Minime. 483



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 483 dell'11 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Annamaria Rivera: Prefazione all'edizione italiana di "Guerra e
sacrificio" di Mondher Kilani
2. Letture: AA. VV., Sembrando vida y dignidad - Seminando vita e dignita'
3. Letture: Majakovskij. Vita, poetica, opere scelte
4. Letture. Roberto Massari, Il '77 e dintorni
5. Riletture. Rocco Altieri (a cura di), L'11 settembre di Gandhi
6. Riletture: Mario Cisternino, I segreti della serenita'
7. Riletture: Toni Senno, Giornale etnografico
8. Riletture: Toni Senno, Matebeh
9. Riedizioni: Cartesio, Discorso sul metodo, Meditazioni metafisiche,
Obbiezioni e risposte, I principi della filosofia
10. Riedizioni: Anthony C. Grayling, Il significato delle cose
11. Riedizioni: Thomas Hobbes, Leviatano
12. Riedizioni: Isocrate, Orazioni
13. Riedizioni. Maynard Solomon, Mozart
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA DI
"GUERRA E SACRIFICIO" DI MONDHER KILANI
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il testo della prefazione
all'edizione italiana del libro di Mondher Kilani, Guerra e sacrificio,
Dedalo, Bari 2008.
Annamaria Rivera, antropologa, vive a Roma e insegna etnologia
all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani
di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la
ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista,
antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi
attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle
molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della
societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di
concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria
Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in
quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine
dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza
razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli
postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005.
Mondher Kilani e' docente di antropologia culturale all'Universita' di
Losanna. Tra le opere di Mondher Kilani tradotte in italiano: Antropologia.
Una introduzione, Dedalo, Bari 1994; L'invenzione dell'altro, Dedalo, Bari
1997; Guerra e sacrificio, Dedalo, Bari 2008]

"Mais nous sortirons un jour de l'age du bronze et de la prehistoire quand
la pitie' l'emportera sur le gout du sang et le respect des droits de
l'animal sur la cruaute' des ses bourreaux" (Theodore Monod)

