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La domenica della nonviolenza. 173
- Subject: La domenica della nonviolenza. 173
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Jul 2008 11:57:01 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 173 del 20 luglio 2008 In questo numero: 1. Alex Zanotelli: Una lettera agli amici 2. Furio Colombo: Razzismo 3. Stefano Rodota': Politica prepotente 4. Wanda Tommasi presenta "Oltre i propri confini" di Luce Irigaray 1. APPELLI. ALEX ZANOTELLI: UNA LETTERA AGLI AMICI [Riceviamo e volentieri diffondiamo. Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista "Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico e' tornato in Africa a condividere per molti anni vita e speranze dei poveri, solo recentemente e' tornato in Italia; e' direttore responsabile della rivista "Mosaico di pace" promossa da Pax Christi; e' tra i promotori della "rete di Lilliput" ed e' una delle voci piu' prestigiose della nonviolenza nel nostro paese. Tra le opere di Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e dialogo, Emi, Bologna 2001; (con Pietro Ingrao), Non ci sto!, Piero Manni, Lecce 2003; (con Mario Lancisi), Fa' strada ai poveri senza farti strada. Don Milani, il Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi, Emi, Bologna 2003; Nel cuore del sistema: quale missione? Emi, Bologna 2003; Korogocho, Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Alessandro Zanotelli: Mario Lancisi, Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003] Napoli, 12 luglio 2008 Carissimi, e' con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli, dal Rione Sanita' nel cuore di quest'estate infuocata. La mia e' una rabbia lacerante perche' oggi la Menzogna e' diventata la Verita'. Il mio lamento e' cosi' ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12: "Solo falsita' l'uno all'altro si dicono: bocche piene di menzogna, tutti a nascondere cio' che tramano in cuore. Come rettili strisciano, e i piu' vili emergono, e' al colmo la feccia". * Quando, dopo Korogocho, ho scelto di vivere a Napoli, non avrei mai pensato che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho, alle lotte di Napoli contro le discariche e gli inceneritori. Sono convinto che Napoli e' solo la punta dell'iceberg di un problema che ci sommerge tutti. Infatti, se a questo mondo gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero come viviamo noi ricchi (l'11% del mondo consuma l'88% delle risorse del pianeta!) avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro quattro come discariche ove buttare i nostri rifiuti. I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a riciclare tutto, a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma soprattutto a vivere con sobrieta'. E' stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent'anni a sversatoio nazionale dei rifiuti tossici. Infatti esponenti della camorra in combutta con logge massoniche coperte e politici locali, avevano deciso nel 1989, nel ristorante "La Taverna" di Villaricca, di sversare i rifiuti tossici in Campania. Questo perche' diventava sempre piu' difficile seppellire i nostri rifiuti in Somalia. Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte d'Italia carichi di rifiuti tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo della morte (Acerra-Nola-Marigliano), nelle Terre dei fuochi (Nord di Napoli) e nelle campagne del Casertano. Questi rifiuti tossici "bombardano" oggi, in particolare i neonati, con diossine, nanoparticelle che producono tumori, malformazioni, leucemie... Il documentario "Biutiful Cauntri" esprime bene quanto vi racconto. * A cio' bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai potentati economici-finanziari. Infatti questa regione e' stata gestita dal 1994 da 10 commissari straordinari per i rifiuti, scelti dai vari governi nazionali che si sono succeduti. (E' sempre piu' chiaro, per me, l'intreccio fra politica, potentati economici-finanziari, camorra, logge massoniche coperte e servizi segreti!). In 15 anni i commissari straordinari hanno speso oltre due miliardi di euro, per produrre oltre sette milioni di tonnellate di "ecoballe", che di eco non hanno proprio nulla: sono rifiuti tal quale, avvolti in plastica, che non si possono ne' incenerire (la Campania e' gia' un disastro ecologico) ne' seppellire perche' inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste ecoballe, accatastate fuori la citta' di Giugliano, infestano con il loro percolato quelle splendide campagne denominate "Taverna del re". E cosi' siamo giunti al disastro! