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Minime. 474
- Subject: Minime. 474
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 2 Jun 2008 00:57:29 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 474 del 2 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Antonella Litta: Riciclare, non bruciare 2. Igino Domanin presenta "Discesa nell'Ade" di Guenther Anders 3. Miriam Mafai presenta "Dare forma al silenzio" di Anna Rossi-Doria 4. Stefano Rodota' presenta "L'Europa del diritto" di Paolo Grossi 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFIUTI. ANTONELLA LITTA: RICICLARE, NON BRUCIARE [Ringraziamo Antonella Litta (per contatti: antonella.litta at libero.it) per il seguente intervento. Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia). Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente] Il continuo aumento dei rifiuti e il problema della loro gestione non sono altro che uno degli aspetti del nostro modello di vita e sviluppo economico che privilegia la crescita della produzione di merci e dei consumi, spesso indotti e superflui e per soddisfare i quali ci s'indebita sempre piu'. Moderne catene sono oggi le rate degli innumerevoli mutui e finanziamenti con cui paghiamo oggetti spesso non necessari, avvolti da involucri ed imballaggi che vanno a finire nella spazzatura. E' quindi chiaro che una corretta e razionale gestione dei rifiuti non puo' prescindere da una attenta riconsiderazione dell'attuale modello di sviluppo che deve anche prevedere ed obbligare alla riduzione dei rifiuti "a monte". Sono le industrie che devono farsi carico del recupero per il successivo riciclo di tutti quei materiali che ci vengono venduti, per esempio, insieme ad un qualsiasi elettrodomestico. E' solo il riciclo di questi materiali, e non il loro abbandono o distruzione, che puo' arrestare il saccheggio delle materie prime di cui sono composti, e di cui l'ambiente non possiede quantita' illimitate. E' quindi un problema politico ancor prima che tecnico. Infatti non sono sufficienti le migliori tecniche di smaltimento dei rifiuti se non si regola e non si fanno scelte politiche e di governo del territorio che devono influire sulla qualita' e sulla quantita' dei rifiuti prodotti. La gestione del "problema rifiuti" passa per una politica semplice, quella delle cosiddette "r": riduzione della produzione, raccolta differenziata porta a porta, riciclaggio, riuso, riparazione, recupero e responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, in particolare dei Comuni, delle Province e delle Regioni che devono predisporre centri piccoli e diffusi sul territorio, a gestione comunale, per lo smaltimento e il riciclo dei rifiuti solidi urbani (in sigla: rsu) con aree per il trattamento della frazione umida che dara' vita al compost da utilizzare come fertilizzante naturale. In parole semplici una filiera breve del ciclo dei rifiuti che possa cosi' essere controllato e gestito in relazione alle peculiarita' sociali ed economiche del territorio. Con l'attuazione di questa politica e' ovvio che il quantitativo di rifiuti che necessitano di un trattamento finale si riduce in maniera drastica ed e' possibile trattarli con tecnologie che garantiscono ambiente e salute e che non sono le discariche o i termovalorizzatori che meglio sarebbe chiamare con il loro vero nome, cioe': inceneritori. * L'incenerimento dei rifiuti solidi urbani e' una tra le tecniche piu' dannose per l'ambiente e la salute. I rifiuti non scompaiono bruciandoli ma vengono trasformati in altro: polveri, scorie, gas. Per ogni tonnellata di rsu bruciati in un inceneritore si producono circa 330 kilogrammi di ceneri e fanghi, scorie tossiche che devono essere trattate e poi conferite in discariche speciali ad un costo che e' sempre a carico dei contribuenti. Durante le fasi del processo di combustione dei rifiuti vengono immessi nell'aria milioni di metri cubi di gas dannosi, la cui composizione dipende dal tipo di rifiuto bruciato e che contribuiscono all'aumento dei gas serra, al fenomeno delle piogge acide e di eutrofizzazione di mari e laghi. Le polveri emesse, meglio note come particolato sottile ed ultrasottile (PM10 e PM2.5, ovvero polveri con diametri di 10,5 micron ed inferiori a 2.5 micron) sono costituite da nanoparticelle formate da sostanze chimiche (metalli pesanti in particolare: arsenico, berillio, cadmio, cromo, nichel, piombo, idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, diossine e furani, ecc.) estremamente pericolose, perche' persistono nell'ambiente e possono accumularsi negli organismi viventi. Ormai innumerevoli studi scientifici mostrano l'evidente correlazione tra l'esposizione alle polveri sottili ed ultrasottili e l'aumento dei ricoveri ospedalieri, della mortalita', delle malattie respiratorie, delle malattie cronico-degenerative (alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla), delle malattie endocrine, delle malattie neoplastiche e del sistema cardiovascolare. L'inalazione delle polveri sottili e ultrasottili provoca riduzione della funzionalita' polmonare nei bambini, riduzione della speranza di vita, aumento delle malattie neoplastiche e basso peso alla nascita per esposizioni avvenute nel periodo di gravidanza e precedentemente. Molte sostanze prodotte dalla combustione di rsu sono sconosciute e il loro impatto sulla salute e l'ambiente ancora imprevedibile e non valutabile. Gli inceneritori di ultima generazione emettono meno polveri e gas ma non hanno filtri in grado di fermare le polveri ultrasottili (quelle piu' pericolose perche' arrivano direttamente nel sangue) e la ridotta emissione di gas e polveri e' compensata dall'aumento della capacita' di combustione e non rassicura in alcun modo in quanto le sostanze immesse nell'ambiente sono sempre dannose per la salute ed hanno la capacita' di persistere ed accumularsi negli organismi viventi. A conferma di quanto affermato, uno studio commissionato dal Cewep - Confederation of European Waste-to-energy Plants - (confederazione europea dei gestori degli impianti dai rifiuti all'energia) afferma che "il riciclaggio dei materiali raccolti con una buona differenziazione, provoca un minor impatto ambientale rispetto alla termovalorizzazione". In Francia nell'ottobre scorso l'Ordine dei medici ha chiesto una moratoria alla costruzione di nuovi inceneritori e la stessa cosa ha fatto l'Ordine dei medici dell'Emilia-Romagna richiamandosi al principio di precauzione. Il principio di precauzione, nato all'interno di tematiche strettamente ambientali (Rio de Janeiro, 1992) ed entrato a far parte del Trattato Costitutivo dell'Unione Europea (Maastricht, 1994), afferma che "qualora esista il rischio di danni gravi ed irreparabili, la mancanza di piena certezza scientifica non puo' costituire il pretesto per rinviare l'adozione di misure efficaci, anche non a costo zero, per la prevenzione del degrado ambientale". La stessa Unione Europea indica la termodistruzione e il conferimento in discarica come ultime opzioni, in quanto entrambe non sono scevre da rischi per l'ambiente e la salute. E' assolutamente necessario evitare il ricorso agli inceneritori - o termovalorizzatori che dir si voglia - non solo per ragioni di salute ed ambientali ma anche economiche. In America, in Europa e anche in Italia, di recente e' nata una nuova imprenditoria che dalla gestione del ciclo dei rifiuti senza il ricorso alle discariche e agli inceneritori e' riuscita a creare opportunita' di lavoro e guadagno. Queste imprese trattano il residuo non riciclabile con metodi definiti meccanico-biologici, ed i trattamenti meccanici con estrusione dopo biostabilizzazione hanno un impatto ambientale pressoche' nullo. Il costo del riciclo dei rifiuti con queste metodiche e' di molto inferiore rispetto all'incenerimento, ma queste tecnologie purtroppo stentano a farsi spazio e sono poco pubblicizzate dagli organi d'informazione e poco conosciute da amministratori, medici e cittadini. La percentuale di rifiuti riciclati in Italia e' molto bassa rispetto all'Europa. La spiegazione sta nel fatto che in Italia e solo in Italia l'incenerimento viene considerato una forma di riciclo e i rifiuti solidi urbani sono equiparati alle fonti di energia rinnovabili nonostante che questa normativa sia stata considerata illegittima e sanzionata dall'Unione Europea: cosi' chi gestisce i termovalorizzatori riceve una sovvenzione statale, pagata dai cittadini con il 7% in piu' sull'importo della bolletta Enel; e' il famoso contributo Cip 6. In questa maniera l'80% di questo contributo, che dovrebbe essere destinato alle vere fonti rinnovabili di energia, va a chi costruisce impianti a biomasse e inceneritori. * Grande e' la preoccupazione, lo sconforto e lo sdegno per una politica che sceglie di gestire il problema rifiuti senza preoccuparsi degli effetti negativi sulla salute e l'ambiente, senza il dialogo con le comunita' locali, senza un piano nazionale di gestione dei rifiuti, sempre rincorrendo l'emergenza che essa stessa ogni volta crea. Noi sappiamo che invece una riduzione dei rifiuti insieme alla loro corretta e salubre gestione e' possibile ed e gia' attuata in varie zone d'Italia. Una gestione capace di operare nel rispetto per l'ambiente e di restituire concretezza e verita' all'articolo 32 della Costituzione Italiana che afferma che "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'". 