La citazione in esergo, tratta da un'intervista a Theodore Monod,
scienziato, esploratore, etnografo, militante pacifista e animalista, e' un
utile spunto per esporre brevemente uno dei nuclei di riflessione - il piu'
centrale, forse - di questo prezioso libro di Mondher Kilani. Mi riferisco
alla sua rilettura critica del sacrificio, che e' in realta' la chiave
dell'analisi della violenza estrema e della guerra, che egli qui propone.
Come e' ben noto, il sacrificio e' stato considerato, soprattutto
dall'antropologia, un'istituzione fondamentale alla base della
"civilizzazione" umana, un dispositivo indispensabile a sublimare,
canalizzare, addomesticare la violenza, per ristabilire l'equilibrio
sociale. Distanziandosi da molte interpretazioni convenzionali, Kilani ne
mostra, invece, gli aspetti piu' problematici e inquietanti, comprese
l'indifferenza o la crudelta', sia pure sublimate ed espiate mediante il
rito, verso la sorte delle creature sacrificate. Cosi' facendo, egli
implicitamente rifiuta di considerare al pari di un dato della natura la
millenaria propensione umana a fare degli animali gli esseri per eccellenza
sacrificabili.
Soprattutto egli osa mettere in discussione la consolidata tendenza a
collocare concettualmente su due versanti diversi, o addirittura opposti, la
grande violenza distruttiva, che si manifesta attraverso la guerra e il
genocidio, e la piccola violenza sacralizzata, regolatrice della brutale
violenza originaria, che si esprime attraverso il sacrificio. Mostra cosi',
in modo convincente, come la ragione sacrificale non sia appannaggio
esclusivo delle societa' tradizionali, ma permei i genocidi perpetrati in
epoca contemporanea e perfino la guerra globale attuale; e come, d'altro
canto, il sacrificio non sia sempre - al contrario di cio' che pensa una
buona parte degli antropologi - quell'atto simbolico, restauratore
dell'equilibrio sociale, che sempre metterebbe in scena una violenza minima
e stilizzata al massimo.
"Il movimento della ragione sacrificale - afferma a giusta ragione Kilani -
puo' anche invertire il suo corso" e finire per sostenere e legittimare veri
e propri massacri. Insomma, ben lontana dall'essere sempre contenuta, la
violenza che si pratica attraverso il sacrificio puo', in circostanze
specifiche, tracimare e produrre carneficine su larga scala: gli esempi
storici non mancano, andando dalle stragi di dimensioni abnormi dei
sacrifici umani aztechi fino alla macellazione di montoni su scala
industriale che oggi connota i sacrifici in occasione della festa musulmana
di Aid el-Kbir.
E' evidente che, quando il capro espiatorio si moltiplica a dismisura e la
quantita' dei sacrificati prevale sulla qualita' del simbolo
dell'espiazione, la ragione sacrificale soccombe alla violenza concreta e
brutale. Del resto, ritenere che alla base del sacrificio vi sia
un'originaria pulsione verso la violenza, tanto primordiale e ineluttabile
da esigere un istituto culturale basilare che la sublimi e la regoli, non e'
forse cedere a una forma di determinismo naturalistico?
A mio parere, una delle ragioni per cui la convenzionale lettura del
sacrificio ha potuto affermarsi, al punto da divenire uno dei luoghi comuni
piu' indiscutibili della teoria antropologica, risiede nella scarsa
considerazione riservata ai non-umani in quanto esseri morali - senzienti,
sensibili, affettivi, intelligenti. Essendo essi implicitamente e/o
inconsapevolmente valutati quasi al pari di cose, per la maggior parte degli
antropologi (con alcune eccezioni importanti, tra cui Claude Levi-Strauss ed
Edmund Leach) la loro messa a morte non ha mai costituito ragione di dilemma
morale o epistemologico; mentre, paradossalmente, un certo disagio morale o
concettuale e' conosciuto da molte delle societa' tradizionali in cui era/e'
praticato il sacrificio (e la caccia). Non a caso esse si sono dotate sia di
dispositivi rituali compensatori o espiatori, atti a riparare simbolicamente
all'animalicidio, sia di una serie di metafore eufemistiche volte a
dissimulare la sofferenza, l'uccisione, il sacrificio cruento degli animali.
Anche a tal riguardo si puo' ravvisare una certa analogia fra guerra e
sacrificio. Infatti, ad accomunarli vi e', fra le altre cose, la tendenza a
dissimulare la violenza e a giustificare i massacri in nome di qualche
ragione morale o religiosa superiore. Ma cio' non deve trarci in inganno:
prendere alla lettera cio' che gli attori sociali dicono di se stessi non e'
una buona lezione di antropologia o di sociologia.
*
Eufemistica per antonomasia e' la strategia retorica che si accompagna alla
guerra globale contemporanea: dall'utopia dello "zero morti", ovvero di una
guerra-non guerra chirurgica, asettica, infallibile, incruenta (ma solo per
la propria parte) - utopia che Kilani analizza diffusamente e con acutezza -
all'abituale ricorso a metafore volte ad attenuare, minimizzare o
dissimulare la realta' dei bombardamenti, delle stragi, delle violenze,
delle torture inflitte alle popolazioni oggetto dell'attenzione dei
liberatori occidentali in armi.
Non si puo' negare che sia proprio di tutte le guerre moderne il ricorso a
lessici astratti, mondati del sangue, della sofferenza, della morte. Ma la
guerra imperialista attuale - che il nostro autore definisce, sulla scia di
von Clausewitz, come totale e come tendente a un'inarrestabile escalation
verso l'estremo - presenta in piu' la specificita' di proporsi come una
ininterrotta operazione di mantenimento della pace, presentata ora come
un'azione di polizia internazionale contro il terrorismo, ora come un
intervento "democratico" per liberare gli altri dalla tirannia e dalla
barbarie. Di conseguenza, le locuzioni eufemistiche - "missione
internazionale", "operazione di sicurezza", "intervento umanitario", "lotta
al terrorismo", "missili intelligenti", "danni collaterali", ecc. - le sono
intrinseche, oltre tutto rafforzate dall'astrattezza dell'apparato
tecnologico altamente sofisticato mediante il quale e' condotta.
Questo apparato consente alle truppe imperiali di sentirsi -
illusoriamente - del tutto al riparo dal sangue, dalla violenza, dalla
morte; permette agli spettatori occidentali di assistere alle operazioni
belliche e ai loro effetti come se fossero di fronte a un videogame, o
comunque a uno spettacolo virtuale fra i tanti; infine - conviene
aggiungere - rende possibile la straordinaria perdita del senso di
responsabilita', e del senso delle proporzioni, che si riscontra tra i
vertici politici, anche di sinistra, dei paesi europei che partecipano alla
guerra imperiale.
Pure a tal proposito ritorna utile la categoria di ragione sacrificale, che
Kilani propone come chiave interpretativa non solo della guerra, ma anche
dell'esclusione sociale e/o dell'annientamento fisico di ampie categorie di
esseri umani, considerati scarti. Dalle retoriche utilizzate dalla politica
istituzionale per giustificare la partecipazione alla guerra - abitualmente
e ufficialmente denominata "missione di pace" -, traspare l'argomento
secondo il quale la sorte di un certo governo di coalizione di un paese
europeo non troppo importante varrebbe bene i "sacrifici umani" imposti agli
altri, cioe' la devastazione degli stati-canaglia, le stragi di civili, le
violenze, le ingiustizie, le tragedie che si consumano sulla scena
internazionale. In tal senso, le vittime - che si afferma retoricamente di
voler salvare dal peggio - diventano doppiamente capri espiatori: esse sono
immolate non solo a causa della volonta' di potenza imperiale, ma anche per
scopi mediocri come quello di garantire la stabilita' governativa di qualche
stato europeo alleato.
*
Andando ancora piu' al fondo della questione, come ci invita a fare il
nostro autore, possiamo legittimamente domandarci se non si possa parlare di
sacrificio "ogni volta che si esercita una violenza sull'altro al di fuori
di qualunque quadro giuridico, di ogni tutela dei diritti della vittima";