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi livelli di tumore del Nord-Est, che pero' ha fabbriche e lavoro. Noi, senza fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte. Il nostro non e' un disastro ecologico - lo dico con rabbia - ma un crimine ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi finanziari. Ne e' prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato due ordinanze: una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano nell'inceneritore di Acerra, l'altra che permetteva di dare il Cip 6 (la bolletta che paghiamo all'Enel per le energie rinnovabili) ai tre inceneritori della Campania che "trasformano la merda in oro - come dice Guido Viale -. Quanto piu' merda, tanto piu' oro". * Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n. 90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di costruire dieci discariche e quattro inceneritori. Se i quattro inceneritori funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli funzionare. Da solo l'inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000 tonnellate all'anno! E' chiaro allora che non si vuole fare la raccolta differenziata, perche' se venisse fatta seriamente (al 70%), non ci sarebbe bisogno di quegli inceneritori. E' da 14 anni che non c'e' volonta' politica di fare la raccolta differenziata. Non sono i napoletani che non la vogliono, ma i politici che la ostacolano perche' devono ubbidire ai potentati economici-finanziari promotori degli inceneritori. E tutto questo ci viene imposto con la forza militare vietando ogni resistenza o dissenso, pena la prigione. Le conseguenze di questo decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione), i campani saranno meno uguali, avranno meno dignita' sociale - cosi' afferma un recente Appello ai parlamentari campani -. Cio' che e' definito 'tossico' altrove, anche sulla base normativa comunitaria, in Campania non lo e'; cio' che altrove e' considerato 'pericoloso' qui non lo sara'. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia giudiziaria e la magistratura in tema di repressione di violazioni della normativa sui rifiuti hanno meno poteri che nel resto d'Italia e i nuovi tribunali speciali per la loro smisurata competenza e novita', non saranno in grado di tutelare, come altrove accade, i diritti dei campani". Davanti a tutto questo, ho diritto ad indignarmi. Per me e' una questione etica e morale. Ci devo essere come prete, come missionario. Se lotto contro l'aborto e l'eutanasia, devo esserci nella lotta su tutto questo che costituisce una grande minaccia alla salute dei cittadini campani. Il decreto Berlusconi straccia il diritto alla salute dei cittadini campani. * Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all'inceneritore di Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi, organizzata nel cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio di persone (la gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte delle forze dell'ordine e' terrorizzata e ha paura di scendere in campo). Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo. Abbiamo distribuito alla stampa i volantini "Lutto cittadino. La democrazia e' morta ad Acerra. Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il sottosegretario Bertolaso". Nella conferenza stampa (non ci e' stato permesso parteciparvi) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto quello che ha "subito" per costruire l'inceneritore ad Acerra (ricordo che la Fibe e' sotto processo oggi!). Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha annunciato che aveva firmato il giorno prima l'ordinanza con la Fibe perche' finisse i lavori. Poi ha annunciato che avrebbe scelto con trattativa privata, una delle tre o quattro ditte italiane e una straniera, a gestire i rifiuti. Quella italiana sara' quasi certamente la A2A (la multiservizi di Brescia e Milano) e quella straniera e' la Veolia, la piu' grande multinazionale dell'acqua e la seconda al mondo per i rifiuti. Sara' quasi certamente Veolia a papparsi il bocconcino e cosi', dopo i rifiuti, si pappera' anche l'acqua di Napoli. Che vergogna! E' la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui unico scopo e' fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove cavie. Sono infatti convinto che la Campania e' diventata oggi un ottimo esempio di quello che Naomi Klein nel suo libro Shock Economy chiama appunto l'economia di shock! Li' dove c'e' emergenza grave viene permesso ai potentati economico-finanziari di fare cose che non potrebbero fare in circostanze normali. Se funziona in Campania, lo si ripetera' altrove (New Orleans dopo Katrina insegna). E per farci digerire questa pillola amara, O' Sistema ci inviera' un migliaio di volontari per aiutare gli imbecilli dei napoletani a fare la raccolta differenziata, un migliaio di alpini per sostenere l'operazione e trecento psicologi per oleare questa operazione! Ma a che punto siamo arrivati in questo paese? Mi indigno profondamente. E proclamo la mia solidarieta' a questo popolo massacrato. "Padre Alex e i suoi fratelli" era scritto in una fotografia apparsa su "Tempi" (inserto de "La Repubblica"). Si', sono fiero di essere a Napoli in questo momento cosi' tragico con i miei fratelli (e sorelle) di Savignano Irpino, espropriati del loro terreno seminato a novembre, con i miei fratelli di Chiaiano, costretti