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Minime. 462
- Subject: Minime. 462
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 21 May 2008 01:55:56 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 462 del 21 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Enrico Piovesana: Squadroni della morte al servizio delle truppe d'occupazione 2. Nicoletta Dentico: La prossima assemblea dell'Oms a Ginevra 3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 4. Un estratto da "La teoria dello sviluppo capitalistico" di Paul M. Sweezy 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: SQUADRONI DELLA MORTE AL SERVIZIO DELLE TRUPPE D'OCCUPAZIONE [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 19 maggio 2008 col titolo "Afghanistan, una guerra sporca" e il sommario "Squadroni della morte afgani al servizio delle truppe d'occupazione". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Al termine di una missione investigativa in Afghanistan, l'australiano Philip Alston, inviato speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, arbitrarie ed extragiudiziali, ha denunciato il ricorso, da parte delle forze d'occupazione straniere, a "squadroni della morte" composti da "milizie irregolari afgane" per combattere una guerra sporca contro la guerriglia talebana. "Ho raccolto molte testimonianze di violenti raid contro presunti insorti condotti da milizie afgane pesantemente armate agli ordini di militari stranieri", ha dichiarato Alston a Kabul. "Azioni che spesso si concludono con l'uccisione dei sospetti, senza che nessun esercito o istituzione se ne prenda la responsabilita'. Queste unita' segrete, chiamate Campaign Forces, pur essendo sottoposte a una regolare catena di comando, operano al di fuori di ogni legge e nella piu' totale impunita'. E' una situazione assolutamente inaccettabile". L'inviato speciale dell'Onu ha spiegato che queste milizie operano in tutte le zone "calde" del Paese, dalle province di Helmand e Kandahar nel sud a quella di Nangarhar nell'est. * Faccia a faccia con i mercenari Due anni fa, nel maggio 2006, "PeaceReporter" aveva indagato su questo argomento nell'ambito di un reportage dalla provincia di Helmand. Ne ripubblichiamo un estratto. Provincia di Helmand, Afghanistan meridionale. Appena fuori Grishk c'e' la base militare statunitense: un fortino in mezzo al deserto, dominato da una torre di legno su cui sventola la bandiera a stelle e strisce. La base ospita una delle tante prigioni Usa "non ufficiali" dove vengono interrogati, e torturati, i sospetti membri dei talebani o di Al-Qaeda, prima di essere spediti a Kandahar, Bagram e poi a Guantanamo. A difendere la base non ci sono militari americani, ma mercenari afgani. La gente del posto li chiama khakhprush, venduti al nemico. Sono ragazzi dei villaggi vicini. Non indossano nessuna divisa. Quando non escono in missione per o con gli statunitensi, se ne stanno sui tappeti stesi davanti alle baracche che circondano le mura della base. Passano la giornata bevendo te', fumando hashish e facendo manutenzione del loro arsenale: fucili, mitragliatrici e lanciarazzi. Il loro comandante e' mullah Daud. Ci riceve nella sua piccola e buia baracca. Se ne sta seduto a terra a parlare con uno dei suoi ufficiali. Dietro a lui, appoggiato al muro, il suo Ak-47; accanto a lui un frasario d'inglese. "Gli americani ci pagano bene, ma non e' per quello che lavoriamo per loro: lo facciamo perche' sono gli unici che possono salvare questo Paese. Il governo afgano, l'esercito afgano, la polizia, sono tutti corrotti. Pensano solo ai soldi e per farli non esitano ad allearsi con talebani e trafficanti d'oppio. Loro non fanno nulla, mentre noi combattiamo i talebani: i miei centocinquanta uomini ne hanno uccisi e arrestati a decine". Torniamo a Grishk e andiamo a casa del governatore distrettuale. Haji Mohammed Ibrahim vive con il suo assistente Farid in una vecchia casa appena fuori dal bazar. E' una persona colta e dai modi eleganti. "La gente di qui odia i mercenari di Daud piu' degli stessi americani. Con la scusa della lotta ai talebani e con le spalle coperte dai loro padroni, questi criminali vanno in giro a uccidere e derubare la gente facendo irruzione nelle case, terrorizzando le persone per farsi dare soldi. Chi non paga viene rapito, portato agli americani e spacciato per talebano, terrorista di Al-Qaeda". 