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Minime. 542
- Subject: Minime. 542
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 9 Aug 2008 00:50:42 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 542 del 9 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Dijana Pavlovic: Sogno di mezza estate 2. Giovanni De Luna presenta "Guido Quazza" di Luciano Boccalatte 3. Emilio Gentile presenta "Chiesa, pace e guerra nel Novecento" di Daniele Menozzi 4. Sergio Givone presenta "Nietzsche e il cristianesimo" di Karl Jaspers 5. Enzo Modugno presenta "La fabbrica del falso" di Vladimiro Giacche' 6. Alberto Papuzzi presenta "Un filo tenace. Lettere e memorie" di e su Willy Jervis 7. Armando Torno presenta le "Rime" di Pietro Bembo a cura di Andrea Donnini 8. Franco Volpi presenta "Noi" di Evgenij Zamjatin 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. DIJANA PAVLOVIC: SOGNO DI MEZZA ESTATE [Dal quotidiano "L'Unita'" dell'8 agosto 2008 col titolo "Sogno rom di mezza estate". Dijana Pavlovic (per contatti: dijana.pavlovic at fastwebnet.it) e' nata nel 1976 in Serbia, vi ha vissuto e studiato fino al '99, laureandosi a Belgrado; dal 1999 vive e lavora a Milano; e' attrice drammatica, docente, mediatrice culturale] Ho sognato. Brucia il campo rom di via Triboniano, solo fango, ne' acqua, ne' luce, ne' gas. E 600 donne uomini bambini senza piu' niente. Il comune di Milano fa qualcosa. Al posto delle baracche - container, al posto del fango - cemento, e poi anche acqua luce e gas. Ma non c'e' posto per tutti e c'e' un prezzo da pagare: il Patto di legalita', legge speciale per zingari! Se trasgredisci, buttano per strada te e la tua famiglia. Ho firmato: non andro' mai a rubare, anche se fino adesso non l'ho mai fatto. Non chiedero' mai l'elemosina, anche se fino adesso non l'ho mai fatto. Non ospitero' mai nessuno nel mio container, neanche per una notte, neanche mia madre! Ma ho un container e allora va tutto bene! Ho sognato. Dieci zingari rumeni, lavorano in regola dallo stesso padrone. Si fanno intervistare dalla televisione per far vedere che non sono bestie. Il giorno dopo il padrone li chiama: "Vi ho visto in trasmissione. Bravi, la gloria si paga, siete zingari? Andatevene a casa!". Ho sognato. A Ponticelli molotov sui campi rom. Rivolta popolare, parte dal basso (piu' basso di cosi' - dal ventre dello stato - la camorra). Momento di orgoglio e di gloria, davanti alle telecamere la gente grida: "Non sono io razzista, sono loro che sono zingari!". I loro figli nelle scuole disegnano roghi e a fianco le scritte: "Bruciamoli tutti! Anche loro producono spazzatura!". Va tutto bene, sono solo bambini. Forse troppa televisione, Ma questi bambini sono il futuro della nazione! Ho sognato. Rebecca, bambina zingara di 11 anni, non va a scuola, ma legge, scrive e fa i conti, il tempo lo passa per strada, non chiede la carita' ma crepe alla nutella. Disegna case. Ha vinto un premio Unicef per i suoi disegni, suo padre, un pastore evangelico, uomo di fede, viene picchiato da due poliziotti. Senza ragione, davanti ai suoi occhi. Ma va tutto bene, sono solo quattro cazzotti. Adesso Rebecca sapra' disegnare anche poliziotti! Ho sognato. Goffredo Bezzecchi, cittadino italiano, superstite rom dei campi di concentramento. Famiglia numerosa: 35 persone tra figli e nipoti, tutti senza precedenti penali. Alle 5 di mattina 70, tra poliziotti carabinieri e i vigili urbani con un furgone della scientifica, per ordine del Prefetto di Milano, vengono a censire lui e la sua famiglia con nome, cognome e anche la religione. Ma sono cittadini italiani. Non bastava andare all'anagrafe? Ah no, giusto, all'anagrafe non c'e' scritto se sei rom. E se sei ortodosso, cattolico o musulmano. Ma va tutto bene, lui c'e' abituato, al campo di concentramento Tossicia di Teramo l'avevano gia' schedato. Ho sognato. Violetta e Cristina, bambine rom di origine slava. Sono annegate a Pozzuoli vicino a Napoli. I loro corpi giacciono sulla spiaggia per ore. A pochi metri la gente continua a prendere il sole, sorseggia una bibita, chiama amici e parenti con il nuovo cellulare. E' tutto normale. L'alto commissario dell'Onu si indigna? Qualcuno si interroga sulle responsabilita'? Di chi sono: della societa', della politica, dei media? Se proprio si deve, ognuno di noi si guardi allo specchio e dica a se stesso: io non c'entro niente con tutto questo! Ma va tutto bene. Violetta e Cristina non saranno vendute spose a dodici anni, non saranno costrette a chiedere la carita', non ruberanno bambini alle brave mamme napoletane, no, nessuno mai verra' a prendere le loro impronte digitali e chiedere la loro religione e la loro etnia. O adesso si dice di nuovo razza? Ho sognato? No, sono a Opera, Pavia, Livorno, Mestre, Roma, Brescia, Napoli Milano... Un bagliore lontano, in periferia! Brucia un campo rom! Chi se ne frega! E come dice Shakespeare: "Potete dire 'sognavo' e tutto quello che fin qui vi abbiamo propinato come un brutto sogno puo' essere gia' dimenticato". Buone vacanze! 