2. LIBRI. IGINO DOMANIN PRESENTA "DISCESA NELL'ADE" DI GUENTHER ANDERS [Dal quotidiano "L'Unita'" del 17 marzo 2008 col titolo "La nostra specie? E' senza speranza... Scompariremo come le vittime della Shoah" e il sommario "Nel diario esistenziale di Anders, Discesa nell'Ade. Auschwitz e Breslavia, 1966, un lungo ma deludente viaggio nei luoghi d'origine". Igino Domanin (Chieti 1967) e' scrittore, giornalista, docente. Tra le opere di Igino Domanin: Testo e ripetizione. Del concetto teorico come effetto della pratica di scrittura, Led, 2000; (con Stefano Porro), Il web sia con voi, Mondadori; (con Giuseppe Genna), Forget domani. Racconti dell'italian lounge, Pequod, 2002; Gli ultimi giorni di Lucio Battisti, Pequod, 2005; (con Paolo D'Alessandro), Filosofia dell'ipertesto. Esperienza di pensiero, scrittura elettronica, sperimentazione didattica, Apogeo, 2005; Apologia della barbarie. Considerazioni ostili sulla condizione umana in tempo di guerra, Bompiani, 2007; Spiaggia libera Marcello, Rizzoli, 2008. Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati Boringhieri, Torino 2008. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato Solmi] L'approdo tardivo a una terra natale, spogliata ormai delle sue valenze affettive, devastata e senza radici, dove non ha piu' senso immaginare una patria. Questo e' il senso delle amarissime considerazioni che costellano il fitto diario esistenziale di Anders, Discesa nell'Ade. Auschwitz e Breslavia, 1966, pubblicato per i tipi di Bollati Boringhieri a cura di Sergio Fabian, un drammatico reportage, una specie di libro di viaggio nei luoghi d'origine che si rivela pero' essere la narrazione di una catabasi negli inferi. Anders scrive una filosofia d'occasione e non accademica. Non troviamo trattazioni tecniche di problemi metafisici, bensi' meditazioni che prendono lo spunto da situazioni concrete. Il filo conduttore e' solo l'esperienza quotidiana. Ma non si tratta di un esercizio di saggezza. Non sono aforismi che riguardano la buona vita. Al contrario, Anders, come del resto in tutti i suoi testi, ci descrive l'orrore che sordamente si cela dietro le apparenze confortevoli della civilta' tecnologicamente avanzata. Questo volume, pero', e' particolarmente significativo dei risvolti biografici di Anders ed entra, anche con crudelta', nelle pieghe piu' personali del suo pensiero. Anders, intellettuale ebreo di nazionalita' tedesca, esule in America e sopravvissuto allo sterminio degli ebrei, ritorna nella nativa Breslavia. La citta' ha cambiato nome, e' diventata Wroclaw e adesso fa parte della Polonia comunista. Per recarvisi e' necessario transitare nei pressi di Auschwitz. Il racconto del libro si apre li'. Anders e la sua terza moglie Charlotte sono in viaggio con la loro auto. Nelle vicinanze del lager. Le vittime della Shoah sono scomparse senza lasciare una traccia del loro morire. Proprio per questo, per via della loro eliminazione affidata a un cieco dispositivo tecnologico, per essere state private di qualsiasi connotazione umana della morte, non e' possibile nessuna elaborazione del lutto. Un'atmosfera mefitica, un miasma insopportabile si respira nell'aria. La presenza dei morti e' invadente, pressante, ingombrante. Chi e' sopravvissuto e' soverchiato da un'incontenibile vergogna d'esistere. Un fatto che non riguarda solo il mondo ebraico, ma che diventa il crisma universale della situazione storica attuale. Per Anders, infatti, questa e' diventata la condizione normale degli esseri umani. Come testimonia il prosieguo del testo, dove, a partire dall'arrivo a Breslavia, si assiste alla descrizione di uno scenario perturbante: l'assoluta mancanza di patria del mondo attuale. Siamo tutti meramente dei