2. RIFLESSIONE. NICOLETTA DENTICO: LA PROSSIMA ASSEMBLEA DELL'OMS A GINEVRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 maggio 2008 col titolo "La tubercolosi, i brevetti e la salute pubblica". Nicoletta Dentico, attivista con grande esperienza nelle ong e nelle campagne umanitarie, gia' direttrice generale di "Medici senza frontiere - Italia", e' impegnata nella Campagna per l'accesso ai farmaci essenziali] Una corsa contro il tempo. Esercizi di sofisticata semantica negoziale, fino a tarda sera, per raggiungere un consenso sulla strategia globale e il piano d'azione per assicurare nuove politiche per la ricerca scientifica e l'accesso ai farmaci essenziali per i paesi in via di sviluppo. La posta in gioco e' importante: la prossima settimana si riunisce a Ginevra l'assemblea dell'Organizzazione mondiale per la sanita' (Oms), e trent'anni dopo aver formulato il rivoluzionario concetto di "farmaco essenziale" tornera' a occuparsi di politiche farmaceutiche. In particolare, un gruppo di lavoro intergovernativo dell'Oms lavora da settimane per definire un piano su "salute pubblica, innovazione e diritti di proprieta' intellettuale". E' uno dei negoziati piu' controversi degli ultimi anni, perche' entra nello scontro fra logiche del commercio e bisogni di salute. Del resto molti paesi, tra cui l'Unione Europea, avrebbero affidato questo negoziato all'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), piuttosto che a quella della sanita'. Il problema e' che la ricerca tende a trascurare i pazienti privi di potere d'acquisto e che i detentori dei brevetti hanno posizioni di monopolio. Si pensi: dei 1.556 nuovi medicinali messi in commercio fra il 1975 e il 2004, solo 21 sono destinati alle malattie tropicali e alla tubercolosi. Nel frattempo la tbc e' divenuta un'emergenza di salute pubblica, per l'effetto combinato di poverta' e Aids e per la diffusione di ceppi resistenti ai pochi e vecchi farmaci disponibili sul mercato. Il test diagnostico comunemente usato (sviluppato alla fine dell'800) non intercetta la malattia nella maggior parte dei casi; il trattamento per i pochi fortunati puo' durare fino a due anni, e la probabilita' di avere un nuovo regime contro la tubercolosi con almeno due nuovi farmaci entro il 2015 e' inferiore all'1%. Persino l'ente pubblico di ricerca americano Nih, che prende l'innovazione medica sul serio, spende sull'antrace molto piu' che per la tubercolosi. Occorre rivedere la priorita', dunque, e subito. Puntare sulla ricerca "essenziale", che risponde ai bisogni pubblici piu' che agli interessi degli shareholders. Cambiare le regole del gioco e garantire che gli strumenti sanitari oggi esistenti e quelli nuovi - farmaci, vaccini, diagnostici - siano adatti e accessibili alla parte di popolazione mondiale che non sta sul "mercato". Si tratta di un'opportunita' unica per i governi di riaggiustare un sistema di innovazione pieno di storture. A leggere la bozza di strategia pero' sembra che l'opportunita' non sia stata colta. Il testo riflette l'esito incerto di uno scontro tra gruppi di interessi diversi e divergenti. Le aziende farmaceutiche (presenti con una ipertrofica delegazione di 59 persone) e i paesi industrializzati da un lato, fermi sulle loro posizioni. Il blocco dei paesi in via di sviluppo dall'altro, oggetto (soprattutto quelli africani) di una pressione "senza precedenti", stando ad alcuni delegati. Fra mille condizioni si intravedono timidi impegni dei governi a favore della ricerca e dell'accesso ai farmaci essenziali: la strategia prevede la possibilita' di considerare nuovi incentivi, ad esempio premi per stimolare l'innovazione, e politiche innovative di licenza come modelli di ricerca senza brevetti (open-source) o di donazione degli stessi, che permettano una gestione meno feudale della proprieta' intellettuale. Si parla