se, insomma, non siamo in presenza di un meccanismo di tipo sacrificale ogni
volta che la violenza e' accompagnata da una messa in scena rituale che
afferma "la rottura assoluta tra il sacrificante-carnefice, identificato
come umano, e il sacrificato-vittima, privato della propria umanita'".
La negazione dell'altro, perfino come avversario o nemico reale, e' un
tratto peculiare anche della guerra globale e totale dei nostri giorni.
Guerra asimmetrica, priva di reciprocita' (ancora una categoria-chiave
dell'antropologia cui Kilani ricorre ampiamente), essa si preclude qualsiasi
possibilita' di negoziato e quindi ogni prospettiva di uscita dallo stato di
conflitto permanente e illimitato.
A tal proposito si puo' richiamare l'attenzione, en passant, sull'analogia
che lega la guerra globale all'ideologia e alle pratiche coloniali. L'una e
le altre sono connotate da un'asimmetria riguardante non solo l'oggettiva,
quasi assoluta supremazia militare rispetto all'avversario e la negazione a
esso dello statuto di nemico legittimo, o addirittura di essere umano, ma
anche l'esercizio e la valutazione della violenza: pure se infrange ogni
regola del diritto e delle convenzioni internazionali, se fa strage di
popolazioni civili, se ricorre alle bombe a grappolo, perfino mimetizzate da
aiuti alimentari, la propria violenza e' rappresentata come legittima in
ogni caso; la violenza degli altri, al contrario, per quanto difensiva e
reattiva, e' sempre cieca, illegittima, barbara, sleale.
In piu', il mancato riconoscimento dell'avversario e la degradazione a
terrorismo di ogni espressione di opposizione e conflitto non fanno che
favorire la risposta terroristica reale. E questa, per quanto aberrante,
finisce per risultare pressoche' l'unica possibile e funzionale a uno stato
permanente di guerra asimmetrica e non-dichiarata. In realta', guerra totale
e risposta terroristica si alimentano reciprocamente e incessantemente.
Entrambe muovono - mi sembra - da una sorta di teologia estrema, che annulla
i soggetti storici sciogliendoli nelle immagini metafisiche dei rispettivi
"imperi del Male"; entrambe cancellano ogni possibilita' di discorso
politico e di risoluzione negoziata, in favore di un discorso fondato su
valori ultimi e assoluti, in definitiva fondamentalista.
Per definire gli effetti dell'inveramento attuale della guerra totale
descritta da von Clausewitz, Kilani riprende, mutuandolo da Giorgio Agamben,
il concetto arendtiano di stato di eccezione permanente. Per quanto abusato,
esso si presta bene a indicare come la sospensione del diritto nazionale e
internazionale e delle garanzie democratiche, nonche' l'indistinzione fra
guerra e pace, spazio interno e spazio esterno, funzioni civili e funzioni
militari, siano diventate la regola.
Lo stato di eccezione permanente si nutre di xenofobia e razzismo, e al
tempo stesso li alimenta e li riproduce. Ne e' un'illustrazione esemplare la
tendenza, fatta propria anche dall'Unione Europea, ad associare la "lotta
contro il terrorismo" con le politiche di controllo e di contenimento dei
flussi migratori: cosa che incrementa l'ecatombe dei "clandestini" e
alimenta nell'opinione pubblica il pregiudizio che sospetta i migranti,
soprattutto se provenienti da paesi musulmani, di complicita' o contiguita'
con lo spazio del terrorismo.
Opposti e speculari, tanto il discorso islamista che sorregge il terrorismo
quanto il teorema dello scontro di civilta', che e' una parte rilevante
dell'ideologia della guerra globale, spacciano la leggenda di due blocchi
monolitici - l'Islam e l'Occidente - contrapposti e irriducibili, di due
civilta' e sistemi di valori radicalmente differenti e antagonisti. Kilani
mostra bene, invece, quanti scambi, intrecci, continuita', sovrapposizioni
leghino i due mondi e come essi siano coinvolti in una dialettica di
mimetismo e rivalita' reciproci. A suo parere, siamo in presenza "di un solo
mondo, di un solo 'blocco occidentale', percorso da fratture delle quali
una, attualmente la piu' palese, ma non la piu' essenziale, risiede in un
certo irredentismo islamista - irredentismo piu' spettacolare che realmente
minaccioso per l'impero".
*
E' vero: come ci insegna l'antropologia, la tendenza a deumanizzare gli
altri, nemici potenziali o reali, non riguarda solo le guerre moderne, ma e'
un tratto che si ritrova assai frequentemente nelle relazioni e nei
conflitti fra i gruppi umani piu' svariati e differenti, nello spazio e nel
tempo. Nondimeno, la guerra totale contemporanea ci offre numerosi e
specifici esempi di negazione dell'umanita' dell'altro. Gli emblemi piu'
efficaci per rappresentarla potrebbero essere le immagini dell'incappucciato
di Abu Ghraib, della soldatessa Lynndie England che, sorridente, trascina al
guinzaglio un prigioniero iracheno nudo, delle altre pratiche di estrema
degradazione dell'umano che ci hanno rivelato le foto-ricordo dei soldati
statunitensi.
Dietro quelle immagini non c'e' solo la banalita' del male e il sadismo
proprio di tutti i torturatori; c'e' anche un gusto della rappresentazione,
della costruzione di perversi tableaux vivants, che ci fa pensare, certo,
all'influenza dell'immaginario e dell'estetica pornografici, ma anche a un
intento di messa in scena rituale di tipo sacrificale: per divenire
sacrificabile, l'altro-umano deve essere prima de-umanizzato, se non
bestializzato, cosi' come l'altro-animale deve essere prima
de-familiarizzato e ridotto a cosa, oppure a un essere feroce o ributtante.
Come giustamente ci suggerisce Kilani, tutto cio' non riguarda solo
l'attuale guerra globale "contro il terrorismo". Si potrebbe affermare che,
piu' in generale, le istituzioni che hanno prodotto la "banalita' del male"
dei genocidi e dei massacri contemporanei non poche volte abbiano riprodotto
le scansioni proprie della scena sacrificale: la designazione di un capro
espiatorio, la sua segregazione o esclusione, la sua umiliazione, il suo
annientamento morale, la pratica del concentramento o della deportazione,
infine la sua eliminazione fisica.
Egli ha dunque perfettamente ragione nel sostenere la continuita' fra
sacrificio e guerra, fra potere sacrificale e potere imperiale, ipotizzando
che "l'annientamento praticato con i genocidi e con le guerre totali
contemporanee" non sia altro "che la trasformazione del potere sacrificale
in potere assoluto e indiscusso".
Vi e' la possibilita' di immaginare un dispositivo di regolazione e di
riduzione della violenza che non riproponga la mortifera ragione
sacrificale? - si chiede conclusivamente Kilani. Piu' ottimista di noi, egli
risponde positivamente: conviene scommettere sulla ragione politica. Basata
com'e' "sui principi della negoziazione permanente del contratto sociale e
della partecipazione dei cittadini", la politica non scongiura la violenza e
la guerra, ma almeno le inserisce nella dimensione razionale degli interessi
e dei conflitti propri dell'esistenza sociale.
Ma la logica dell'opposizione amico/nemico - potremmo obiettare - non e'
ormai penetrata nelle pieghe della politica cosi' profondamente da
pervertirla? L'ideologia della "sicurezza globale" non le e' divenuta cosi'
intrinseca da produrre incessantemente nemici interni e capri espiatori,
sacrificabili con misure eccezionali che divengono permanenti? Sono dubbi
che la realta' sotto i nostri occhi ci sollecita quotidianamente.
Forse, per poter riabilitare la politica, dovremmo immaginare un diverso
ordine del discorso che la riabiliti: un'antropologia tanto simmetrica da
includere ogni altro - umano e non umano - integrando pienamente i loro
punti di vista e favorendo cosi' una reciprocita' generalizzata. Forse, per
poter immaginare una politica che possa fare a meno della guerra dovremmo
decostruire, analizzare, mettere a distanza - come una variante "etnica" fra
le tante - quella cultura del dominio sulla natura, sugli animali, sul
femminile, su certe categorie umane che sorregge la ragione strumentale e
sacrificale della guerra.