ad accedere nelle proprie abitazioni con un pass perche' sotto sorveglianza militare. Per questo, con i comitati come "Allarme rifiuti tossici", con le reti come Lilliput e con tanti gruppi, continueremo a resistere in Campania. Non ci arrenderemo. Vi chiedo di condividere questa rabbia, questa collera contro un Sistema economico-finanziario che ammazza ed uccide non solo i poveri del Sud del mondo, ma anche i poveri nel cuore dell'Impero. Trovo conforto nelle parole del grande resistente contro Hitler, il pastore luterano danese Kaj Munk, ucciso dai nazisti nel 1944. "Qual e' dunque il compito del predicatore oggi? Dovrei rispondere: fede, speranza e carita'. Sembra una bella risposta. Ma vorrei dire piuttosto: coraggio. Ma no, neppure questo e' abbastanza provocatorio per costituire l'intera verita'... Il nostro compito oggi e' la temerarieta'. Perche' cio' di cui come Chiesa manchiamo non e' certamente ne' di psicologia ne' di letteratura. Quello che a noi manca e' una santa colleraî. * Davanti alla Menzogna che furoreggia in questa regione campana, non ci resta che una santa collera. Una collera che vorrei vedere nei miei concittadini, ma anche nella mia Chiesa. "I simboli della chiesa cristiana sono sempre stati il leone, l'agnello, la colomba e il pesce -diceva sempre Kaj Munk -, mai il camaleonte". Vi scrivo questo al ritorno della manifestazione tenutasi nelle strade di Chiaiano, contro l'occupazione militare della cava. Invece di aspettare il giudizio dei tecnici sull'idoneita' della cava, Bertolaso ha inviato l'esercito per occuparla. La gente di Chiaiano si sente raggirata, abbandonata e tradita. Non abbandonateci. E' questione di vita o di morte per tutti. E' con tanta rabbia che ve lo scrivo. Resistiamo! Alex Zanotelli 2. RIFLESSIONE. FURIO COLOMBO: RAZZISMO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 19 luglio 2008 col titolo "Razzismo. Ieri gli ebrei oggi le impronte ai bambini rom". Furio Colombo (Chatillon, 1931), giornalista (alla Rai, "La Stampa", "La Repubblica", "L'Unita'" e per il "New York Times" e la "New York Review of books"), scrittore, docente universitario (al Dams di Bologna e alla Columbia University), parlamentare; e' stato il proponente e primo firmatario della legge istitutiva del Giorno della memoria, approvata all'unanimita' dal Parlamento italiano. Tra le opere recenti di Furio Colombo: Il destino del libro e altri destini, Bollati Boringhieri, 1990; La citta' profonda. Saggi immaginari su New York, Feltrinelli, 1994; Ultime notizie sul giornalismo. Manuale di giornalismo internazionale, Laterza, 1995; (con Vittorio Foa), Il sogno di una destra normale, Donzelli, 1995; Il treno della Cina. Dispacci di un viaggio, Laterza, 1995; Gli altri che farne, Rizzoli, 1997; Il candidato. La politica senza il potere, Rizzoli, 1997; Confucio nel computer. Memoria occidentale del futuro, Rizzoli, 1998; Manuale di giornalismo internazionale. Ultime notizie sul giornalismo, Laterza, 1999; Fine del villaggio globale. Notizie di guerra, PL, 1999; La scoperta di nuovi mondi, Istituto Poligrafico dello Stato, 2001; Privacy, Rizzoli, 2001; (con Antonio Padellaro), Il libro nero della democrazia. Vivere sotto il governo Berlusconi, Baldini Castoldi Dalai, 2002; La citta' e' altrove, Mancosu Editore, 2003; L'America di Kennedy, Baldini Castoldi Dalai, 2004; America e liberta'. Da Alexis de Tocqueville a George W. Bush, Baldini Castoldi Dalai, 2005; (con Gian Carlo Ferretti), L'ultima intervista di Pasolini, Avagliano, 2005; (con Romano Prodi), Ci sara' un'Italia. Dialogo sulle elezioni piu' importanti per la democrazia italiana, Feltrinelli, 2006; Post giornalismo. Notizie sulla fine delle notizie, Editori Riuniti, 2007; La fine di Israele, Il Saggiatore, 2007. Un sito in cui compare una selezione dei suoi articoli recenti e': www.furiocolombo.it] Abbiamo letto e riletto tante volte, in questi decenni resi liberi dalla distruzione del fascismo e razzismo, dal sangue dei partigiani, dalle rivisitazioni angosciate del Giorno della Memoria, il "Manifesto della razza", firmato da una decina di personaggi sconosciuti (tra essi due zoologi) detti, a quel tempo, "scienziati", ma anche da un illustre clinico che ha poi compiuto il meglio della sua carriera e ricevuto gli onori piu' alti nell'Italia libera, troppo presto smemorata dopo l'orrore del fascismo. Ad ogni lettura ognuno di noi ha provato un senso di repulsione e di ridicolo, di delittuoso e di assurdo, di estrema ignobilta' ma anche di pauroso vuoto di cultura (parlo di cultura comune, generale) e di rispetto per se stessi. Immaginate quegli "scienziati" nell'atto di firmare. E intravedete un abisso di vilta' cosi' profondo da sfidare e disorientare l'immaginazione. Chi puo' disprezzare a tal punto se stesso? e' la domanda triste e inevitabile. Quello che non ci saremmo mai aspettati, neppure il piu' pessimista o il piu' scettico di noi, sul mistero e le fenditure della natura umana, era di