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Minime. 459
- Subject: Minime. 459
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 18 May 2008 00:44:15 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 459 del 18 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. La guerra e il razzismo 2. Enrico Piovesana: Questa mattina 3. Enrico Piovesana: Ieri mattina 4. Giuliano Battiston intervista Johan Galtung 5. Tiziana Bartolini intervista Dacia Maraini 6. Federica Sossi presenta "Regina di fiori e di perle" di Gabriella Ghermandi 7. Letture: Kavafis. Vita, poetica, opere scelte 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA GUERRA E IL RAZZISMO Non sono due cose distinte la guerra e il razzismo. Chi non si oppone ad entrambe non si oppone a nessuna. 2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: QUESTA MATTINA [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 15 maggio 2008 col titolo "Agguato agli italiani fuori Kabul" e il sommario: "E nel sud-ovest, dove operano le nostre truppe, un kamikaze fa strage di poliziotti e civili". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Questa mattina una bomba radiocomandata e' esplosa al passaggio di un convoglio degli Alpini fuori Kabul, ferendo tre soldati, uno in maniera grave. E nella provincia sud-occidentale di Farah, dove operano le nostre forze armate, diciannove persone sono morte in un attacco suicida. Intanto gli Stati Uniti sono tornati a bombardare le Aree Tribali pachistane, uccidendo almeno quindici persone. * Agguato agli Alpini alle porte di Kabul: 3 feriti Verso le nove di questa mattina (le 6,10 in Italia) tre blindati Puma della Taurinense stavano per attraversare il villaggio di Qal-eh-Lanan, nella famigerata Valle di Musahi, quando l'esplosione di un ordigno azionato a distanza ha investito uno dei tre mezzi. Un agguato in piena regola. Tre alpini sono rimasti feriti e ustionati. Uno di loro, il caporal maggiore Andrea Tomasello, ha riportato gravi ferite alle gambe ed e' stato immediatamente evacuato a bordo di un elicottero Ab-212 della Marina militare. La Valle di Musahi, che si trova una trentina di chilometri a sud di Kabul, e' sotto controllo dei guerriglieri talebani. Lo scorso 5 ottobre, gli Alpini dovettero respingere un attacco notturno contro un loro avamposto in quota. Dall'inizio della missione italiana in Afghanistan, dodici nostri soldati sono morti, decine i feriti. * Kamikaze fa strage a Farah, dove operano le forze italiane Sempre questa mattina, nella provincia di Farah, un kamikaze che nascondeva la sua cintura esplosiva sotto un burqa si e' fatto saltare in aria nel bazar di Delaram, davanti alla caserma della polizia afgana. Almeno diciannove i morti, tra civili e agenti di polizia. Una trentina i feriti. Ma la stima e' ancora provvisoria e potrebbe aggravarsi. Due mezzi della polizia sono stati distrutti nell'attentato, rivendicato dal portavoce talebano Qari Mohammad Yousuf. Nella provincia di Farah, dove i talebani sono presenti in forze, i soldati italiani della brigata Friuli hanno piu' volte combattuto in passato. E qui operano, da alcuni mesi in maniera stabile, duecento uomini delle nostre forze speciali e una cinquantina di consiglieri militari italiani che seguono in battaglia il soldati afgani del 207mo corpo d'armata. * La guerra continua anche sul fronte pachistano Ieri sera un aereo radiocomandato statunitense ha bombardato un villaggio nelle Aree Tribali. Due missili Hellfire - fuoco dell'inferno - hanno colpito due abitazioni nei pressi del villaggio di Damadola, nel distretto tribale di Bajahur, a ridosso del confine afgano. Almeno quindici persone sono morte. Il portavoce dell'esercito pachistano, generale Athar Abbas, ha dichiarato che le due case colpite appartenevano a Maulvi Taj Mohammad e Maulvi Hassan, presunti "facilitatori" di Al-Qaeda. Il villaggio di Damadola era gia' stato bombardato dai droni Usa nel gennaio del 2006: allora morirono una ventina di civili. Il raid missilistico statunitense giunge proprio mentre i talebani pachistani hanno iniziato a negoziare con il nuovo governo pachistano: una scelta apertamente avversata da Washington e dalla Nato. 3. