Minime. 554



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 554 del 21 agosto 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La guerra afgana
2. Declinando un invito
3. Consigli di saggezza
4. Enrico Piovesana: L'Occidente sta perdendo la guerra in Afghanistan
5. Cindy Sheehan: Sull'orlo dell'abisso
6. Wim Wenders: Film
7. Bianca Garavelli: Ornela Vorpsi
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GUERRA AFGANA

La guerra terrorista e stragista in Afghanistan. La guerra imperialista e
razzista.
La guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e
della legalita' costituzionale.
La guerra di Berlusconi e di Prodi, di Bossi e di Bertinotti, di Fini e di
D'Alema.
La guerra nemica dell'umanita'.
*
La guerra su cui tacciono i corrotti tromboni di quello che fu
l'autoproclamato movimento pacifista italiano.
La guerra su cui tacciono i pingui professori di nonviolenza con incarichi e
finanziamenti ministeriali.
La guerra totalitaria che ha spianato la strada al totalitarismo nel nostro
paese.
*
La guerra, e tu contrastala.
La guerra, che e' sempre assassina.
*
Salvare le vite, costruire la pace con mezzi di pace, difendere i diritti
umani di tutti gli esseri umani, e primo di tutti il diritto a non essere
uccisi.
Opporsi a tutti gli omicidi, a tutte le armi, a tutti gli eserciti.
Resistere al male.
Scegliere la nonviolenza.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. LE ULTIME COSE. DECLINANDO UN INVITO

Che me ne frega della guerra afgana?
Io sto scrivendo un denso e acuto saggio
su nonviolenza ed etica cristiana:
fermar le stragi e' fuori del mio raggio.

L'Italia e' in guerra? Si', pero' e' lontana,
a un popolo barbarico e selvaggio,
e finira' anche questa di buriana,
la civilta' esige il suo pedaggio.

E poi adesso ho in corso un importante
progetto di ricerca finanziato
dal ministero sulle opere sante

di chi alla salvaguardia del creato
alla giustizia, ed alla pace tante
dedico' cure. Son troppo impegnato.

3. LE ULTIME COSE. CONSIGLI DI SAGGEZZA

Contro la guerra afgana protestare?
Ma dura da una vita, e' fuori moda,
certo dispiace che ogni giorno esploda
qualche povero fesso, e bombardare

convengo che non sia degno di loda.
Ma se siam li' bisogna pur ballare
e ci son cose dolci e cose amare
e giocoforza e' che chi fa s'imbroda.

Adesso protestar contro la guerra
mi pare - posso dirlo? - da cafone,
e che figura fai in televisione?

il solito strillone zappaterra...
Suvvia, perche' vuoi farti dar la baia?
Stattene zitto e buono in piccionaia.

4. GUERRA. ENRICO PIOVESANA: L'OCCIDENTE STA PERDENDO LA GUERRA IN
AFGHANISTAN
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 20 agosto 2008 col titolo "ImpantaNato" e il sommario
"L'Occidente sta perdendo la guerra in Afghanistan".
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in
qualita' di inviato]

"Gli ultimi attacchi dimostrano che la strategia occidentale in Afghanistan
sta fallendo, e sta mostrando la reale forza dei talebani, che ormai
controllano gran parte del Paese e sono in grado di muovere rapidamente
verso la capitale Kabul". All'indomani delle micidiali offensive talebane
contro i para' francesi alle porte di Kabul (Surobi) e contro la principale
base Usa sul confine pachistano (Khost), il think tank internazionale Senlis
Council riconosce un'evidenza ormai innegabile: la Nato e gli Stati Uniti
stanno perdendo la guerra in Afghanistan.
E non potrebbe essere diversamente, visto che tutti i fattori in gioco sono
in questo momento a vantaggio della guerriglia afgana.
*
La debolezza degli alleati
Gli Stati Uniti, con Bush ormai a fine corsa e le elezioni in vista, non
hanno la forza politica di dare una svolta militare al conflitto,
disimpegnandosi decisamente dal fronte iracheno per impegnarsi su quello
afgano. Gli alleati della Nato, tranne la Francia di Sarkozy, hanno
chiaramente dimostrato di non avere alcuna intenzione di farsi carico di
questa guerra: anche Gran Bretagna e Canada, i due paesi che finora hanno
dato di piu' sul fronte afgano, mostrano segni di stanchezza. Il risultato,
sul terreno, e' la sempre piu' evidente incapacita' dei 50.000 soldati
occidentali di far fronte alla situazione. Senza nemmeno poter contare
sull'aiuto dell'esercito afgano, dimostratosi del tutto incapace di fornire
quel contributo alla guerra che il Pentagono aveva messo, ingenuamente, in
conto.
*
La retrovia pachistana
A peggiorare drasticamente la situazione, a tutto vantaggio dei talebani, e'
intervenuta negli ultimi mesi la crisi politica pachistana. L'uscita di
scena del generale Musharraf, che negli anni passati aveva tenuto
militarmente impegnati i talebani rifugiati nelle Aree Tribali pachistane,
ha permesso a questi ultimi di usufruire di una tregua che ha consentito
loro di riorganizzarsi e di concentrarsi totalmente sul fronte afgano,
portando la guerra fino alle porte di Kabul. Adesso e' nella retrovia
pachistana che gli Stati Uniti si giocano l'esito della guerra in
Afghanistan, spingendo l'esercito di Islamabad a reimpegnare i talebani
nelle Aree Tribali, dove infatti da due settimane il generale pachistano
Kyani ha scatenato una nuova offensiva, che ha gia' provocato cinquecento
morti e 200.000 sfollati.

5. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: SULL'ORLO DELL'ABISSO
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
intervento del 19 agosto 2008 dal titolo "Cindy Sheehan: Sono sciocchezze" e
il sommario "L'icona del pacifismo Usa si candida al Congresso nel collegio
della democratica Nancy Pelosi. E dice la sua". La traduzione e' inadeguata,
e dove abbamo trascritto "sciocchezze" (e altrove "schifezza")
nell'originale vi era un piu' grossolano termine - ma il nostro foglio non
e' un letamaio (p. s.).
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq il 4 aprile
2004; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford,
fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con
l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio;
intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli
Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; ha pubblicato il libro Not
One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito
www.koabooks.com; e un secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from
Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e' disponibile: Mamma
pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling & Kupfer, Milano 2006]

"Non dobbiamo chiederci se saremo estremisti, ma chiederci invece: che tipo
di estremisti saremo?" (Martin Luther King).
Sai, non mi importa se non e' appropriato per un candidato al Congresso dire
la parola "sciocchezze". Non mi importa se non e' una buona "tattica" farsi
cacciare da una seduta di inchiesta del Congresso che non trattava
dell'impeachment e che era, comunque, soltanto una sciocchezza. Non mi
importa se mi si accusa di essere troppo "estremista" per il fatto di
essermi ribellata al sistema facendo di tutto, dal campeggio in un fosso a
Crawford, in Texas, alla disobbedienza civile nonviolenta, all'essermi
candidata al Congresso indipendentemente (che scandalo!) da qualunque
partito.
Se la gente non riesce a vedere che questa nazione e' sull'orlo dell'abisso
della rovina finanziaria e che sta trascinando il resto del pianeta nel
baratro con noi, mentre distruggiamo il nostro ambiente... se le persone non
si rendono conto di quanto disperata sia la nostra situazione, devo dire, e'
una schifezza!
Sono arrabbiata. No, sono furente che centinaia di migliaia di persone siano
morte, morenti, ferite, in fuga della loro case o imprigionate e torturate
dai sadici che risiedono o lavorano all'indirizzo 1600 Pennsylvania Avenue,
con l'approvazione dei loro complici vicini di casa, al Congresso. Sono
furente di aver dovuto seppellire il mio figlio maggiore quando aveva 24
anni, a causa delle bugie impenitenti e i crimini impuniti della banda di
Bush. Tu sei furente? In caso contrario, forse dovresti chiederti:
"Perche'?". Cosi', a livello ipotetico: "Perche' non sono infuriato del
fatto che il mio Paese ha ucciso o ferito cosi' tante persone per nessuna
causa nobile, a nome mio e con la mia tacita approvazione?".
Sono furente che la classe lavoratrice debba nuovamente pagare gli eccessi
dei criminali capitalisti che nutrono i loro appetiti da rapaci con la carne
e il sangue dei nostri figli e non troveranno requie fino a che non avranno
ottenuto ogni centesimo e ogni potere a questo mondo.
Forse dirai, "Ma Cindy, non e' educato essere arrabbiati o usare queste
parole forti in pubblico". Sciocchezze! Secondo me, ogni cittadino di questo
Paese dovrebbe sollevarsi con rabbia ed esigere che George Bush e Dick
Cheney non solo siano incriminati e rimossi dalla carica, ma che siano
processati e condannati per omicidio e crimini contro la pace e l'umanita'!
Dovremmo tutti andarcene dai nostri posti di lavoro, rifiutarci di lavorare
e rifiutarci di essere degli ingranaggi nel meccanismo psicotico del
consumismo fino a quando le nostre truppe, gli appaltatori dell'esercito
("contractors") e le basi permanenti sono state ritirate dall'Iraq e
dall'Afghanistan. Dovremmo, ma la maggior parte di noi non lo fara'. Non lo
faremo, perche' potrebbe significare che potremmo perdere qualcosa "di
valore". I beni materiali sono qualcosa di talmente transitorio, come le
nostre stesse vite. Possiamo lasciare un'impronta permanente con il nostro
coraggioso attivismo e il sacrificio morale, o possiamo lasciare un mucchio
di metallo che arrugginisce e legno che marcisce. Scelgo, per me, di seguire
la prima via.
Dovremmo uscire dal nostro coma collettivo fatto di troppi notiziari tv e di
troppo poche informazioni obiettive, per sostenere delle alternative ai
combustibili fossili che siano pulite e rinnovabili, protestare contro gli
impianti nucleari e le piattaforme petrolifere marine, come si faceva una
volta quando alle persone importava abbastanza di non avvelenare il nostro
mondo da alzarsi dal divano oppure (oggi) da uscire da dietro lo schermo del
computer, per fare qualcosa di costruttivo invece di sganciare tranquilli e
soddisfatti centinaia di dollari alla settimana per la benzina e per il
cibo.
Mi irrito cosi' tanto quando uno dei miei sostenitori ha il mal di denti e
non puo' permettersi di andare da un dentista per farsi curare, o vedendo
mia sorella che ha la tosse da quasi due anni e non ha l'assicurazione
sanitaria di cui ha bisogno per guarire completamente. E vedo rosso quando
penso che quasi 50 milioni di persone in questo Paese non hanno una
copertura sanitaria, o ne hanno una insufficiente. Perche', in uno dei Paesi
piu' ricchi del mondo, alcune persone hanno il privilegio di avere una
copertura piena ed essere sani, quando le cure sanitarie sono un basilare
diritto umano, non un privilegio per chi appartiene ad un'elite? Mi fa male
il cuore ogni notte, quando gli uomini che dormono appoggiati all'ufficio da
dove dirigo la mia campagna elettorale, accoccolati stretti sotto le loro
coperte per proteggersi dal freddo della notte a San Francisco, mi augurano
la buona notte e non mi esce la voce per potergli rispondere con le stesse
parole, ne' riesco a fare granche' d'altro, tranne dargli del caffe' per
scaldarsi e dei libri da leggere per passare il tempo. Ogni giorno vengono
nel mio ufficio dei veterani della guerra in Iraq che non riescono ad avere
accesso all'aiuto che gli serve per guarire nel corpo e nella psiche - e io
sarei "estremista", perche' voglio che le cose cambino davvero e scelgo
quindi di agire in proposito e non stare seduta a fare finta che queste
schifezze non esistano?
Da quando e' morto Casey, anche se ogni giorno mi sento colma di dolore e
angoscia, ho tentato di essere la portavoce di questo dolore, dicendo ai
miei vicini e ai miei compatrioti come ci si sente ad essere profondamente
feriti dal complesso militare-industriale e che non sarebbe passato molto
tempo, prima che il cancro rappresentato da Bush e Co. colpisse ogni casa
statunitense. e adesso che questa profezia si sta terribilmente avverando,
vedo sempre piu' apatia e sempre meno azione.
Tre anni fa oggi mi sono seduta per la prima volta in un fosso a Crawford,
in Texas e tre anni dopo, siamo in una situazione gravissima, amici miei e
la prognosi non e' buona, a meno che non ci si sforzi tutti e in maniera
consapevole di sacrificare una parte della comodita' di oggi per amore del
futuro dei nostri figli e nipoti.
Sessantatre anni fa, i mostri della macchina bellica statunitense hanno
usato un'arma di distruzione di massa su centinaia di migliaia di donne e
bambini innocenti e da allora questa nazione non ha fatto altro che
decadere, verso un'ulteriore spirale di guerra, approfittando della guerra,
preparando la guerra e nuovamente approfittando della guerra; una spirale
che sta distruggendo ogni aspetto della nostra societa', e dobbiamo
riprendere le nostre stesse anime dal complesso militare-industriale prima
che sia troppo tardi.
Vi prego di non aspettare novembre o gennaio o l'alba dell'Eta'
dell'Acquario, perche' ogni secondo in cui permettiamo che continui questa
dinamica folle e' un secondo di troppo!
Datevi una mossa!