sopravvissuti. O dei profughi, solo per il momento scampati a un pericolo supremo. Potremmo sparire dal mondo senza nessun motivo, privati persino di poter depositare qualche segno ascrivibile alla nostra presenza. La nostra specie e' senza speranza. Ha costruito sistemi di distruzione, che, se si sono rivelati micidialmente nell'epoca dei totalitarismi, sono definitivamente presenti nel nostro orizzonte. La possibilita' della definitiva scomparsa del genere umano e' divenuta una realta'. Questo potere di distruzione senza limiti e' dovuto alla tecnologia che e' in grado di annichilire, fino alle estreme conseguenze, la vita. Le conseguenze attuali sono sotto il nostro sguardo. La violenza della seconda guerra mondiale non e' un ricordo. Torna a ripetersi. Ma il nostro senso d'umanita' pare ridursi. La stato d'eccezione diventa normale. Per Anders il pericolo cresce smisuratamente nella misura in cui questa situazione angosciosa e' solo presentita, ma non puo' essere immaginata. La nostra sensibilita' e' dimidiata. Le catastrofi ci vedono solo spettatori anestetizzati ed eticamente indifferenti. La tragedia del mondo ci appare in uno specchio irreale rispetto al quale non siamo in grado d'essere coinvolti. Siamo intrappolati dentro una deficienza emotiva, incapaci di avvertire sensibilmente la tragedia in cui siamo calati. Questo e' l'enigma che ci consegna questo preziosissimo libro. Come espandere la nostra coscienza, come dilatare il nostro mondo psichico fino a entrare in contatto con la minaccia irrapresentabile che aggredisce le fondamenta della condizione umana? 3. LIBRI. MIRIAM MAFAI PRESENTA "DARE FORMA AL SILENZIO" DI ANNA ROSSI-DORIA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 9 gennaio 2008 col titolo "Un saggio di Anna Rossi Doria sul silenzio delle donne. La storia non scritta del femminismo" e il sommario "E' stata un'utopia diventata concreta, una stagione felice e breve, chiusa irreparabilmente dagli eventi del 1977 culminati nell'uccisione di Aldo Moro". Miriam Mafai, giornalista e saggista, e' editorialista del quotidiano "La Repubblica" di cui e' stata tra i fondatori; e' stata parlamentare in numerose legislature, ha un lungo passato di militante del Pci ed ha lavorato per "l'Unita'" e "Paese Sera". Tra le opere di Miriam Mafai: Pietro Secchia. L'uomo che sognava la lotta armata, Rizzoli, Milano 1984; Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo scienziato atomico, Mondadori, Milano 1992; Pane nero, Mondadori, Milano 1995; Dimenticare Berlinguer. La Sinistra italiana e la tradizione comunista, Donzelli, Roma 1996; Botteghe oscure, addio, Mondadori, Milano 1997; con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin, Il silenzio dei comunisti, Einaudi, Torino 2002. Anna Rossi-Doria insegna Storia delle donne in eta' contemporanea alla Seconda Universita' di Roma; ha lavorato presso l'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza dal 1974 al 1980, ha insegnato Storia delle donne nelle Universita' di Bologna, Modena e della Calabria; fa parte della direzione della rivista "Passato e presente", del Comitato direttivo della Societa' italiana delle storiche, e di quello dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Ha condotto in generale ricerche di storia politica e, piu' di recente, di storia delle idee, occupandosi in una prima fase dei gruppi conservatori italiani in eta' liberale, in particolare della figura di Antonio di Rudini' e della crisi di fine secolo; poi del rapporto tra partiti politici e movimenti sociali nel periodo delle origini della Repubblica, analizzando in particolare la politica agraria e le lotte contadine meridionali; da circa vent'anni si occupa prevalentemente di storia delle donne e di genere, sia dal punto di vista storiografico e metodologico che con ricerche di storia dei movimenti femminili e femministi e di storia dei diritti delle donne. In quest'ultimo campo, ha condotto ricerche prima sulla legislazione protettiva del lavoro femminile e sul suffragismo nel secolo XIX in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi sulla conquista del diritto di voto e sul rapporto tra diritti civili e diritti politici nel secolo XX in Italia (con alcuni casi di comparazione con la Francia). In queste ricerche gli interrogativi centrali riguardavano il rapporto teorico e politico tra rivendicazione dell'uguaglianza