2 LIBRI. GIOVANNI DE LUNA PRESENTA "GUIDO QUAZZA" DI LUCIANO BOCCALATTE [Dal supplemento librario "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 14 giugno 2008 col titolo "Il primo che rovescio' la resistenza del Pci" e il sommario "Guido Quazza, partigiano, storico, innovativo docente universitario, organizzatore culturale: un ritratto attraverso le carte del suo prezioso archivio"] Guido Quazza e' stato uno degli storici piu' importanti del Novecento. Nell'arco di una lunga carriera accademica, i suo libri e i suoi scritti hanno attraversato i temi cruciali della nostra storia, dal Risorgimento alla Resistenza, dal Piemonte sabaudo al '68. Fino alla morte, avvenuta nel 1996 all'eta' di 74 anni, Quazza e' stato anche un instancabile organizzatore culturale, un militante politico, un docente impegnato. Successore di Ferruccio Parri alla presidenza dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia dal 1972, fondatore e direttore della "Rivista di storia contemporanea", fu anche preside della Facolta' di Magistero per 27 anni consecutivi. Fu quello che una volta si usava chiamare un "maestro". Negli anni '70 riusci' a costruire una "scuola" storiografica e una serie infinita di iniziative, alcune direttamente politiche (il Comitato unitario antifascista che, caso unico in Italia, riuniva la sinistra extraparlamentare insieme ai partiti tradizionali e ai sindacati), altre squisitamente didattiche (i seminari interdisciplinari che a Magistero sostituirono le lezioni frontali). A rilanciare l'attenzione sulla sua figura e' un volume appena pubblicato (Guido Quazza. L'archivio e la biblioteca come autobiografia, a cura di Luciano Boccalatte, Franco Angeli, pp. 382, euro 26) che, insieme a una serie di saggi sul suo lavoro di storico, contiene un inventario dettagliato del suo archivio personale, una mole straripante di carte, raccolte con ossessiva meticolosita' in tutta una vita, custodite gelosamente: dai quaderni scolastici delle elementari ai documenti delle prestigiose istituzioni da lui dirette. C'e' veramente l'intera biografia di Quazza, in quell'archivio, gli affetti e le scelte politiche, il privato e il profilo di accademico e di intellettuale. Renderlo accessibile agli studiosi e' stato un atto di grande generosita' da parte dei familiari; ordinarlo e catalogarlo e' stato un lavoro molto impegnativo, anche sul piano emotivo, quasi che Boccalatte sia stato chiamato a penetrare nell'intimita' piu' riposta di un personaggio pubblico. L'archivio ci aiuta a capire come in Quazza la dimensione esistenziale sia sempre stata intrecciata alle sue opzioni politiche e storiografiche. Molte delle sue categorie interpretative sulla Resistenza erano ad esempio mutuate direttamente dall'esperienza partigiana nelle file degli autonomi della divisione "De Vitis" comandati da Giulio Nicoletta: l'insofferenza per la "zona grigia", per quelli che non scelsero da che parte stare e preferirono aspettare che "passasse la nottata"; l'insistenza sulla necessita' della violenza armata quando si tratta di combattere per la liberta' contro la dittatura; il giudizio sulla banda partigiana come microcosmo di democrazia diretta; la diffidenza verso il connubio stalinismo/riformismo che alimentava la politica del Pci. A proposito del Pci. Negli anni '70 Quazza fu il capofila di una corrente storiografica che rovescio' come un guanto l'interpretazione comunista della Resistenza. Dove il Pci accentuava il peso dell'organizzazione, si esaltava la spontaneita' del movimento partigiano; quando il Pci parlava di unita' di tutte le forze politiche dalla Dc ai monarchici, si sottolineavano le divergenze radicali in seno al Cln; con il Pci che insisteva sul carattere patriottico della Resistenza, Quazza polemizzava con le ascendenze staliniane di quella definizione e tendeva a ridurre drasticamente il ruolo dei militari e dell'esercito regolare. Tutto questo configura un singolare paradosso; il revisionismo rimprovera oggi al Pci una visione classista e settaria della Resistenza, un uso strumentale che avrebbe accentuato l'ipoteca comunista totalitaria sulla lotta di liberazione. In realta' quel rimprovero andrebbe indirizzato verso Quazza e la sua scuola che sostennero quelle posizioni in contrapposizione con il Pci. Paradosso nel paradosso: non c'e' nessuno degli storici dell'ex partito comunista che intervenga a ristabilire questa elementare verita', difendendo il suo vecchio partito. 