dell'ipotesi di esplorare un trattato internazionale sulla ricerca essenziale in alternativa ai Trip ("trade-related property rights", diritti di proprieta' intellettuale sistematizzati dagli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio). Il capitolo dell'accesso resta tuttavia pieno di contrapposizioni, con il blocco degli Stati Uniti su politiche dei prezzi dei farmaci, contraffazione, esclusivita' dei dati relativi agli studi clinici. Sara' difficile superare il clima di intimidazione che colpisce i pochi paesi determinati ad adottare norme di salvaguardia della salute pubblica (licenze obbligatorie, importazioni parallele, etc.). La palla passa all'assemblea dell'Oms. 3. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. LIBRI. UN ESTRATTO DA "LA TEORIA DELLO SVILUPPO CAPITALISTICO" DI PAUL M. SWEEZY [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo il seguente estratto dal liro di Paul M. Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, Boringhieri, Torino 1951, 1970 (edizione originale: The Theory of Capitalist Development,1942), prefazione di Claudio Napoleoni. Paul M. Sweezy (New York 1910-2004), intellettuale ed economista marxista americano, nel 1949 con Leo Huberman ha fondato la "Monthly Review". Opere di Paul M. Sweezy: Il presente come storia, Einaudi; (con Paul Baran), Il capitale monopolistico, Einaudi; La teoria dello sviluppo capitalistico, Boringhieri. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente scheda: "Paul Marlor Sweezy (New York 10 aprile 1910 - 27 febbraio 2004) e' stato un autorevole economista marxista, noto in Italia soprattutto per il suo saggio Il capitale monopolistico, tradotto nel 1968. Sweezy studio' ad Harvard, dove si laureo' nel 1931. Dopo la laurea frequento' per un anno la London School of Economics, dove venne avvicinato al marxismo dalle lezioni di Harold Laski, esponente di primo piano del Partito Laburista, e dalla lettura della Storia della rivoluzione russa di Lev Trockij. Tornato ad Harvard, tenne dei corsi sull'economia dei paesi socialisti e le teorie economiche socialiste (cristiane, fabiane e marxiste) e fu assistente di Joseph Schumpeter. Consegui' il dottorato nel 1937, discutendo la tesi Monopoly and Competition in the English Coal Trade, 1550-1850. Lascio' l'insegnamento nel 1942 per arruolarsi e lavoro' fino al 1945 presso la divisione di ricerca e analisi dell'Office of Strategic Services. Sono da ricordare, di questo periodo, i suoi studi sul monopolio e sull'oligopolio ed il suo libro sulla teoria dello sviluppo capitalistico, nel quale affronta il problema della trasformazione del valore in prezzi di produzione e le teorie marxiste delle crisi. Finita la guerra, la sua carriera universitaria risulto' ostacolata dalle sue posizioni marxiste. Sweezy fondo' quindi nel 1949, con Leo Huberman, la 'Monthly Review. An Independent Socialist Magazine', che esercito' notevole influenza sulla nuova sinistra americana ed inglese e sui movimenti antimperialisti di molti paesi. Il primo numero ospitava, tra gli altri, un articolo di Albert Einstein intitolato 'Perche' il socialismo?'. Nel 1952, quando il giornalista I. F. Stone cercava invano un editore per pubblicare un libro che contestava la versione ufficiale circa la guerra di Corea, Sweezy e Leo Huberman fondarono la casa editrice Monthly Review Press, che ha poi pubblicato testi come Lavoro e capitale monopolistico di Harry Braverman, Capitalismo e sottosviluppo in America Latina di Andre Gunder Frank, Lo sviluppo ineguale di Samir Amin. Nel 1954 il Procuratore Generale del New Hampshire cito' Sweezy in giudizio in merito alle sue opinioni politiche ed alle associazioni cui partecipava, chiedendogli di fare i nomi di altri associati, ma Sweezy rifiuto' invocando la liberta' di espressione tutelata dal Primo Emendamento. Fu condannato per oltraggio alla corte, ma presento' appello e la Corte Suprema lo prosciolse nel 1957. Nel 1966 Sweezy pubblico' con Paul A. Baran la sua opera piu' importante, Il capitale monopolistico, dedicata a Che Guevara. In quest'opera gli autori sostengono che l'economia delle grandi