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Minime. 497
- Subject: Minime. 497
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 25 Jun 2008 00:48:49 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 497 del 25 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Corinzio Piegapini: Una canzoncina da incarto di caramella 2. Enrico Piovesana: Soldi buttati (e stragi che continuano) 3. La socievolezza di Sbrindellone 4. Julia Kristeva: Contro l'odio, il perdono 5. Maria Zambrano: Dante leale 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. LE ULTIME COSE. CORINZIO PIEGAPINI: UNA CANZONCINA DA INCARTO DI CARAMELLA In un mondo interconnesso vi e' una sola umanita' l'altro e' specchio dello stesso che riceve quel che da' o pieta' prevale adesso o ciascuno morira' in un mondo interconnesso vi e' una sola umanita'. 2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: SOLDI BUTTATI (E STRAGI CHE CONTINUANO) [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 20 giugno 2008 col titolo "Soldi buttati" e il sommario "Afghanistan, il fallimento dell'esercito 'made in Usa'". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Oltre sette milioni e mezzo di dollari - soldi prelevati dalle tasche dei cittadini statunitensi - sono stati spesi ogni giorno, per sei anni, dal loro governo per addestrare e armare le forze di sicurezza che devono combattere i talebani in Afghanistan. Con quale risultato? Nessuno! E' questo il succo del lungo e dettagliato rapporto pubblicato mercoledi' scorso dal Government Accountability Office (Gao), l'organo del parlamento statunitense che vigila su come il governo di Washington spende il denaro pubblico. * Esercito e polizia afgani quasi inutilizzabili Nel rapporto del Gao si legge che dal 2002 a oggi l'amministrazione Bush ha speso 16,5 miliardi di dollari per costruire in Afghanistan un esercito (10,3 miliardi) e una polizia (6,2 miliardi) che fossero in grado di combattere da soli la guerra contro i talebani entro il 2011-2012 e di garantire autonomamente la sicurezza e l'ordine nel Paese asiatico. Il risultato, ad oggi, e' che solo due unita' dell'esercito afgano sulle centocinque esistenti sono in grado di operare in autonomia, una quarantina sono capaci di combattere solo in affiancamento alle forze Nato. Tutte le altre unita' sono ancora completamente inutilizzabili. Ancor piu' drammatica la situazione per le forze di polizia: nessuna delle 433 unita' costituite e' ancora pienamente in grado di lavorare autonomamente sul territorio, solo il 7% lo e' solo parzialmente e con il sostegno Nato. Il resto delle forze di polizia sono assolutamente non in grado di svolgere i loro compiti. * Una fregatura per molti, un affare per pochi Il contribuente statunitense, che difficilmente leggera' mai questo rapporto - citato solo di striscio in un editoriale del "New York Times" di venerdi' - non sarebbe certo felice di sapere che il suo governo da una parte taglia la spesa pubblica sanitaria e scolastica e dall'altra spende sette milioni e mezzo di suoi dollari al giorno per la guerra in Afghanistan alla voce "addestramento e armamento forze locali". Ma la vera domanda e': a chi vanno questi soldi? Agli afgani? No, vanno a chi viene pagato per addestrare e armare gli afgani, ovvero all'esercito Usa, alle aziende private Usa che collaborano con esso e chiaramente ai fabbricanti di armi e mezzi militari statunitensi. Un esempio: l'amministrazione Bush ha speso dal 2002 a oggi 3,7 miliardi di dollari (quasi due milioni di dollari al giorno) per equipaggiare l'esercito afgano. Guarda caso, le armi in questione (migliaia di fucili M-16, centinaia di blindati Humvee) sono tutti di fabbricazione Usa. Si sa: la guerra e' una fregatura per molti e un grande affare per pochi. 3. LA SOCIEVOLEZZA DI SBRINDELLONE Ah quanto costa ammazzare la gente. Facciamo di grazia finta di niente. 