3. LIBRI. EMILIO GENTILE PRESENTA "CHIESA, PACE E GUERRA NEL NOVECENTO" DI DANIELE MENOZZI [Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 6 aprile 2008 col titolo "Chi arma la spada della religione" e il sommario "Nella Bibbia convive il Dio degli eserciti e l'ammonimento a non iniziare un conflitto: Nei secoli l'interpretazione data dal clero e' stata oscillante"] Perche' Dio, nella sua onniscienza e onnipotenza, lascia che ci sia la guerra fra gli uomini? Perche' Dio, nella sua infinita bonta' e infinito amore, permette che uomini armati uccidano innocenti inermi, che l'ingegno umano escogiti strumenti di morte sempre piu' immensamente micidiali, che nel suo nome si commettano assassini, stragi, stermini, genocidi? Queste domande sono un terribile ma affascinante problema intellettuale per un non credente, mentre per un credente sono un angosciante quesito teologico ed etico, che potrebbe insidiare con dubbi atroci il fondamento della sua fede e la sua immagine di Dio. Se apre la Bibbia, il credente incontra nell'Antico Testamento il Dio degli eserciti, guerriero terrificante e vendicativo, che guida il popolo eletto alla conquista della Terra promessa, e gli ordina di sterminare uomini, donne e bambini dei popoli idolatri che vi abitano. Con la stessa implacabile volonta' di massacro, il Dio degli eserciti punisce le Nazioni che sfidano la sua ira. "La spada del Signore e' coperta di sangue". Cosi' dice il profeta Isaia. Ma nel Nuovo Testamento, il Figlio di Dio ammonisce: "Chi pone mano alla spada, perira' di spada". Ma ha detto anche: "Io non sono venuto a portare la pace ma la spada. Colui che non ha una spada, venda il suo mantello c ne compri una". E nella Apocalisse di Giovanni, orribili guerre umane e cosmiche precedono il giorno del Giudizio universale e l'avvento del Regno di Dio. Nel corso dei secoli, la Chiesa cattolica ha cercato di dare una risposta a queste domande, attribuendosi in modo esclusivo l'interpretazione della volonta' divina. I pontefici, seguendo l'insegnamento di Agostino e di Tommaso, hanno insegnato al credente che ha il dovere di combattere in una "guerra giusta", secondo una dottrina millenaria, che e' stata ribadita dalla Chiesa attuale. Il vigente Catechismo proclama "inequivocabilmente la liceita' per i Governi di provvedere alla legittima difesa con la forza militare e il dovere per i cittadini di accettare gli obblighi imposti dalla difesa nazionale", come osserva Daniele Menozzi, che ha studiato con appropriato senso storico, non disgiunto da inquietudine etica, il problema dell'atteggiamento della Chiesa nei confronti della guerra e della pace durante il Novecento (Daniele Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento, Il Mulino, Bologna). Menozzi ripercorre il travaglio dottrinale e etico sofferto dalla Chiesa per cercare di salvare "il nesso inscindibile tra religione e pace che inevitabilmente finiva per gettare interrogativi sulla possibilita' di una legittimazione della guerra da parte della Chiesa". Quel che emerge, dalla sua ricerca, e' un percorso che lungo tutto il corso del Novecento "si caratterizza per approfondimenti, scarti, ondeggiamenti, fughe in avanti, ripiegamenti, sforzi di adattamento della dottrina tradizionale", che sono "evidentemente collegati al variare delle situazioni storiche in cui la Chiesa si e' trovata a operare". Ma la storicita' dell'atteggiamento della Chiesa si traduce in una storicizzazione della volonta' divina, attraverso l'interpretazione che i pontefici, depositari della Rivelazione, hanno dato del significato della guerra nella vita degli uomini. Come fatto storico, il problema dell'aporia fra l'onniscienza e l'onnipotenza del Dio amore infinito, e l'onnipresenza della guerra nella storia umana, diventa un tema intellettualmente affascinante anche per il non credente. Perche' molte e gravi sono state le conseguenze che la legittimazione religiosa della guerra ha avuto per l'esistenza di milioni di essere umani, cristiani e non cristiani, nel corso del XX secolo, e tuttora ha, all'inizio del XXI, per la sorte di milioni di esseri inermi, sterminati da guerrieri che affermano di combattere per volonta' di Dio. Anche la Chiesa ha sostenuto per secoli questo atteggiamento, dalla persecuzione dei pagani e degli eretici alla guerra santa delle crociate contro i musulmani. La prima guerra mondiale, pur condannata da Benedetto XV come "inutile strage", fu considerata dalla Chiesa e dalla grande maggioranza dei cattolici di ogni Paese belligerante - religiosamente legittimati a combattere in una grande guerra di cristiani contro cristiani, di cattolici contro cattolici - come la manifestazione della "punizione divina per il peccato che la societa' contemporanea ha compiuto abbandonando la sua dipendenza dalla religione e dalla Chiesa". All'inizio del Terzo Millennio, la Chiesa ha accantonato l'interpretazione della guerra come punizione divina, ha ripudiato il concetto della "guerra santa", e sia pure faticosamente, e' giunta a riconoscere la legittimita' dell'obiezione di coscienza. Ma appare ancora restia a formulare una definitiva "delegittimazione religiosa dei conflitti". Menozzi documenta gli oscillamenti dottrinari della Chiesa nella seconda meta' del Novecento, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, soprattutto sul significato della guerra nella interpretazione della volonta' di Dio. Sembra tuttavia che fra tanti oscillamenti, una convinzione sia rimasta salda, ora ribadita con vigore da Benedetto XVI: soltanto il ripudio della societa' moderna, scaturita dalla apostasia della secolarizzazione, con la subordinazione dei popoli al potere spirituale della Chiesa e del Papa, puo' scacciare dalla terra il flagello della guerra. Un ritorno all'unita' cattolica del Medioevo? Eppure, neppure il Medioevo fu epoca senza guerre, giuste e sante, inflitte agli uomini dalla volonta' divina. 