Minime. 507



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 507 del 5 luglio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Massimo
2. L'8 luglio a Roma
3. We shall overcome. Contro il razzismo e i poteri criminali una campagna
nonviolenta con un adeguato programma costruttivo
4. Adriano Prosperi: I nostri indiani si chiamano zingari
5. Maria G. Di Rienzo: Come esseri umani
6. Stefano Rodota': Il principe senza legge
7. Anche il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani contro il
devastante mega-aeroporto di Viterbo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. LUTTI. PEPPE SINI: MASSIMO

E' deceduto, ancor giovane, Massimo Pisacreta. Un amico da sempre.
Una malattia lunga e dolorosissima lo ha ucciso, ma non e' mai riuscita a
togliergli la generosita', la mitezza, l'altruismo, la gentilezza, la
sorgiva bonta'. Massimo era piu' forte del dolore, della malattia, del male.
Era una persona buona come il pane. Un cuore grande.
Aveva dedicato la sua vita all'impegno affinche' l'umanita' avesse giustizia
e misericordia, affinche' ogni persona potesse essere libera e felice,
responsabile e solidale.
Ed ora che e' morto noi che abbiamo avuto la fortuna grande di conoscerlo e
di apprezzarlo sempre lo ricorderemo cosi': una persona buona, coraggiosa,
gentile.
Come tutta l'umanita' dovrebbe, potrebbe, saprebbe essere se solo aprisse
gli occhi sulla nostra comune condizione.

2. INIZIATIVE. L'8 LUGLIO A ROMA

L'8 luglio in piazza Navona a Roma si manifestera' contro le scellerate ed
incostituzionali "leggi-canaglia" che il governo italiano in carica sta
cercando di imporre al nostro paese.
E' una iniziativa importante a cui anche il nostro foglio invita a
partecipare.
*
E' ovvio che ci sono differenze profonde tra quanti li' converranno, e ad
esempio noi vorremmo che la Costituzione venisse difesa e attuata sempre e
non solo quando ci si trova all'opposizione; noi vorremmo che la guerra
venisse ripudiata sempre e non solo quando ci si trova all'opposizione; noi
vorremmo che il razzismo venisse contrastato sempre e non solo quando ci si
trova all'opposizione; noi vorremmo che la legalita' e la democrazia, i
diritti umani e le norme e le procedure che li inverano e garantiscono,
venissero difesi ed applicati sempre e non solo quando ci si trova
all'opposizione.
*
E' noto che noi pensiamo che il razzismo e la guerra e l'illegalita' hanno
vinto anche sul piano elettorale perche' avevano gia' vinto sul piano della
cultura, del costume, dell'ideologia dominante, della "costituzione
materiale" della societa' - e la nostra lotta non era valsa a riparo. La
legge palesemente razzista che ha riaperto in Italia i campi di
concentramento reca i nomi di Livia Turco e Giorgio Napolitano. Il sindaco
che mesi fa ha proclamato e promosso azioni da pogrom nella capitale si
chiamava Walter Veltroni. Negli ultimi dieci anni a precipitare e mantenere
l'Italia in guerre terroriste e stragiste ci hanno pensato i governi
D'Alema, Berlusconi, Prodi e ancora Berlusconi. Tra i partiti politici che
negli ultimi anni hanno votato per la violazione della Costituzione, per la
guerra e per le stragi, per il riarmo e la politica terrorista e razzista,
imperialista e assassina, ci sono anche tutti - tutti - i partiti della
cosiddetta "Sinistra arcobaleno" alla pari dei partiti (e degli antipartiti)
esplicitamente razzisti, neofascisti, mafiosi e di quelli fin esibitamente
collusi.
Tra quanti hanno gia' aderito alla manifestazione dell'8 luglio vi sono
anche persone che da parlamentari (e ministri) non hanno esitato ad
approvare provvedimenti palesemente criminali ed esplicitamente
incostituzionali quando i loro partiti erano al governo. Noi non
dimentichiamo.
Ma oggi occorre contrastare provvedimenti governativi cosi' criminali, cosi'
folli, che tutte le persone che contro quei provvedimenti vogliono
impegnarsi e' bene che lo facciano.
Senza fingere di essere tutti uguali, poiche' non lo siamo: a ciascuno le
sue responsabilita'.
Ma ogni persona che vorra' contrastare il golpe in corso e difendere almeno
oggi almeno quel che resta della democrazia, della legalita', della
civilta', dell'umanita', ebbene si impegni, poiche' questo impegno e'
necessario, e' urgente. Ed e' un impegno benedetto.