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: IERI MATTINA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 maggio 2008 col titolo "Afghanistan, agguato agli alpini" e il sommario "Tre militari italiani feriti da un ordigno a sud di Kabul: amputato un piede a Andrea Tomasello. L'ira del padre: 'Cosa ci stiamo a fare?'. La Nato avvisa l'Italia: offensiva talebana, tenetevi pronti"] Ieri mattina, in Italia erano da poco passate le sei, tre blindati Puma del II reggimento Alpini della Taurinense stavano per attraversare il villaggio di Qal-eh-Lanan, nella famigerata Valle di Musahi, quando l'esplosione di un ordigno azionato a distanza ha investito uno dei tre mezzi. Un agguato in piena regola. Tre alpini sono rimasti feriti e ustionati. Al caporal maggiore Andrea Tomasello (27 anni, di Latina), trasportato d'urgenza con un elicottero della Marina militare all'ospedale della base militare francese a Kabul, e' stato amputato un piede. Il padre, Salvatore Tomasello, appresa la notizia, e' sbottato: "Cosa ci stiamo a fare in Afghanistan? L'ho detto tante volte ad Andrea, ma loro sono militari, sono convinti di quello che fanno, anche se la situazione li' e' pericolosa". La Valle di Musahi, che si trova una trentina di chilometri a sud di Kabul, e' territorio talebano. Qui lo scorso 5 ottobre gli Alpini subirono un attacco notturno contro un loro avamposto, rispondendo al fuoco con mitragliatrici pesanti. Ma ormai e' tutta la zona montana attorno a Kabul ad essere in mano alla guerriglia. L'agguato del 13 febbraio, costato la vita al maresciallo Giovanni Pezzullo, era avvenuto una cinquantina di chilometri a est di Kabul; l'attentato kamikaze del 24 novembre, in cui rimase ucciso il maresciallo Daniele Paladini, era invece successo una quindicina di chilometri a ovest della capitale. Insomma: i talebani circondano Kabul. E a difenderla, fino ad agosto, ci sono proprio gli italiani che, con la stagione secca, rischiano di trovarsi in brutte situazioni. Ma la situazione piu' "calda" per le truppe italiane rimane per ora quella sul fronte sud-occidentale di Farah, dove i talebani sono pronti a rilanciare l'offensiva respinta lo scorso novembre dopo la battaglia del Gulistan, che per venti giorni vide impegnate le forze speciali italiane della Task Force 45, i bersaglieri con i carri armati Dardo e gli elicotteri da guerra Mangusta della Task Force Fenice. Le forze talebane vennero respinte verso sud, lasciando solo alcune "cellule" attive nel distretto meridionale di Bakwa, nel profondo sud di Farah. Cellule che, durante l'inverno, le forze speciali italiane hanno provato a neutralizzare con raid mirati: in uno di questi, all'inizio di febbraio, sono rimaste uccise dieci persone, anche donne e bambini. Queste operazioni non sono bastate pero' a scoraggiare i talebani, che nelle ultime settimane sono tornati a compiere agguati e attentati nel sud della provincia. Il piu' sanguinoso ieri mattina a Delaram, dove un kamikaze che nascondeva la sua cintura esplosiva sotto un burqa si e' fatto saltare in aria nel bazar davanti alla caserma della polizia, uccidendo almeno 19 persone, tra civili e agenti di polizia. Potrebbe essere stato un clamoroso segnale dell'avvio dell'offensiva talebana sul fronte sud-occidentale che i generali della Nato prevedono da tempo, e in vista della quale hanno ordinato all'Italia di rafforzare il suo contingente e di tenersi pronti alla battaglia. In risposta a queste richieste, l'ex ministro della Difesa Arturo Parisi aveva predisposto nei mesi scorsi un piano che prevedeva il graduale potenziamento del contingente italiano nell'ovest e una sua rimodulazione in chiave offensiva. All'inizio dell'anno, dei 1.300 soldati italiani schierati tra Herat e Farah, solo 450 erano impiegabili (e impiegati) in combattimento: i 200 incursori della Task Force 45 e i 250 uomini della Forza di Reazione Rapida. A fine aprile, con l'arrivo di 450 soldati del 66mo reggimento di fanteria Trieste destinati alla costituzione di un primo "Battle Group" (500 uomini), le forze operative schierate sono diventate almeno 700. E a fine agosto, secondo il piano concordato tra il governo Prodi e i comandi Nato, le truppe da combattimento italiane schierate sul fronte ovest arriveranno ad essere almeno 1.200, quando, grazie allo spostamento di 900 uomini ora