4. LIBRI. SERGIO GIVONE PRESENTA "NIETZSCHE E IL CRISTIANESIMO" DI KARL JASPERS [Dal quotidiano "La Repubblica" del primo agosto 2008 col titolo "Jaspers di fronte al dio di Nietzsche" e il sommario "Un suo libro sul rapporto tra il filosofo tedesco e il cristianesimo. L'autore di Cosi' parlo' Zaratustra svela il movimento con cui il cristianesimo distrugge se stesso aprendo un vuoto che nessuno sapra' come riempire"] Tramonta l'idealismo tedesco ed entra in scena Nietzsche: sara' un'apparizione grandiosa. Ma non e' la dottrina dell'eterno ritorno o l'idea del superuomo a spiegare il caso Nietzsche. I concetti che caratterizzano il suo pensiero sono per lo piu' iperboli filosofiche. Possono voler dire tutto, ma in realta' non dicono quasi niente. Fra non poche ambiguita' e contraddizioni l'opera di Nietzsche porta alla luce ben altro: ossia il movimento attraverso cui il cristianesimo distrugge se stesso e apre un vuoto che nessuno sapra' come riempire. E' quanto sostiene Karl Jaspers in un magnifico saggio scritto poco prima della guerra, ma pubblicato soltanto dopo, Nietzsche e il cristianesimo, ora tradotto e prefato da Giuseppe Dolei per Mariotti (pp. 141, euro 14). Nietzsche, dice Jaspers, ci mette in guardia: il cristianesimo e' la nostra provenienza e il nostro destino. Per superarlo bisogna farsi carico di cio' che ne resta e di cio' che ne ha rappresentato lo sviluppo storico. Non serve contrapporre al cristianesimo una prospettiva di segno contrario. E affermare, per esempio: la verita' e' una sola, quella della scienza, dunque la fede non ha piu' ragion d'essere. Uno stanco ritornello. Quando i contenuti della fede vengono ridotti a favole e a menzogne dei preti si ottiene soltanto di scacciare la superstizione con una nuova forma di superstizione. Invece l'autentico anticristianesimo vuole annientare il cristianesimo, non semplicemente "scrollarselo di dosso". Alla scuola del grande ateismo moderno (da Spinoza a Feuerbach su su fino a Ivan Karamazov, "fratello di sangue") Nietzsche ha imparato che la battaglia contro il cristianesimo dev'essere condotta con armi cristiane. Solo chi e' intellettualmente onesto puo' permettersi di dichiarare che la fede non e' piu' credibile. Ma e' stato il cristianesimo ad instillare nei cuori quel particolare tipo di morale che consiste nel volere la verita' a tutti i costi. La verita' incondizionata, assoluta, non una parvenza di verita', e tanto meno una verita' buona a consolare ma non a convincere. In un'ottica cristiana Dio non esita a mandare al diavolo i suoi teologi, cosi' premurosi e falsi, e a informarli che solo Giobbe ha avuto il coraggio di dire la verita' su di lui. Per un verso Nietzsche usa i toni piu' duri e sprezzanti: "A chi oggi mi risulta ambiguo nei riguardi del cristianesimo non do neppure la mano: c'e' un solo modo di essere onesti in proposito: un no assoluto". Per l'altro parla di una tensione spirituale la cui origine e' cristiana: "Anche noi che oggi indaghiamo, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere il fuoco dall'incendio scatenato da una fede millenaria". Con Goethe Nietzsche ripete: solo Dio contro Dio, ci vuole Dio per far fuori Dio. La negazione e la soppressione del cristianesimo sono cosa del cristianesimo. Quel cristianesimo che costringe l'uomo ad aprire gli occhi sulla morte di Dio. Che cosa rimane alla fine di questa tragedia piu' grande di qualsiasi tragedia del passato, anche se si tratta piuttosto di un naufragio, di un inabissarsi di ogni speranza e di ogni senso fin qui tenuti per certi? La risposta di Nietzsche e' netta, inequivocabile: non resta piu' niente. O se si preferisce, resta il grande niente, resta il grande vuoto. Della cui vastita' non abbiamo che una pallida idea, come dimostrano coloro, e sono i piu', che vi si sono tranquillamente adattati, mentre altri, maggiormente consapevoli, continuano a porre domande. Naturalmente e' possibile tentar di colmare questa specie di sperdimento mentale o di vertigine con i detriti che il fiume della storia ha trascinato con se'. Tra di essi c'e' per l'appunto la dottrina dell'eterno ritorno e l'idea del superuomo. Ma c'e' anche la sostituzione del dio cristiano con Dioniso. Per non parlare del vagheggiamento d'un certo eroismo sublime, che dice si' alla vita cosi' com'e', col suo carico di gioia e di sofferenza e indifferente al bene e al male. Cui segue pero' da parte di Nietzsche la confessione: "Sono l'opposto d'una natura eroica", immediatamente affiancata dal riconoscimento d'una certa affinita' con Gesu', il mite predicatore delle beatitudini. Fino all'identificazione con la piu' improbabile delle divinita': Dioniso crocifisso. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Sembra che Nietzsche si diverta a fare le prove generali del fantastico spettacolo in allestimento per quando il mondo si sara' liberato dal cristianesimo. Per se' egli riserva la parte della stella danzante nel caos. Ma ci crede davvero? Non e' lui il primo a sapere che la stella da cui viene un'ultima luce sul mondo e' una stella ormai spenta? Qui Jaspers chiude con un avvertimento. Ed e' che Nietzsche lancia "un grido micidiale" a coloro che si lasciano sedurre da lui e pretendono di portare avanti il suo pensiero, magari professandosi cristiani: "A questi uomini di oggi non voglio essere luce, da loro non voglio essere chiamato luce. Costoro, li voglio accecare: lampo della mia sapienza! Cavagli gli occhi!". 5. LIBRI. ENZO MODUGNO PRESENTA "LA FABBRICA DEL FALSO" DI VLADIMIRO GIACCHE' [Dal quotdiano "Il manifesto" del 30 luglio 2008 col titolo "Guerre. Un lessico svuotato per coprire la crisi" e il sttotitolo "Da Vladimiro Giacche', La fabbrica del falso"] Domandarsi se si concretizzera' mai l'ipotesi di una guerra contro l'Iran, equivale a chiedersi se sia diventata davvero necessaria l'intensificazione dell'economia militare e se l'Iran, in qualche modo, possa servire a questo scopo. Dalla Luxemburg ad Augusto Graziani e' stato detto tutto sulla produzione bellica, una produzione che serve a rimandare le crisi economiche e ad assicurare il dominio sui mercati. Opportunamente, l'editore DeriveApprodi ha pubblicato una rigorosa ricerca filosofico-politica di Vladimiro Giacche', intitolata La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (pp. 272, euro 18), che ha il merito di ricordarci come vengono giustificate tali inconfessabili finalita' del militarismo. Tre sono i compiti sui quali, oggigiorno, l'amministrazione degli Stati Uniti sta impegnando le sue principali risorse: gestire militarmente la crisi economica, assicurare il dominio sui mercati e giustificare la guerra. Il primo compito - la gestione militare della crisi - e' il piu' urgente. Lo scorso 15 luglio, dalle pagine del "Manifesto", Uri Avnery ha parlato della follia della guerra e ha concluso, sia pure con qualche cautela, che la guerra contro l'Iran non ci sara'. Dal suo fermo intervento, pero', sono assenti considerazioni di tipo economico. Ma se provassimo a considerare la tendenza permanente alla crisi economica che e' il vero nemico che rode dall'interno l'"impero", potremmo capire perche' cio' che molti considerano una follia (e un crimine) diventa invece, per una parte del grande capitale statunitense, una decisione razionale. Anzi, l'unica possibile. Una guerra cioe' che giustifichi una spesa militare sufficiente ad assicurare la ripresa dell'economia: in fondo e' solo un intervento di politica economica un po' piu' energico, che la classe dirigente degli Stati Uniti pratica con successo ormai da molti anni. Perche', ancora una volta, la crisi riaffiora. Al punto che l'intervento pubblico nell'economia non viene piu' demonizzato, ma lo si invoca a gran voce. Allo Stato si chiede, come gia' e' successo dopo la grande crisi del 1929, di socializzare le perdite. La verita', pero', e' che gli Stati Uniti non uscirono dalla grande crisi grazie ai salvataggi bancari o alle dighe di Roosevelt, ma in virtu' della spesa militare per la seconda guerra mondiale. E' stato cosi' anche con le guerre successive, dalla Corea a quella piu' recente in Iraq, che ha consentito agli Usa di uscire dalla recessione cominciata nel marzo 2001 e ha dato inizio all'ultimo boom di borsa interrottosi solo nell'estate scorsa. In tutti questi casi le crisi economiche sono state superate con la produzione delle armi e con il loro utilizzo. La "soluzione Warfare", insomma. Riguardo al secondo compito dell'amministrazione americana - il dominio sui mercati - la guerra in Iran raddoppierebbe l'effetto che ha avuto quella in Iraq, bloccando un'altra grande riserva di petrolio sotto il controllo delle multinazionali americane. La convinzione che ci sara' la guerra in Iran, infatti, e' uno dei veri motivi del rialzo del prezzo del petrolio, assieme allo squilibrio tra domanda e offerta e alla debolezza del dollaro. Marc Faber, un grande gestore di patrimoni con sede a Hong Kong, ha dichiarato che oggi non ha senso vendere petrolio "perche' se l'Iran fosse bombardato le quotazioni del greggio schizzerebbero verso il cielo senza preavviso". Il terzo compito, infine, e' quello di giustificare l'enorme spesa militare. Qui, come scrive Vladimiro Giacche', "la produzione della menzogna si radica nella menzogna della produzione". Perche' e' inconfessabile l'instabilita' di un modo di produzione irrazionale che tende costantemente alla depressione e sopravvive devastando con la guerra