e difesa della differenza, con le contraddizioni, i paradossi ma anche le potenzialita' di ridefinizione del liberalismo e della democrazia che esso comportava; negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi di storia ebraica a partire dal nodo dell'emancipazione - in cui l'alternativa obbligata tra uguaglianza e differenza si presenta, in modo analogo ma capovolto rispetto a quel che avveniva per le donne, nella forma della equazione tra diritti di cittadinanza e assimilazione, avviando ricerche su alcune forme specifiche di antisemitismo europeo alla fine del XIX secolo, legate non al razzismo - anche se da esso gia' segnate - ma al rifiuto del "particolarismo" ebraico, e sul ricorrente loro abbinamento a forme di antifemminismo; ha anche lavorato su temi di storia della memoria della shoah e della memoria della deportazione nei Lager nazisti, avviando di recente una ricerca sulle memorie scritte e le testimonianze orali di donne ebree e di deportate politiche italiane e francesi. Opere di Anna Rossi-Doria: Per una storia del "decentramento conservatore", in "Quaderni storici", n. 18, 1971; Il ministro e i contadini. Decreti Gullo e lotte nel Mezzogiorno (1944-1949), Bulzoni, Roma 1983; Uguali o diverse? La legislazione vittoriana sul lavoro delle donne, in "Rivista di storia contemporanea", n. 1, 1985; La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg e Sellier, Torino 1990; Il difficile uso della memoria ebraica: la shoah, in Nicola Gallerano (a cura di), L'uso pubblico della storia, Angeli, Milano 1995; Le donne sulla scena politica in Storia dell'Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia, Einaudi, Torino 1994; Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Giunti, Firenze 1996; Memoria e storia: il caso della deportazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Antifemminismo e antisemitismo nella cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999; (a cura di), Annarita Buttafuoco. Ritratto di una storica, Jouvence, 2002; (a cura di), A che punto e' la storia delle donne in Italia, Viella, 2003; La stampa politica delle donne nell'Italia da ricostruire, in S. Franchini e S. Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, Angeli, Milano 2004; Memorie di donne, in AA. VV., Storia della Shoah, II, La memoria del XX secolo, Utet Torino 2006; Dare forma al silenzio, Viella, 2007] "Ogni generazione ha diritto di scrivere per prima la storia degli eventi cui ha partecipato", scriveva Marc Bloch. Forse ne ha anche il dovere. Ma per il femminismo degli anni Settanta questo non si e' ancora verificato. Qualcuno, o meglio qualcuna di coloro che hanno animato o partecipato al movimento femminista ci prova. Ma restano storie parziali, abbozzi di autobiografie, raccolte di documenti, primi avvii di ricerca. Anche quando chi scrive e' stato tra i protagonisti di quelle vicende. E' il caso di Anna Rossi Doria, uno dei nostri migliori storici, che ha dedicato gran parte del suo lavoro alla storia delle donne, e che non a caso ha scelto per questa sua ultima fatica un titolo allusivo e intrigante (Anna Rossi Doria: Dare forma al silenzio, Viella, pp. 320, euro 27). Il silenzio delle donne, esordisce l'autrice, "e' antico, profondo, tenace, particolarmente pesante nella sfera politica che fu a lungo, insieme al diritto, il luogo della massima esclusione delle donne. L'individualita' e la cittadinanza, tra loro strettamente connesse, verranno conquistate dalle donne alla fine di un processo difficile e contrastato, durato nei paesi occidentali oltre un secolo e non interamente compiuto nemmeno oggi". A questa tormentata vicenda sono dedicati i saggi della prima parte del libro. Vengono ricostruiti cosi' momenti importanti della storia inglese, americana e italiana degli ultimi due secoli segnati dalla lotta condotta da gruppi e associazioni femminili per accedere alla politica e ridefinirla. Si va allora da una analisi della legislazione vittoriana sul lavoro delle donne a una ricostruzione delle lotte e delle idee del suffragismo, fino ad una ricostruzione attenta della presenza delle donne sulla scena politica italiana sia nel dibattito politico nella fase della Resistenza (generalmente ignorato o sottovalutato) sia nella fase della conquista del voto e della elaborazione della nostra Costituzione. Una seconda, corposa parte del lavoro della Rossi