imprese non segue i principi della concorrenza perfetta. Le grandi imprese sono in grado di imporre il prezzo di vendita dei loro prodotti, anche perche' evitano di farsi concorrenza sul terreno dei prezzi, e sono in grado di assorbire eventuali aumenti salariali aumentando i prezzi. Ne segue la capacita' di realizzare profitti sempre piu' cospicui, ma anche la difficolta' crescente di convertire tali profitti in investimenti e consumi, con il conseguente loro impiego in spese per la promozione delle vendite, nella spesa pubblica, nel militarismo e nell'imperialismo. Tuttavia, "La fatale domanda 'per che cosa spendere?', a cui il capitalismo monopolistico non puo' trovare risposta nel campo della spesa civile, e' surrettiziamente penetrata nello stesso apparato militare. Ma da tutte le indicazioni disponibili risulta chiaro che neppure qui essa puo' trovare risposta". Ne segue, secondo gli autori, una ineliminabile tendenza alla stagnazione. Opere di Paul M. Sweezy: "On the Definition of Monopoly", 1937, QJE; Monopoly and Competition in the English Coal Trade, 1550-1850, Harvard University Press, 1938; "Demand Under Conditions of Oligopoly", Journal of Political Economy, 1939; The Theory of Capitalist Development, Oxford University Press, 1942 (traduzione italiana: La teoria dello sviluppo capitalistico, Einaudi, 1951); Socialism, McGraw-Hill, 1949; The Present as History, Monthly Review Press, 1953 (traduzione italiana: Il presente come storia, Einaudi, 1962); (con Leo Huberman), Cuba: Anatomy of a Revolution, Monthly Review Press, 1960 (traduzione italiana: Cuba: anatomia di una rivoluzione, Einaudi); (con Paul A. Baran), Monopoly Capital. An Essay on the American Economic and Social Order, Monthly Review Press, 1966 (traduzione italiana: Il capitale monopolistico. Saggio sulla struttura economica e sociale americana, Einaudi, 1968; (con Leo Huberman), Socialism in Cuba, Monthly Review Press, 1969 (traduzione italiana: Il socialismo a Cuba, Dedalo). (con Charles Bettelheim), On the Transition to Socialism, Monthly Review Press, 1971; (con Harry Magdoff), The Dynamics of U.S. Capitalism, Monthly Review Press, 1972; Modern Capitalism and other essays, Monthly Review Press, 1972 (traduzione italiana: Capitalismo moderno, Liguori; (et al.), The Transition from Feudalism to Capitalism, Science and Society, 1954 (traduzione italiana: La transizione dal feudalesimo al capitalismo, Savelli, 1973); (con Harry Magdoff), The End of Prosperity, Monthly Review Press, 1977 (traduzione italiana: La fine della prosperita' in America, Editori Riuniti, 1979; (con Harry Magdoff), The Deepening Crisis of US Capitalism, Monthly Review Press, 1979; Post-Revolutionary Society, Monthly Review Press, 1980; Four Lectures on Marxism, Monthly Review Press, 1981; (con Harry Magdoff), Stagnation and Financial Explosion, Monthly Review Press, 1987; (con Harry Magdoff), The Irreversible Crisis, Monthly Review Press, 1988". Cfr. anche il sito della "Monthly Review" (www.monthlyreview.org)] Indice del libro: Titoli originali e fonti; Nota bibliografica; Introduzione di Claudio Napoleoni: Su alcuni problemi del marxismo: Parte prima: La teoria dello sviluppo capitalistico, di Paul M. Sweezy; Introduzione. Il valore e il plusvalore; I. Il metodo di Marx: 1. L'uso dell'astrazione; 2. Il carattere storico del pensiero di Marx; II. L'aspetto qualitativo della teoria del valore: 1. Introduzione; 2. Il valore d'uso; 3. Il valore di scambio; 4. Lavoro e valore; 5. Lavoro astratto; 6. Il rapporto fra l'elemento quantitativo e l'elemento qualitativo della teoria del valore; 7. Il carattere feticistico delle merci; III. L'aspetto quantitativo della teoria del valore: 1. Il primo passo; 2. Il fattore "concorrenza"; 3. Il fattore "domanda"; 4. "Legge del valore" e "principio di pianificazione"; 5. Valore e prezzo di produzione; 6. Il prezzo di monopolio; IV. Plusvalore e capitalismo: 1. Il capitalismo; 2. L'origine del plusvalore; 3. I componenti del valore; 4. Il saggio del plusvalore; 5. La composizione organica del capitale; 6. Il saggio del profitto; Il processo di accumulazione. V. L'accumulazione