4. RIFLESSIONE. JULIA KRISTEVA: CONTRO L'ODIO, IL PERDONO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 12 maggio 2007 col titolo "La psicoanalisi del perdono contro l'odio" e il sommario "Intolleranza. La societ‡ dell'odio. Lectio magistralis alla Fiera del Libro. Oggi (ore 12, Sala rossa) alla Fiera del Libro di Torino, Julia Kristeva tiene la 'lectio magistralis' Il bisogno di credere. Il punto di vista laico di una grande protagonista del nostro presente, di cui in questa pagina anticipiamo ampi stralci della prima parte. Kristeva, nata in Bulgaria nel 1941, ma di nazionalita' francese, e' studiosa di linguistica, semiologia, psicoanalisi, letteratura del XIX secolo. E' una delle piu' note psicoanaliste a livello internazionale. I suoi ultimi libri, come la trilogia sul Genio femminile, sono stati pubblicati in Italia dall'editore Donzelli. Conflitti. Come gestire e superare violenza e contrapposizioni etniche in un mondo che le esalta? Essenziale e' una nuova etica della compassione psicanalitica, da opporre alla 'reattivita'' identitaria. Il rifugio nelle identita' chiuse e' un modo di contrastare la depressione. La politica non puo' che essere un impegno finalizzato a scopi singoli. L'incontro con l'altro somiglia all'elaborazione del lutto nel transfert". Julia Kristeva e' nata a Sofia in Bulgaria nel 1941, si trasferisce a Parigi nel 1965; studi di linguistica con Benveniste; intensa collaborazione con Sollers e la rivista "Tel Quel"; impegnata nel movimento delle donne, psicoanalista, ha dedicato una particolare attenzione alla pratica della scrittura ed alla figura della madre; e' docente all'Universita' di Paris VII. Opere di Julia Kristeva: tra quelle tradotte in italiano segnaliamo particolarmente: Semeiotike', Feltrinelli, Milano; Donne cinesi, Feltrinelli, Milano; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia; In principio era l'amore, Il Mulino, Bologna; Sole nero, Feltrinelli, Milano; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; I samurai, Einaudi, Torino; Colette, Donzelli, Roma; Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma; Melanie Klein, Donzelli, Roma. In francese: presso Seuil: Semeiotike', 1969, 1978; La revolution du langage poetique, 1974, 1985; (AA. VV.), La traversee des signes, 1975; Polylogue, 1977; (AA. VV.), Folle verite', 1979; Pouvoirs de l'horreur, 1980, 1983; Le langage, cet inconnu, 1969, 1981; presso Fayard: Etrangers a nous-memes, 1988; Les samourais, 1990; Le vieil homme et les loups, 1991; Les nouvelles maladies de l'ame, 1993; Possessions, 1996; Sens et non-sens de la revolte, 1996; La revolte intime, 1997; presso Gallimard, Soleil noir, 1987; Le temps sensible, 1994; presso Denoel: Histoires d'amour, 1983; presso Mouton, Le texte du roman, 1970; presso le Editions des femmes, Des Chinoises, 1974; presso Hachette: Au commencement etait l'amour, 1985. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Julia Kristeva e' nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma in filologia romanza all'Universita' di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un dottorato in letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel 1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo il 1965 prosegue gli studi e il lavoro di ricerca in Francia all'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Nel 1968 consegue il dottorato sotto la direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel 1968 e' eletta segretario generale dell'Association internationale de semiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista 'Semiotica'. Nel 1973 consegue il dottorato di stato in lettere sotto la direzione di J. C. Chevalier. Dal 1967 al 1973 e' ricercatrice al Cnrs di linguistica e letteratura francese, al Laboratoire d'anthropologie sociale, al College de France e all'Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales. Nel 1972 tiene un corso di linguistica e semiologia all'Ufr di Letteratura, scienze dei testi e documenti dell'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. E' nominata direttore del Dea di Etudes Litteraires. Nel 1974 viene eletta Permanent visiting professor al Dipartimento di letteratura francese della Columbia University, New York. Nel 1988 e' responsabile del Draps (Diplome de recherches approfondies en psycopathologie et semiologie). Nel 1992 e' nominata direttore della Scuola di dottorato "Langues, litteratures et civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone - monde francophone", all'Universita' di Paris VII 'Denis Diderot' e Permanent Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Universita' di Toronto, Canada. Nel 1993 e' nominata membro del comitato scientifico, che affianca il ministro dell'educazione nazionale. Attualmente e' professoressa all'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. Dal 1978 dopo una psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de psychanalyse, esercita come psicoanalista. Gli interessi scientifici di Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di 'Tel Quel', che ha sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle cosiddette 'scienze umane'. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola, indagare la diversita' dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche, e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Opere di Julia Kristeva: Semeiotike'. Recherches pour une semanalyse, Seuil, Paris 1969; Le texte du roman, Mouton, La Haye 197l; La revolution du language poetique. L'avant-garde a' la fin du XIX siecle: Lautreamont et Mallarme', Seuil, Paris 1974; Des chinoises, Editions des femmes, Paris l974; Polylogue, Seuil, Paris 1977; Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection, Seuil, Paris 1980; Le language, cet inconnu. Une initiation a' la linguistique, Seuil, Paris 198l; Soleil noir. Depression et melancolie, Gallimard, Paris 1987; Les Samourais, Fayard, Paris 1990; Le temps sensible. Proust et l'experience litteraire, Gallimard, Paris l994. Numerosi articoli di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste 'Tel Quel', 'Languages', 'Critique', 'L'Infini', 'Revue francaise de psychanalyse', 'Partisan Review', 'Critical Inquiry' e molte altre. Tra le opere della Kristeva tradotte in italiano, ricordiamo: Semeiotike'. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano 1978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia 1979; Storia d'amore, Editori Riuniti, Roma 1985; Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano 1986; In principio era l'amore. Psicoanalisi e fede, Il Mulino, Bologna 1987; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; Poteri dell'orrore, Spirali/Vel, Venezia; I samurai, Einaudi, Torino 1991; La donna decapitata, Sellerio, Palermo 1997". Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Noi diciamo "sono francese, italiano, cattolico, ebreo", "sono un artista, un operaio, un uomo, una donna, un bambino, un anziano...", ricorrendo in tal modo alla polifonia del verbo essere. Non preoccupatevi: non mi addentrero' ne' in un'analisi linguistica, ne' nel dibattito filosofico che dura dai presocratici passando per Platone fino a Heidegger e i suoi commentatori... No, il mio personale nomadismo e la mia riflessione sull'esperienza degli stranieri, dell'estraneita', mi ha convinta che si possa "essere" senza "esserci". Vi propongo di riflettere su questo: essere non significa "esserci", e' semmai e soprattutto una posizione filosofica che si rifa' al pensiero di Hannah Arendt, una "donna che viene da lontano" (come si definiva citando una poesia di Schiller), che ha meditato, forse meglio di chiunque altro, sulle origini del totalitarismo. Criticando l'assimilazione degli ebrei in Francia ma anche l'insieme del sistema clanico della societa' francese, questa politologa che era anche una lettrice di Proust ricorda le ironiche affermazioni dello scrittore affermando in sostanza che i francesi hanno trasformato la massima dell'Amleto di William Shakespeare "essere o non essere, questo e' il problema" in "essere o non esserci". Voi sapete che, ne Le origini del totalitarismo, Arendt prende assai sul serio tale affermazione e analizza la rete di "ambienti" di influenza separati tra loro (famiglie, societa' piu' o meno segrete, clan religiosi, politici e sessuali, salotti, ecc.) che, in effetti, costituisce la societa' francese sotto le sue ambizioni di universalismo e uguaglianza. Affronta, strada facendo, gli effetti perversi dell'assimilazione denunciata da Bernard Lazare: liberando gli ebrei, la Repubblica li affranca dalla religione che conferisce loro il proprio essere, ma li riduce in definitiva a dei "paria" in una nazione suddivisa in compartimenti che, mentre pretende di far condividere loro i suoi valori universali, di fatto li rinchiude in particolarismi etnici, psicologici, sociali - quelli in cui i nazisti vedranno dei "vizi" da sterminare... Io cerco di portare avanti l'interrogativo sugli effetti della chiusura clanica e comunitaria che si riscontrano nel cuore dei conflitti moderni: le appartenenze, le identita' comunitarie sono soltanto subite o, anche, compiacentemente assunte? Per quale vantaggio