un paese dopo l'altro. Quindi le crisi, che dipendono da cause endogene, debbono invece essere addebitate a nemici esterni. Per questo funziona a pieno regime la "fabbrica del falso". Persino il filosofo della politica Michael Walzer si accorge che la recente ripresa dei negoziati americani con l'Iran potrebbe essere "una mossa tattica" al fine di convincere l'opinione pubblica mondiale "che gli Stati Uniti cercano una soluzione pacifica della crisi, e nel caso di un fiasco negoziale per giustificare un eventuale uso della forza" ("Corriere della sera" del 18 luglio). Tornano le armi di distruzione di massa, il tiranno da abbattere, la democrazia da esportare, ovunque si ripresenta la stessa messinscena dell'attacco all'Iraq. Il libro di Vladimiro Giacche' indaga la sistematica falsificazione, che si impadronisce delle parole e ne cambia il significato a partire dai termini chiave del nostro lessico politico. Contro i fatti piu' ostinati si fa un uso massiccio di eufemismi. La guerra diventa "regime change", le torture "tecniche professionali di interrogatorio". Il saggio di Giacche' oppone quindi un'analisi documentata alla razionale follia di quella "fabbrica del falso" costantemente all'opera che ha raggiunto anche organizzazioni di sinistra. Per tutti dovrebbe valere la sentenza di Karl Kraus: "Che ci sara' la guerra appare meno inconcepibile proprio a coloro per i quali lo slogan 'c'e' la guerra' ha permesso e coperto ogni vergogna". 6. LIBRI. ALBERTO PAPUZZI PRESENTA "UN FILO TENACE. LETTERE E MEMORIE" DI E SU WILLY JERVIS [Dal sito del quotidiano "La stampa" (www.lastampa.it) riprendiamo il seguente articolo del 20 febbraio 2008, dal titolo "Willy Jervis un eroe normale. Pubblicato l'epistolario con la moglie" e il sommario "Storia esemplare di un azionista morto per un'idea d'Italia"] L'11 marzo 1944 e' una bella giornata di primavera nelle valli valdesi, a ovest di Torino. Willy Jervis, 43 anni, ingegnere meccanico alla Olivetti, capo militare del Partito d'Azione, scende in motocicletta dalla Val Germanasca, dove ha incontrato una banda, verso Torre Pollice, dove e' sfollato con la famiglia. Ma e' fermato dalle SS italiane presso Luserna San Giovanni. Portato in caserma, cerca invano di disfarsi nella latrina di una cartuccia di gelatina, di lettere dategli dal capo partigiano Roberto Malan, di carte annonarie e licenze per ufficiali, che dovevano servire per coperture di partigiani. A casa gli trovano due foglietti con trascrizioni di trasmissioni radiofoniche inglesi e dieci sterline (resto di una somma datagli per la fuga in Svizzera di famigliari degli Olivetti). Picchiato brutalmente, rischia di essere ammazzato subito. Si difende dicendo che era andato a sciare, ammette di aver accettato un incarico dai ribelli, ma nega di essere un attivista antifascista. E' trasferito a Torino, in mano alla Gestapo. Purtroppo, nella stessa zona e negli stessi giorni, e' catturato Emanuele Artom, anch'egli azionista, che sottoposto a feroci torture (di cui morira' il 7 aprile), indica in Jervis un corriere dei partigiani. L'ingegnere e' costretto a fare ammissioni sulla sua attivita' (attento a dire sui compagni soltanto le cose che fascisti e tedeschi potevano gia' sapere). Dichiarato dalla polizia tedesca "elemento estremamente pericoloso", da quel momento vive un'odissea di cinque mesi, fra esecuzioni rimandate all'ultimo momento e vane speranze, almeno di deportazione. La moglie Lucilla si muove febbrilmente fra le carceri Nuove, il comando della Gestapo, le case degli amici. L'ultima carta e' un tentativo di scambio con un ufficiale tedesco fatto prigioniero, che pero' rimane ucciso dai partigiani. E' la fine, lo sa anche lui: portato a Villar Pellice, Jervis e' fucilato la notte fra il 4 e 5 agosto. Trascinato da un camion, reso irriconoscibile, il corpo viene esposto nella piazza in un macabro rituale di impiccagione post-mortem. Questa storia, drammatica ed esemplare, solo in parte gia' pubblicata, e' documentata in un libro che Bollati Borighieri manda in libreria a fine settimana: Un filo tenace. Lettere e memorie 1944-1969 (a cura di Luciano Boccalatte, prefazione di Giovanni De Luna, pp. XLVI-240, euro 20). Raccoglie le lettere, sia ufficiali sia clandestine, fra Jervis e la moglie in quei cinque terribili mesi. Nato a Napoli, nipote di un inglese che combatte' con Garibaldi e figlio di un ingegnere amico di Salvemini, valdese praticante, percio' antifascista, scalatore e sciatore di grandi doti, Jervis e' al centro di questa storia da eroe senza retorica, consapevole, lucido, espressione di un'altra Italia in cui si moriva per un'idea. Nel 1932 aveva sposato Lucilla Rochat, di famiglia fiorentina, con il nonno paterno pastore valdese e un padre medico, socialista salveminiano, attivo fra gli antifascisti di Italia libera e nel foglio "Non mollare". Nelle sue lettere lei le parla dei loro figli Giovanni (1933) e Paola (1939). Finita la guerra, Lucilla torno' in