*
E' ovvio ed e' noto che noi pensiamo che per difendere la democrazia, la
legalita', la civile convivenza, la dignita' umana, oggi occorrono alcuni
impegni precisi: contrastare il femminicidio, e far cessare per sempre la
violenza maschile, le strutture del patriarcato; contrastare l'ecocidio, e
attuare una politica e un'etica della responsabilita' che si prenda cura con
filiale pieta' di tutto il mondo vivente; contrastare l'apartheid: vi e' una
sola umanita', e il mondo e' ormai compiutamente interconnesso: ogni
ideologia e ogni prassi dell'esclusione e della discriminazione e', oltre
che assolutamente iniqua, definitivamente obsoleta e suicida; contrastare le
sfruttamento onnicida, e costruire una societa' di persone libere ed eguali
in diritti, naturaliter responsabili e solidali, fondando le relazioni, la
produzione e la riproduzione sociale sull'antico leale principio "da
ciascuno secondo le sue capacita', a ciascuno secondo i suoi bisogni";
contrastare la guerra, ed abolire anche i suoi strumenti, i suoi apparati,
le sue logiche, i suoi assetti ideologici e pratici.
*
E' banale aggiungere che noi crediamo che solo la scelta della nonviolenza
puo' fondare una politica adeguata alla drammatica situazione attuale.
Poiche' solo la scelta della nonviolenza puo' inverare la promessa di
dignita', di giustizia e liberta', di solidarieta' e responsabilita' che e'
scritta nella Costituzione della Repubblica Italiana.
E solo la scelta della nonviolenza puo' inverare il patto che apre la Carta
delle Nazioni Unite: "Noi, popoli delle nazioni unite, decisi a salvare le
future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di
questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanita', a
riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignita' e nel
valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e
delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui
la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle
altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a
promuovere il progresso sociale ed un piu' elevato tenore di vita in una
piu' ampia liberta', e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere
in pace l'uno con l'altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre
forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare,
mediante l'accettazione di principi e l'istituzione di sistemi, che la forza
delle armi non sara' usata, salvo che nell'interesse comune, ad impiegare
strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di
tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il
raggiungimento di tali fini".
E solo la scelta della nonviolenza puo' inverare l'impegno sancito nella
Dichiarazione universale dei diritti umani.
Solo la scelta della nonviolenza.
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. PROPOSTE. WE SHALL OVERCOME. CONTRO IL RAZZISMO E I POTERI CRIMINALI UNA
CAMPAGNA NONVIOLENTA CON UN ADEGUATO PROGRAMMA COSTRUTTIVO

Possiamo vincere.
Possiamo imporre che non venga introdotto il farneticante "reato di
immigrazione clandestina".
Possiamo imporre l'applicazione della norma costituzionale del diritto
d'asilo.
Possiamo imporre l'abolizione dei campi di concentramento.
Possiamo imporre che non venga introdotta la schedatura etnica (finanche dei
bambini).
Possiamo imporre la cessazione delle persecuzioni.
Possiamo imporre la lotta alla schiavitu'.
Possiamo imporre la fine dell'apartheid in Europa.
Possiamo vincere.
*
Ma per riuscirvi non basteranno le azioni simboliche.
Non basteranno le manifestazioni - pur benedette - una volta ogni tanto.
Non basteranno gli appelli - pur benedetti - che e' cosi' facile firmare.
Non basteranno neppure le mille e mille diffuse e fin capillari iniziative
di solidarieta' concreta che pure costituiscono un dovere morale e civile e
una pratica forte di riconoscimento di umanita', e voglia il cielo che
crescano ogni giorno di piu'.
Occorre qualcosa di piu'.
Occorre una campagna nonviolenta.
E per essere una campagna nonviolenta occorre che essa abbia un programma
costruttivo.
*
Non basterebbe infatti ottenere che siano rigettate le proposte legislative
ed amministrative palesemente piu' folli e criminali. Cosa che comunque
dobbiamo e possiamo ottenere.
Non basterebbe neppure ottenere la caduta del governo - caduta che peraltro
prima avverra' e meglio sara' per tutti.
Non basterebbe.
*
Occorre anche una politica antirazzista che ottenga risultati pratici
subito.
Occorre anche una politica antirazzista che incida nella pratica
istituzionale ed amministrativa. Che incida nelle strutture e nella cultura.
Che incida negli assetti materiali e ideologici della societa'.
Per questo occorre un programma costruttivo, di una campagna nonviolenta.