Doria e' dedicata alle vicende del nostro femminismo. L'autrice ha incontrato a suo tempo il femminismo e lo ha vissuto intensamente "con l'entusiasmo" scrive "di quella che mi pareva un'utopia diventata concreta, una stagione felice e breve, chiusa irreparabilmente dagli eventi del 1977 e dal delitto Moro". Secondo la periodizzazione della Rossi Doria, la stagione "felice e breve" del femminismo italiano puo' essere scandita in quattro fasi: la nascita (1968-1972), i collettivi (1972-1974), il movimento di massa (1974-1976), la crisi (1977-1979). E dalla crisi il movimento uscira' rifugiandosi nel lavoro culturale, nella pratica "intraducibile" dell'autocoscienza, fondando librerie, associazioni, riviste, circoli tra cui il famosissimo Virginia Woolf di Roma. Sara' il terrorismo, ha ragione la Rossi Doria, a chiudere, in modo drammatico, la disordinata ma felice stagione dei movimenti. Di tutti i movimenti, compreso quello dei giovani e degli operai. Ma il femminismo ostenta, come ci riferisce in una sua lontana ma importante ricerca Anna Maria Mori, la sua indifferenza rispetto al terrorismo. L'appello di quelle settimane al senso dello Stato e alla pieta' per le vittime non raggiunge le donne che partecipano a quel movimento, non le riguarda. La storia del femminismo (che e', evidentemente, cosa diversa dalla storia della donne) e' ancora comunque tutta da scrivere, per metterne in luce limiti, successi e paradossi. Il primo dei quali, scrive l'autrice, e' quello per cui "le elaborazioni femministe che hanno prevalso negli anni Ottanta e Novanta, legate all'impostazione filosofica del pensiero della differenza hanno costruito e trasmesso una visione per cui proprio il femminismo italiano, che aveva avuto un carattere di massa superiore a quello di ogni altro paese, e' stato invece rappresentato come un percorso di piccoli gruppi o singole pensatrici, sia pure grandi, Carla Lonzi su tutte". Una contraddizione, certamente. Confermata dal fatto che in generale il femminismo italiano, molto critico nei confronti del movimento di emancipazione che aveva contrassegnato tutta la storia del dopoguerra, si disinteresso' alla elaborazione e alla conquista di leggi che pure hanno segnato un reale avanzamento della condizione delle donne nel nostro paese. Basti ricordare a questo proposito la legge sul divorzio e quella sull'aborto (confermate dai successivi referendum), quella sui consultori, sul nuovo diritto di famiglia, sulla parita'. Leggi peraltro rivendicate da un vasto movimento di donne e salutate da quel movimento e dall'opinione pubblica democratica come uno storico successo. In questa contraddizione (o in questo sovrapporsi) tra un vasto movimento di massa e il percorso ideologico di piccoli gruppi sta forse il mistero o il fascino del femminismo italiano. E la difficolta' di ricostruirne una storia completa, che tenga insieme le due anime o le due vicende: quella del movimento di massa e quella dei piccoli gruppi e di singole teoriche del "pensiero della differenza". Ma sta qui anche, probabilmente, la radice del misterioso ma felice sopravvivere del movimento, nonostante gli anni che ci separano da allora e da quel dibattito culturale. Vanno ricercate probabilmente in quelle lontane contaminazioni (tra movimenti di massa e spinte culturali) e in quelle contraddizioni la capacita' "carsica" del movimento, il suo improvviso o imprevisto riemergere, quasi a sorpresa, come e' accaduto recentemente prima nel corso della manifestazione milanese a difesa della legge 194, poi nel corso della manifestazione romana contro la violenza. 4. LIBRI. STEFANO RODOTA' PRESENTA "L'EUROPA DEL DIRITTO" DI PAOLO GROSSI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 aprile 2008 col titolo "Se la modernita' fa male al diritto. A proposito delle tesi contenute in un saggio dello storico Paolo Grossi". Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006. Paolo Grossi e' ordinario di Storia del diritto medievale e moderno presso la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Firenze e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei; e' stato insignito di lauree honoris causa nelle Universita' di Frankfurt am Main, Stockholm, Autonoma de Barcelona, Autonoma de Madrid, Sevilla, Lima, Bologna, Cattolica di Milano, Morelia (Messico). Tra le opere di Paolo Grossi: Le situazioni reali nell'esperienza giuridica medievale, Cedam, 1968; Un altro modo di possedere. L'emersione di forme alternative di proprieta' alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffre', Milano 1977; Stile fiorentino. Gli studi giuridici nella Firenze italiana (1859-1950), Giuffre', Milano 1986; La scienza del diritto privato. Un rivista-progetto nella Firenze di fine secolo (1893-1896), Giuffre', Milano 1988; Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Giuffre', Milano 1992; Assolutismo giuridico e diritto privato, Giuffre', Milano 1998; Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000; Mitologie giuridiche della modernita', Giuffre', Milano 2001, 2007; La cultura del civilista italiano. Un profilo storico, Giuffre', Milano 2002; Il diritto tra potere e ordinamento, Editoriale Scientifica, Napoli 2005; L'ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 2006; La proprieta' e le proprieta' nell'officina dello storico, Editoriale Scientifica, Napoli 2006; Prima lezione di diritto, Laterza, Roma-Bari 2007; Societa', diritto, Stato. Un recupero per il diritto, Giuffre', Milano 2007; L'Europa del diritto, Laterza, Roma-Bari 2007; Uno storico del diritto alla ricerca di se stesso, Il Mulino, Bologna 2008] All'Europa si addice la riflessione giuridica. Che e', insieme, capacita' di penetrare una complessa vicenda culturale e consapevolezza dei molteplici modi attraverso i quali il diritto contribuisce a conformare l'organizzazione sociale. Lo fa, in modo nient'affatto compiacente, uno storico di gran rango, Paolo Grossi, al quale si deve un'impresa impegnativa, quella di ricostruire la vicenda giuridica europea dalla meta' del primo millennio fino alle soglie del terzo (L'Europa del diritto, Laterza, pp. 277, euro 20). L'"intelligibilita' di discorso" e la "prevalente attenzione" per il diritto privato, che l'autore proclama fin dalle prime pagine, non sono in alcun momento una limitazione o un impoverimento della trattazione. Se il libro e' scritto per i non iniziati, in nessun momento questo significa un appiattirsi della narrazione: il linguaggio e' forte, i giudizi taglienti. Vicende e problemi sono indicati in modo nitidissimo, si' che il libro diviene un'ineludibile pietra di paragone. Non appartiene ai soli giuristi o ai curiosi del diritto, ma e' quasi una sfida lanciata a tutti quelli che riflettono su passato, presente e futuro dell'Europa. Neppure la dichiarata intenzione di seguire prevalentemente il diritto "che ordina la vita quotidiana dei privati" induce a distogliere lo sguardo da una realta' piu' larga, a chiudersi in una gabbia. Se quello e' il punto d'osservazione, da li' si contempla un orizzonte amplissimo, dove compaiono le logiche del potere e le durezze delle relazioni sociali. Questa capacita' di immergere il diritto nel fluire della realta' discende dal modo in cui Paolo Grossi considera il diritto e la sua storia: come esperienza giuridica che, nelle diverse civilta', si manifesta attraverso diverse visioni e realizzazioni. Il diritto soffre quando lo si fa prigioniero di una logica che contraddice questa sua intima natura. "Il diritto - scrive Grossi - e' vita, e' esperienza mobilissima, ed e' compresso - piu' che espresso - da un monopolio legislativo". Quando al pluralismo si sostituisce "il potere politico supremo come unica fonte del diritto", il risultato e' quell'assolutismo giuridico che da anni costituisce l'oggetto polemico della ricerca di Paolo Grossi. Non siamo di fronte ad affermazioni apodittiche, ma a conclusioni tratte da una ricca analisi che segue nei secoli le vicende del diritto nei vari luoghi dell'Europa, nelle sue diverse manifestazioni tecniche, nel suo incarnarsi nell'opera dei giuristi, il cui essenziale protagonismo Grossi sottolinea con attenzione partecipe e convinta. Da qui nasce una rappresentazione della vicenda giuridica europea quasi come lotta tra chi vuole salvaguardarne la molteplice ricchezza e chi vuole chiuderla, anche con una mossa autoritaria, entro schemi astratti e unificanti. Da qui una critica decisa alla modernita' giuridica, che costituisce uno dei tratti forti dell'opera. Nulla e' risparmiato ai simboli per eccellenza di quella modernita', il soggetto giuridico astratto e la codificazione. Il linguaggio si accende, le parole sono rivelatrici. Grossi riconosce quelle che sono "autentiche conquiste della modernita'", come