Toscana, a insegnare letteratura inglese. E' morta nel 1988. Il libro presenta un secondo carteggio, fra Lucilla Jervis e Giorgio Agosti (Torino, 1910-1992), amico di Ginzburg e Bobbio, magistrato dal 1935, tra i fondatori del Partito d'Azione, commissario delle formazioni GL, questore di Torino dalla liberazione al 1948, insignito dai francesi della Legion d'onore. Le sue lettere sono un controcanto, perche' portano a galla il rigore, l'intransigenza, e soprattutto le disullusioni, dell'esperienza azionista. "La reazione - scrive Agosti - guadagna terreno". Il governo e' quello "dei sacrestani", al potere ci sono i "democani"; vengono a galla tutti i dubbi sulla consistenza del Partito d'Azione. S'aggiunge una memoria scritta da Lucilla per i figli nel 1953, mai mostrata ad alcuno e ritrovata dopo la morte. Una novita' e' la postfazione di Giovanni Jervis, figlio di Willy, conosciuto psichiatra, che per la prima volta parla della vicenda. Si ferma sulla figura di Agosti, quasi secondo padre, come rappresentante di "un'etica della vita civile che nei decenni successivi si e' appannata ed e' stata persino un po' dimenticata". 7. LIBRI. ARMANDO TORNO PRESENTA LE "RIME" DI PIETRO BEMBO A CURA DI ANDREA DONNINI [Dal "Corriere della sera" del 6 agosto 2008 col titolo "Grazia e lussuria: attualita' di Bembo" e il sottotiolo "Le Rime a cura di Andrea Donnini. Il madrigale nacque dalla lezione di quel poeta giudicato pedante"] Si narra che Lord Byron durante la sua visita in Ambrosiana, pur pressato dai controlli di sacerdoti e inservienti, riuscisse a imparare a memoria le lettere tra Lucrezia Borgia e Pietro Bembo qui conservate; anzi rubo' anche un capello della ciocca bionda della dama. La reliquia, carica di lussuria, era giunta nella biblioteca milanese insieme alle ricordate missive. D'Annunzio, un secolo piu' tardi, ebbe soltanto il privilegio di toccare questo frammento di chioma. E promise, magato dal contatto, di donare una teca per conservarne l'aura. Cosa che mai fece, lasciando l'incombenza ad altri. Indubbiamente Bembo "amo' non invano" Lucrezia, tanto che a lei dedico' nel 1505 gli Asolani, tre libri di dialoghi e riflessioni d'amore che testimoniano quanto l'Umanesimo si fosse infatuato del Convito di Platone. Pagine di cui De Sanctis segnalo' l'"espressione pedantesca", ma che tra incanti poetici e giochi di pure forme sembrarono perfette per la figlia di papa Borgia: in esse si avverte, tra l'altro, l'innegabile gioia recata dalla sensualita' e dai piaceri mondani. O forse, concedendo la parola a un verso rifiutato del Bembo, e' come se il futuro cardinale sussurrasse: "Amor, d'ogni mia pena i' ti ringrazio,/ si' dolce e' 'l tuo martire". Colto, nobile, ricco, tanto da potersi permettere un lungo soggiorno a Messina per imparare il greco presso l'ellenista Costantino Lascaris, padre di tre figli nati dalla relazione con la Morosina (che mai sposera'), Bembo conosce otium e negotium vivendoli con grazia ed eleganza. La sua opera tocca diversi ambiti: se gli Asolani ne riflettono le inclinazioni filosofiche, per incarico della Serenissima continuo' fino al 1513 la storia di Venezia che il Sabellico aveva interrotto al 1487, quindi defini' una norma dell'italiano con le fondamentali Prose della volgar lingua (1525). Grande specchio di un'epoca e' invece il suo epistolario. Fu anche filologo: amico del sommo stampatore Aldo Manuzio, curo' un'edizione del Canzoniere di Petrarca e de Le terze rime di Dante, vale a dire della Commedia. Non sono che due esempi dei tanti possibili. Cosa puo' dire ancora al nostro tempo questo patrizio coltissimo? E' appena uscita un'edizione delle Rime dovuta ad Andrea Donnini (Salerno Editrice, 2 volumi, pp. 1392, euro 140), basata sul manoscritto Viennese 10245 (del 1541), idiografo e rivisto dal medesimo autore sino agli ultimi giorni: fatica preziosa che consente di tentare osservazioni in margine a una poesia che ha contaminato non soltanto la cultura di un'epoca ma anche la musica e il gusto, diffondendo l'amore per Petrarca. La cura di Donnini - dottore di ricerca a Genova - e' degna della massima lode; o meglio, guardando l'incredibile lavoro compiuto per il censimento dei manoscritti, delle edizioni a stampa, per le indagini sulla tradizione d'autore (e anche su quella non controllata dal Bembo stesso), i chiarimenti cronologici e le occasioni di composizione, pur limitandoci ad alcune parti vistose dell'apparato, si potrebbe definire una fatica commovente. E questo va detto senza infingimenti in un tempo che si occupa dei nostri classici come puo' e quando riesce, trasformandoli sovente in materia per gestire baronie o per dar vita a comitati d'affari. Tornando alla domanda che ci siamo posti, anzi riducendola all'osso, e' il caso di chiederci di nuovo: che cosa recano oggi queste Rime? Alcune risposte le ha scritte Donnini nell'introduzione e nel formidabile apparato, altre la storia della cultura: bastera' elencare le molte