schierati a Kabul, verra' costituito nell'ovest un secondo "Battle Group". A quel punto, mentre nella capitale e dintorni rimarranno solo 400 soldati italiani, sul fronte sud-occidentale di Herat e Farah saranno concentrati 2.200 militari italiani, piu' della meta' dei quali destinati al combattimento. Buona parte di queste forze verranno schierate in una nuova base di prima linea nel distretto del Gulistan, ai confini con la provincia di Helmand, dove sono gia' state trasferite in pianta stabile le forze speciali della Task Force 45, i 50 consiglieri militari italiani (Omlt) aggregati ai battaglioni afgani del 207mo corpo d'armata e i cinque elicotteri d'attacco Mangusta della Task Force Fenice. 4. RIFLESSIONE. GIULIANO BATTISTON INTERVISTA JOHAN GALTUNG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 maggio 2008, col titolo "Entro vent'anni il crollo dell'impero americano" e il sommario "Incontro con uno tra i piu' grandi artefici delle vie che portano alla pace. Sostiene la necessita' di rendere piu' orizzontali le decisioni dell'Onu, e mette in guardia sul fatto che nessuno Stato elargisce diritti gratuiti ai cittadini, spesso richiamandoli al dovere della guerra. La 'violenza strutturale' non ha autori, ma nel suo automatismo produce effetti esiziali...". Giuliano Battiston, giornalista, ricercatore, saggista, docente, e' ricercatore di "Mediawatch" e tutor presso la Scuola di giornalismo della Fondazione Basso di Roma. Johan Galtung, nato a Oslo in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu, e' a livello mondiale il piu' noto studioso di peace research e una delle piu' autorevoli figure della nonviolenza. Oltre che fondatore nel 1959 dell'"International Peace Research Institute" di Oslo, consigliere presso le Nazioni Unite, professore onorario in numerose universita', tra cui la Princeton University e la Freie Universitaet di Berlino, attualmente titolare della cattedra di 'Peace Studies' presso l'Universita' delle Hawaii, Galtung ha dato vita nel 1964 al "Journal for Peace Research" e nel 1987 e' stato insignito del "Right Livelihood Award" (il cosiddetto 'Premio Nobel alternativo per la pace'). Fondatore e direttore di "Transcend", un'organizzazione internazionale per la risoluzione nonviolenta dei conflitti che opera in tutto il mondo, e' il rettore della Transcend Peace University. Una bibliografia completa degli scritti di Galtung e' nel sito della rete "Transcend", il network per la pace da lui diretto, cui rinviamo: www.transcend.org. Tra le opere di Johan Galtung: Imperialismo, Rosenberg & Sellier, Torino 1983; Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Ci sono alternative!, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987; Palestina/Israele: una soluzione nonviolenta?, Sonda, Torino-Milano 1989; Buddhismo. Una via per la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Storia dell'idea di pace, Satyagraha, Torino 1995; (con Daisaku Ikeda), Scegliere la pace, Esperia, Milano 1996; I diritti umani in un'altra chiave, Esperia, Milano 1997; La trasformazione nonviolenta dei conflitti, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2000; Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000; Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, Plus, Pisa 2008 (in via di pubblicazione)] Quest'anno Johan Galtung festeggia cinquant'anni di attivita': considerato il padre degli studi sulla pace ha infatti dedicato gran parte della sua vita alla promozione della cultura, ancora minoritaria, della pace e della soluzione nonviolenta dei conflitti. Lo ha fatto, sin dall'inizio della sua lunga traiettoria intellettuale e politica, combinando ricerca analitica e attivismo sociale, e facendo proprio dell'unione di teoria e pratica il principale strumento con il quale contrastare un retaggio culturale talmente radicato nell'immaginario, nel lessico e nella pratica politica da risultare sottinteso: l'idea che la guerra sia un dato inevitabile, fisiologico della specie umana. Per Galtung si tratta invece di "una istituzione sociale come le altre, perche' se la violenza non potra' mai essere eliminata completamente, la guerra invece potra' essere abolita come e' stato fatto per il colonialismo e la schiavitu'". Per farlo, pero', non e' sufficiente - sebbene sia indispensabile - criticare la guerra e i suoi effetti o denunciare le ragioni che si nascondono dietro gli "interventi umanitari", ma occorre "lavorare in senso costruttivo, elaborando immagine plausibili di un futuro diverso, aprendo spazi per la pace e per mediazioni intelligenti ed efficaci". In altri termini, come scrive in uno dei suoi ultimi libri, Pax pacifica, non bisogna soltanto eliminare i fattori che possono portare alla guerra, quelli che definisce "bellogens", ma occorre soprattutto introdurre nuovi fattori che portino alla pace, i "paxogens". Quei fattori che Galtung si e' adoperato a diffondere in molti paesi. Lo abbiamo incontrato a Genova, dove ha inaugurato gli incontri di "Mondo in Pace", la fiera dell'educazione alla pace organizzata dalla Caritas diocesana. * - Giuliano Battiston: Lei ha sempre prestato molta attenzione al rapporto che lega metodo e ideologia: il suo particolare modo di lavorare, che combina elementi di sociologia, storia delle religioni, economia, diritto, sembra orientato a bilanciare l'impostazione epistemologica occidentale, atomistica e deduttiva, che ha piu' volte criticato per la sua tendenza a parcellizzare il sapere... - Johan Galtung: E' vero, ho sempre cercato di adottare uno sguardo olistico, di creare un angolo visuale nuovo, piu' vasto di quello che risulterebbe dalla semplice somma delle varie discipline. Per questo penso che la parola piu' adatta al mio orientamento non sia tanto multidisciplinarita' o interdisciplinarita', ma transdisciplinarita'. Certo, presuppone una sete di conoscenza molto estesa e infatti io non mi sono mai affidato soltanto alla lettura di libri, ma ho sempre cercato di imparare dagli specialisti per poi tirarne fuori una sintesi produttiva. Il concetto di "violenza strutturale", per esempio, non pertiene soltanto alla sociologia, alla psicologia, o alla antropologia, o alla storia, perche' produce una prospettiva inedita e proprio dalla combinazione di nuovi angoli e prospettive e' nato quel campo di ricerca che oggi chiamiamo studi sulla pace. * - Giuliano Battiston: Lei ha introdotto nel '69 la nozione di "violenza strutturale" per indicare una forma di violenza indiretta, spesso poco visibile, che pero' produce effetti molto negativi. Ce ne vuole parlare? - Johan Galtung: La "violenza strutturale" non ha un autore, perlomeno non nel senso che attribuiamo a questo termine, ma nel suo automatismo produce effetti esiziali. Basti pensare alle centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni giorno per fame o per malattie curabili: non c'e' nessuno in particolare che li stia uccidendo, e' il funzionamento stesso della struttura sociale che li uccide, o che provoca sfruttamento e alienazione. Per cambiare questo stato di cose dovremmo operare su tre livelli: innanzitutto disporre di un'immagine alternativa, rappresentata in questo caso da una struttura piu' orizzontale di quella attuale. Bisognerebbe inoltre sostenere chiaramente che la volonta' di cambiare non implica una minaccia verso coloro che vivono "ai piani alti" e che dovranno prepararsi all'uguaglianza. Il terzo livello e' la consapevolezza che il cambiamento si possa ottenere senza violenza, ed e' importante che si indichino anche alcune vie plausibili. * - Giuliano Battiston: A venticinque anni lei ha pubblicato un libro sull'etica politica di Gandhi, che continua a rappresentare uno dei punti di riferimento centrali nel suo lavoro. Cosa la unisce e cosa la divide dalla sue idee? - Johan Galtung: Trovo rilevante che Gandhi vedesse nel conflitto non un pericolo, ma una sfida, un'opportunita'. A questa convinzione univa uno straordinario ottimismo, connesso all'idea che si dovessero usare mezzi compatibili con il fine desiderato. Un altro elemento dell'eredita' di Gandhi e' l'idea, gia' contenuta embrionalmente nelle precedenti, secondo la quale non bisogna temere di parlare all'altro, perche' anche lui e' un essere umano. La politica adottata dagli Stati Uniti in questo senso e' completamente fallimentare, perche' condannando i propri interlocutori come "diavoli", che si tratti di Hamas, Hezbollah o l'Iran, non si possono ottenere risultati concreti. Il punto debole di Gandhi, invece, a mio parere stava nella proposta