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Nonviolenza. Femminile plurale. 192
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 192
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 Jul 2008 11:33:53 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 192 del 3 luglio 2008 In questo numero: 1. Floriana Lipparini: Orchi 2. Umberto De Giovannangeli intervista Shulamit Aloni 3. Eva Cantarella: Europa 4. Linda Chiaramonte intervista Eliette Abecassis (2004) 5. Wanda Marra intervista Linn Ullmann (2004) 6. Maria Serena Palieri intervista Siri Hustvedt (2004) 1. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: ORCHI [Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento apparso su "Il paese delle donne". Floriana Lipparini, giornalista, ha lavorato per numerosi periodici, tra cui il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia. Impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra. E' autrice del libro Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito nel 2005 in Croazia da Shura publications in edizione bilingue, italiana e croata, e nel 2007 pubblicato in Italia da Terrelibere.org in edizione riveduta e ampliata] Gli orchi delle fiabe sono probabilmente solo invenzioni. Eppure, oggi l'esistenza degli orchi mi pare improvvisamente verosimile. Come ci si puo' raffigurare una persona decisa a prendere le impronte digitali ai bambini, se non nelle vesti di un moderno orco? * Non so cosa faccia piu' paura, se il fatto che qualcuno sia capace di proporre una cosa del genere, o il fatto che non ci siamo ancora tutte e tutti riversati nelle strade per dire: basta, non in nostro nome, stiamo morendo di vergogna all'idea di vivere in un paese dove si inaugurano pratiche che fanno pensare al nazismo. Ogni forma di discriminazione, di segregazione, di censimento su base etnica, ricorda il nazismo. Mi domando quante persone come me stiano sentendo crescere l'orrore nel dover passare l'ultima parte della propria esistenza in un paese dove ogni cosa si rovescia nel suo contrario, ogni conquista di liberta' viene cancellata e il tempo sembra d'improvviso camminare all'indietro, come in un incubo da cui non ci si puo' risvegliare. Si prendono le impronte ai bambini - una pratica che si riserva ai criminali - e si osa dire che e' per "tutelarli". Inutile sorprendersi. Giustificazioni non ne abbiamo. I segnali di questa involuzione della nostra vita politica, sociale e culturale erano gia' li' da anni. Determinati pericoli sono sempre ricorrenti, in ogni parte del mondo, in ogni fase storica, e in questo paese non e' bastato il fascismo, non sono bastate le stragi, non sono bastati i misteri, non e' bastata la corruzione, non sono bastate le mafie, non e' bastata Gomorra per svegliare le coscienze. In questo nuovo fascismo, in questo nuovo razzismo, in questo nuovo integralismo non puo' che intensificarsi il clima di violenza contro le donne che dallo scorso novembre stiamo manifestamente denunciando. Altro che sicurezza. * Nel saggio intitolato L'Andalusia delle tre religioni, Lucie Bolens scrive che "il Mediterraneo fu il luogo del miracolo. Pratico' un'ospitalita' eretta a norma civilizzatrice, omerica o biblica... L'Andalusia delle tre religioni, durante il Califfato di Cordova e i Reyes de Taifas, mantenne intatta questa abitudine quotidiana dell'altro, che preserva dalla demonizzazione... La condivisione del quotidiano, senza ingenuita' ma nemmeno demonizzazione, questa conoscenza dell'altro in atto, lascio' vivere l'idea che l'esiliato poteva essere un messaggero divino... La precarieta' conosciuta in altri tempi, l'erranza, l'isolamento, rimangono un rischio per tutti; lo straniero indigente rinvia l'immagine di cio' che siamo stati ieri e che possiamo divenire domani... Il venir meno delle norme di ospitalita' toglieva ogni senso a quel territorio protetto da mura che era allora la citta'". Nel 1492, quando Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia portarono a termine la loro fanatica "reconquista", cacciando dall'Andalusia tutti i non-cattolici, distrussero quindi un'esperienza storica che aveva visto miracolosamente convivere genti di ogni origine e religione, inclusi i gitani. Era il mondo della pluralita' e dell'accettazione del diverso, un mondo sconfitto dalla violenza totalitaria del pensiero unico e integralista. Allora come adesso. * Ora mi chiedo: mentre cerchiamo faticosamente di ricostruire un agire sociale e politico, mentre cerchiamo di capire quali concrete iniziative mettere in campo per ridare un senso al vivere collettivo, non e' forse il caso di trovare anche un simbolo per dire visivamente, pubblicamente, il nostro rifiuto delle politiche di questo governo, dei Cpt, delle impronte prese ai bambini, delle discriminazioni di ogni tipo e natura? Un fiore, una sciarpa, un nastro, un colore... Qualcosa da indossare ogni giorno, in ogni circostanza. Anche i piccoli gesti forse possono contare, per dire una ormai necessaria disobbedienza civile. 