lodi cinquecentesche, le magistrali ricerche di Carlo Dionisotti o la sottile osservazione di Girolamo Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana: "Ardi' quasi solo di ritornare sulle vie del Petrarca, cui egli prese non solo a imitare, ma a ricopiare ancora in se stesso" (volume VII, p. 1086, edizione 1796 di Venezia). Per Benedetto Croce, certo, Bembo resta un "non poeta"; chi scrive, con piu' semplicita', nota che le sue Rime, dalle strofe ben costruite e dai versi calibrati in ogni minimo soffio (con un'attenzione maniacale per le singole vocali), ispireranno composizioni di Luca Marenzio, Claudio Monteverdi, Marco da Gagliano, per ricordare alcuni tra i piu' grandi. Bembo sara' il punto di forza per trasformare la vecchia frottola in madrigale. Il brutto anatroccolo diventera' un cigno ascoltando il suono di sillabe ritmate ed eleganti. 8. LIBRI. FRANCO VOLPI PRESENTA "NOI" DI EVGENIJ ZAMIATIN [Dal quotidiano "La Repubblica" del 24 novembre 2007 col titolo "La fantascienza odiata dall'Urss" e il sommario "Noi, il romanzo scritto da Evgenij Zamjatin nel 1922, per anni proibito nell'Unione Sovietica"] Zamjatin, ingegnere navale di professione e maestro di fantascienza a tempo perduto, immagina che in un remoto ma inevitabile futuro l'intera umanita' cadra' sotto il governo totalitario dello Stato Mondiale Unico. Guidato da un Grande Benefattore e controllato da Guardiani che soffocano ogni dissidenza, esso trasforma gli individui in numeri e li priva dell'immaginazione per garantire l'"armonia quadrata", matematica, dell'insieme. La vita e' scandita dal "Libro delle Ore" che impone a tutti lo stesso identico ritmo e dunque la perfetta coincidenza di tutti i movimenti e tutte le azioni. Formato da individui che vivono come cifre, secondo le armoniose leggi della tavola pitagorica, lo Stato Unico e' un ingranaggio perfetto in cui regna la felicita'. Il protagonista, un matematico che si chiama D-503, progetta un gigantesco razzo di vetro e acciaio, l'Integrale, per diffondere nell'universo il modello politico dello Stato Unico. D-503 si lascia pero' infettare da un numero irrazionale, ovvero si invaghisce di I-330, giovane rivoluzionaria adepta di un gruppo segreto che cospira per impadronirsi dell'Integrale e sovvertire lo Stato. Grazie ai Guardiani, che neutralizzano il complotto, il Benefattore riafferma la sua sovranita' ed escogita un modo per garantire definitivamente la stabilita' dell'ordine: una Grande Operazione di lobotomia che recida in tutti gli individui la parte del cervello dove ha sede l'immaginazione. E' infatti l'imprevedibilita' di questa facolta' a produrre instabilita', disordine, disgregazione. Subita l'operazione, gli Uomini Nuovi sono finalmente adatti per inserirsi nell'ordine dello Stato Unico. Questo fulminante e pionieristico romanzo anti-utopico, scritto tra il 1920 e il 1922, e proibito nell'Unione Sovietica fino al 1989, fu noto dapprima nella traduzione inglese (1924), poi in quella ceca (1927) e francese (1929), e solo nel 1952 fu pubblicato a New York il testo russo integrale. Su quest'ultimo e' basata la versione italiana di Ettore Lo Gatto del 1955, ora rivista da Barbara Delfino e curata da Stefano Moriggi. Ispirato ai racconti fantastici di Herbert G. Wells, esso e' stato a sua volta preso a modello da Aldous Huxley in Brave New World, da George Orwell in 1984, e soprattutto da Ferdinand Bordewijk nel racconto Blocchi, che sviluppa il motivo del "cubismo di Stato" in uno stile secco, ficcante, incisivo, molto simile a quello di Noi. Il romanzo fu subito letto come una corrosiva critica del sistema sovietico, allora appena sorto, e Zamjatin si salvo' solo grazie alla protezione di Gorkij emigrando a Parigi. Fu anche accusato di trotzkismo perche' accennava a "infinite rivoluzioni". In realta', esse non hanno nulla a che fare con la "rivoluzione permanente" di Trotzkij, ma sono il risultato della dialettica di due principi, come Zamjatin spiega in un saggio coevo Su letteratura, rivoluzione, entropia e altre cose: "Due forze governano il cosmo: l'entropia e l'energia. La prima produce la quiete pacifica e l'equilibrio beato, l'altra conduce alla rottura dell'equilibrio, all'inesausto e doloroso movimento". E aggiunge: "L'unica (amara) medicina contro l'entropia dell'esistenza umana e' l'eresia". Ma la vera speranza e' il fatto che il Dio creatore di questo mondo e' "il piu' grande degli scettici", e che percio' e' ragionevole supporre che anche sullo Stato Unico - che in verita' descrive una condizione che non e' mai stata, e che mai sara' - incomba un destino di transitorieta' in ragione del quale prima o poi esso implodera'. Alla fine si radica in noi un convincimento: l'immaginazione e' l'unico luogo di questo mondo in cui vale la pena abitare. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 542 del 9 agosto 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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