Per questo occorre una campagna nonviolenta, con un programma costruttivo.
Campagna nonviolenta e programma costruttivo sono una cosa sola.
*
In questo programma costruttivo dovrebbero esserci anche alcune proposte
minime praticabili a livello locale e su cui mobilitare subito le
istituzioni locali e gli operatori pubblici: non piu' solo il volontariato
ma il dispiegarsi dei diritti cosi' come riconosciuti dall'ordinamento
giuridico e resi vigenti, cogenti in forza di buone pratiche amministrative,
di deliberazioni pubbliche ad ogni livello decisionale.
*
E nel notiziario di domani espliciteremo alcune proposte specifiche e
concretamente realizzabili ovunque, su alcune delle quali molti di noi - e
ad esempio chi scrive queste righe - lavorano da decine d'anni.
Il razzismo e i poteri criminali vano fronteggiati e sconfitti.
Il razzismo e i poteri criminali possono essere sconfitti.
Ma per sconfiggerli occorre la scelta della nonviolenza.
Occorre una campagna nonviolenta, un programma costruttivo.
Occorre un programma costruttivo, una campagna nonviolenta.

4. RIFLESSIONE. ADRIANO PROSPERI: I NOSTRI INDIANI SI CHIAMANO ZINGARI
[Dal qutidiano "La Repubblica" del 16 giugno 2008 col titolo "I nostri
indiani si chiamano zingari".
Adriano Prosperi, nato a Cerretto Guidi (Firenze) nel 1939, docente di
storia moderna all'Universita' di Pisa, ha insegnato nelle Universita' di
Bologna e della Calabria; collabora a riviste storiche tra le quali
"Quaderni storici", "Critica storica", "Annali dell'Istituto italo-germanico
in Trento" e "Studi storici"; si e' occupato nei suoi studi di Storia della
Chiesa e della vita religiosa nell'eta' della Riforma e della Controriforma;
negli ultimi anni ha rivolto un'attenzione particolare alle strategie di
disciplinamento delle coscienze e di regolazione dei comportamenti
collettivi, messe in atto dalle istituzioni ecclesiastiche nell'Italia
post-tridentina. Tra le opere di Adriano Prosperi: Tra evangelismo e
Controriforma: Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma 1969; (con Carlo
Ginzburg), Giochi di pazienza, Torino 1975; Tribunali della coscienza:
inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996; L'eresia del Libro Grande.
Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000; Dalla Peste Nera
alla guerra dei Trent'anni, Torino 2000; Il Concilio di Trento: una
introduzione storica, Torino 2001; L'Inquisizione romana. Letture e
ricerche, Roma 2003; Dare l'anima, Torino 2005]

E se domani, in Italia, avvenisse qualcosa di simile a quello che si e'
visto l'11 giugno scorso a Ottawa? Qui da noi non se ne e' parlato, ma e'
stata una scena emozionante a giudicare dalle fotografie comparse sulle
prime pagine dei giornali canadesi. Si vedeva in piedi a sinistra il primo
ministro Stephen Harper e davanti a lui seduto, il delegato dell'assemblea
delle "First Nations" - quelli che noi, per l'errore di Cristoforo Colombo,
continuiamo a chiamare Indiani d'America: si chiama Phil Fontaine, nel suo
nome anglo-francese e' iscritta la storia dei successivi padroni europei del
Canada, ma il caratteristico copricapo di piume che sembra uscito da un film
di John Ford rivela la sua identita' di "Grande Capo" indiano.
In una cerimonia solenne il primo ministro ha presentato le scuse del
governo ai nativi per la politica di assimilazione seguita dal Canada nei
loro confronti: nel corso di molti anni, dall'800 fino al 1970, piu' di
150.000 bambini indiani furono strappati alle loro famiglie in tenera
infanzia e obbligati a frequentare le scuole cristiane di stato. Qui,
diventati ostaggi di un potere incontrollato mascherato di buone intenzioni,
subirono ogni genere di violenza, inclusi naturalmente gli abusi sessuali.
Tremende testimonianze di quel che subirono sono state proposte
pubblicamente in quella cerimonia dell'11 giugno, davanti alla folla di
membri delle "First Nations" che si stipava nelle tribune del Parlamento o
seguiva la ripresa televisiva dell'evento in tutto il Canada. Il primo
ministro ha detto fra l'altro: "E' stato un errore separare i bambini da
culture e tradizioni ricche e vibranti; questo ha creato un vuoto in molte
vite e in tante comunita'. Di questo chiediamo perdono". Lo ascoltava tra
gli altri la piu' vecchia dei circa 80.000 studenti delle scuole cristiane
oggi viventi, Marguerite Wabano, che ha 104 anni.