2. RIFLESSIONE. UMBERTO DE GIOVANNANGELI INTERVISTA SHULAMIT ALONI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 6 novembre 2007 col titolo "Io israeliana dico: a Gaza commessi crimini contro l'umanita'" e il sommario "Shulamit Aloni. La fondatrice di Peace Now: il ministro della Difesa e l'ex capo di stato maggiore dovrebbero comparire davanti al tribunale dell'Aja". Umberto De Giovannangeli e' giornalista e saggista, esperto conoscitore della situazione mediorientale. Opere di Umberto De Giovannangeli: (con Rachele Gonnelli, a cura di), Hamas: pace o guerra?, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005; Terrorismo. Al Quaeda e dintorni, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005. Shulamit Aloni e' una prestigiosa attivista pacifista e intellettuale di forte impegno civile, leader storica del Meretz, la sinistra laica israeliana, fondatrice del movimento pacifista "Peace Now", piu' volte ministra nei governi a guida laburista, coscienza critica della sinistra israeliana; e' stata piu' volte minacciata di morte da gruppi dell'estrema destra israeliana per le sue posizioni in favore della pace] "Il diritto alla difesa non puo' giustificare bombardamenti contro aree popolate da civili. Il diritto alla difesa non giustifica punizioni collettive quali quelle imposte alla popolazione di Gaza. Il diritto alla difesa non puo' assolvere coloro che si sono macchiati di crimini contro l'umanita'". E' un atto di accusa durissimo quello che Shulamit Aloni lancia contro il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak e l'ex capo di stato maggiore, il generale Dan Halutz; un j'accuse tanto piu' significativo perche' a lanciarlo e' una figura storica della sinistra israeliana: fondatrice di Peace Now, gia' parlamentare e ministra nei governi a guida Rabin e Peres, Shulamit Aloni e' stata piu' volte minacciata di morte dai gruppi dell'estrema destra israeliani. Come sempre, le sue posizioni toccano la coscienza di Israele. * - Umberto De Giovannangeli: Perche' e' tornata a scatenare polemiche in Israele? - Shulamit Aloni: Per amore della verita' e perche' ho troppo a cuore quei principi di democrazia che furono alla base della fondazione dello Stato d'Israele. Ed e' in nome di quei valori che sostengo che Ehud Barak e Dan Halutz dovrebbero essere giudicati dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aja per crimini contro l'umanita'. * - Umberto De Giovannangeli: La sua e' un'accusa pesantissima. - Shulamit Aloni: Pesantissime sono le azioni di cui Barak e Halutz si sono macchiati. Da israeliana non possono essere fiera dello Stato d'Israele per i comportamenti tenuti dall'allora capo di stato maggiore e dall'attuale ministro della Difesa. Il diritto alla difesa e la lotta al terrorismo non possono mascherare ne' tanto meno giustificare atti che si configurano come crimini contro l'umanita'. * - Umberto De Giovannangeli: A cosa si riferisce in particolare? - Shulamit Aloni: Mi riferisco ai massicci bombardamenti aerei ordinati da Halutz contro la Striscia di Gaza. Quei bombardamenti colpivano zone densamente abitate e non potevano non colpire la popolazione civile. E non vale come giustificazione sostenere che gli attivisti di Hamas usano muoversi tra la folla. L'eliminazione di un miliziano palestinese non giustifica l'uccisione di civili, molti dei quali donne e bambini. * - Umberto De Giovannangeli: Sul banco degli imputati lei colloca anche l'attuale ministro della Difesa Ehud Barak. Perche'? - Shulamit Aloni: Perche' Barak e' un pericolo per Israele, a causa del suo temperamento estremista e perche' e' un uomo di guerra che crede cosi' di poter battere Benjamin Netanyahu (il leader del partito di destra Likud - ndr). Condivido la decisione dei palestinesi di aprire contro di lui un procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja per la sua decisione di togliere l'elettricita' alla Striscia di Gaza. Quella assunta da Barak e' una decisione illegale, inumana, che entra a pieno titolo nella categoria dei crimini di guerra. Le restrizioni imposte a Gaza costituiscono una punizione collettiva contro civili. Mi chiedo come si possa parlare di dialogo, della ricerca di un accordo di pace di fronte a questi crimini. * - Umberto De Giovannangeli: Eppure di pace si continua a parlare tra Ehud Olmert e Abu Mazen. Tutti guardano alla Conferenza di Annapolis in programma per fine mese. Cosa pensa di questo appuntamento? - Shulamit Aloni: Penso che l'opinione pubblica del mio Paese sia piu' lungimirante e coraggiosa di coloro che governano. La gente sa che la pace non puo' essere a costo zero ed e' pronta a pagarne il prezzo. La questione e' se il governo israeliano sia altrettanto coraggioso. Conoscendo Olmert e, soprattutto, Barak ne dubito fortemente. * - Umberto De Giovannangeli: In questo frangente, quale messaggio