e l'esercito industriale di riserva: 1. La riproduzione semplice; 2. Le radici dell'accumulazione; 3. L'accumulazione e il valore della forza lavoro. Impostazione del problema; 4. La soluzione di Marx: l'esercito industriale di riserva; 5. La natura del processo capitalistico; VI. La caduta tendenziale del saggio del profitto: 1. La formulazione della legge secondo Marx; 2. Le cause contrastanti; 3. Critica della legge; VII. La trasformazione dei valori in prezzi: 1. Impostazione del problema; 2. La soluzione di Marx; 3. Una soluzione alternativa; 4. Un corollario del metodo di Bortkiewicz; 5. L'importanza del calcolo del prezzo; 6. Perche' non partire dal calcolo del prezzo? Le crisi e le depressioni. VIII. La natura delle crisi capitalistiche: 1. La produzione mercantile semplice e le crisi; 2. La legge di Say; 3. Il capitalismo e le crisi; 4. I due tipi di crisi; IX. Crisi associate alla caduta tendenziale del saggio di profitto; X. Le crisi di realizzo: 1. Crisi derivanti da sproporzione; 2. Crisi derivanti dal sottoconsumo; 3. Appendice; XI. La controversia sul crollo del capitalismo: 1. Introduzione; 2. Eduard Bernstein; 3. Il contrattacco degli ortodossi; 4. Tugan-Baranowsky; 5. Conrad Schmidt; 6. La posizione di Kautsky nel 1902; 7. Louis B. Boudin; 8. Rosa Luxemburg; 9. Tendenze del dopoguerra; 10. Henryk Grossmann; XII. Depressione cronica? 1. Introduzione; 2. Le condizioni dell'espansione capitalistica; 3. Le forze contrastanti la tendenza al sottoconsumo; 4. Dovra' prevalere il sottoconsumo? Appendice Sugli schemi di riproduzione, di Shigeto Tsuru: 1. Il "Tableau" di Quesnay; 2. Lo schema di riproduzione di Marx; 3. Raffronto con i concetti economici di Keynes; Parte seconda: Discussione. I. La teoria dell'interesse di Marx, di E. von Bohm-Bawerk; II. L'economia marxista, di V. Pareto; III. La critica della teoria marxiana del lavoro, di R. L. Meek: Introduzione; La critica di Pareto; La critica di Bernstein; Le critiche di Lindsay e Croce; Le critiche di Lange, Schlesinger e Joan Robinson; Conclusione. IV. Il problema della trasformazione: 1. Valori e prezzi: una soluzione per il cosiddetto problema della trasformazione, di J. Winternitz; 2. Alcune note sul problema della trasformazione, di R. L. Meek; 3. Nota sul problema della trasformazione, di M. Dobb; 4. Il problema della trasformazione, di F. Seton; Il principio dell'eguale redditivita'; Presupposti d'invariabilita'; Lo scostamento dei prezzi dai valori; V. Dimostrazioni matematiche del crollo del capitalismo, di N. Georgescu-Rogen; Un modello dinamico capitalistico; L'argomentazione della inadeguatezza dell'accumulazione capitalistica; Una proprieta' fondamentale del sistema (S); Osservazioni conclusive; VI. Economia marxiana e teoria economica moderna, di O. Lange; VII. Salario e interesse: 1. Una moderna analisi critica dei modelli economici marxiani, di P. A. Samuelson; Condizioni stazionarie; Incompatibilita' della caduta del profitto e del salario reale; Sviluppo uniforme; Rapporti tra fattori e prezzi variabili; Nozioni di fondo-salari; L'esercito di riserva dei disoccupati; Alcune conclusioni; 2. Commento, di F. M. Gottheil; Interpretazione di Samuelson del saggio di profitto marxiano; Profitto e salario; Variabilita' dei prezzi e dei rapporti dei fattori; Osservazioni conclusive; 3. Risposta, di P. A. Samuelson; Bibliografia delle opere citate nel testo; Bibliografia consigliata in lingua italiana; Indice dei nomi. * Da pagina 3 Introduzione La societa' e' qualcosa di piu' di un mero insieme di individui. Essa e' un insieme di individui tra i quali esistono certe relazioni, definite e piu' o meno stabili. La forma della societa' e' determinata dal carattere e dalla forma di queste relazioni. Le scienze sociali comprendono tutti quei rami dello scibile che hanno come obiettivo lo studio e la comprensione di queste relazioni e dei loro mutamenti nel corso del tempo. Tutto cio', si dira', e' a tal punto ovvio da esser banale. Cosi' e' infatti. Ma e' bene ricordare che le cose piu' ovvie sono spesso le piu' importanti. Coloro che trascurano l'ovvio lo