rileggere il "Manifesto della razza" (allora opportunamente ripubblicato sulla rivista "Difesa della razza" di Telesio Interlandi e Giorgio Almirante) come un documento dei nostri giorni, del nostro tempo. Per esempio, rileggete questa frase del "Manifesto", e immaginatela scritta o pronunciata in un'ideale sequenza documentaria di cio' che e' davvero accaduto nell'aula di Montecitorio alle ore 13 di mercoledi' 16 luglio: "E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti". Quel giorno, a quell'ora, i deputati di Berlusconi stavano tributando uno scroscio di applausi a se stessi per avere approvato la legge che autorizza a prelevare le impronte digitali ai bambini Rom, sia italiani sia ospiti dell'Italia, esattamente come quella stessa Camera nel 1938, aveva calorosamente applaudito l'approvazione dell'altro "pacchetto sicurezza", quello delle "leggi per la difesa della razza" redatte da Mussolini. Il fatto che l'aberrante discriminazione di oggi contro i bambini Rom sia stata voluta da un uomo storicamente irrilevante, non toglie nulla all'umiliazione imposta a quei bambini. Mentre alla Camera, nel nuovo e identico tuono di applausi, il ministro Carfagna e il deputato Bocchino cercavano, una contro l'altro, di farsi vedere abbracciati al ministro Maroni (che da oggi, nonostante la ben nota modestia umana e politica, dovra' essere ricordato per la sua nuova legge che riporta l'Italia al prima della Resistenza), ho immaginato lo scorrere del testo che ha sfregiato l'Italia: "E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il regime in Italia e' fondata sul razzismo. Frequentissimo e' stato sempre nei discorsi del capo il richiamo ai concetti di razza". Se il capo a cui adesso si fa riferimento e' Bossi (con Borghezio, come scorta) le parole del "Manifesto" sull'immagine di Maroni che mostra il pollice in alto nel gesto americano della vittoria, sono il commento perfetto. Non dobbiamo piu' domandarci: "Ma che gente era, quella che ha approvato e sostenuto il 'pacchetto sicurezza' del 1938?". Basta osservare, con immensa tristezza, i deputati di Berlusconi che applaudono se stessi per avere approvato il loro "pacchetto sicurezza". Quello che proclama la pericolosa estraneita' della razza Rom, e schiera i soldati a difesa della razza italiana. 3. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': POLITICA PREPOTENTE [Dal quotidiano "La Repubblica" del 19 luglio 2008 col titolo "Politica prepotente davanti a Eluana". Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006] L'umana e drammatica vicenda di Eluana Englaro ha riportato al centro della discussione pubblica le questioni di vita. Ma questo e' avvenuto nel modo peggiore. La' dove erano necessari rispetto e misura, e forse silenzio, assistiamo a grida e strumentalizzazioni. E si e' creato un clima che di nuovo allontana la consapevolezza che i nuovi diritti civili sono parte integrante delle politiche di inclusione e innovazione, dunque della cittadinanza di questo avvio di millennio. Altrove non e' cosi', mentre in Italia vi e' stato un significativo slittamento linguistico: riferendosi a molti temi, non si parla piu' di diritti civili, ma di questioni "eticamente sensibili". Che cosa vuol dire? Che le sconvolgenti novita' legate alle innovazioni scientifiche e tecnologiche esigono una riflessione pubblica che tenga conto delle trasformazioni profonde dell'umano che tutto questo comporta? Che questa riflessione deve far nascere una maggiore responsabilita' individuale e collettiva, una nuova coscienza del limite? O che si prende congedo da un'idea dei diritti fondata sui principi costituzionali, dunque sull'unica tavola di valori democraticamente legittimata, per entrare in un ambiguo territorio dove l'invocazione dell'etica assume caratteri autoritari, limitando l'autonomia e la liberta' delle persone, e l'affermazione di "valori non negoziabili" esclude la possibilita' di seguire la via democratica verso la soluzione dei problemi attraverso il confronto tra punti di vista diversi, e tutti legittimi? Torniamo allora sul caso Englaro, partendo dalla sentenza della Corte di Cassazione dell'ottobre dell'anno scorso, ai cui principi si e' rifatta la recente decisione della Corte d'appello di Milano che ha autorizzato l'interruzione dei trattamenti che mantengono Eluana in stato vegetativo permanente. Quella sentenza viene ora giudicata inaccettabile, addirittura eversiva, perche' invaderebbe le competenze del Parlamento, si' che al Senato, fatto davvero senza precedenti, si e' proposto di sollevare un conflitto davanti alla Corte costituzionale perche' sanzioni il comportamento della Cassazione. Se quella sentenza venisse letta senza pregiudizi, se ne scoprirebbero la qualita' e il rigore dell'argomentazione, il carattere analitico richiesto dalla complessita' della materia, l'apertura e la consapevolezza della discussione internazionale. I giudici non hanno "creato" diritto, sostituendosi al legislatore. Com'era