dovrebbe a suo avviso lanciare la sinistra israeliana al Paese? - Shulamit Aloni: Piu' che di messaggio parlerei di una grande mobilitazione popolare in grado di esercitare una forte pressione sul governo e su Olmert. Siamo al momento della verita': se falliremo, dovremo pagare un duro prezzo di sangue. * - Umberto De Giovannangeli: Sabato sera scorso oltre 150.000 persone si sono ritrovate a Tel Aviv per ricordare Yitzhak Rabin. - Shulamit Aloni: Presente e passato si sono intrecciati in quella piazza. Si e' tornati a manifestare per la pace nel luogo in cui, dodici anni fa, fu assassinato l'uomo che aveva "osato" stringere la mano a Yasser Arafat e avviare una stagione di speranza. Dodici anni dopo, siamo tornati in piazza in nome di Yitzhak Rabin e di una lezione che lui ci ha lasciato e che Israele non deve dimenticare: solo il dialogo porta sicurezza. * - Umberto De Giovannangeli: La piazza ha protestato anche per l'assenso dato dalla Corte Suprema per la cerimonia della circoncisione del figlio di Yigal Amir, l'assassino di Rabin. - Shulamit Aloni: Questa cerimonia, volutamente tenuta nel giorno dell'assassinio, dodici anni fa, di Rabin, e' un affronto alla memoria di Yitzhak e la riprova, inquietante, di una pericolosa rimozione di cosa abbia significato non solo per i famigliari ma per l'intera Israele quell'assassinio. * - Umberto De Giovannangeli: Molto si discute sull'opportunita' di aprire un confronto con Hamas. Qual e' in merito la sua posizione? - Shulamit Aloni: Per giungere alla pace, io parlerei anche con il diavolo. Non esiste una scorciatoia militare alla soluzione della questione palestinese. La soluzione non puo' che essere politica. Per questo e' decisivo che Annapolis non si risolva in un ennesimo fallimento. A mettere fine ai lanci di razzi da Gaza verso Israele sara' solo un accordo politico ad Annapolis e non la scellerata politica di forza condotta da Ehud Barak. 3. RIFLESSIONE. EVA CANTARELLA: EUROPA [Dal "Corriere della sera" del 20 dicembre 2007 col titolo "Un vaso, una leggenda. Zeus, l'amore, l'Oriente. Per una volta senza violenza. Europa rapita con 'dolcezza'. Il mito nega lo scontro di civilta'". Eva Cantarella, docente universitaria di diritto romano e di diritto greco; ha pubblicato molte opere sulla cultura antica ed e' autrice di fondamentali ricerche sulla condizione della donna nelle culture antiche. Dall'enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la seguente scheda: "Nata nel 1936 a Roma, Eva Cantarella si e' laureata in giurisprudenza nel 1960 presso l'universita' di Milano. Ha compiuto la propria formazione postuniversitaria negli Stati Uniti all'Universita' di Berkeley e in Germania all'universita' di Heidelberg. Ha svolto attivita' didattica e di ricerca in Italia presso le universita' di Camerino, Parma e Pavia e all'estero all'Universita' del Texas ad Austin ed alla Global Law School della New York University. E' professore ordinario di Istituzioni di diritto romano presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita' di Milano, dove insegna anche diritto greco. Partendo dalla ricostruzione delle regole giuridiche, le ricerche di Eva Cantarella, sia in campo romanistico che grecistico, tendono da un lato a individuare la connessione tra le vicende politiche ed economiche e la produzione normativa, e dall'altro a verificare la effettivita' delle norme stesse, analizzando lo scarto tra diritto e societa', la direzione di questo scarto e le ragioni di esso". Tra le opere di Eva Cantarella: La fideiussione reciproca, Milano 1965; Studi sull'omicidio in diritto greco e romano, Milano 1976; Norma e sanzione in Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco, Giuffre', Milano 1979; L'ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell'antichita' greca e romana, Editori Riuniti, Roma 1981; Tacita Muta. La donna nella citta' antica, Editori Riuniti, Roma 1985; Pandora's Daughters, Bpod, 1987; Secondo natura. La bisessualita' nel mondo antico, Editori Riuniti, Roma 1988; I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Rizzoli, Milano 1991; Diritto greco, Cuem 1994; Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Feltrinelli, Milano 1996; (con Giulio Guidorizzi), Profilo di storia antica e medievale, Einaudi Scuola, 1997; Pompei. I volti dell'amore, Mondadori, Milano 1998; (con Luciana Jacobelli), Un giorno a Pompei. Vita quotidiana, cultura, societa', Electa, Napoli 1999; Storia del diritto romano, Cuem, 1999; Istituzioni di diritto romano, Cuem, 2001; (con Giulio Guidorizzi), Le tracce della storia, Einaudi Scuola, 2001; Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano 2002; (con Lorenzo Gagliardi, Marxiano Melotti), Diritto e sessualita' in Grecia e a Roma, Cuem, 2003; (con Giulio Guidorizzi), L'eredita' antica e medievale, Einaudi Scuola, 2005; L'amore e' un dio, Feltrinelli, Milano 2006; Il ritorno della vendetta, Rizzoli, Milano 2007; altre