6. CINEMA. WIM WENDERS: FILM
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 18 novembre 2007 col titolo "Vi racconto
i film della mia vita" e il sommario "Una retrospettiva al Torino Film
Festival celebra il regista tedesco. Che, per ciascuna delle sue opere, ha
accettato di registrare un video in cui racconta la nascita della
sceneggiatura, i retroscena del set, i vezzi degli attori. Ne abbiamo
trascritti e selezionati alcuni, ricavandone l'autoritratto di uno dei
protagonisti piu' amati del cinema contemporaneo. L'opera 'Nel corso del
tempo' e' molto particolare: non c'era traccia di sceneggiatura, c'era solo
una strada".
Wim Wenders, regista cinematografico tra i maggiori, e' nato a Duesseldorf
nel 1945. Tra le opere di Wim Wenders: Prima del calcio di rigore (1971), La
lettera scarlatta (1972), Alice nelle citta' (1973), Falso movimento (1975),
Nel corso del tempo (1975), L'amico americano (1977), Nick's movie - Lampi
sull'acqua (1980), Lo stato delle cose (1981-82), Hammett - Indagine a
Chinatown (1983), Paris, Texas (1984), Tokio-Ga (1986), Il cielo sopra
Berlino (1987), Appunti di viaggio su moda e citta' (1991), Fino alla fine
del mondo (1991), Arisha (1993), Cosi' lontano cosi' vicino! (1993), Lisbon
story (1995), Al di la' delle nuvole (1995), I fratelli Skladanowsky (1995),
Crimini invisibili (1997), Buena Vista Social Club (1999), The Million
Dollar Hotel (1999), The Blues - L'anima di un uomo (2003), La terra
dell'abbondanza (2004), Non bussare alla mia porta (2005). Tra le opere su
Wim Wenders: Filippo D'Angelo, Wim Wenders, Il Castoro Cinema]