2. LETTURE. AA. VV.: SEMBRANDO VIDA Y DIGNIDAD - SEMINANDO VITA E DIGNITA'
AA. VV., Sembrando vida y dignidad - Seminando vita e dignita', pp. 184,
euro 16, Gandhi Edizioni, Pisa 2007. Un bel volume dei "Quaderni Satyagraya"
monografico sulla decennale esperienza di resistenza nonviolenta della
Comunita' di Pace di San Jose' de Apartado' in Colombia, in edizione
bilingue spagnola e italiana, a cura della della Rete italiana di
solidarieta' con le comunita' di pace colombiane "Colombia Vive!", con testi
di Rocco Altieri, Andrea Proietti, Eduardo Galeano, Ruben Dario Pardo
Santamaria, Adolfo Perez Esquivel, Johan Galtung, Diego Perez, Javier
Giraldo Moreno, Guido Piccoli, Alfredo Molano Bravo, Vittorio Agnoletto,
Gloria Cuartas Montoya, Giuseppe De Marzo, e della Rete italiana di
solidarieta' "Colombia Vive!", con un inserto fotografico. Per richieste:
Gandhi Edizioni, via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail:
centro at gandhiedizioni.com, sito: www.gandhiedizioni.com

3. LETTURE. MAJAKOVSKIJ. VITA, POETICA, OPERE SCELTE
Majakovskij. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp.
608, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Il volume,
curato da Pasquale Di Palmo, che vi premette un'ampia cursoria introduzione,
reca i testi del poeta contenuti nell'antologia majakovskiana curata da
Giovanna Spendel per Mondadori anni fa (Vladimir Majakovskij, A piena voce.
Poesie e poemi, Mondadori, Milano 1989) e il classico Lenin (Einaudi, Torino
1967); in apparato il breve saggio del '66 "Rileggere Majakovskij!" di
Angelo Maria Ripellino. Come ognun sa - diceva Annibale Scarpia - c'e'
Majakovskij, il mito di Majakovskij e la poesia di Majalovskij. La poesia di
Majakovskij - mi perdonino il comitato centrale e la commissione centrale di
controllo - continuo a pensare che fosse soprattutto nella pronuncia,
nell'esecuzione, in quanto di extratestuale essa attivava e in quanto di
contestuale essa evocava; mi sembra che molto di essa sia ormai spento. Il
mito di Majakovskij e' immortale come tutti i miti, e come tutti i miti
viene l'ora in cui suona artefatto, posticcio, di un vero colmo di falso -
come ogni tragica verita', del resto. Ma Majakovskij resta, il Majakovskij
che tutti abbiamo amato in gioventu', il Majakovskij di Sklovskij e di
Jakobson, il Majakovskij tragico e desolato, il Majakovskij cialtrone e
teppista, esibizionista ed esterrefatto, rodomonte e cucciolo, ammaliato e
atterrito dalla vita e dalla sua inautenticita', che tutti si diede a una
causa e a un potere - il potere che quella causa distrusse - senza altra
riserva che il proprio dolore, in quell'estremo bisogno di accettazione che
si tradusse infine nella revolverata che gli spacco' il cuore. Cosi' diceva
Annibale Scarpia, mastro di rettorica, baritono mutacico e d'infrante
astuzie ricoglitore.