opere a destinazione scolastica: (con Giulio Guidorizzi), Corso di storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi), Il mondo antico e medievale, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi), La cultura della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi), Lo studio della storia. Laboratorio, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi), Storia antica e medievale, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi), Antologia latina, Einaudi Scuola; (con Giulio Guidorizzi, Laura Pepe), Letteratura e storia di Roma antica. Antologia degli autori latini, Einaudi Scuola; (con G. Martinotti), Cittadini si diventa, Einaudi Scuola; (con E. Varni, Franco Della Peruta), La memoria dell'uomo, Einaudi Scuola] "Nostoi", li hanno chiamati: "ritorni", come quelli degli eroi greci, come il celebre viaggio di Ulisse verso Itaca. Tra i capolavori rientrati uno, in particolare, ha, accanto allo straordinario valore artistico, uno speciale valore simbolico: e' il celebre cratere a calice ove e' rappresentato il cosiddetto "Ratto di Europa", la ragazza dalla quale prende il nome il nostro continente. Di notevoli dimensioni (60 centimetri di diametro e 71,2 di altezza), il vaso proviene dall'antica citta' sannitica Saticula, oggi Sant'Agata dei Goti, in provincia di Benevento, e al centro della fascia a palmette che corre sotto la scena figurata reca la firma di Assteas (Assteas egrapse), noto pittore attivo a Paestum sulla meta' del IV secolo a.C. Inserendola in una cornice pentagonale, sopra i cui angoli superiori ha dipinto sei immagini, il pittore ha rievocato in questa scena il mito di Europa, la giovane, bellissima figlia del re fenicio Agenore. Un giorno, racconta il mito, vedendo Europa che giocava con un gruppo di amiche sulla spiaggia di Tiro, sulle coste dell'Asia minore, Zeus se ne innamoro', e abituato com'era a soddisfare i suoi desideri ricorse a una delle tante metamorfosi di cui usava servirsi per raggiungere i suoi scopi. Nella specie, assunse l'aspetto di un bellissimo toro bianco, e ando' a stendersi ai piedi di Europa. Affascinata dalla sua docilita', la ragazza dapprima accarezzo' il suo mantello, poi lo abbraccio', infine sali' sulla sua groppa: e a questo punto il toro, con il preziosissimo carico, si getto' nelle acque del mare, e nuoto' sempre piu' lontano, oltre Cipro e il Dodecanneso, fino a raggiungere Creta. Il mito di Europa, dunque, lega il nostro continente a quello asiatico da un rapporto che, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non e' una delle tante violenze sessuali di cui la mitologia greca abbonda. I greci, come il vaso dimostra, vedevano la storia tra Europa e Zeus come una storia d'amore: perche' mai, se non l'avesse considerata tale, il pittore avrebbe inserito, nel cielo, sopra la testa di Europa, l'immagine di Pothos, simbolo di un desiderio amoroso chiaramente ricambiato. L'atteggiamento di Europa, inoltre - mentre il toro nuota in un mare in cui, tra pesci e altri animali marini stanno Scilla (con in mano un tridente) e Tritone (con in mano un remo) - non e' affatto quello di una donna spaventata, atterrita da una minaccia o un pericolo. A questo si aggiunga che sopra gli angoli superiori della cornice in cui e' inserita la scena principale, Assteas ha dipinto, a destra, un piccolo Eros, la dea dell'amore Afrodite e Adone. Se avesse voluto rappresentare una scena di violenza, presumibilmente avrebbe scelto personaggi diversi. E per finire a favore dell'interpretazione "amorosa" del mito interviene il seguito della storia di Zeus ed Europa: quando finalmente tocca la terra di Creta, il toro divino cerca un luogo adatto a celebrare l'unione, e individua un platano secolare, alla cui ombra appaga finalmente il suo desiderio. Quindi, per ringraziare l'albero che ha offerto riparo al suo amore, gli concede due doni. Il primo e' quello di non perdere mai le foglie (ecco perche' il platanus orientalis, come i botanici chiamano la varieta' mediterranea, e' l'unico tipo di platano sempreverde); il secondo consiste nella capacita' di rendere feconde le giovani spose che dormiranno sotto i suoi rami. Difficile a credere, ma ancora oggi i cretesi attribuiscono questo potere a un lontanissimo erede del platano originario, che si trova nel perimetro degli scavi dell'antica citta' di Gortina, e raccontano che sino a pochi anni or sono a volte, al mattino, capitava di trovare giovani donne addormentate alla sua ombra. Ma questo non e' tutto: a confermare il legame amoroso tra Zeus ed Europa sta il fatto che questa diede al dio tre figli, uno dei quali era Minosse, il primo, mitico legislatore cretese, che nell'Odissea, durante la visita di Ulisse all'Ade, viene presentato come giudice delle anime, e come tale ritorna nel mito platonico delle anime, al termine del Gorgia. Uno dei personaggi mitici piu' importanti per i greci, dunque, e' figlio della ragazza venuta dall'Asia: il mito di Europa stava a segnalare il legame profondo tra Oriente e Occidente, non ancora turbato dall'inimicizia che sarebbe esplosa, secoli dopo, di fronte alla minaccia persiana. E' molto importante che il cratere di Assteas sia rientrato in Europa. Quel che esso ricordava ai greci e' qualcosa che anche noi dovremmo ricordare, molto piu' spesso di quanto non facciamo. 