Alice nelle citta'
E' un film a cui sono molto, molto affezionato. Quando lo girai, nell'estate
del 1972, avevo ventisette anni. Non ero contento di cio' che avevo fatto
fino ad allora. Non ero sicuro di voler continuare a fare il regista. Potevo
rimettermi a fare il critico, o a dipingere. Quindi pensai che dovevo fare
un film per dimostrare a me stesso che questo era cio' che avrei fatto per
tutta la vita: fare film. Cosi' decisi di fare un film molto personale.
Scrissi la sceneggiatura di Alice nelle citta' da solo. In realta', scrissi
la sceneggiatura solo per chiedere i finanziamenti, ma appena iniziammo le
riprese la lasciai perdere, e continuammo a scrivere mentre giravamo il
film. Questo si rivelo' un metodo che mi piaceva molto, con cui mi sentivo
molto a mio agio. La troupe apprezzo' molto questo modo di lavorazione on
the road. Era una piccola troupe, eravamo in tutto otto persone. Non avevamo
molti soldi, ma a volte quando non hai molti soldi hai tutto cio' che ti
serve, e a volte quando hai un sacco di soldi non hai abbastanza. In Alice
nelle citta' sentivo di avere abbastanza di tutto. Lo girammo molto
velocemente, in quattro settimane, in 16mm, e mentre lo montavo con Peter
Przygodda, mi resi conto che si', avrei continuato a fare il regista.
*
Falso movimento
E' il primo film di Nastassja Kinski. La conobbi in una discoteca, a Monaco.
Stava ballando, era bellissima, e io cercavo una ragazza della sua eta'.
Mandai la mia ragazza a chiederle se potevo parlare con sua madre, perche'
non volevo andare li' e dirle: "Salve, sono un regista, vuoi fare un film
con me?". Andai a trovare sua madre il giorno dopo. Non volevano dirmi
quanti anni avesse, perche' per entrare in discoteca doveva avere sedici
anni. All'inizio mi dissero che aveva quindici anni, ma alla fine lei
confesso' di avere quattordici anni, e quando le facemmo il contratto venne
fuori che ne aveva tredici. Andava ancora a scuola e non era mai stata
davanti ad una macchina da presa.
*
Nel corso del tempo
Fu girato nell'estate del 1975. E' davvero il road movie per eccellenza,
perche' non c'era una sceneggiatura, c'era solo un itinerario. Avevo una
grande cartina della Germania. Percorsi da nord a sud il confine tra le due
Germanie, una strana terra di nessuno proprio nel mezzo del paese. I giovani
se ne andavano da li', era una regione abbandonata. Il Muro era una strana
presenza, proprio in mezzo al paese. Io seguii il Muro e feci un film in
bianco e nero. Con una troupe ridottissima, otto persone, ma girato in 35mm.
Conoscevo bene l'itinerario, l'avevo gia' percorso due volte, e avevo
visitato tutte le cittadine, i villaggi e le citta' piu' grandi lungo il
confine tra le due Germanie - ovviamente, sul versante occidentale del
confine - in cui ancora c'erano dei cinema. Il "Re della strada", il
personaggio principale, va di cinema in cinema a riparare i proiettori. Ha
un grande camion e fa sempre questa strada, da solo sul suo camion. Ma
stavolta, nella nostra storia, ha qualcuno che gli fa compagnia. Incontra
Kamikaze. Questa era l'unica cosa scritta che avevamo, la prima scena, la
prima pagina di dialogo: come i due si incontrano. Kamikaze, che sta
guidando la sua volkswagen, finisce dentro al fiume Elba, che segnava la
linea di confine tra le due Germanie. Da quel punto in avanti, non c'era
piu' sceneggiatura. La scrivevo sera dopo sera, fu un'esperienza fantastica.
*
L'amico americano
Girai questo film nell'autunno del 1976. Era tratto da un romanzo di
Patricia Highsmith. I suoi libri mi piacciono molto, li ho letti tutti. Il
mio preferito era The Cry of the Owl. Cosi' scrissi al suo editore e gli
chiesi se potevo trarne un film. Mi risposero di no, i diritti erano gia'
stati acquistati da una casa di produzione americana. Quindi la mia seconda
scelta fu The Tremor of Forgery. Scrissi un'altra lettera. Settimane dopo mi
risposero: "No, i diritti sono gia' stati comprati". Allora passai in
rassegna tutti i romanzi della Highsmith che amavo e il risultato era sempre
lo stesso: non c'erano diritti disponibili. Alla fine ricevetti una lettera
direttamente da Patricia Highsmith: "Ho saputo che vorrebbe acquistare i
diritti dei miei romanzi. Venga a trovarmi". Lei viveva in Svizzera. Io
andai la' e la conobbi. Viveva da sola in una piccola casa, con tanti gatti.
Fu molto gentile. Mi offri' te' e biscotti, e poi volle saperne di piu' su
di me, chi ero e perche' ero cosi' affascinato dai suoi romanzi. Le dissi la
verita'. Fu un incontro piacevole. Alla fine lei ando' alla sua scrivania e
tiro' fuori un manoscritto: "E' vero, tutti i miei romanzi sono opzionati da
produzioni americane, ma questo l'ho appena finito e nemmeno il mio editore
ne sa nulla. Quindi posso assicurarle che i diritti di questo sono
disponibili". Era il manoscritto di Ripley's Game. Cosi' Ripley's Game
divenne la base di The American Friend.
Dennis Hopper e Bruno Ganz erano due attori con metodi molto diversi, e
quindi sul set di The American Friend si scontrarono. Bruno era molto
coscienzioso. Era il suo primo film commerciale, e si era preparato
meticolosamente. Bruno era sui trentacinque anni e aveva lavorato solo in
teatro. Dennis, al contrario, non aveva mai fatto teatro, solo film, e
arrivo' senza nessuna preparazione. Ma a ogni ciak, Dennis era sempre
pronto, preciso. Bruno era molto infastidito dal fatto che questo tizio, che
non aveva nemmeno letto la sceneggiatura, fosse cosi' bravo davanti alla