4. LETTURE. ROBERTO MASSARI: IL '77 E DINTORNI
Roberto Massari, Il '77 e dintorni. Contesti politici e processi di
radicalizzazione (1975-1978), Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2007, pp.
528, euro 16. A cura di Antonella Marazzi e con una imbarazzante
introduzione di Piero Bernocchi. Cosi' diceva quel mio cugino, sapete, Carlo
Argentino Daneri: Questa raccolta degli scritti tra '75 e '78 di Roberto
Massari (intellettuale, militante e soprattutto editore di molti meriti) e'
non solo un documento di quel tempo e di quella temperie - il dibattito
sovente fin gergale e sovente penosamente autoreferenziale di una parte
della nuova sinistra - ma anche una testimonianza rilevante, acuta e
impegnata, e rappresentativa di posizioni e problematiche che ebbero allora
largo corso in parte non piccola di quella che era stata la nuova sinistra.
Io che scrivo queste righe ricordo bene, e ricordo come su quasi tutte le
tesi qui sostenute avessi diversa e sovente contrapposta opinione (era
evidente anche allora che la lotta di liberazione delle oppresse e degli
oppressi richiedeva la scelta nitida e intransigente della nonviolenza, e
quanto urgente fosse che la sinistra del marxismo critico e antitotalitario
ne prendesse piena contezza e l'abbracciasse). Eppure ora rileggendo queste
pagine avverto come una cert'aria di famiglia e misuro a un tempo come sia
passata un'epoca, come si sia data una catastrofe. Ah, si', stanco mio
cuore, come passa il tempo, il tempo crudele e irridente, il tempo che
dialoga anch'esso con quell'islandese, il tempo che arrostisce sul medesimo
rogo gli avversi teologi. Cosi' diceva quel mio cugino, sapete, Carlo
Argentino Daneri. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella
postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito:
www.enjoy.it/erre-emme