psichico e politico? Quali sono le molle incoscienti del comunitarismo e, in senso piu' ampio, dell'appartenenza? Il nostro dibattito mi offre l'occasione di rendere omaggio a Hannah Arendt. Ho da poco ricevuto, per il centesimo anniversario della sua nascita, il Premio Hannah Arendt per il pensiero politico, istituito dalla Fondation Heinrich Boell e conferitomi in Germania dal Land di Brema. La recente consegna del premio (il 16 dicembre 2006) mi ha spinta ad approfondire la mia riflessione sul rapporto di appartenenza (...). All'orecchio della psicanalista quale io sono, l'appartenenza appare come un antidepressivo. Noi tutti abbiamo bisogno di crearci luoghi e legami: famiglie, meta-famiglie, trans-famiglie che ci sostengano lungo la nostra vita. Si comincia con i legami di parentela, poi viene la scuola, l'ambiente di lavoro, sportivo, una squadra, un circolo politico, ideologico, ecc. Legami indispensabili, che io considero luoghi di passaggio. Infatti, affinche' l'appartenenza non degeneri in difesa maniacale contro la depressione - che assume allora l'aspetto ideologico di un dogmatismo -, dovrebbe poter essere pensata, vale a dire messa in discussione, e in questo senso essere soltanto provvisoria. (...) Il centesimo anniversario della nascita di Hannah Arendt coincide con il centocinquantesimo anniversario della nascita di Freud. La giuria desiderava mostrare eventuali convergenze tra i due pensatori all'apparenza cosi' diversi, se non incompatibili: Arendt diffidava della psicanalisi, direi persino che la detestava senza conoscerla realmente. Eppure... per la sopravvissuta alla Shoah, il centro della politica non e' nient'altro che la possibilita' di mostrare la singolarita' umana nella pluralita' dei legami. Ebbene, e' stato proprio Freud ad avviare una ricerca sulla singolarita' irriducibile, propria della vita psichica di ogni individuo, oltre la psichiatria e le neuroscienze che generalizzano: l'esperienza psicanalitica del transfert e del contro-transfert altro non e' che la ricostituzione all'infinito dei legami, in particolare amorosi, da fare e disfare con gli altri... Mentre mi trovavo a New York per tenere i miei corsi al dipartimento di Filosofia della New School, durante le ore libere preparavo il testo del discorso per il Premio Arendt, guardando la televisione. Mi sono cosi' imbattuta in un programma sulla tragedia delle donne afgane che, quando subiscono violenze coniugali, o ogni tipo di insopportabile pressione, non trovano altra via di uscita che immolarsi dandosi fuoco. Si tratta di un ritorno a una tradizione religiosa: in India, le vedove si immolano con il fuoco per raggiungere gli sposi defunti. Ma per le afgane murate dentro i loro burka e represse, quel rito e' diventato il solo e unico mezzo di protesta, in una forma arcaica e barbara ma radicale, e' il meno che si possa dire. Non soltanto si assiste a un moltiplicarsi di autodafe' di donne perche', in societa' sempre piu' dominate dai talebani che si credeva di aver sconfitto, non esistono risposte politiche per le liberta', ma, in mancanza di dottori, antibiotici e calmanti, non e' nemmeno possibile curarle! Ho dunque deciso di devolvere l'ammontare del mio premio alle donne afgane. Ho cercato una ong affidabile che facesse da tramite. Negli Stati Uniti ne esistono molte, in particolare femministe. Alla fine, ho scelto Humani-terra, con sede a Marsiglia, dunque un'associazione francese, che cura le grandi ustionate ma inizia anche un lavoro di inserimento psicologico e sociale con le handicappate che sopravvivono alle ustioni. Ecco... tutto questo per dirvi che "l'azione politica" che Arendt collocava al di sopra del "lavoro" e dell'"opera", si esaurisce in se stessa e non ha altra giustificazione che quella ultima, ai miei occhi, di dar luogo a singole iniziative. Non ad "appartenenze" e militanze che ne rafforzano i confini. Ma a specifiche maniere di essere, a bio-grafie: vale a dire di vite che possono essere raccontate, condivise e che, per questo, debanalizzano il gruppo umano, curano il legame sociale, lo trasformano in spazio di creativita' per ciascuno. E' evidente che, se si e' una donna che porta il velo, non si hanno molte chance di "apparire" alla "pluralita' del mondo": come si puo' allora avere qualsiasi liberta', e in particolare la liberta' di pensare? L'orrore delle donne afgane e' una situazione limite, lo ammetto. Tuttavia, anche le nostre democrazie cosiddette progredite sono esposte al rischio di portare all'estremo l'incontro del singolare con il singolare, la rivelazione che sta alla base della liberta': lo svelarsi dello specifico, dell'incommensurabile, che rappresenta la nobilta' della politica.