loro preciso dovere, hanno ragionato in base a principi e norme gia' presenti nel nostro ordinamento: gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione; la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d'Europa; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; la legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978; gli articoli del Codice di deontologia medica. Hanno richiamato sentenze della Corte costituzionale e numerosi precedenti della stessa Cassazione. Un "pieno" di norme che smentisce la tesi del vuoto normativo e dell'indebita supplenza. Se avessero argomentato diversamente, rifiutandosi di decidere, vi sarebbe stato un caso clamoroso di "denegata giustizia". E invece i giudici della Cassazione, e poi quelli di Milano, hanno fatto il loro dovere si' che, con l'abituale sobrieta', il padre di Eluana ha commentato la decisione della Corte d'appello osservando che essa conferma la sua fiducia nello Stato di diritto. I giudici di Milano non hanno "condannato a morte" Eluana. Hanno adempiuto al loro difficile dovere, applicando principi e norme generali ad un caso concreto, cosi' come, prima di loro, avevano fatto giudici di corti nazionali e internazionali, dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Germania (tutte decisioni scrupolosamente ricordate dalla Cassazione). Ricordate il caso di Terry Schiavo, la ragazza americana rimasta per sette anni in stato vegetativo permanente? Dopo una lunga controversia, che vide l'intervento dello stesso Bush, fu proprio un giudice ad autorizzare l'interruzione dei trattamenti. Il percorso seguito dai giudici italiani e' limpido, addirittura obbligato. Non vi sono forzature, ma l'applicazione di principi ad una situazione in cui non e' la "natura", ma l'artificio tecnologico a permettere la sopravvivenza. Questi principi muovono dal consenso informato, dal quale discende il "potere della persona di disporre del proprio corpo" (cosi' la Corte costituzionale nel 1990) e quindi l'illegittimita' di qualsiasi intervento che prescinda dalla sua volonta'. Da qui l'imperativa indicazione dell'art. 32 della Costituzione, che vieta qualsiasi trattamento e qualsiasi norma che possa violare "il rispetto della persona umana". Siamo sul terreno consolidato del rifiuto di cure, che nulla ha a che vedere con l'omicidio del consenziente o l'eutanasia. Partendo da queste premesse, la Cassazione, con grande equilibrio, ha indicato i due presupposti che legittimano l'interruzione del trattamento di sopravvivenza: il rigoroso accertamento dell'irreversibilita' dello stato vegetativo permanente; la possibilita' di individuare la volonta' della persona sulla base di sue dichiarazioni esplicite o "attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita e i valori di riferimento". Le critiche rivolte a questi due criteri non sono convincenti. Non mancano criteri scientifici per accertamenti oggettivi dell'effettiva condizione del di chi si trovi in stato vegetativo permanente. E stabilire la volonta' della persona puo' essere procedimento difficile, che esige grande prudenza, ma che puo' essere fondato su una molteplicita' di elementi che consentono di giungere a conclusioni univoche. Due altri punti, anch'essi importanti, sono stati definiti dalla Cassazione. Il primo riguarda la qualificazione dell'alimentazione e dell'idratazione forzata come "trattamento terapeutico", al quale si puo' rinunciare, opinione largamente condivisa dalla comunita' scientifica e che sta alla base delle decisioni dei giudici di altri paesi. Il secondo riguarda "l'applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell'interesse del paziente", dunque la legittimita' della sedazione. Scrupolo giuridico e comprensione umana riconoscono cosi' ad Eluana la dignita' nel morire. Al riparo da crociate e agitazioni ideologiche, dovremmo ricordare piuttosto le parole scritte nel 1970 da Paolo VI in una lettera al cardinale Villot: "Pur escludendosi l'eutanasia, cio' non significa obbligare il medico a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza infaticabilmente creatrice. In tali casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa, nell'ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell'adoperarsi a calmare le sofferenze, invece di prolungare piu' a lungo possibile, e con qualunque mezzo e a qualunque condizione, una vita che non e' piu' pienamente umana e che va verso la conclusione". Una politica prepotente, che impugna la difesa della vita come una clava per negare le ragioni profonde dell'umano e della sua dignita', sta perdendo il respiro necessario per affrontare questioni cosi' impegnative. Il caso Englaro si trasforma in occasione ulteriore nel duello tra politica e giustizia. Nel pretestuoso conflitto davanti alla Corte costituzionale, che mi auguro il Senato non voglia sollevare e che la Corte comunque respingera', si coglie la volonta' di sovvertire legittime decisioni giudiziarie, attentando