fanno a loro proprio rischio. La moderna scienza economica offre al riguardo un caso interessante. L'economia, per consenso unanime, e' una scienza sociale; basta considerare il "catalogo" di una casa editrice universitaria per convincersene. La sua materia di studi e' tratta dal campo della produzione e della distribuzione dei beni e servizi di cui gli individui hanno bisogno e desiderio. Sulla base di questi due presupposti sembrerebbe legittima la conclusione che l'economia studi le relazioni sociali (interpersonali) della produzione e della distribuzione. Quali siano queste relazioni, come esse mutino, quale e' il loro posto nel complesso delle relazioni sociali: ecco gli oggetti di indagine che sembrerebbero ovvi. Ma gli economisti, in realta', considerano le cose in questo modo? Diamo un'occhiata, per chiarimento, all'opera del professor Lionel Robbins, The Nature and Significance of Economic Science (prima edizione, 1932). Il libro del professor Robbins non e' scelto come esempio estremo, ma solamente come opportuno riepilogo di opinioni largamente diffuse fra gli economisti moderni. Orbene, il professor Robbins considera forse l'economia come una scienza sociale nel senso che essa tratti primariamente le relazioni fra persone e persone? "La definizione di economia che probabilmente potrebbe raccogliere le piu' larghe adesioni... e' quella che la collega allo studio delle cause del benessere materiale": cosi' egli afferma (p. 4). Questa, certamente, non e' una definizione molto promettente, in quanto si riferisce a tutti i tipi di scienze naturali e applicate, che non ci si puo' certo aspettare siano dominio dell'economista. Si puo' percio' essere grati al professor Robbins per il fatto che egli decide di respingere questa impostazione. Per penetrare nell'essenza della questione, egli passa a considerare "il caso di un uomo isolato che ripartisca il suo tempo fra la produzione di reddito reale e i godimenti relativi" (p. 12). Eccoci di fronte al nostro buon amico Robinson Crusoe e il professor Robbins trova la sua condotta molto istruttiva. Senza tornare alla terraferma, il professor Robbins elabora questa definizione dell'economia: "L'economia e' la scienza che studia la condotta umana come relazione fra fini e mezzi limitati che hanno usi alternativi" (p. 15). Questa definizione non sembra molto pertinente per una scienza delle relazioni sociali. Essa ha piuttosto la sembianza di una definizione della condotta umana in generale. Non si e' quindi sorpresi di trovare che questa scienza conduca a risultati generalmente applicabili a tutte le forme della societa', vale a dire nelle condizioni piu' diverse per quanto riguarda il genere di relazioni esistenti fra i membri della societa'. "I principi generali della teoria del valore", secondo il professor Robbins, "sono altrettanto applicabili alla condotta di un uomo isolato, quanto all'organo esecutivo di una societa' comunista, nonche' alla condotta di un individuo in un'economia di mercato" (p. 19). La stessa cosa, indubbiamente, potrebbe dirsi dei principi generali della fisiologia. Il professor Robbins non va tanto oltre da affermare che l'economia non e' una scienza sociale, ma egli sente un'evidente antipatia per l'opinione che la ritiene tale. Partendo dal punto di vista degli economisti classici, egli afferma: "Era possibile considerare la materia oggetto dell'economia come qualcosa di sociale e collettivo", tuttavia con la piu' recente valutazione dell'importanza della scelta individuale "questa impostazione diventa sempre meno congrua" (p. 69). Inoltre, egli ci dice che invece di studiare la produzione totale della societa' e la sua ripartizione, vale a dire il risultato delle relazioni sociali della produzione, "dobbiamo considerare (il sistema economico) come una serie di relazioni interdipendenti ma concettualmente distinte fra gli individui e i beni economici" (p. 69). In altre parole, il sistema economico non e' considerato primariamente in termini di relazioni fra individuo e individuo (relazioni sociali), ma in termini di relazioni fra individui e cose. Sarebbe un errore