(...) Lo ripeto, la vulnerabilita' mi sembra essere al centro dell'essere parlante come crocevia biologia/senso, e ne faccio pertanto una questione centrale e politica. Non rientra nell'ordine della carita'. Ho avuto l'onore di essere invitata a parlare della sofferenza a Notre Dame de Paris, nella serie di conferenze della Quaresima aperte ai laici e ai non credenti. In quella sede ho presentato, tra le altre cose, la mia concezione dell'handicap, che non e' basata sulla compassione. E' vero che condividere la sofferenza di una persona handicappata richiede un'empatia che non esito a definire amore: nel senso del transfert e del contro-transfert che hanno luogo in una cura analitica. Se il rapporto di vicinanza con una persona handicappata non giunge fino a quel punto - ho potuto constatarlo nel mio lavoro sia con le persone handicappate che con i cosiddetti "aiutanti" -, ebbene l'accompagnamento si limita a una "medicazione", cosa certo importante, ma che non ottiene quegli effetti di mutamento e sopravvivenza che sono resi possibili da un'identificazione tra curante e curato: identificazione spesso infraverbale, sensoriale, condivisione di affetti e passioni, essa stessa analizzata e cosi' orientata verso un'azione per i diritti e i doveri politici. La compassione, precisata come transfert/contro-transfert, e' orientata verso la riconoscenza politica. Si tratta, capite bene, di una visione radicalmente diversa da quella che ci e' trasmessa dalla tradizione biblica ed evangelica, che pure ha aperto la strada a un'assunzione di carita' senza precedenti in altre civilta'. Ma che considera la persona handicappata, allo stesso titolo che i "poveri", come qualcuno affetto da "mancanza" di qualcosa, benche', pur manchevole, quel "povero" meriti di vivere degnamente. Bisogna riconoscere che e' gia' qualcosa di enorme... rispetto all'eugenetica ad esempio, che ancora oggi fa capolino dietro la maschera del progresso scientifico. La visione che sostengo, che trae ispirazione da cio' e al tempo stesso se ne allontana, si riallaccia a Diderot, il quale, deista, e' diventato laico dopo l'incontro con Saunderson: con lui il filosofo dei Lumi ha scoperto una disfunzione nell'ordine divino dell'armonia prestabilita e dell'eccellenza dell'uomo creato da Dio a sua immagine. Oggi, ci battiamo da soggetti politici per dei diritti, e le persone handicappate nelle loro associazioni hanno ben capito tutto cio'. Talvolta in maniera persino eccessiva a mio avviso, poiche' non tengono conto dello sguardo degli altri, le persone autosufficienti, che non sono pronte - dal punto di vista affettivo ed economico - a mettere in pratica questa filosofia umanista, pur aderendovi per la maggior parte... da lontano. Resta ancora da fare un lungo lavoro di informazione, di diffusione di conoscenza, ma anche di "lavoro su di se'": da una parte e dall'altra, tra due universi impietosi quali sono i "validi" e gli "invalidi". Sentendomi parlare in questi termini, di recente un giornalista mi ha posto la seguente domanda: "E' forse diventata cristiana?". Non sono "diventata cristiana" accompagnando le persone portatrici di handicap, e neppure scrivendo un libro sull'odio e il perdono (La haine et le pardon, Fayard, 2005). In quest'ultimo libro, sostengo che il perdono e' un atto simbolico e reale indispensabile per la costituzione della vita psichica; e' un privilegio della cultura europea averlo messo in evidenza facendone un fatto culturale. Sconosciuto ai greci, appena accennato tra i romani nel principio di risparmiare le vittime (parcere subjectis), elaborato attraverso il kippur ebraico nella Bibbia, in realta' e' stato Gesu' a imporlo, correggendo in maniera effettivamente molto politica la concezione degli scribi e dei farisei. Da allora in poi, non soltanto Dio non e' l'unico a perdonare, ma e' perche' in primo luogo gli uomini sono capaci di perdonare che Dio, in definitiva, perdona. Arendt s'impossessa di questo fatto religioso per decifrarvi la capacita' degli esseri