alla radice all'autonomia e all'indipendenza della magistratura, vera bestia nera del presidente del Consiglio. E, al di la' di questo, si coglie un altro tassello della strisciante revisione costituzionale in atto, che nega gli stessi principi contenuti nella prima parte della Costituzione. Di questo bisogna essere consapevoli se si affronteranno in Parlamento i temi del testamento biologico. Il rischio e' evidente. Quella legge puo' divenire l'occasione per fare un passo indietro, per restringere diritti che gia' ci appartengono I chiarimenti sono benvenuti. Ma, ferma restando la legittimita' delle opinioni e delle scelte diverse di ciascuno, nessuno puo' essere espropriato della sua dignita', e non puo' essere imposta una regressione culturale e istituzionale. L'alternativa e' ormai netta. Le decisioni sulla vita devono essere prese sulla base dei principi costituzionali, rispettando la liberta' delle persone, con gli interventi giudiziari necessari per adattare quei principi alle singole situazioni concrete? O prevarranno le pretese di variabili e aggressive maggioranze parlamentari, che oggi si candidano a divenire padrone delle nostre vite? 4. LIBRI. WANDA TOMMASI PRESENTA "OLTRE I PROPRI CONFINI" DI LUCE IRIGARAY [Dalla rivista della comunita' filosofica femminile Diotima "Per amore del mondo", fascicolo della primavera 2008 col titolo "Un certain regard", disponibile nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo la seguente recensione. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e' tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Tra le opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981, Luca Sossella Editore, 2003; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Tra Oriente e Occidente, Manifestolibri, Roma 1997; Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1997, 2000; In tutto il mondo siamo sempre in due, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006; Preghiere quotidiane, Heimat, 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri, Torino 2007; Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri, Torino 2008] L'ultimo libro di Luce Irigaray, Oltre i propri confini (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007), raccoglie conferenze e dialoghi fra la pensatrice francese e intelocutrici/interlocutori italiani: il titolo allude al tentativo dell'autrice di oltrepassare i propri confini (nazionali, culturali, linguistici), per intrecciare della relazioni con la cultura e con il femminismo italiani, che, specialmente nelle pratiche e nel pensiero della differenza sessuale, ha raccolto e sviluppato in modo fecondo l'eredita' della pensatrice francese. Nell'introduzione, Irigaray auspica un ritorno all'entusiasmo del '68, a quello "stato divino" che aveva segnato il femminismo degli anni '70, quando molte donne, uscite dall'isolamento in cui le aveva confinate la cultura patriarcale, avevano trovato una parola pubblica condivisa ed erano state toccate dalla grazia e dalla gioia dell'incontro fra loro, al di la' delle differenze fra i percorsi singolari di ciascuna. Allora, cio' che univa era piu' forte di cio' che poteva dividere le donne fra loro: oggi, a quasi trent'anni di distanza da quel felice inizio, al di la' dei numerosi conflitti, delle ferite e di molto negativo che spesso ha reso difficili le relazioni fra donne, pur accomunate da un ideale condiviso, Irigaray auspica che si riesca nuovamente ad attingere alla freschezza degli inizi e a trovare la forza - la grazia? - per porre le basi di una nuova cultura e civilta', a partire dalla consapevolezza che "in tutto il mondo siamo sempre in due". Fra le diverse piste di lettura che questo libro suggerisce, ne scelgo tre: in primo luogo l'idea che la differenza sessuale e' il migliore passaporto per varcare ogni confine, per entrare in contatto con tutte le altre differenze; in secondo luogo, il tema del desiderio femminile, e infine l'incrocio fra l'amore dell'altro essere umano e l'amore dell'Altro divino. Lascio volutamente sullo sfondo, in questo mio percorso di lettura, le questioni che riguardano "una democrazia da ripensare" (p. 56). Non che queste ultime non siano importanti, a partire dalla basilare affermazione che "imporre lo stesso modello ugualitario a tutti e tutte non tiene conto dell'ideale della democrazia" (p. 63), ma ho l'impressione che, in questo campo, le intuizioni migliori di Irigaray siano negli accenti profetici e utopici, indubbiamente molto suggestivi, ma difficilmente traducibili in proposte politiche concrete. Sorrette da grandi interrogativi, del tipo "come aiutare il divenire umano delle donne, dei giovani e degli stranieri" (p. 63), e dall'intento di fondo di favorire una cultura del desiderio, queste indicazioni convergono verso un "abbozzo di una politica rispettosa delle differenze" (p. 67), obiettivo che e' sicuramente auspicabile ma, a mio parere, non altrettanto facilmente realizzabile. * Mi concentro