Nella sua replica Phil Fontaine ha accolto la domanda di perdono. E' finito
cosi' un incubo del moderno razzismo che ha devastato molte vite, finite poi
nell'alcoolismo e nella droga. Restano incancellabili le esperienze e i
dolori di tante persone: ma il risarcimento morale ha la sua importanza,
assai piu' di quello in danaro che le vittime avranno il diritto di
chiedere.
Una storia lontana da noi? non tanto. ll riconoscimento di colpa canadese
colpisce al cuore la cultura europea di quei missionari e di quei coloni che
cosi' gran posto hanno ancora nell'orgoglioso senso di se' degli europei. Ne
esce sconfitta la convinzione di superiorita' culturale che continua
assurdamente a dominare nelle scuole di ogni ordine e grado e nel modo di
percepire il proprio passato. Si continua a scrivere e a parlare della
scoperta dell'America e della "civilizzazione" operata dai portatori della
civilta' cristiana occidentale. Eppure basterebbe la testimonianza di Alexis
de Tocqueville che nell'800 descrisse il degrado fisico e mentale di popoli
un tempo fieri e vigorosi (Bartolome' de Las Casas li aveva paragonati agli
eroi dell'antichita' pagana) trasformati dall'alcool e dall'asservimento
coloniale in relitti umani. Oggi i blandi tentativi di rilettura critica
della storia sono frenati dall'urgenza di un clima di guerra che si e'
aperto sotto la sciagurata parola d'ordine dello "scontro di civilta'".
Ma non affrettiamoci troppo a sfumare le responsabilita' europee ed italiane
nella lontananza di colpe secolari e di eventi di un altro continente. Anche
nella casa Europa e' accaduto qualcosa di simile alla vicenda canadese. I
nostri indiani si chiamano zingari. Ci oppone la stessa barriera culturale
tra stanziali e nomadi che oppose in America il popolo delle praterie ai
costruttori di citta'. Quella barriera non ha operato solo nel portare al
genocidio degli zingari nei Lager nazisti, di cui comunque non si parla
abbastanza. Ci vorrebbe troppo spazio per tentare un elenco anche sommario
degli orrori dell'eugenetica europea e dello stillicidio quotidiano di
volgari pregiudizi. Un romanzo di Mario Cavatore, Il seminatore, e un
articolo di "Le Monde diplomatique" ripreso dal "Manifesto" hanno ricordato
di recente in Italia quello che nella civile Svizzera del '900 e' stato
fatto dall'Opera di soccorso "Enfants de la grande route", creata nel 1926
sotto l'egida della istituzione svizzera Pro-Juventute. Con una vera caccia
al nomade centinaia di bambini furono strappati ai genitori e messi in
orfanotrofi o affidati a famiglie svizzere per finire per lo piu' in
ospedali psichiatrici e in prigioni. Si voleva "sradicare il male del
nomadismo" e invece si realizzo' quello che l'allora consigliera federale
Ruth Dreyfuss bollo' nel 1998 come "un tragico esempio di discriminazione e
persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita di una
maggioranza".
In Italia la forza del pregiudizio alimenta oggi una violenza quotidiana che
ha nei bambini rom e sinti le vittime predestinate. Le radici storiche di
questa violenza sono remote. Profondamente radicato e sordo a ogni evidenza
e' il pregiudizio che accusa gli zingari di rubare i bambini "nostri".
Intanto ogni giorno si hanno nuovi esempi di come noi rubiamo agli zingari i
bambini "loro" per trasferirli in istituti e di come la nostra societa'
impedisca a quei bambini la possibilita' di una vita normale. Le prigioni
italiane ospitano - per cosi' dire - un numero molto alto di zingari e chi
le volesse visitare vedrebbe scene di giovanissime madri che allattano i
loro piccoli o li tengono con se'. Bambini che nascono prigionieri. Altri
preferiscono soluzioni piu' spicce. E' difficile dimenticare l'episodio di
cui fu protagonista quel nostro concittadino che anni fa regalo' una bambola
esplosiva a una bambina che chiedeva l'elemosina. La bambina non mori'. Ma
il suo corpo resto' segnato per sempre da quella versione italiana dello
"scontro di civilta'": perse un occhio e parte della mano destra. Il
delinquente era l'esecutore armato dai sentimenti di una collettivita'
concorde e omertosa. Cio' gli permise di restare anonimo e di non pagare per
l'infamia senza nome che aveva commesso. Oggi l'opinione dominante degli
italiani chiede che tutti gli zingari siano messi in galera o vengano
espulsi dall'Italia. Sono in prima fila tra i clandestini. E tra loro c'e'
anche quel bambino nato pochi giorni fa in un ospedale fiorentino da una
madre zingara: clandestina la madre, clandestino fin dalla nascita il
figlio. La prigione dove forse finiranno e' la risposta di un paese che non
si cela dietro l'eugenetica e che non ha ne' i mezzi ne' l'ipocrisia della
beneficenza svizzera. Il governo in carica ha raccolto una investitura
popolare anche su questo punto e ha dato segno di volerla tradurre in misure
concrete: parole che vogliono suonare rassicuranti - carcere, tolleranza
zero, condanne esemplari - alimentano ogni giorno la crescente sindrome di
paura e di odio di un paese spaventato.