4. LIBRI. LINDA CHIARAMONTE INTERVISTA ELIETTE ABECASSIS (2004) [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 dicembre 2004 riprendiamo pressoche' integralmente la seguente intervista dal titolo "Due esuli in fuga dal mondo". Linda Chiaramonte giornalista, scrive sul quotidiano "Il manifesto" e su altre testate. Eliette Abecassis, romanziera e saggista, e' nata nel 1969 a Strasburgo ed e' docente di filosofia a Caen; dal suo libro Ripudiata e' stato tratto il film Kadosh di Amos Gitai. Opere di Eliette Abecassis: Qumran, Tropea, 1997; L'oro e la cenere, Tropea, 2000; Ripudiata, Tropea, 2001; Il tesoro del tempio, Tropea, 2002; Mio padre, Tropea, 2003; Piccola metafisica dell'omicidio, Il nuovo melangolo, 2004; Clandestino, Tropea, 2004] Torna la scrittrice francese Eliette Abecassis, da pochi giorni in libreria con il nuovo romanzo: Clandestino (Marco Tropea, pp. 125, euro 10). Gia' autrice, fra gli altri, di Ripudiata, da cui il regista israeliano Amos Gitai ha tratto la sceneggiatura del film Kadosh, e di Mio padre, sul difficile e conflittuale rapporto tra un padre e una figlia alla ricerca della propria identita', e dopo il successo di Qumran, thriller a sfondo storico-teologico. Eliette Abecassis, classe '69, docente di filosofia all'Universita' di Caen, e' nata a Strasburgo, ha origini ebraiche sefardite. Clandestino racconta dell'incontro fatale fra un uomo e una donna in viaggio sullo stesso treno che riportera' lei verso casa e lui, immigrato irregolare senza biglietto ne' documenti, verso la speranza di una vita migliore. Tutto si svolge in una sola notte, scatta tra loro una forte attrazione che spingera' lei ad aiutarlo e a difenderlo dei piccoli e grandi arbitrii che un sans papier e' normalmente costretto a subire all'interno della fortezza europea. Apparentemente diversi, i protagonisti si riconoscono come estranei al mondo, entrambi in fuga. Lui dalla polizia, lei da una vita grigia ed insoddisfacente. Personaggi anonimi, ai quali e' negato persino un nome, che si muovono in una stazione ferroviaria di una qualunque citta', indefinita, in un romanzo che si presta ad una valenza universale, una storia che potrebbe accadere a chiunque e in qualunque paese europeo. Nessun documento per lui, guardato con sospetto e disprezzo, presenza scomoda per la sua diversita': "Sul volto era impresso il marchio dello straniero. Non gli andava di sentirsi diverso. Avrebbe voluto essere anonimo nella folla... e' diverso nel loro sguardo. Lo sara' sempre". Un migrante, dunque, che vive con sentimenti alterni tra rabbia e vergogna lo sguardo inquisitorio degli altri. E quando accarezza l'idea di sedurre e conquistare la sua casuale compagna di viaggio, si ritrae quasi con vergogna per aver coltivato un desiderio che lui stesso reputa irraggiungibile. La diversita' e il rifiuto da parte degli altri sono una ferita aperta, perche' sa che "non lo voleva nessuno. Nessuno l'avrebbe mai voluto. Gli avrebbero sempre detto che era altro, diverso". Nei giorni scorsi abbiamo incontrato la Abecassis, a Bologna per la rassegna "La parola immaginata", letture sceniche con autori, musica dal vivo ed immagini. * - Linda Chiaromonte: Come mai ha scelto di raccontare la storia di un "clandestino"... - Eliette Abecassis: Per diverse ragioni, per parlare in forma romanzata di un problema che sta diventando uno dei maggiori problemi del nostro tempo e delle nostre societa' europee, l'immigrazione di persone che partono da altri paesi e arrivano da noi, e del problema politico e sociale che questo comporta. * - Linda Chiaromonte: Come sta vivendo la Francia questo fenomeno? - Eliette Abecassis: In maniera complessa e problematica, perche' si cercano soluzioni, ma si finisce per escludere i clandestini o metterli in campi, come e' accaduto in Francia nel nord del paese, oppure rispediti in campi nei paesi maghrebini. * - Linda Chiaromonte: Non e' un caso che i due personaggi del romanzo non abbiano un nome e che la storia si svolga in un paese indefinito. Lo ha fatto per attribuire ai protagonisti un senso di anonimato assoluto e mostrarci un clandestino qualunque? - Eliette Abecassis: Si'. E' stata una scelta voluta non inquadrare il racconto in maniera precisa, perche' ritengo che questa storia avrebbe potuto svolgersi oggi in un qualunque paese europeo. Ognuno potrebbe ambientarlo nel paese che preferisce. * - Linda Chiaromonte: Ma lei cosa intende per clandestino? Chi e' senza documenti o tutti quelli che si sentono tali anche nel loro paese? - Eliette Abecassis: Siamo tutti clandestini. Clandestini del cuore. Tutte le persone che hanno un altrove e qualcosa di estraneo a loro stessi, in questo senso tutti noi lo siamo. I due personaggi sono clandestini, la donna lo e' nei confronti della sua vita, perche' non vive la sua esistenza pienamente, come vorrebbe. E' l'incontro di due clandestini. Chiunque puo' riconoscersi, anche chi e' ben integrato nella societa', se si sente clandestino alla sua stessa vita. Ho voluto anche mettere nero su bianco il nodo irrisolto dell'identita' nelle societa' in cui c'e' un buon sviluppo economico. Molti degli abitanti dei paesi europei si domandano spesso chi sono, qual e' il loro passato e dove stanno andando... 