dunque innanzitutto sulla prima delle questioni che ho scelto di trattare, cioe' la differenza sessuale come apertura privilegiata per entrare in contatto con tutte le altre differenze: nel ribadire che la differenza fra i sessi e' il primo, "il piu' fondamentale e universale incrocio da rispettare" (p. 116), Iragaray rilancia innanzitutto il senso della differenza sessuale come intreccio di natura e cultura o, con le sue parole, come "specifica articolazione fra corpo e parola" (p. 117), come alfabeto di base di ogni cultura e civilta'. Mentre la tradizione occidentale ha privilegiato il soggetto unico e ha operato sempre nel senso della riconduzione dell'altro/a al Medesimo, una cultura che metta al centro la differenza di essere donna/uomo e la relazione, inscritta nello stesso corpo femminile e quindi particolarmente legata a quel soggetto costitutivamente relazionale che la donna e', puo' porre le basi di un dialogo con l'altro (l'uomo), e, a partire da li', con ogni altra differenza (naturale, linguistica, culturale, ecc.). Una cultura della differenza sessuale e' un invito a uscire dal proprio orizzonte per costruire un mondo nuovo che lasci spazio a tutte le altre differenze: alla sua base, vi e' la necessita' di disegnare i primi confini, quelli legati al fatto che siamo donne oppure uomini, confini che dobbiamo al tempo stesso rispettare e aprire per incontrare l'altro. In questa prospettiva, che a mio parere e' pienamente condivisibile e che dischiude per il pensiero e per le pratiche della differenza un grande compito politico nel presente, Irigaray parla spesso di "differenza sessuataî" piuttosto che di "differenza sessuale". Il motivo di questa scelta terminologica deriva dalla convinzione che occorra anteporre cio' che accomuna tutte le donne - cioe' la differenza femminile, nel suo significato sia naturale sia culturale - a cio' che potrebbe invece dividerle, come gli orientamenti sessuali. Secondo Irigaray, l'espressione "differenza sessuale" suggerisce qualcosa che ha a che fare con le scelte sessuali, mentre la scommessa dell'autrice e' di altro tipo. Essa e' duplice: si tratta di tenere insieme natura e cultura, e al tempo stesso di evitare inutili divisioni fra donne dovute a diversi modi di vivere la sessualita'. Di fatto, proprio questo e' cio' che intende anche Diotima con il pensiero della differenza sessuale; quindi, a mio avviso, si tratta di una divergenza nelle scelte terminologiche piuttosto che di una questione di sostanza. Analogo discorso si puo' fare a proposito dell'identita', che apparentemente delinea un'altra divergenza rispetto a Diotima: l'autrice parla di identita' sessuata, mentre io penso, con altre di Diotima, che occorra puntare non sull'identita', ma sempre sulla differenza, nel suo gioco, da rilanciare sempre, con l'identita' umana. L'identita' umana e' formata dal differire, naturale e culturale, di donne e uomini, dal gioco sempre rinnovato della differenza sessuale. Ho riluttanza a parlare, ad esempio, di identita' femminile, perche' temo che l'identita' rischi di diventare una gabbia in cui la donna sia nuovamente rinchiusa, e preferisco affidarmi al libero gioco della differenza. Irigaray ritiene tuttavia che l'identita' femminile consista in una propensione alla relazione, in un'apertura all'altro, che impedisce ogni staticita' e ogni fissazione in un ruolo. Dunque, nella sostanza, fra noi e Irigaray anche su questo punto la distanza non e' grande, nonostante la divergenza terminologica. Nella scelta del termine identita' da parte di Irigaray, pesa inoltre l'esigenza di sottolineare la necessita' di una certa oggettivita', anche per la differenza femminile, affinche' la donna possa ritornare a se' senza perdersi nell'altro, affinche' possa rientrare nei suoi propri confini e rendersi cosi' disponibile a un autentico incontro. * Il secondo filo conduttore che vorrei far risaltare in questo testo e' il tema del desiderio femminile: dopo aver attraversato la questione della crudelta' delle donne, di un'aggressivita' a lungo repressa, ma che attualmente si esprime apertamente, spostandosi nella sfera pubblica e facendo spesso corpo con le rivendicazioni emancipazioniste, promosse dallo stesso femminismo, Irigaray si sofferma sulla difficile arte di condivisione del desiderio: "Il desiderio rappresenta un in-piu' di vita che si ricava dalla relazione con l'altro" (p. 92). Anziche' scaricare l'energia nata dall'incontro, cosa che propone in generale la nostra cultura (valga come esempio Freud), l'autrice suggerisce tre vie possibili per condividere il desiderio, e anche per educarlo e coltivarlo: si tratta, in particolare per le donne, di acquietare la propria avidita' nei confronti dell'altro/a, e di venire a capo del circolo vizioso di rabbia e aggressivita', incentivato dalla sensazione di dipendenza e dalla mancanza di autonomia. Cose queste molto difficili da realizzare nella pratica: nel proprio percorso personale, Irigaray