E se domani... se domani, in Italia, il primo ministro canadese trovasse
qualcuno disposto a imitarlo, se qualcuno dicesse alto e forte che la
differenza culturale e' un valore?

5. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME ESSERI UMANI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione il seguente articolo scritto su richiesta di un
giornale locale.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao
Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come
donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?"  da cui e' scaturita
l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di
donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Tra le opere
di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza
velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e'
in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

E' capitato qualche volta che dei ladri, evidentemente assai sprovveduti, si
siano dati da fare per entrare in casa mia. In un paio di casi ci sono
riusciti mentre io ero assente, ma con il solo guadagno di una delusione. E
in un'occasione mi hanno persino lasciato in ingresso un cacciavite rotto,
usato probabilmente come passepartout. Se e' ragionevole credere alle
testimonianze dei vicini, ambo le volte potrebbero essere stati giovani
nomadi a scassinarmi l'uscio: alcune altre circostanze, riferitemi in
questura, avvaloravano questa ipotesi. Non c'e' nulla di provato, e l'annosa
psicosi che nutriamo attorno ai nomadi potrebbe aver interferito nella
percezione dei fatti, ma ammettiamo pure che sia cosi'. Ad ogni modo, anche
se il danno a mio carico si e' sempre limitato alla devastazione della
serratura e a un po' di disordine in piu' (non sono una gran donna di casa)
da cittadina diligente ho fatto quello che viene richiesto appunto ai
cittadini diligenti: ho chiamato la polizia. A questo punto vorrei potervi
dire che le cose sono andate come vanno nei film: al telefono mi dicono di
non toccare niente, nel giro di un quarto d'ora la squadra delle forze
dell'ordine arriva, esamina, prende le impronte, mi chiede se ho sospetti;
io offro loro un caffe' al termine del sopralluogo e i poliziotti mi danno
un nominativo di riferimento a cui rivolgermi per il prosieguo delle
indagini.
Non e' andata cosi', ovvio, ma non perche' i ladri non avevano trovato nulla
da portarsi via: non va cosi' neppure quando, come nel caso di una delle mie
vicine anziane un paio d'anni fa, spariscono oggetti di valore. La donna mi
racconto', sconvolta piu' dalla perdita affettiva rispetto ai "gioielli di
famiglia" che dalla perdita economica, di aver subito dalla polizia un
trattamento da lei giudicato sbrigativo e insultante. Alla chiamata
telefonica le risposero di venire in questura, e la' le chiesero se pensava
di essere l'unica eccetera (probabilmente questa era l'amarezza di
lavoratori che agiscono in condizioni disagiate, ma credo che sia ingeneroso
scaricarla su altre vittime). Nell'ambito delle mie conoscenze, ho udito
narrare durante gli anni dozzine di storie simili. In nessuna figurava il
rilevamento delle impronte digitali negli appartamenti interessati da
effrazione e furto. Vai, fai denuncia, e tutto resta lettera morta.
E qui veniamo alle impronte da prendere ai bambini rom. Su quanto questo
provvedimento sia ignobile, penne e voci migliori delle mie hanno
sufficientemente detto. Io vorrei discutere della sua efficacia in materia
di prevenzione e sicurezza: se nessuno prende le impronte sui luoghi dei
reati, probabilmente perche' reati minori, perche' non ci sono ne' personale
ne' risorse materiali sufficienti e cosi' via, con cosa si confronteranno le
impronte prese ai bambini? Tanto per sapere. Se i rilevamenti della polizia
scientifica, in Italia, si limitano per necessita' agli omicidi o a reati
altrettanto gravi, che evidenza ha il Ministero dell'Interno del
coinvolgimento in essi di bambini rom? E sempre per curiosita', cosa esclude
dal provvedimento i bambini di altre etnie e culture, e i bambini stanziali
di ogni gruppo presente sul territorio nazionale? Se non vi sono prove, e
non ve ne sono, e vogliamo soltanto dare ascolto e fiato alla paranoia, e'
piu' ragionevole sospettare di tutti che di un solo segmento.
