l'interazione umana si manifesta come "un'azione reciproca del tutto caratteristica" (Simmel 1908, p. 531): "Non gia' i paesi, i fondi, il circondario cittadino e quello regionale si delimitano l'un l'altro; ma sono gli abitanti e i proprietari che esercitano l'azione reciproca alla quale si e' teste' accennato" (ib.). Parlare delle trasformazioni dello spazio giuridico e politico europeo richiede di esplicitare, se non una sua aprioristica definizione, per lo meno le principali coordinate entro le quali viene orientato il discorso. Lo spazio giuridico europeo viene indagato qui secondo una prospettiva che lo vede coincidere con l'estensione dello stesso ordinamento europeo, inteso, a sua volta, come un ordinamento composito nel cui ambito le legislazioni e le prassi nazionali non giocano un ruolo indipendente rispetto alle regole riconducibili direttamente alla produzione normativa delle istituzioni europee. Allo stesso tempo, l'ordinamento europeo riconosce e comprende gli ordinamenti degli Stati membri, senza, tuttavia, essere finalizzato al loro superamento. Investigare entrambi i livelli nella loro complessita' e' una scelta obbligata quando si voglia fare riferimento al processo di "costituzionalizzazione materiale" dell'Europa, il quale rimanda a una letteratura critica che considera l'ordinamento europeo come un processo in dinamica trasformazione (cfr., per esempio, Weiler 1999; in Italia, Cassese 2002; Torchia 2006) e del quale fanno parte sia gli Stati che - con rilevanza ancora maggiore - i loro cittadini (Cassese 2003, pp. 29 sgg.). Che l'Europa si trovi al cospetto di un rilevante "momento" costituzionale (Walker 2005; Weiler 1999) non dipende certo dalla sua formalizzazione in un trattato, ma appare evidente adottando una prospettiva piu' ampia che tenga conto delle dimensioni materiali dei processi in corso. Utilizzando il termine di "costituzionalizzazione materiale" non si propone pertanto di indicare un diritto superiore o un insieme di principi che regolano di fatto la convivenza sociale, ma di cogliere il diritto ovunque esso si ponga come costitutivo, o quantomeno come trasformativo dell'esistente anche in riferimento ai rapporti sociali e alle loro gerarchie (Weiler 1999). Vi e', poi, un'accezione ulteriore che emerge quando si guardi all'Europa come a un'entita' politica non riconducibile alla sommatoria di sovranita', pur limitate, degli Stati che la compongono, ma neppure contrapposta a esse: ovvero, la necessita' di cogliere il carattere processuale della sue dinamiche di costituzionalizzazione, piuttosto che provare a rappresentarne gli esiti possibili come definitivi. 5. LIBRI. FRANCESCA LAZZARATO PRESENTA "LA MUSICA DE JULIA" DI ALICIA STEINBERG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 agosto 2008 col titolo "Esercizi di vecchiaia amorosa" e il sommario "L'argentina Alicia Steinberg racconta, in un romanzo intitolato La musica de Julia, le risorse di una passione tra ultrasettantenni" Francesca Lazzarato dirige collane editoriali ed e' autrice, curatrice e traduttrice di molti libri soprattutto per giovani e bambini. Alicia Steinberg (Buenos Aires, 1933), scrittrice argentina, autrice di molti racconti e romanzi. Tra le opere di Alicia Steinberg: Musicos y relojeros (1971); La loca (1973); Su espiritu inocente(1981); Como todas las mananas (1983); El arbol del placer (1986); Amatista (1989); El mundo no es polenta (1991); Cuando digo Magdalena(1992); e la recentissima La musica de Julia (2008)] In Italia la conoscono in pochissimi, eppure Alicia Steinberg, nata nel 1933, e' una delle piu' acute e sperimentate scrittrici argentine, la cui identita' risulta fortemente segnata dalle origini ebraiche (la sua famiglia proviene in parti uguali da Ucraina, Romania e Russia) e dall'esercizio di un senso dell'umorismo fuori del comune, capace di rendere lievi le situazioni e i personaggi piu' difficili, come succede nel suo ultimo libro, La musica de Julia, Alfaguara 2008, pp. 160, euro 7,92), dedicato a una vecchiaia ovviamente insidiata dalla malattia e dalla decadenza fisica, eppure cosi' viva e vitale da tuffarsi in una relazione tutta nuova. Tema principale, l'amore tra due ultrasettantenni che si sono conosciuti da ragazzi e, ormai vedovi e nonni, si ritrovano e si riscoprono per affrontare insieme il futuro e il presente attraverso pagine di diario, ricette di cucina, ricordi assortiti, sogni e fantasie erotiche, riuscendo a trasformare in una risorsa perfino i malesseri e gli inconvenienti dell'eta'. Julia, infatti, soffre di un disturbo dell'udito, l'acufene, che le fa sentire una sorta di perpetuo concerto sgorgato dal nulla: una "colonna sonora" che la inquieta e la diverte, ormai parte integrante della sua vita e percio' anche di quella del suo nuovo compagno Eduardo, voce narrante che ci parla di un diverso modo di stare insieme, di corpi meno esigenti ma ansiosi di vicinanza, di una coppia che non vuole definirsi tale ed e' unita soprattutto dalla sensazione che la vita sia un inizio permanente. * Sullo sfondo di amare visioni Come in tutti i romanzi della Steimberg, non e' difficile riconoscere in Julia una sorta di alter ego dell'autrice, che ha intrecciato l'autobiografia alla scrittura sin dal suo libro d'esordio, Musicos y relojeros (pp. 152, euro 7,92), di cui Alfaguara ha appena proposto una nuova edizione in contemporanea con l'uscita della Musica de Julia. In questa magistrale storia d'infanzia Steinberg ritrae una famiglia (la sua) di immigrati bizzarri e fantasiosi: la nonna convinta di conoscere il segreto dell'immortalita', il nonno ateo, socialista e vegetariano, una madre coraggiosa e infine lei, bambina che osserva, si interroga e racconta il mondo con umorismo tagliente, senza tralasciare lo sfondo sanguinoso degli anni che preparano l'ascesa di Peron. Attentissima all'intimita' femminile, alle mitologie familiari e all'arbitrarieta' dei codici sociali, la Steinberg non dimentica infatti di dipingere in modo riconoscibile i problemi e le tensioni che hanno agitato e agitano il suo paese, come in La loca 101 (Tusquets 1992), un libro sperimentale nella forma e irresistibile nel contenuto, in cui si dispiega tutta la sapienza satirica di chi sa farci ridere proprio mentre ci offre una visione assai amara della societa' in cui vive. E varrebbe la pena, forse, che gli editori italiani prendessero in considerazione un'autrice cosi' divertente, "cattiva" ed eccentrica: a tutt'oggi, infatti, questa signora della letteratura argentina novecentesca e' ancora inedita nel nostro paese. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 564 del 31 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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