macchina da presa. Cosi', uno dei primi giorni delle riprese, in mezzo a una
scena, all'improvviso cominciarono a picchiarsi. E non era in sceneggiatura.
Cominciarono a prendersi a pugni. Prima che ce ne accorgessimo, erano a
terra con il naso rotto. Sembravano due gatti. Dovemmo interrompere la
ripresa. Se ne andarono insieme e quel giorno non li vidi piu'. Il giorno
dopo arrivarono. Erano ridotti uno straccio. Erano stati tutta la notte
fuori. Non potei girare neanche quel giorno, ma da allora divennero grandi
amici. E da quel giorno Dennis venne sempre a chiedermi la sceneggiatura,
per leggerla insieme a me e prepararsi. Bruno Ganz, invece, quando volevo
parlare con lui della scena, mi diceva: "No, la improvviso". Impararono
molto l'uno dall'altro.
*
Nick's film
Il progetto fu un'idea di Nicholas Ray. Un paio d'anni dopo L'amico
americano, ero a Hollywood a lavorare su Hammett. Nick mi chiamo' e mi
disse: "Wim, non sto bene, sono appena uscito dall'ospedale". Era gia' la
seconda volta che lo operavano. Aveva un cancro ai polmoni: "Mi e' rimasto
un solo desiderio. Mi piacerebbe fare un altro film. Per me da solo sarebbe
difficile realizzarlo, ma insieme, forse possiamo farcela". Ci sedemmo ad un
tavolo per parlarne e poco dopo cominciammo a girare, perche' sapevamo che
c'era poco tempo. Alla fine il film divenne un documentario, il cui
argomento e', piu' o meno, la morte di Nick. Io e tutta la troupe eravamo
pieni di dubbi. Ci chiedevamo se avevamo il diritto di filmare un uomo in
quello stato, di fare un film cosi' personale sulla morte di un uomo, su un
uomo che muore. Parlai piu' volte con i suoi medici. Dicevo loro che era
meglio fermarsi, che non si poteva continuare. Ma loro mi dissero che
interrompere sarebbe stato peggio. Quindi andammo avanti fino all'ultimo,
quando Nick passava ormai la maggior parte delle giornate in ospedale, dove
lo riempivano di antidolorifici. E poi un giorno capimmo che non potevamo
piu' andare avanti. Poche settimane dopo Nick mori'. Nick resto' lucidissimo
fino all'ultimo. Facemmo una bella ripresa con lui, la scena piu' lunga del
film, quando lui alla fine dice: "Stop".
*
Paris, Texas
Il film fu girato nell'estate del 1983 e tutto funziono' come per magia. Fu
girato in America in modo clandestino. Avevo una troupe europea, erano tutti
in America con visti turistici, giravamo senza nessuna autorizzazione, con
un budget limitato. Alla fine il sindacato dei camionisti ci scopri' e
dovemmo assumere dieci autisti. Questo ci costo' una settimana di riprese.
Alla fine dovemmo fare il film con meta' del budget programmato, perche' il
dollaro quell'anno ando' alle stelle. A volte, quando hai meno soldi di
quanto vorresti, devi sostituirli con qualcos'altro, che e' molto piu'
prezioso dei soldi, cioe' con l'immaginazione. Per Paris, Texas fummo
costretti ad usare molta immaginazione.
Io e Sam Shepard avevamo scritto mezza sceneggiatura, perche' Sam doveva
venire con me durante le riprese, cosi' avremmo scritto la seconda meta'
mentre giravamo. Ma quando cominciammo a girare, Sam non era piu'
disponibile. Stava girando un film con Jessica Lange, perche' si era
innamorato follemente di lei. Il film si intitolava Country. E lo giravano
nel nord degli Stati Uniti, mentre io stavo girando nel caldo rovente del
Texas. Quindi ero senza sceneggiatore e dovetti piu' o meno inventarmi la
seconda parte del film da solo. Mandai il mio schema a Sam, o forse gliene
parlai al telefono, perche' all'epoca il fax non esisteva. In una notte Sam,
su nel Wisconsin, scrisse i dialoghi della seconda parte e me li detto' al
telefono nel bel mezzo della notte. Io li scrissi a macchina per darli agli
attori il giorno dopo, e cosi' Sam riusci' a finire la sceneggiatura del
film.
*
Buena Vista Social Club
Io e Ry Cooder stavamo lavorando insieme alla colonna sonora di The End of
Violence. Vedevo che aveva qualcosa di strano. Se ne stava seduto li', a
guardare il vuoto. Allora gli chiesi: "Ry, che cos'hai? Dobbiamo lavorare.
Dove sei?". E alla fine mi rispose: "Sono ancora all'Avana". "Che succede
all'Avana?". E lui: "Ho registrato la migliore musica della mia vita,
laggiu'". A fine giornata, quando lasciammo lo studio, mi diede delle
cassette e disse: "Questo e' il pre-missaggio. Ma devi riportarmelo domani".
Non avevo piu' un mangianastri a casa, ce l'avevo solo in macchina, cosi'
ascoltai la cassetta mentre guidavo verso casa e... era elettrizzante.
Veramente roba da impazzire. Non avevo mai sentito una musica cosi'
trascinante in tutta la vita. Ascoltai quella cassetta tre volte. Continuai
a guidare intorno a casa per ore, solo per ascoltarla. Il giorno dopo,
riportai la cassetta a Ry e gli chiesi: "Chi sono i ragazzi con cui hai
inciso questa musica incredibile?". Lui rise e mi disse: "Non sono
esattamente dei ragazzi". E mi racconto' la storia di Compay Segundo, che
aveva piu' di novant'anni, di Ruben Gonzalez, che ne aveva piu' di ottanta,
anche Ibrahim Ferrer aveva quasi ottant'anni. E io non riuscivo a crederci.
Qualche mese dopo mi chiamo' e disse: "Wim, ci torno la prossima settimana".
E io: "Dove?". E lui: "All'Avana". Mi diede cinque giorni per mettere
insieme una troupe e trovare un po' di soldi per andare all'Avana con lui.
Cominciammo a girare appena scesi dall'aereo. Restammo li' a girare per tre
settimane. Mai divertito tanto. Non sembrava nemmeno di lavorare. Era come
ballare.