Ma a questo punto ho un'ultima domanda: cosa siamo diventati, come italiani,
se io sono costretta a scrivere questo intervento, e cioe' ad entrare in un
dibattito che non avrebbe neppure motivo di esistere? I bambini sono
tutelati nei loro diritti da una pletora di convenzioni nazionali ed
internazionali (una di queste Carte porta persino il nome della citta' in
cui vivo), e qualora commettano dei reati noi ne teniamo responsabili gli
adulti a cui questi bambini sono affidati: una semplice norma di civilta' di
cui un tempo potevamo andar fieri. Forse potremmo chiedere al nostro governo
di smettere di coprire di fango quel poco di orgoglio che ci resta non tanto
come cittadini italiani, ma proprio come esseri umani.

6. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': IL PRINCIPE SENZA LEGGE
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 luglio 2008 col titolo "Il principe
senza legge".
Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente
all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e
seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo,
Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e'
Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e
Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste
"Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al
Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati
internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al
2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati
personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della
responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella
societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e
controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo
sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile
diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio
di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di
Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994;
Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia
e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997;
Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e
liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano
2006]

E' un'amara estate per chi contempla il panorama costituzionale, sconvolto
da iniziative, mosse, parole che ne stanno alterando la fisionomia. La
riforma del sistema politico, con il risultato delle elezioni, e' stata
compiuta senza atti formali, senza bisogno di cambiamenti della legge
elettorale. E mentre si discute di un dialogo bipartisan come condizione
indispensabile della riforma costituzionale, questa viene implacabilmente
realizzata da un quotidiano e unilaterale esercizio del potere.
La forza delle cose si impone, gli equilibri democratici vacillano. Stanno
cambiando gli assetti al vertice dello Stato, con una lotta tra poteri
costituzionali che non ha precedenti nella storia della Repubblica. Vengono
travolti principi fondativi come quelli dell'eguaglianza e della
solidarieta'. Cambia cosi' l'assetto della societa', non piu' fatta di
liberi ed eguali, rispettati nella loro autonomia e nella loro dignita', ma
di nuovo ordinata gerarchicamente, con gli ultimi, con i dannati della terra
posti in fondo alla scala sociale - immigrati, rom, poveri.
Non e' un fulmine a ciel sereno. Da anni, molte forze lavoravano per questo
risultato, molti apprendisti stregoni davano il loro contributo. Si
pubblicavano libelli contro la solidarieta'; si ridimensionava, fin quasi ad
azzerarla, la portata del principio di eguaglianza; si accettava senza
batter ciglio che la Costituzione fosse definita "ferrovecchio" o "minestra
riscaldata"; la difesa dei principi si faceva sempre piu' tiepida; si
diffondeva in ambienti altrimenti insospettabili la convinzione che la
logica del mercato imponesse la riscrittura dell'articolo 41 della
Costituzione, apparendo evidentemente eccessivo che la liberta'
dell'iniziativa economica avesse un limite invalicabile addirittura nel
rispetto della sicurezza (e le morti sul lavoro?), della liberta', della
dignita' umana; si accettava che le commissioni bicamerali mettessero
allegramente le mani sulla delicatissima materia della giustizia. Gli
anticorpi democratici si indebolivano e i difensori della logica complessiva
della Costituzione venivano definiti "nobilmente conservatori", con una
formula apparentemente rispettosa, ma in realta' liquidatoria. E' una storia
che comincia ai tempi della "Grande riforma" craxiana, e che oggi sembra
giungere a compimento.