umani di cambiare il corso del tempo soggettivo: perdonando, attraverso il mio perdono, non cancello il male, dal momento che il perdono si rivolge alla persona che lo chiede, non ai fatti incriminati. E attraverso il mio perdono io consento a questa persona di rifarsi: non di fermarsi, ancor meno di finire e/o morire (fisicamente o psichicamente, per via della condanna), ma di ricominciare su nuove basi, su nuovi legami e valori. Quale puo' essere la versione moderna del perdono, in un mondo senza Dio? Era questa la mia domanda, e la mia risposta e': l'interpretazione, e piu' nello specifico l'interpretazione psicanalitica. L'atto psicanalitico solleva una domanda a partire dal malessere e da ogni specie di male. Cerca il significato - psichico, sessuale, intersoggettivo - dell'insensato. Parlando o tacendo, decifrando o attraverso il silenzio, e persino se conduce al nonsenso o al non-sapere, resta nell'apertura, nel chiarimento. E' un prodigioso e imprescindibile contropotere con cui contrastare la pulsione di morte. Lo scrivo, per rassicurarvi e distinguermi dall'uso religioso del termine di cui siamo tuttavia eredi e debitori: un per-dono. Un dono di senso che si riassorbe nel dono del transfert/contro-transfert, e abbozza la possibilita' di ri-fare il proprio spazio psichico, i propri legami, la propria vita. 5. TESTI. MARIA ZAMBRANO: DANTE LEALE [Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 aprile 2007 col titolo "Dante, la bestia e l'angelo" e il sommario "Inediti. Un saggio di Maria Zambrano sul poeta della Commedia. Nella Monarchia l'uomo viene assimilato all'orizzonte perche' media tra razionale e irrazionale. La concezione dell'universo nel Medio Evo era concentrica e legata alla divinita'. L'intimita' della religione veniva vissuta come mistero di luce e di amore. Beatrice manifesta un'esperienza di passione che secoli dopo si chiamo' mistica". Maria Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991), allieva di Ortega y Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le sue opere tradotte in italiano cfr. almeno: Spagna: pensiero, poesia e una citta', Vallecchi, Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964; Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano 1992; La tomba di Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995; Verso un sapere dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere letterario, Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997; Seneca, Bruno Mondadori, Milano 1998; Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna 1998. L'agonia dell'Europa, Marsilio, Venezia 1999. Dell'aurora, Marietti, Genova 2000; Delirio e destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Persona e democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori, Milano 2000; L' uomo e il divino, Edizioni Lavoro, Roma 2001; Le parole del ritorno, Citta' Nuova, Roma 2003. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il volume monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n. 279, maggio-giugno 1997, e il recente libro di Annarosa Buttarelli, Una filosofa innamorata. Maria Zambrano e i suoi insegnamenti, Bruno Mondadori, Milano 2004; ci permettiamo di segnalare anche, nel nostro stesso notiziario, i testi di Elena Laurenzi e di Donatella Di Cesare riprodotti nei nn. 752, 754 e 805, e "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 11, monografico su Maria Zambrano] Ogni opera umana si rivela sempre, com'e' ovvio, uno specchio in cui gli uomini possono guardarsi. L'immagine di se' che l'uomo cerca instancabilmente non si riduce alla sua sola figura, per la ragione, anch'essa ovvia, che l'uomo non arriva a darsi una figura, nemmeno sbozzata, se non in relazione a tutto cio' che lo circonda. Ed e' sempre stata una peculiarita' dell'uomo sentirsi in relazione: vale a dire effettivamente circondato dall'universo nella sua totalita', quale un mediatore tra tutte le cose esistenti. E' esattamente questa l'idea dell'uomo che Dante professa in tutta la sua opera, in maniere diverse. Una tra le piu' belle e' quella che riporta nella Monarchia, attribuendola ad alcuni filosofi: l'idea che l'uomo sia come un orizzonte - assimilato all'orizzonte - perche' media tra i due emisferi. Mediatore tra l'emisfero degli esseri naturali irrazionali e la ragione, tra la bestia e l'angelo, capace di