7. SCRITTRICI. BIANCA GARAVELLI: ORNELA VORPSI
[Dal mensile "Letture", n. 640, ottobre 2007 col titolo "Ornela Vorpsi".
Bianca Garavelli e' scrittrice e docente. Dal sito www.biancagaravelli.it
riprendiamo la seguente notizia: "Bianca Garavelli e' nata a Vigevano, e
attualmente svolge attivita' di ricerca presso l'Istituto di Italianistica
dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E' narratrice,
interprete di Dante e critica letteraria. Esordisce con la raccolta di
poesie L'insonnia beata (Edizioni del Laboratorio, Modena, 1988, con la
prefazione di Antonio Porta); nel 1990 pubblica il suo primo romanzo L'amico
di Arianna (Alfredo Guida) a cui seguono nel 1997 Guerriero del Sogno (La
Vita Felice, Milano), finalista al premio Montblanc, e nel 1999 il romanzo
per ragazzi Il mistero di Gatta Bianca (Laterza, Bari). Nel 1996 pubblica
per Bompiani (Milano) i due volumi antologici Leggere la poesia
dell'Ottocento e Leggere la poesia del Novecento. Nel 2001 esce sempre per
Bompiani l'edizione rinnovata del suo commento all'Inferno di Dante (prima
edizione 1993, con la supervisione di Maria Corti), e il volume di Canti
scelti della Commedia; nel 2002 i commenti al Purgatorio e al Paradiso. Nel
2006, in gennaio, sempre da Bompiani esce l'edizione di tutti i canti in
volume unico (Editio Minor); in settembre La Divina Commedia. Canti scelti
nella collana 'Pillole' della Bur Rizzoli. Cura per le Edizioni Medusa
(Milano) i volumi di Etienne Gilson, Dante e Beatrice (2004) e La scuola
delle Muse (2007), e cura e traduce dal francese antico Il Dibattito sul
Romanzo della Rosa di Christine de Pizan, Jean Gerson e Jean de Montreuil
(2006), e recentemente il Libro della pace sempre dell'autrice
italo-francese quattrocentesca Christine de Pizan (2007). Tra il 1997 e il
2000 cura la collana "I Grandi Classici della Poesia" Fabbri, che esce nelle
edicole, con i classici presentati da poeti contemporanei. Recentemente la
sua attivita' narrativa si e' intensificata: con i romanzi Beatrice (Moretti
& Vitali, Bergamo 2002), Il passo della dea (Passigli, Firenze 2005) e Amore
a Cape Town (Avagliano, Roma 2006), con il quale si e' aggiudicata
l'edizione 2007 del Premio "Angeli nel cielo del Cilento". Collabora al
quotidiano "Avvenire", al mensile "Letture", al sito "Treccani scuola", e a
"Testo", rivista di teoria e storia della letteratura e della critica. E'
nella giuria dei premi di poesia "Metauro" (presidente Umberto Piersanti) e
"Senigallia spiaggia di velluto" (presidente Alberto Bertoni) e del premio
di narrativa "Tracce di territorio" (presidente Mino Milani)".
Ornela Vorpsi e' nata a Tirana nel 1968. Ha studiato Belle Arti in Albania,
poi, dal 1991, all'Accademia di Brera. Dal 1997 vive a Parigi. E' fotografa,
pittrice, videoartista, scrittrice. Il paese dove non si muore mai, il suo
primo romanzo, pubblicato in Francia da Actes Sud e' stato tradotto - o e'
in corso di traduzione - in una decina di paesi. Opere di Ornela Vorpsi: Il
paese dove non si muore mai, Einaudi, 2005; Vetri rosa, Nottetempo, 2006; La
mano che non mordi, Einaudi, 2007]