5. RILETTURE. ROCCO ALTIERI (A CURA DI): L'11 SETTEMBRE DI GANDHI
Rocco Altieri (a cura di), L'11 settembre di Gandhi. La luce sconfigge la
tenebra, Lef - Centro Gandhi, Firenze-Pisa 2007, pp. 216, euro 16. E' il
volume n. 12 dei "Quaderni Satyagraha" che fa seguito al convegno del
settembre 2006 a Pisa nel centenario dell'assemblea dell'11 settembre 1906 a
Johannesburg in cui Gandhi promosse la prima campagna nonviolenta. Con testi
di Rocco Altieri, Arun Gandhi, Fulvio Cesare Manara, Michael Nagler, Bhikhu
Parekh, Nanni Salio, Franz Amato, Pierpaolo Calonaci, Enrico Peyretti, Piero
P. Giorgi, Mariella Dipaola e Matteo Della Torre, Federico Fioretto, Adriano
Mariani. Per richieste: via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573,
e-mail: roccoaltieri at interfree.it

6. RILETTURE. MARIO CISTERNINO: I SEGRETI DELLA SERENITA'
Mario Cisternino, I segreti della serenita'. Pedagogia tradizionale nel
cuore dell'Africa, Emi, Bologna 1993, pp. 556, lire 50.000. La pedagogia
tradizionale africana nell'esperienza di tre popolazioni, i Barundi, i
Baciga e i Karimojong; e la proposta di un incontro, di un ascolto, di un
dialogo, di un mettersi alla scuola della pedagogia tradizionale africana,
per "una mutua comprensione e una feconda interazione". L'autore e' un
autorevolissimo studioso, docente, consulente Onu, per vari decenni
missionario comboniano in Uganda. Con una presentazione di Giovanna Salvioni
e Cesare Scurati. Per richieste alla casa editrice: Emi, via di Corticella
179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552, e-mail: sermis at emi.it,
stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it

7. RILETTURE. TONI SENNO: GIORNALE ETNOGRAFICO
Toni Senno, Giornale etnografico. Un missionario tra i Birrwa-Limba della
Sierra Leone, Emi, Bologna 1993, pp. 202, lire 18.000. Una descrizione della
societa' e della cultura birrwa, l'autore e' un missionario vissuto per
molti anni con questa popolazione. Per richieste alla casa editrice: Emi,
via di Corticella 179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552,
e-mail: sermis at emi.it, stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it

8. RILETTURE. TONI SENNO: MATEBEH
Toni Senno, Matebeh. Ricerca d'armonia cosmica tra i Birrwa della Sierra
Leone, Emi, Bologna 2000, pp. 256, euro 10,33. Del medesimo autore del
"giornale etnografico" in cui riferiva della cultura birrwa in forma piu'
descrittiva e per cosi' dire esteriore, questo libro piu' intimamente vi si
cala - e particolarmente nella Weltanschauung - con finezza e rispetto,
attenzione ed empatia profonde. Per richieste alla casa editrice: Emi, via
di Corticella 179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552, e-mail:
sermis at emi.it, stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it