5. LIBRI. WANDA MARRA INTERVISTA LINN ULLMANN (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 4 maggio 2004, col titolo "Linn Ullmann, cercando il posto delle fragole". Wanda Marra e' giornalista, operatrice culturale, studiosa di letteratura. Linn Ullmann, scrittrice e giornalista, nata nel 1966 ad Oslo, nel 1985 si e' trasferita a New York per studiare letteratura alla New York University; dopo la laurea, nel 1990, e' tornata ad Oslo, iniziando a lavorare come giornalista; dal 1993 e' critico letterario di "Dagbladet", uno dei piu' importanti quotidiani norvegesi. Opere di Linn Ullmann: Prima che tu dorma, Mondadori, 1999; Quando sono con te, Mondadori, 2002; Tu sei la mia grazia, Mondadori, 2004; La luce sull'acqua, Mondadori, 2008] Il disfacimento operato dalla malattia, l'espropriazione del corpo, divenuto oggetto nelle mani dei medici, la febbrile attivita' della mente, a tratti delirante, a tratti inaspettatamente lucida. Che insegue il disegno della vita passata, mentre si ancora ai brandelli del presente. E' un'immersione potentissima nel tragitto che precede la morte, con tutte le sue contraddizioni, Tu sei la mia grazia, terzo romanzo di Linn Ullmann (Mondadori, pp. 154, euro 14), autrice di Prima che tu dorma (1999) e Quando sono con te (2001). Biondina, magrissima, sembra portare nei gesti e nello sguardo la consapevolezza delle proprie origini, ma anche un bagaglio personalissimo di esperienze e di pensieri, di sofferenze e di vittorie. Linn (nata nel 1966 a Oslo), madre da tre mesi, e' infatti la figlia di Ingmar Bergman e di Liv Ullmann. Ma e' anche una che la letteratura ce l'ha nelle fibre piu' profonde del suo essere: "Ho sempre voluto raccontare, ho sempre avuto l'abitudine a scrivere una storia: e non una qualsiasi, ma 'laî' storia di quel momento", racconta lei, che fa anche la critica letteraria per "Dagbladet", uno dei piu' importanti quotidiani norvegesi. Johan Sletten, una carriera di giornalista conclusa in modo tutt'altro che onorevole, una serie di fallimenti alle spalle, un rapporto forte e appassionato con la moglie Mai, quando scopre di avere una malattia mortale chiede proprio a quest'ultima di aiutarlo a morire. Ecco in breve la vicenda che Tu sei la mia grazia racconta, scavando con straordinaria onesta' nelle pieghe della psiche umana e delle relazioni. * - Wanda Marra: Lei descrive la morte di un uomo "senza qualita'"... ne' troppo simpatico, ne' troppo intelligente, che provoca repulsione piuttosto che simpatia... - Linn Ullmann: Non volevo parlare di un grand'uomo, un grande eroe, ma piuttosto di una persona assolutamente nella media. Questa ordinarieta' rende ancor piu' drammatico il suo incontro con la morte, con la malattia. * - Wanda Marra: Come mai ha scelto di evocare, oltre che di raccontare, con tale precisione le emozioni relative alla malattia e alla morte? - Linn Ullmann: Tutti noi, in un modo o nell'altro, arriviamo vicini all'esperienza del morire: quindi c'e' sempre qualcosa di personale. La morte e' un'esperienza raramente bella, dolorosa, con il corpo in primissimo piano, con una sensazione fortissima della propria corporeita' in disfacimento e di vergogna. Non volevo abbellire, ne' romanticizzare. Il libro, inoltre, racconta una storia d'amore, ma non nel senso romantico. * - Wanda Marra: Anche la scrittura e' molto vicino a questo senso di deterioramento, e' molto forte, poco pulita... - Linn Ullmann: E' vero: il linguaggio rispecchia la comunicazione tra i due, che viene a mancare, si sfilaccia. * - Wanda Marra: Ad un certo punto il protagonista racconta un episodio della sua infanzia, quando sua madre cercava il "posto delle fragole": come mai una citazione cosi' esplicita del film piu' famoso di Bergman? - Linn Ullmann: Quella scena descrive un momento di grande intimita' tra Johan e sua madre, ma anche di paura e di toni un po' cupi che peraltro ricordano Il posto delle fragole. Mi e' venuto naturale scriverla, senza neanche rifletterci piu' di tanto. In realta' e' una sorta di omaggio a mio padre, un modo di mettermi in rapporto con lui piu' di quanto fossi portata a fare consapevolmente. Ma e' indubbio che parte del mio lavoro e' un dialogo con lui e con la sua opera. Con lui ma anche con