Uno dei punti cruciali dell'Europa in trasformazione, la penisola balcanica,
entra da protagonista nella nostra letteratura contemporanea. Ornela Vorpsi
e' albanese, vive in Francia e scrive in italiano. Gia' questo
cosmopolitismo esistenziale prima che artistico basterebbe a farne un
personaggio, letterariamente nel solco di grandi tradizioni europee come il
"tedesco praghese" di Kafka, "l'italiano austriaco" di Saba, e i casi dei
poeti "dialettali" che scelgono l'idioma d'origine, o un dialetto ideale,
costruito, come lingua della scrittura.
Il primo libro le ha dato subito la fama, facendole vincere ben cinque premi
importanti (tra cui il Grinzane Cavour opera prima e il Viareggio culture
europee), per la freschezza con cui ha portato, come un bagaglio invisibile
ma indelebile, il suo mondo d'Albania e l'ha reinventato sulla pagina. La
sua storia letteraria e' per ora breve, ma gia' ben tracciata: tre testi
narrativi, non romanzi in termini tradizionali, tutti all'insegna della
brevita', dell'intensita' a tratti visionaria e di una nitida crudelta'. Il
primo, Il paese dove non si muore mai (Einaudi, 2005), e' costruito con una
struttura simile a quella del Marcovaldo di Calvino: un "macrotesto", per
usare la definizione di Maria Corti, che con una serie di racconti tutti con
lo stesso protagonista forma un libro molto compatto, anche se difficilmente
definibile, ne' romanzo ne' raccolta di racconti. Nel caso di Vorpsi, con la
variante che i personaggi non sono gli stessi, ma cambiano nome, pur
somigliandosi notevolmente, al punto da far pensare alla metamorfosi
nominale di uno stesso nucleo psicologico che di volta in volta osserva e
prende parte agli eventi, e in alcuni casi risponde al nome di Ornela. La
spietatezza malinconica di questi racconti nasce da una nostalgia
conflittuale: il "paese dove non si muore mai", l'Albania nel cui
vocabolario non esiste la parola "umilta'", e' un ricordo prepotente, ma non
viverci piu' e' una necessita' e un sollievo. Lo testimoniano storie
tragiche come quelle di Bukuria e Ganimete, madre e figlia internate in un
campo di lavoro per "immoralita'", che si impiccano insieme col filo
elettrico, suscitando stupore "che questa baracca abbia avuto un filo
elettrico piantato cosi' forte da tenere appesi i corpi magri delle due
puttane". Due vite che il regime comunista ha falciato, due begli esseri
umani che l'io narrante invece osservava con interesse, forse amore. Lo
testimonia la ricerca di un "tesoro" al di la' di ogni ragionevole speranza,
che sia questo materiale cumulo di monete d'oro o "terra promessa" che
esaudisca desideri e sogni, con una tenacia che testimonia nella
protagonista "una volonta' temeraria e forti aspirazioni che fanno andare
avanti".
Il secondo libro, Vetri rosa (Nottetempo, 2006), e' ancora piu' breve, tutto
in prima persona, dunque si puo' pensare profondamente impregnato di
sostanza autobiografica. Sostanza ancora albanese, ma su un versante piu'
interiore, piu' personale, specialmente rispetto agli scorci di vita sociale
e politica che si aprivano nel primo libro. E' il nucleo magico
dell'infanzia e dell'adolescenza a essere esplorato qui, in tutta la sua
forza espansiva, come dai vetri rosa di un caleidoscopio, dal morbido colore
ma dalle potenzialita' taglienti. Ancora diviso in capitoli-racconti tutti
con la stessa protagonista, ha in piu' una dimensione visionaria che era in
embrione nel libro precedente: a narrare le storie, gli incontri, gli
intrecci di vita con svariati personaggi sospesi nel tempo della prima
giovinezza, e' una voce femminile che parla da quello che chiama Purgatorio,
ma che somiglia piuttosto a un Limbo, e premette di essere morta a
diciassette anni. Ha cosi' raggiunto la perfezione nell'attivita', gia'
importante nel primo libro, dell'osservare: nella morte "il pensiero e'
oggettivo perche' si e' distaccati dal terrestre. Sono un perfetto
spettatore". Forse questo e' il ruolo a cui tende l'autrice, mentre la vita
invece la coinvolge e la trascina.
Da tale posizione privilegiata, questo io narrante si spinge molto piu' in