attraversare, come illustra simbolicamente il suo poema straordinario, tutti gli stati dell'essere, dal centro dell'inferno fino all'ultimo cielo, proprio ai piedi del centro supremo, del trono della Santa Trinita'. Quel che ci offre nella sua opera e', in effetti, la condizione umana in tutta la sua pienezza, nella piena attuazione delle sue possibilita': fin qui puo' abbassarsi l'uomo, fin li' puo' ascendere; fino a tali confini estremi dell'afflizione e della beatitudine e, semplicemente, sulla terra, dove l'uomo puo' espandere la sua potenza e il suo intelletto. A questa idea verificata dall'esperienza risponde l'opera di Dante. E' uno specchio poliedrico. Giacche' nessun uomo ha potuto mai raggiungere i confini estremi dell'umano senza appurare, sorso dopo sorso, i conflitti del proprio tempo, del proprio paese, senza attraversare le barriere delle circostanze spazio-temporali. A Dante spetto' in sorte di vivere uno dei periodi piu' complessi e conflittuali della storia occidentale; viverlo dal di dentro e non subirlo semplicemente. Non fu uno spettatore. Non poteva esserlo in virtu' dell'unita' della sua mente, della sua anima, della sua morale, in questo tipicamente medievale. L'uomo del Medio Evo e' infatti il meno differenziato e scisso tra quelli conosciuti. La specializzazione dell'essere, che si produsse molto prima di quella del conoscere caratteristica dei tempi moderni, era inconcepibile per un uomo medievale. Poiche' la concezione dell'universo - piu' che del mondo, come si dice oggi - era concentrica, cioe' unitaria in forma pluricircolare. Il centro della sfera totale in cui e' racchiuso l'universo e' la divinita' - Dio Uno e Trino -. Ma l'uomo che si sapeva decaduto, caduto sulla terra - la valle di lacrime -, portava in se', proprio al centro di se', sia pur offuscata, la presenza viva della divinita'. Emanuele, come si sa, vuol dire questo: Dio nell'uomo. E tale presenza non si manifestava solo in un sentimento di quello che in seguito si e' concepito come cuore, ma attraverso la ragione. La ragione era divina. Una ragione trascendente che muovendo dalla divinita' attraversava l'intera creazione e stabiliva una dimora prediletta nella mente umana. Questo significa che la ragione era una scala mediatrice, che per mezzo di lei e attraverso di lei si poteva viaggiare, transitare per i mondi diversi che compongono l'universo visibile e invisibile. La ragione illuminata dalla fede e dall'amore. Itinerarium mentis in Deum, cosi' San Bonaventura, discepolo di San Francesco tanto caro a Dante, intitolava la sua opera insieme filosofica e teologica; guida di conoscenza e d'amore. E quelli che piu' si addentravano nei misteri dell'essenza divina la descrivevano o la manifestavano come il fuoco della luce. L'intimita' della religione veniva vissuta come mistero di luce e di amore; di una luce-ragione-parola che discese e si fece carne in un corpo umano. La scienza - poiche' esisteva una scienza, erede della tradizione greca e di quella egizia, sua madre o almeno nutrice, e forse anche di altre tradizioni - non era solo congiunta al divino, ma veniva altresi' intesa come una forma svelata del mistero. Le stesse arti liberali - Trivium e Quadrivium - rivestivano un significato teologale: erano cioe', al pari dei sette pianeti - incluso il Sole - una scala per ascendere fino al centro supremo. Non c'e' dunque da stupirsi se Dante dichiara a sua volta che per cieli intende le arti. Percio' il cosiddetto sistema geocentrico, che concepiva la Terra come il centro del ruotare del Sole, andrebbe definito, piu' esattamente, teocentrico. Dante infatti non inventa nulla quando, nel verso finale della sua Divina Commedia, dichiara che "L'Amore muove il Sole e le altre stelle": cioe' tutti i corpi che ruotano nei cieli. Questa unita' essenziale di scienza, teologia, religione unificava nell'uomo la mente con il cuore, o almeno se lo proponeva e nel contempo lo rendeva possibile. Per questa esclusiva ragione, o magari per qualche altra ragione convergente, la virtu' per eccellenza dell'uomo medievale era la lealta'. Essere tacciato come sleale, o all'estremo come traditore, era l'ombra peggiore che potesse cadere su un uomo. La lealta' e' alquanto diversa dalla sincerita', che e' cio' che piu' le assomiglia. Essere sincero tuttavia non significa affatto essere leale. La sincerita' e' la