9. RIEDIZIONI. CARTESIO: DISCORSO SUL METODO, MEDITAZIONI METAFISICHE,
OBBIEZIONI E RISPOSTE, I PRINCIPI DELLA FILOSOFIA
Cartesio, Discorso sul metodo, Meditazioni metafisiche, Obbiezioni e
risposte, I principi della filosofia, Laterza, Roma-Bari 1986, Mondadori,
Milano 2008, pp. VI + 1006, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici
Mondadori). Riprendendo i testi dalla classica edizione laterziana in tre
volumi curata da Eugenio Garin, questa raccolta di alcune delle opere
maggiori di Cartesio e' una lettura che ancora vorremmo raccomandare ai
giovani e non solo. Rene' Descartes e' forse oggi uno sconosciuto; eppure ci
fu un tempo in Europa in cui il suo nome era il grido di battaglia di chi
lottava per un'umanita' di liberi ed eguali. E per una lingua che giovasse
alla chiarezza, alla comprensione reciproca, al pensare e al parlare
corretto, pulito e condiviso. Traendo i miei tardi di' in questa cella di
fioco lume, amava dire Annibale Scarpone, mi e' divenuto meno bruciante cio'
che d'inaccettabile Renato Delle Carte affermava (quella scissura tra corpo
ed anima, tra res extensa e res cogitans, per cui tutti lo abbiamo -
idealmente e reverentemente, va da se' - chiamato sul banco degli imputati e
tutti abbiamo vestito i panni del pubblico ministero in un incruento e
rispettoso della persona e delle persone processo - e dico processo come
svolgimento di pensiero -, ed Hans Jonas con maggior chiarezza ed energia ed
efficacia di chiunque altro; quell'insensata e sciagurata riduzione degli
animali non umani ad automi, ed altro ancora) e rendergli merito invece per
quanto di buono e di grande e prezioso ci ha recato e lasciato in perenne
dono, e in primo luogo quella virtu' del dubbio, sistema e cammino, abito e
sfida, ed anche e soprattutto incontro e riconoscimento dell'altrui
dignita'; e seme di pace, e resistenza alla violenza che e' sempre
assassina.

10. RIEDIZIONI. ANTHONY C. GRAYLING: IL SIGNIFICATO DELLE COSE
Anthony C. Grayling, Il significato delle cose, Longanesi, Milano 2002, Il
sole 24 ore, Milano 2007, pp. 256, euro 7,90 (in suppl. al quotidiano "Il
sole 24 ore"). Nella forma del saggio breve (dell'elezeviro, dell'articolo
di varia umanita'), ciascuno aperto dalla mallevadoria di un'autorevole
epigrafe, un rapsodico regesto di consigli di saggezza. Che ne pensasse
abbiamo chiesto ad Amilcare Scarpante, e lui: questo tipo di libro soffre
sempre di esser sballottato tra la Scilla della seriosita' e la Cariddi
della frivolezza (per non dire che nei momenti di malumore - ed ogni lettore
ne ha - ci si chiede a che pro averlo prodotto), ma perche' privarsi del
piacere di leggerlo? E mi diceva or non e' guari l'ottimo nostro amico
Sennuccio Barbaroni: E' un libro imbastito di perplesse citazioni, e forse
perche' amiamo riservare alla conversazione il citare, e sulla pagina
evitare ogni lenocinio di stile ed ogni patronato di autorita' che distragga
il pensiero dal nudo vero, e' quindi il libro che a noi non piace affatto;
ma e' anche un libro di ragionamenti liberi e concreti, con cui innumerevoli
volte rigiochi il bel gioco del consenso e del dissenso, dello sviluppo e
della scorciatoia, ed e' quindi il libro che a noi piace assai. Cosi' tra
l'astratto e il concreto, tra il no e il si', tutto si svolge questo
infinito dialogo - e conflitto - che e' tanta parte della parte meno
dolorosa di cio' che chiamiamo la nostra umanita' (Sennuccio Barbaroni,
tutti i vecchi nostri amici lo sanno, ama le circonlocuzioni, le perifrasi,
lo svuotamento e il diramarsi del linguaggio, per prolungare le chiacchiere
ed aver cosi' l'occasione di proporre un altro brindisi, qui all'osteria di
Iaiotto - bere e cantare insieme, quali altre gioie si danno nella vita?).