profondita' nell'analisi delle psicologie, anche se in brevi fulminanti
passaggi dove l'intreccio fra adolescenza e morte assume una dimensione
allucinata, e soprattutto nella riflessione sulla vita, che "da sempre
mangia milioni di esseri umani, per sfamarsi", poi all'improvviso, per
capriccio "decide di metterne uno nel vasto palmo della sua mano dove lo
lascia riposare in vista della gloriosa luce del successo".
Il terzo libro, La mano che non mordi (Einaudi), e' il piu' evoluto verso
una dimensione romanzesca, non piu' diviso in quadri, ma disteso in un unico
grande discorso in prima persona, senza nemmeno alcuna divisione in
capitoli. Ed e' anche il banco di prova piu' interessante per questa giovane
voce narrativa, quello che avrebbe potuto rivelare qualche cedimento, oppure
confermare, come avviene, un talento indiscutibile.
Qui c'e' una trama unitaria, ma non sviluppata in modo tradizionale: non e'
rispettato l'ordine cronologico degli eventi, anzi il tempo e' dilatato non
solo in ampi flashback, ma anche in lunghe digressioni che danno vita a
spettri interiori, fobie, ossessioni. In tutti i sensi "portante" e' la
sequenza di apertura, in cui la protagonista si distrugge nello sforzo di
sostenere col pensiero un aereo in volo da Parigi a Sarajevo. Ed e' nella
citta' serba che si svolge principalmente la semplice vicenda: la
protagonista va a trovare l'amico serbo Mirsad, che l'ha chiamata in suo
aiuto perche' sta male. Indipendentemente dallo stato di salute dell'amico,
che non si chiarisce mai del tutto, il viaggio scatena una serie di ricordi,
emozioni, riflessioni e bilanci che fanno capire come i Balcani siano sempre
la principale fonte di ispirazione di Vorpsi. Tuttavia si intuisce come
l'orizzonte si sia allargato: in realta', e' l'esperienza dello sradicamento
che viene messa sotto la lente, la scoperta delle proprie reazioni di fronte
alla multiculturalita', alla forzata acquisizione di piu' lingue, abitudini,
di modi di vedere il mondo.
Vorpsi e' un'albanese che sembra una francese, o un'italiana, che ama ancora
la sua terra d'origine ma non riesce piu' a viverci, eppure, forse per un
inconscio senso di colpa, si ammala per questo straniamento. La protagonista
scoprira' infatti di aver contratto lo stesso male dell'amico Mirsad: egli
l'avverte che e' diventata "verde" proprio come lui nel decorso iniziale
della malattia, che e' una sorta di alienazione totale, di resa a una
condizione "straniera". Qualcosa di piu' profondo di un semplice esilio, una
specie di metamorfosi che fa pensare alle trasformazioni dell'Europa dei
nostri giorni.
La materia narrativa di Ornela Vorpsi con questo terzo libro e' uscita dai
confini albanesi, dimostrando che la sua vena non rischia di esaurirsi. Il
collegamento col nuovo presente europeo e' il tema del viaggio, adatto a
esprimere il senso di lontananza e straniamento. Attraverso questa metafora
la protagonista chiarisce la propria incapacita' di appartenenza sia alla
terra d'origine sia alla nuova terra, comunque straniera: "Viaggiando, ho
capito profondamente di non essere un viaggiatore". Ed e' proprio questa
non-appartenenza a costituire la forza, la vera spinta a esprimersi
dell'autrice.
Qualunque fenomeno del mondo potra' essere guardato da questo sguardo
introspettivo e metamorfico, che si traduce in scrittura. In questo senso
dell'altrove risiede infatti il segreto della scrittura di Vorpsi, della sua
lingua che sorprende per la sua ricchezza, la sua adesione alla
contemporaneita' senza mai essere gergale, e anzi velata di una patina
severa, arcaica. Lei stessa sembra esserne profondamente consapevole, quando
usa il maschile, genere "non marcato", per il suo personaggio che dice io,
sempre femminile, definendola "spettatore", o "viaggiatore". Una scrittura
lucida che si deposita su fatti, strade, persone e cose come la striscia
luminosa di un evidenziatore, e che e' ormai diventata il suo tratto
riconoscibile.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 554 del 21 agosto 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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