altri... * - Wanda Marra: Quali altri? - Linn Ullmann: In particolare Dylan Thomas, soprattutto una poesia bellissima, Do not go gentle into that good night ("Non arrendersi docilmente a quella buona morte"). Poi ci sono capolavori, come La morte di Ivan Il'ic di Tolstoj, un libro che tutti dovrebbero leggere. E scrivendo avevo in mente anche due musicisti, Bach e Schumann. * - Wanda Marra: Che evoluzione c'e' stata dai suoi primi due romanzi, che mi sembra avessero al centro una riflessione sulla famiglia, a questo, che definirei il piu' bergmaniano? - Linn Ullmann: Non e' necessariamente detto che in questo romanzo mi avvicini di piu' all'universo bergamaniano di quanto facessi con gli altri libri. Quelli forse erano piu' leggeri superficialmente, ma c'era comunque l'oscurita', che in Tu sei la mia grazia risulta essenziale. Mi interessano sempre i rapporti tra genitori e figli, il corpo, la menzogna. Tutti i miei personaggi mentono molto. Nel primo romanzo, la protagonista mente per sopravvivere, nel secondo ci sono storie raccontate in modo diverso. Mai, invece, mente su cose assolutamente insignificanti, ma questo fa scattare il dubbio sulla sua affidabilita'... * - Wanda Marra: A proposito di affidabilita'. Parliamo dell'eutanasia, centrale nel romanzo, che mi pare sia per lei soprattutto un tema psicologico. Nella scena in cui Mai effettivamente aiuta Johan a morire, lei si appella a un linguaggio comune, che lui nega. Sembra ci sia un continuo slittamento tra quello che vuole lui e quello che invece vuole lei... - Linn Ullmann: Questa storia parla moltissimo della mancanza di coincidenze, di comunicazione dell'uno rispetto all'altro. Johan inizialmente vuole fortissimamente che Mai acconsenta ad aiutarlo a morire, mentre lei continua a dire di no. Finche' quando lei accetta, lui comincia ad avere paura, cambia idea. Ma lei non capisce. Qui scatta anche il tema della storia d'amore: molte coppie pensano di avere un linguaggio in comune, ma spesso accade qualcosa che li porta invece ad allontanarsi. In questo caso e' la malattia, una catastrofe per entrambi. * - Wanda Marra: Allora, non c'e' nessuna luce? - Linn Ullmann: Abbiamo iniziato questa conversazione sottolineando come Johan sia poco simpatico: ma attraverso la morte arriva a una crescita, a una migliore comprensione degli eventi. E non perde mai il suo umorismo un po' nero. * - Wanda Marra: Tornando all'eutanasia: qual e' la sua posizione? - Linn Ullmann: Sono assolutamente contraria alla sua legalizzazione. L'essere umano e l'esistenza umana sono troppo complessi per sapere davvero cosa sia giusto, cosa sia sbagliato. Quando si prova un dolore immenso e' naturale chiedere aiuto, e questo spesso e' un aiuto a morire. Ma credo che si debba aiutare quella parte di noi che vuole vivere, non quella che vuole morire. Peso che nessuno di noi abbia il diritto di aiutare un essere umano a trovare la morte. 6. LIBRI. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA SIRI HUSTVEDT (2004) [Dal quotidiano "L'Unita'" del 13 settembre 2004 col titolo "La felicita' nella catastrofe quotidiana". Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su "L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante. Siri Hustvedt, scrittrice americana, e' nata nel Minnesota nel 1955 e vive a New York con il marito, Paul Auster, e due figli. Opere di Siri Hustvedt: La benda sugli occhi, Marsilio, 1999; Quello che ho amato, Einaudi, 2004] Se, leggendo i romanzi di Paul Auster, vi ha colpito qualche volta la descrizione che un protagonista da' della propria moglie come donna abbagliante o donna di energia perfetta, ecco la spiegazione: Siri Hustvedt, autrice di questo complesso e riuscito romanzo, Quello che ho amato, uscito negli Usa, in Germania, Gran Bretagna e Francia nel 2003 e appena arrivato in libreria da noi per Einaudi, e' la consorte, nella realta', dello scrittore newyorchese. Ed e' un'americana del Minnesota, quarantanovenne, di origine scandinava, che unisce a una bellezza fisica rara - un giunco dalle mani lunghissime, occhi celesti bordati da ciglia scure, capelli morbidi biondo cenere -, comunicativa umana, voglia di ridere, gusto (oltre che tre romanzi, questo, La benda sugli occhi uscito nel '99 per Marsilio e The enchantment of Lily Dahl non tradotto in italiano; ed e' autrice di un volume di saggi letterari e d'arte, Yonder). A p. 9 di Quello che ho amato Siri Hustvedt ricambia la cortesia al marito, quando presta a uno dei due protagonisti, l'artista Bill Wechsler, la "pelle molto scura per essere un bianco" e gli "occhi verdi, limpidi, dal taglio asiatico" che, chi l'ha incontrato lo sa, sono due tratti tipici di Paul Auster. Ma, per il momento, lasciamo da parte i legami coniugali. Quello che ho amato e' un romanzo che vive di vita propria. * - Maria Serena Palieri: L'io narrante e' Leo Hertzberg, storico dell'arte: e' lui che racconta la vicenda di un gruppo formato da