E' come se si fosse aperta una voragine nella quale precipitano masse di
detriti accumulate negli anni. Tutta la Costituzione e' sotto scacco, a
cominciare proprio dalla sua prima parte, quella dei principi e dei diritti,
che pure, a parole, si dichiara intoccabile. Tutto e' rimesso in
discussione. La dignita' sociale e l'eguaglianza tra le persone, a
cominciare da ogni forma di discriminazione fondata sulla razza e sulla
condizione personale. La liberta' d'informazione, considerata non solo sul
versante dei giornalisti, ma in primo luogo dalla parte dei cittadini,
titolari del fondamentale diritto di controllare in modo capillare e diffuso
tutti i detentori di poteri: "la luce del sole e' il miglior disinfettante",
diceva un grande giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis
Brandeis, riferendosi non solo alla corruzione, ma a tutti gli usi distorti
del potere pubblico e privato. La liberta' personale e quella di
circolazione, sulle quali incidono fortemente le diverse tecniche di
sorveglianza. La liberta' di comunicazione, colpita non solo e non tanto
dalle intercettazioni, per la cui diffusione lo scandalo e' massimo, ma
dalla implacabile, continua raccolta e conservazione per anni dei dati
riguardanti telefonate, sms, accessi a internet, che davvero configurano una
societa' del controllo e di cui nessuno sembra preoccuparsi.
Puo' una democrazia sopravvivere bordeggiando sempre piu' ai margini estremi
della legalita' costituzionale, sempre alla ricerca di qualche aggiustamento
che non la maltratti troppo, e cosi' perdendo progressivamente il senso
stesso di quella legalita' che dovrebbe da tutti essere vissuta come limite
invalicabile? Chi si prende cura di questa democrazia che, di giorno in
giorno, si presenta con i tratti delle sue pericolose degenerazioni, che la
fanno definire come autoritaria o plebiscitaria, che conosce quegli intrecci
perversi tra politica e uso delle tecnologie della comunicazione che sono la
versione piu' aggiornata del populismo?
Se facciamo un piccolo, e confortante, esercizio di memoria e riandiamo a
due anni fa, al giugno del 2006, ci imbattiamo nel referendum con il quale i
cittadini italiani respinsero una riforma costituzionale che andava proprio
in quella direzione. Rilegittimata dal voto popolare, la Costituzione del
1948 sembrava avviata al piu' ragionevole destino di una sua buona
"manutenzione". Ma, da allora, sembra passato un secolo. La Costituzione e'
stata messa in un angolo, le file dei suoi difensori si assottigliano e sono
in difficolta'. La legalita', costituzionale e ordinaria, non e' piu' un
valore in se'. Viene ormai presentata come una variabile dipendente dal
voto. Le elezioni non sono piu' un esercizio di democrazia. Diventano un
lavacro, l'unto dal voto popolare deve essere considerato intoccabile. Torna
tra noi il principe sciolto dall'osservanza delle leggi, e quindi
legittimato a liberarsi di quelle che contraddicono questa sua ritrovata
natura. E' qui il vero senso del cambiamento: non nel fastidio per questo o
quel tipo di controllo, ma nel radicale rifiuto di correre i rischi della
democrazia.
Delle telefonate del Presidente del consiglio mi inquietano molte cose, ma
soprattutto il fatto di essersi posto al centro di un sistema di feudalita'
dal quale nasce, quasi come una conseguenza inevitabile, la pretesa
dell'immunita'. Un corteo lo accompagna nel tradurre in fatti questa sua
pretesa. Scompare il governo, integralmente sostituito dagli scatti d'umore
del suo Presidente, che ne muta le deliberazioni a suo piacimento, che lo
vede come puro luogo di registrazione. La tanto pubblicizzata approvazione
in soli 9 minuti dell'intera manovra economico-finanziaria del prossimo
triennio e' stata presentata come un miracolo di efficienza, mentre era la
prova della scomparsa della collegialita' della decisione, della discussione
come sale della democrazia: non un segno di vitalita', ma di morte, come i
21 grammi che si perdono appunto nel morire, raccontati nel film di
Alejandro Gonzalez Inarritu. Il Parlamento ha clamorosamente rinunciato ad
esercitare la sua funzione di controllo e di filtro, sembra ignorare il
fatto che il procedimento legislativo non e' cosa di cui il Presidente del
consiglio possa disporre secondo la sua volonta'.
I controlli scompaiono. Vecchia aspirazione d'ogni potere. La magistratura
non deve essere liberata dai suoi problemi, responsabilizzata nel modo
giusto. Deve essere presentata come il vero demone che attenta alla
democrazia, aggressiva e inefficiente, quasi che i suoi molti limiti non
dipendessero da una lunghissima disattenzione del potere politico che l'ha
fatta marcire nelle sue obiettive difficolta', che ha progressivamente
azzerato la propria responsabilita' appunto politica e ha preteso di
sciogliersi dal controllo di legalita' in quanto tale. Gli anni di Mani
pulite sono rappresentati come un golpe, azzerando la memoria degli abissi
di illegalita' che furono disvelati. E la totale normalizzazione della
magistratura diventa la via attraverso la quale passa, con la minacciata
disciplina autoritaria della diffusione delle intercettazioni, anche la
normalizzazione del sistema della comunicazione. Poco e male informati, i
cittadini sono pronti ad essere usati come docile "carne da sondaggio", per
applaudire le decisioni del principe secondo la piu' classica delle tecniche
plebiscitarie.