dice di averle apprese appunto attraverso delle pratiche, in particolare lo yoga e il respiro consapevole. Indica infatti come strade per venire a patti con la violenza del desiderio e per fare di quest'ultimo qualcosa di condiviso, in primo luogo la condivisione del respiro: cantare insieme o respirare insieme la stessa aria in campagna sono modi semplici di rendersi conto che e' possibile "condividere nella differenza senza distruggere nessuno/a" (p. 93). La seconda strada di condivisione del desiderio e' quella che si puo' sperimentare nel creare insieme: un "fare insieme grazie all'energia nata dal desiderio comune" (p. 93). Molte pratiche di donne, legate al pensiero della differenza, in Italia e non solo, vanno proprio in questa direzione. Infine, la terza strada di condivisione e' quella del "desiderio per l'altro in quanto tale" (p. 94): e' la piu' promettente, ma anche la piu' difficile da praticare, dal momento che la relazione amorosa si e' declinata nella nostra cultura o come tendenza a fare uno, in una fusionalita' che non rispetta l'essere due, oppure nella coppia attivo/passiva, soggetto/oggett(a). * Con questo, siamo gia' passati alla terza pista di lettura che propongo in questo mio itinerario, cioe' al tema dell'amore. A questo proposito, Irigaray parla dell'incrocio fra l'amore dell'altro umano e l'amore dell'Altro divino: "Amare l'altro come noi stessi equivarrebbe, secondo i comandamenti cristiani, ad amare l'Altro. Questo mistero del cristianesimo non e' stato realmente inteso. Implica, mi pare, che la singolarita' della persona sia sempre considerata e rispettata prima dell'interesse collettivo. Anteporre l'istituzione cristiana al divenire divino di ciascuno/a di noi non fa parte del messaggio cristiano, secondo me. E questo impedisce a ognuno di camminare fino ai confini della terra, che lui, o lei, e'" (p. 126). Un amore dell'altro con la minuscola che consenta, in particolare alla donna, di ritornare a se stessa, senza perdersi ne' perdere i propri confini, e' la condizione per avvicinarsi all'Assoluto, lasciandosene toccare. Come gia' in Etica della differenza sessuale, in cui Irigaray elaborava il concetto di trascendentale sensibile, si auspica qui il diventare parola della carne, e si fa riferimento all'esperienza delle mistiche, in cui il lasciarsi toccare dalla grazia e' al tempo stesso un toccare il divino, una carezza data e al tempo stesso ricevuta. * Trattando dell'amore per l'altro essere umano, l'autrice fra anche riferimento al negativo, che viene in primo luogo inteso come mistero, come territorio inappropriabile fra me e l'altro/a. Questo mistero va rispettato e conservato: "L'esistenza di un mistero salvaguarda l'uno e l'altro" (p. 35). E' questo un significato di negativo che rimanda, implicitamente e polemicamente, a Hegel: mentre in Hegel il negativo e' un modo di appropriarsi dell'altro e di ricondurlo al Medesimo, invece in Irigaray il negativo serve precisamente a preservare l'alterita' dell'altro, il mistero della sua singolarita'. Un altro significato del negativo che compare nel testo e' quello che nasce dalla negazione maschile della madre, dal matricidio originario che, secondo Irigaray, e' all'origine della cultura patriarcale. Questa seconda accezione di negativo e' piu' vicina a quanto l'autrice affermava diversi anni fa nel saggio "Il corpo a corpo con la madre", in Sessi e genealogie. Richiamo questi due significati del negativo perche' la riflessione di Diotima, negli ultimi due libri (La magica forza del negativo e L'ombra della madre), si e' molto interrogata sul negativo: sia quello che capita nelle nostre vite e che, se non viene lasciato fare il suo lavoro, rischia di andare a male, e quello che spesso interviene pesantemente nelle relazioni fra donne, facendole ammalare. Dietro quest'ultimo aspetto del negativo, noi di Diotima abbiamo intravisto l'oscuro materno, i nodi non risolti della relazione con la madre, un'ombra che pesa sui rapporti fra donne e che provoca molti conflitti e sofferenze. * Su quest'ultimo nodo, cruciale per la politica delle relazioni fra donne, Irigaray aveva detto cose molto importanti gia' in Etica della differenza sessuale. In quest'ultimo libro, la questione e' ripresa quando si parla della crudelta' delle donne, ma in generale l'attenzione dell'autrice va, piuttosto che in direzione del negativo, verso il compito, che si puo' definire etico, di coltivare la felicita', con accenti che volutamente privilegiano il desiderio e il piacere, nella convinzione che solo una cultura dell'energia, necessaria sul piano sia vitale sia spirituale sia intellettuale, possa consentire alle donne di trovare una via d'uscita rispetto alle molte, troppe ferite e sofferenze che nella storia passata esse hanno ricevuto. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 173 del 20 luglio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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