11. RIEDIZIONI. THOMAS HOBBES: LEVIATANO
Thomas Hobbes, Leviatano, Laterza, Roma-Bari 1989, Mondadori, Milano 2008,
pp. VI + 866, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Il
Leviatano nella recente traduzione laterziana e con l'introduzione del
compianto Arrigo Pacchi. E in guisa di preziosa appendice (ma un'appendice
di ben oltre 200 pagine) l'intero bel libro di Francesca Izzo, Forme della
modernita'. Antropologia, politica e teologia in Thomas Hobbes, edito da
Laterza, Roma-Bari 2005. Un volume che si raccomanda da se'. Che questo
capolavoro di Hobbes goda di cattiva fama chiunque ne abbia sentito
straparlare nelle aule scolastiche o universitarie o sulle gazzette o al
desco - degli sfruttatori le une e l'altro - ben lo sa; ma coloro che hanno
avuto la fortuna di leggerlo ne hanno ben altra considerazione; e qui vorrei
aggiungere almeno un grato ricordo di Norberto Bobbio, che a Hobbes ha
dedicato studi che non abbiamo dimenticato, e che ci fu maestro di verita',
di resistenza, di liberazione, di umanita'.

12. RIEDIZIONI. ISOCRATE: ORAZIONI
Isocrate, Orazioni, Rizzoli, Milano 1993, Rcs, Milano 2000, 2007, Fabbri,
Milano 2008, pp. 562, euro 6,99 (rispetto all'edizione originale sarebbe una
ristampa, ma il formato e' maggiore e il corpo tipografico dei caratteri
piu' grande, che per chi come noi ci vede sempre meno e' un pregio non
dappoco). Il volume contiene un saggio di Silvia Gastaldi (che commenta e
reca in appendice il "Sugli scrittori di discorsi o sui sofisti" di
Alcidamante), le orazioni isocratee Panegirico, Areopagitico, Sulla pace,
Filippo, Panatenaico, con introduzione, traduzione e note di Chiara Ghirga e
Roberta Romussi e testo greco a fronte. Non sono mai riuscito a leggere
Isocrate col rispetto che merita. Lo stile di Lisia per me e' tutto (e in
gioventu' del Contro Eratostene sapevo recitare a memoria ampie lasse, che
ovviamente nessuno capiva perche' quando citavi in greco antico mentre
facevi comizi sulle piazze di paese e nelle aie tra i campi chi volevi che
avesse la pazienza di decifrare parola per parola, eppure gli uditori si
appassionavano lo stesso della passione tua); e di Demostene l'energia
persuasa - e la fiamma mazziniana, la vampa combattente che tutto illumina e
che ti brucia il cuore -, di Demostene dico, dell'eroe della greca e umana
liberta' che vi riconobbero gli antifascisti che resistettero. L'opera
d'Isocrate invece ti pareva nata morta, e quando era esercitazione di
scuola, e quando era macchina, pompa, celebrazione. Un che di irreale e
fittizio da cio' che sapevi dalla tradizione (e dal paratesto, dal contesto,
dal detesto) si proiettava sul testo e l'oscurava nel suo cono d'ombra. Piu'
volte ho tentato di leggerlo astraendo da quanto sapevo o m'illudevo di
sapere (che' della tradizione e' buona norma sempre diffidare, dappoiche'
tradere e tradire sono per piu' versi un unico conflittuale annodato
colluttante movimento), ne' mai ce l'ho fatta, ahime'. Eppure, eppure...
cominci a leggere e il vecchio pedagogo, il retore astuto (sapiente,
esperito) di tutte le astuzie (le malizie, le risorse) del mestiere, la
persona infine amante delle parole e del pensiero, sale in cattedra e ti
cattura ancora.

13. RIEDIZIONI. MAYNARD SOLOMON: MOZART
Maynard Solomon, Mozart, Mondadori, Milano 1996, "Il giornale", Milano s.d.
ma 2008, 2 voll. per complessive pp. XX + 618, euro 6,90 + 6,90 (in
supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una buona, puntigliosa biografia.
Mi dico sempre che di Mozart scrivere e' impossibile - a tal punto l'arte
sua eccede il dicibile -, poi mi accorgo di quanti libri e opuscoli di
argomento mozartiano riposino sui ripiani degli scaffali di casa mia, e
scuotendo la testa sconsolato mi dico che davvero non si dovrebbe mai aprir
bocca.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 483 dell'11 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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