inferirne che l'economista moderno non si preoccupi affatto delle relazioni sociali della produzione. Al contrario, egli e' continuamente impegnato in ricerche che hanno un carattere ovviamente sociale. Probabilmente egli sottolineera' queste ricerche, per dimostrare che le accuse mossegli secondo la linea sopra accennata sono infondate. Con cio' pero' si dimentica il punto essenziale che noi cercheremo invece di cogliere. E' naturalmente vero che, nell'applicazione o nell'uso dell'apparato concettuale della teoria economica, e' impossibile non tener conto delle relazioni sociali e bisogna porle in discussione. Ma cio' che ci interessa porre in rilievo e' che questo apparato concettuale si tende a costruirlo in modo che trascenda ogni particolare complesso di relazioni sociali. Di conseguenza, queste ultime rientrano nel quadro (se pur vi rientrano) solo incidentalmente, e soltanto al momento in cui la teoria viene applicata. Diciamo incidentalmente, poiche' non e' necessario che vi entrino affatto. Cio' e' provato dal fatto che si suppone la teoria economica ugualmente applicabile a Robinson Crusoe e agli altri vari tipi dell'economia sociale. In altri termini, la teoria economica diventa primariamente un processo di elaborazione e di connessione di concetti da cui e' stato espunto ogni contenuto specificamente sociale. Nell'applicazione effettiva, l'elemento sociale puo' essere introdotto (e normalmente lo e', in quanto Robinson Crusoe e' molto utile e interessante soprattutto nelle fasi preliminari della teoria) per mezzo di ipotesi ad hoc, specificanti il campo di applicazione. Cerchiamo di rendere chiaro cio' che intendiamo dire, con l'esaminare il concetto particolare di "salario" che compare in tutte le moderne teorie economiche. Il termine e' tratto dal linguaggio usuale, nel quale significa le somme di denaro pagate a breve intervallo da un datore di lavoro ai lavoratori ingaggiati. La teoria economica, tuttavia, ha svuotato questo contenuto sociale e ha ridefinito il termine per significare il prodotto, vuoi espresso in valore vuoi espresso in termini fisici, che e' imputabile all'attivita' umana impegnata in un processo produttivo in generale. Cosi', in questo senso, Robinson Crusoe, l'artigiano autoimpiegato e il piccolo proprietario agricolo non meno che il lavoratore di una fabbrica industriale guadagnano tutti salari, sebbene nel linguaggio comune soltanto l'ultimo tipo di lavoratore debba propriamente essere considerato come percettore di salario. In altre parole, il "salario" diventa una categoria universale della vita economica (cioe' della lotta per superare la limitazione dei beni), anziche' una categoria propria di una particolare forma storica della societa'. Nell'analizzare il sistema economico attuale, gli economisti introducono, sia esplicitamente che implicitamente, quelle ipotesi istituzionali e sociali necessarie affinche' i salari prendano la forma di pagamenti in denaro, effettuati dai datori di lavoro ai lavoratori ingaggiati. Cio' che sta dietro questa forma e' peraltro desunto dai teoremi della produttivita' i quali in se stessi sono completamente vuoti di contenuto sociale. Da questo punto di vista, diventa facile e naturale passare a considerare i salari come "in realta'" o "nella sostanza" espressione della produttivita' marginale del lavoro e a considerare la relazione fra datore di lavoro e lavoratore, espressa nell'effettivo pagamento di salari, come incidentale e in se stessa di nessuna particolare importanza. In tal modo il professor Robbins afferma che "la relazione di scambio (in questo caso fra datore di lavoro e lavoratore) e' un incidente tecnico... accessorio al fatto fondamentale del carattere limitato dei beni" (p. 19). Ne' si finisce qui. Una volta adottato il punto di vista ora illustrato, e' straordinariamente difficile, anche per i piu' cauti, evitare di prendere l'abitudine di considerare il "salario-produttivita'" come in certo senso il salario giusto, vale a dire il reddito che il lavoratore dovrebbe ricevere in un ordine economico giusto. Non ci si vuole qui riferire alle giustificazioni