l'abbattimento dei vincoli di ceto, il riconoscimento al soggetto dell'esercizio dei diritti che presidiano la sua personalita'. Ma il prezzo? A Grossi appare troppo elevato: non piu' uomini in carne ed ossa, ma modelli astratti che si muovono in uno "scenario irreale", che non fa piu' i conti con la realta' e con la storia. "E' ovvio che da un simile presupposto venga fuori solo un catalogo, che e' teoricamente suadente nel suo parlar sonoro di liberta', di uguaglianza, di diritti e - perche' no? - di felicita' (termine ingenuo che ricorre spesso nelle 'carte' settecentesche), ma che non puo' consolare il nullatenente del quarto stato, che non e' neppure sfiorato nella miseria della sua vita quotidiana, da uno scialo di dichiarazioni irrilevanti - se non schernitrici - per chi fa i conti con la fame. Dallo stato di natura discende una raffigurazione statica, come si conviene all'aria rarefatta della meta-storia; ma la vita - quella realmente vissuta - e' consegnata tutta alla dinamica delle forze in lotta". Cosi' argomentando, Paolo Grossi non mette soltanto in evidenza i limiti del diritto. Denuncia un vero e proprio suo scacco quando assume la forma alla quale la modernita' ha voluto consegnarlo attraverso il giusnaturalismo e l'Illuminismo - la "strombazzata uguaglianza" del 1789, "museale" al pari di quel codice civile che "presuppone le mitologie legalistiche e legolatriche dell'illuminismo continentale"; la "foglia di fico" della volonta' generale; l'individuo astratto dalle relazioni sociali e consegnato alla solitudine. La critica, conseguente, investe il soggetto storico di questa operazione, la borghesia, e il suo strumento essenziale, la proprieta', ai quali viene contrapposta la condizione di "poveri" e "sfruttati". Ancora parole forti, non usuali per il lessico giuridico (e ormai quasi assenti nello stesso linguaggio politico), alle quali Grossi si affida proprio per recuperare i dati di realta', oscurati o cancellati dalla progressiva supremazia delle categorie giuridiche astratte. Naturalmente qui le opinioni possono divergere, e si pone subito il problema se la critica sociale di questo modo d'essere del diritto moderno debba necessariamente portare con se' una ripulsa cosi' totale dell'intera modernita' giuridica (come Paolo Grossi sa, ho orientato diversamente la mia ricerca e, pur nella comune critica alla categoria della proprieta', continuo a ritenere che le acquisizioni in particolare dell'Illuminismo rimangano riferimento essenziale anche nell'attuale temperie di attacco alla persona e ai suoi diritti). Vi e' dunque un pensiero forte, fortissimo, che ispira e muove questo libro che cosi' diviene politico nel senso piu' alto e pieno della parola. L'aver proposto, in un'opera dedicata al largo pubblico, tesi cosi' impegnative e' buona cosa, il punto di partenza per una rinnovata discussione, di cui qui possono essere solo accennati i motivi essenziali, che vanno dall'interrogarsi intorno ad una cosi' radicale svalutazione dell'eguaglianza formale e dei diritti fondamentali fino all'essenziale riapertura della questione della costruzione di una soggettivita' non astratta. Entrando nel secolo passato, nella ricostruzione di Grossi si scorgono precise indicazioni che sottolineano pure come la parentesi della modernita' si sia, almeno in parte, chiusa, con il recupero del pluralismo, con l'articolazione delle fonti che sfida l'assolutismo giuridico, dunque con una marcata discontinuita' rispetto allo schema prevalso nei due secoli precedenti. Di nuovo, Paolo Grossi intreccia con maestria i fili di una trama complessa, costituita dal convergere e divergere di tradizioni diverse (basta ricordare l'esperienza del diritto continentale e quella di common law) e di diversi ordinamenti giuridici, come quello della Chiesa. A questo sono dedicate pagine assai belle, dove tra l'altro emerge il divaricarsi del suo diritto da quello statuale, permeato dagli spiriti dell'Illuminismo e della Rivoluzione, che della Chiesa divengono "feroci antagonisti" (tanto che, forse con qualche malizia, questa constatazione consente di dubitare che le radici dell'Europa possano essere ritrovate solo in quelle cristiane). 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 474 del 2 giugno 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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