lui, da sua moglie Erica e il figlio Matt, dall'amico Bill con le due mogli in successione, Lucille e Violet, e dal figlio dell'artista, Mark. Perche' ha scelto una voce maschile? - Siri Hustvedt: Perche' non l'avevo mai fatto prima. E' l'unica scelta, per quel che riguarda il romanzo, che ho effettuato a tavolino. Ognuno di noi ha dentro le due prospettive, la propria e quella dell'altro sesso. E' stato facile, quindi, e anche piacevole: ho scoperto un'autorevolezza che il mondo ancora non riconosce alla voce femminile. * - Maria Serena Palieri: Violet, prima amante e poi seconda moglie di Bill Wechsler, benche' di origine, come lei, scandinava, e' calda ed erotica, istintiva e tendente a un po' di pinguedine, cuoca di prim'ordine e ottima massaia. Sembra nata piuttosto a Napoli o a Creta. E in forza di questo diventa il vero motore affettivo del libro: ha capovolto intenzionalmente il cliche'? - Siri Hustvedt: Non volutamente. Diciamo che della mia Violet io sono innamorata. Indubbiamente non e' la tipica protestante scandinava, donna chiusa e trattenuta. Mia madre e' norvegese e io sono cresciuta con donne scandinave della sua generazione, le sue sorelle e le sue amiche. Violet e' un puzzle che le convoglia tutte. Reputo che quelle donne, di quella cultura e di quella generazione, abbiamo avuto un senso di se' maggiore della maggior parte delle donne americane di oggi. * - Maria Serena Palieri: Bill Wechsler e' un artista che potremmo definire concettuale. Ha uno studio sulla Bowery, e la Manhattan in cui si muove e', dal punto di vista del milieu di suoi colleghi, critici e galleristi, un posto spaventoso. Davvero l'ambiente artistico newyorkese raggiunge quegli eccessi di perversione e crudelta'? - Siri Hustvedt: In realta' io non lo condanno in blocco, ne do una rappresentazione piu' variegata. Il mercate che tratta le opere di Wechsler e' una brava persona. Si', il critico e' spaventoso, ma mi dica: esiste una metropoli con un mercato importante dell'arte dove non si aggiri un personaggio cosi'? Questa non e' solo New York City, e' Londra, e' la Germania, e' dappertutto. * - Maria Serena Palieri: Ho letto una sua definizione della felicita' come "paradiso quotidiano", di cui capiamo il valore solo quando l'abbiamo perso. In questo romanzo, e' in quelle due o tre vacanze che il gruppo passa unito nel Vermont, tra due disastri: il divorzio di Bill da Lucille e la morte del piccolo Mark. Lei ha un'idea davvero cosi' precaria della vita? - Siri Hustvedt: Si', la felicita' e' precaria perche', semplicemente, la nostra vita e' fragile e di catastrofi su cui non abbiamo controllo ne incombono parecchie. Io vivo dentro questa consapevolezza. E' un atteggiamento che costringe a vivere con piu' attenzione e piu' profondita'. La felicita' per me e' anche una vita familiare tranquilla, il paradiso di cui parlava Tolstoj. * - Maria Serena Palieri: Mentre scriveva "La felicita' domestica" pero' Tolstoj scappava dalla moglie. Insomma, sulla pagina sublimava. - Siri Hustvedt: Si', inseguiva nei campi le contadine... * - Maria Serena Palieri: Lei e Auster avete una figlia, Sophie. Qui a una delle due coppie muore il figlio. Nel penultimo romanzo di Auster il protagonista ha perso in un incidente aereo tutta la famiglia. C'e' una fantasticheria di lutto che corre tra voi due, un po' come un esorcismo? - Siri Hustvedt: Credo che sia comune a tutti i genitori la sensazione che il dolore piu' insopportabile possa essere quello della morte di un figlio. Comunque, ho cominciato a scrivere il mio romanzo prima che Paul scrivesse il suo. Lui e' veloce come uno schiocco di frusta. Diciamo (ride) che il bambino l'ho ucciso io per prima. * - Maria Serena Palieri: Il ragazzo che sopravvive, Mark, sembra nato invece per rovinare le vite altrui con le sue menzogne, i suoi furti e le sue fughe. Incarna il male gratuito? - Siri Hustvedt: No, e' un ragazzo per il quale gli psichiatri potrebbero avanzare piu' di una diagnosi: personalita' asociale, sociopatico grave. Io cerco di fornire delle tracce sul perche', nella sua storia familiare. La tragedia vera di Mark e' il fatto che sia incapace di sentimenti, non sa entrare in empatia con gli altri. * - Maria Serena Palieri: Gli occhi di Bill Wechsler, come lei li descrive, sono una traccia che ci porta a suo marito? - Siri Hustvedt: Paul mi ha ispirato. Ma col passare del tempo e col crescere delle pagine Bill e' diventato un altro: non e' eloquente, e' un artista visivo e non sa verbalizzare, e' piu' fisico. La differenza maggiore e' che Bill sa pochissimo della propria vita interiore, cosa che davvero non potrei dire di Paul Auster. In verita' nella mia esistenza il rapporto tra vita e scrittura e' lo stesso che intercorre tra vita e sogno. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 192 del 3 luglio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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