dell'attuale sistema economico che gli economisti del passato usavano formulare nei termini della teoria della produttivita'. Essi erano troppo declamatori e ovvi e sono passati di moda da lungo tempo. Ci si vuole invece riferire a un uso molto piu' sottile della teoria della produttivita' quale metro di desiderabilita' da parte dei critici dello statu quo. Sia il professor Pigou che la signora Robinson, per esempio, sostengono che il lavoratore e' sfruttato se riceve quale salario meno del valore del prodotto fisico marginale del suo lavoro. In tal guisa l'attuale sistema economico e' implicitamente criticato, nella misura in cui esso non si conforma a un modello costruito con deduzioni da concetti che sono completamente sprovvisti di contenuto sociale. Qualcosa che presenta una sorprendente rassomiglianza col modo giusnaturalistico di giudicare la societa', prevalente nel secolo XVIII, viene cosi' contrabbandato attraverso la porta di servizio da coloro che eviterebbero con ogni cura di farlo passare apertamente per l'ingresso principale. Sarebbe possibile eseguire altre analisi del genere e giungere a risultati in larga misura simili, se si dovessero esaminare altri concetti centrali della teoria economica quali la rendita, l'interesse, il profitto, il capitale, ecc. Ma il metodo e' con probabilita' gia' sufficientemente chiaro. In ogni caso, i concetti sono presi in prestito dal parlare di ogni giorno, il contenuto sociale ne e' pero' eliminato, e le categorie universali che ne risultano sono indifferentemente applicate a tutti i tipi di sistemi economici. Questi sistemi sono poi considerati come differenziati l'uno dall'altro, per quanto riguarda l'economista, soprattutto per elementi formali non essenziali. Puo' perfino accadere, come si e' visto, che essi siano valutati non in termini sociali ma con riferimento a modelli astratti, che sono ritenuti di importanza logica primaria. Appare ovvio come in questo modo l'economista eviti una sistematica indagine di quelle relazioni sociali che sono cosi' universalmente considerate rilevanti per i problemi economici da essere profondamente incorporate nel linguaggio usuale del mondo degli affari. Ed e' ancor piu' ovvio come il punto di vista che l'economia moderna ha adottato come fondamentale, la renda inadatta al compito di piu' vasta portata di chiarire la funzione dell'elemento economico nella complessa totalita' di relazioni fra individui e individui i quali compongono cio' che si chiama societa'. Sembra ragionevole supporre che la situazione sopra brevemente delineata sia in buona parte responsabile di cio' che si puo' giustamente designare come un diffuso sentimento di insoddisfazione verso gli economisti e le loro opere. Cosi' stando le cose, potrebbe sembrare che il metodo piu' proficuo fosse quello di impostare un'analisi particolareggiata dei dogmi e delle credenze centrali dell'economia moderna, dal punto di vista delle loro deficienze come scienze veramente sociali delle relazioni umane. Un'analisi critica di questo genere e' tuttavia, nella migliore delle ipotesi, un compito ingrato, ed e' comunemente esposta alla giustificabile accusa di impotenza a offrire qualcosa di costruttivo in luogo di cio' che si respinge. Noi abbiamo percio' deciso di abbandonare il terreno della dottrina ufficiale, nella convinzione che essa non sia affatto soddisfacente, e tentare invece un'altra impostazione per lo studio dei problemi economici e, precisamente, quella che e' associata con il nome di Karl Marx. Di consegnenza, nelle pagine che seguono, noi ci occuperemo assai estesamente dell'economia marxiana. Cio' non significa che sia nostra intenzione rivelare "cio' che Marx ha veramente voluto dire". In proposito, noi partiamo dall'ipotesi semplice, sebbene forse non ovvia, che egli volle dire cio' che disse, e ci proponiamo il compito piu' modesto di scoprire cio' che puo' essere imparato da Marx, se qualcosa da imparare esiste. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 462 del 21 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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