A custodire Costituzione e legalita' rimangono il presidente della
Repubblica e la Corte costituzionale. Ma questo non e' un residuo segno di
buona salute, e' anch'esso il sintomo d'una patologia. La democrazia non
puo' ritirarsi dal sistema in generale, rifugiandosi in alcuni luoghi
soltanto. Ma da qui si puo' e si deve comunque ripartire, soprattutto se la
voce dei cittadini e dell'opposizione riuscira' a trovare i toni forti e
giusti di cui abbiamo bisogno.

7. DOCUMENTAZIONE. ANCHE IL SEGRETARIO GENERALE DELLA CGIL GUGLIELMO EPIFANI
CONTRO IL DEVASTANTE MEGA-AEROPORTO DI VITERBO
[Riportiamo il seguente comunicato del 4 luglio 2008 del comitato che si
oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del
trasporto aereo]

Partecipando a un convegno a Viterbo il primo luglio 2008, il segretario
generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha espresso una netta posizione
contraria alla realizzazione a Viterbo del devastante mega-aeroporto per i
voli low cost del turismo "mordi e fuggi" per Roma.
Il segretario generale della Cgil ha anche evidenziato che l'Alto Lazio ha
invece urgente bisogno del potenziamento del trasporto ferroviario.
Quello del dirigente del maggior sindacato dei lavoratori italiano e' un
pronunciamento importante, che si aggiunge ad innumerevoli altri.
Infatti sono numerosissimi gli autorevoli rappresentanti delle istituzioni,
gli scienziati, le personalita' della cultura e della vita civile, che si
sono espressi contro la realizzazione della nociva e distruttiva opera.
*
E' ormai definitivamente smascherata la mistificante e cialtrona propaganda
della lobby politico-affaristica che sperava di lucrare pingui profitti
dalla realizzazione del mega-aeroporto ai danni dell'intera collettivita'
come del pubblico erario.
Una propaganda menzognera e truffaldina che ha lungamente ingannato una
parte della cittadinanza promettendo posti di lavoro a bizzeffe, mirabolanti
opportunita' di sviluppo, ricchezza a profusione per tutti; mentre la
verita' e' che la realizzazione del devastante mega-aeroporto produrrebbe
ricchezza per pochissimi irresponsabili speculatori, e danni enormi per
l'ambiente e l'economia viterbese, danni enormi per la salute e la sicurezza
dei viterbesi, saccheggio del pubblico erario e rapina dei diritti dei
cittadini.
*
La verita', evidente a chiunque, e' che quel devastante mega-aeroporto:
- distrugge irreversibilmente beni e risorse fondamentali: l'area termale
del Bulicame ed i beni naturalistici, storici, scientifici, terapeutici,
sociali, agricoli ed economici in essa e nelle immediate vicinanze situati,
beni per Viterbo decisivi ed irrinunciabili;
- e' nocivissimo per la salute e la sicurezza dei cittadini di Viterbo e
dell'Alto Lazio, poiche' provochera' un inquinamento chimico ed acustico
violentissimo;
- e' palesemente fuorilegge, poiche' non ha i requisiti per superare le
procedure di controllo e di garanzia previste dalla legislazione italiana ed
europea vigente in materia di Valutazione d'impatto ambientale (Via),
Valutazione ambientale strategica (Vas), Valutazione d'impatto sulla salute
(Vis).
- costituisce uno sperpero immane di soldi pubblici ed e' di danno per la
comunita' viterbese sotto ogni punto di vista;
- reca profitti solo a una ristrettissima lobby politico-affaristica,
procurando ingenti perdite (di salute, di sicurezza, di beni comuni,
economici e sociali) all'intera comunita' locale.
*
La verita', evidente a chiunque, e' che occorre invece:
- potenziare le ferrovie;
- difendere e valorizzare i beni ambientali e culturali e le vocazioni
produttive del territorio;
- rispettare la legalita' e i diritti dei cittadini;
- ridurre subito e consistentemente i voli su Ciampino, abolendoli e non
trasferendoli altrove;
- ridurre il trasporto aereo, responsabile di una ingente quota delle
emissioni che stanno provocando il surriscaldamento globale del clima, la
crisi ecologica planetaria.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 507 del 5 luglio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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