virtu' dell'uomo isolato, confinato nella propria individualita', sprofondato nell'incertezza e nel dubbio, dell'uomo rimasto solo con la propria coscienza e che non ha altra forma di rettitudine se non l'andar dichiarando o almeno dichiarandosi senza mentirsi cio' che sente e pensa in ogni momento, costretto a volte a spiarsi per questo, a frugare dentro di se' come in un estraneo le proprie segrete intenzioni, i desideri inconfessabili, trascinandosi per il labirinto della psiche solitaria. Lealta' e' unita' di mente, anima e azione che, in forma piu' esplicita, corrisponde all'autenticita' molto piu' che alla sincerita'. Ma non possiamo non riconoscere che l'"autenticita'" non e' stata finora formulata con l'ampiezza che sarebbe necessaria per eguagliare il livello morale della lealta' medievale. Ed e' proprio questa lealta' che paradossalmente induceva e ancora induce chi ne e' schiavo - poiche' non si e' estinta del tutto - a cacciarsi in situazioni spinose, irte di pericoli, compreso quello di apparire sleale. Cosa che puo' succedere a chiunque e in qualunque circostanza. A Dante successe di dover pagare la propria lealta' intatta con esilio, poverta', soggezione a occupazioni equivoche, condanna a morte crudele e infamante a un tempo: solitudine. La trama della sua vita non mostra quasi altra cosa, la trama della sua vita, la materia dei suoi sogni. E insieme la sua esperienza. Molti uomini del tempo di Dante passarono per situazioni analoghe e molti ne vennero letteralmente consumati, mentre lui riusci' a trasformare quel fuoco su cui la sua citta' lo aveva condannato a morire arso, in un fuoco che lo fece vivere ardendo fino alla morte. La sua opera travalica il destino. Ma fu necessario sopportare quel destino per portarla a compimento. Se sperimentare un destino siffatto non e' sufficiente per creare la Divina Commedia o l'intera opera che, essendo dello stesso autore, impallidisce un poco sotto lo splendore di quella, tuttavia non sarebbe stato possibile portare alla luce tenebre tanto profonde e far discendere tanto celestiale chiarore, senza essere passato in vita, per opera delle circostanze storiche e dell'amore, attraverso tanti inferni, purgatori e cieli. Due centri si manifestano nella vita sperimentata da Dante, due centri che immediatamente ne rivelano un terzo. L'esperienza storica e l'amore che gli ispiro' una giovane fiorentina quando entrambi avevano appena nove anni. E' noto che tra loro non ci fu alcuna relazione, al di la' del saluto che duro' un tempo assai breve. Ne' lei duro' molto piu' a lungo, poiche' nacque nel 1266 - un anno scarso dopo Dante - e mori' nel 1290. Difficilmente una donna puo' illuminare in modo piu' profondo e totale il cuore e la mente di un uomo. Ma non fu solo questo, un amore umano ancorche' immortale, quello che Beatrice gli ispiro'. Come vedremo, gia' nella Vita Nuova appaiono parole rivelatrici del fatto che l'amore lo condusse fino ai confini estremi della vita, che si tratta di un amore che trasforma, che di un semplice uomo qual era Dante fa un uomo nuovo; un amore che lo porto' a morire e rinascere, per quanto e' possibile restando un abitante della terra. Se poi consideriamo la Divina Commedia, opera capitale di Dante e forse della poesia occidentale, risulta quasi impossibile non pensare che ci siano due Beatrice sotto lo stesso nome. Dante stesso lo rivela, dal momento che di lei fa la guida che lo conduce di cielo in cielo cedendo il posto solo a San Bernardo, ormai nei pressi della suprema presenza divina. Quello che Dante ha sperimentato dev'essere qualcosa di piu' che l'amore umano. E Beatrice manifesta e veglia a un tempo un'esperienza di conoscenza amorosa che secoli dopo si sarebbe detta mistica. Non che la mistica sia un fenomeno moderno, visto che, come ben si sa, il trattato Teologia mistica e' opera di Dionigi Areopagita - del secolo IV -. Tuttavia all'epoca di Dante, quando negli animi piu' illuminati si accendeva un cosi' grande fervore di contemplazione e di azione, non si adoperava quel qualificativo, "mistico", che invece e' stato tanto usato e anche abusato a partire dal Rinascimento, dalla Riforma e dalla Controriforma. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 497 del 25 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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