di soluzioni poco creative, che tendevano al compromesso piu' che all'innovazione. Io ho cercato di dare, proprio per questo, un contributo inventivo alla ricerca sulla pace, ma anche la creativita' ha i suoi limiti. * - Giuliano Battiston: Lei ha ricordato spesso che e' indispensabile riconoscere nell'altro magari un nemico, ma mai una non-persona. Tuttavia, ci sono casi - per esempio il conflitto israelo-palestinese - in cui lei dice che si sarebbe avviato un processo che chiama di "deumanizzazione". Allora, come muoversi in questi frangenti per gettare ponti tra il se' e l'altro? - Johan Galtung: In termini generali credo che la deumanizzazione abbia radici anche in una interpretazione troppo rigida del cristianesimo, dell'ebraismo e dell'islam. Ovvero nell'idea che vi siano persone scelte da dio come strumenti, e che ce ne siano altre che invece sono strumento del diavolo. La verticalita' implicita in certe tradizioni religiose produce effetti culturali molto profondi, e non e' un caso che in Medio Oriente il conflitto sia alimentato anche da due letture religiose molto rigide. In questo caso l'unica via d'uscita possibile e' l'immagine di un futuro di uguaglianza, che potra' essere raggiunto attraverso una Comunita' del Medio Oriente che prenda a modello il trattato europeo di Roma del 1958, e che comprenda un Israele modesto e non sionista, contenuto entro i confini del giugno 1967, dotato di relazioni stabili e comunitarie con i cinque paesi arabi vicini, Libano, Siria, Giordania, Egitto e la Palestina pienamente riconosciuta secondo il diritto internazionale. E' una soluzione "creativa" ma non troppo, attorno alla quale lavoro da vent'anni. Il fatto che alcuni mesi fa questa idea sia stata ripresa dal quotidiano israeliano "Haaretz" ne conferma l'attualita'. * - Giuliano Battiston: Nel suo saggio "I diritti umani in un'altra chiave" lei arriva a sostenere che "la tradizione dei diritti umani non poteva avere origine se non in Occidente". Secondo lei, cio' che e' tipicamente occidentale in questo sistema non e' tanto il contenuto delle norme, ma la stessa costruzione, la struttura. Ci vuole spiegare cosa intende? - Johan Galtung: Il sistema statale prodotto dalla conferenza di Westfalia ci ha consegnato una costruzione su tre livelli: su un livello si trovano le Nazioni Unite e la Commissione dei diritti umani, da cui "escono" i diritti umani, che poi sono ricevuti dagli Stati, mentre all'ultimo livello troviamo i cittadini. In questa costruzione che si affida alla verticalita' dei rapporti molto dipende dal livello di mezzo, quello degli Stati. E' evidente che questa struttura sta cambiando lentamente i propri connotati, perche' emergono attori difficilmente collocabili in questo quadro, come le corporation. E in questo senso anche il sistema dei diritti umani e' in crisi. Rimane pero' radicata la visione culturale promossa da questa struttura, ovvero l'individualismo dei diritti, che sono per la maggior parte riferiti a "ciascun" individuo. E' una concezione non sbagliata, ma incompleta, perche' dimentica alcuni diritti collettivi che invece sono essenziali, generalmente affermati e accolti con piu' difficolta' proprio perche' non riducibili alla somma dei diritti individuali. * - Giuliano Battiston: In quel testo lei sembra inoltre sostenere che i diritti "elargiti" dallo Stato in qualche modo contribuiscono a legittimarne l'"essenza metafisica", a rafforzarne l'onniscienza, l'onnipotenza e la verticalita' del rapporto con i cittadini... - Johan Galtung: E' cosi', una volta che lo Stato diviene l'unico dispensatore di diritti, puo' dire al cittadino: abbiamo garantito la soddisfazione di tanti diritti, ora devi adempiere ai tuoi doveri. E tra i doveri, si nasconde sempre quello di partecipare alla guerra: e' proprio questo l'argomento che usa il governo degli Stati Uniti, un argomento caratteristico dello stato giocabino e napoleonico. Non esistono i diritti gratuiti. * - Giuliano Battiston: Per ovviare a questa verticalita' lei propone la traduzione dei diritti umani in una cultura normativa locale, che enfatizzi il diritto all'appagamento dei bisogni fondamentali piu' che l'universalita'. Eppure i diritti umani passano ancora per il sistema delle Nazioni Unite, che lei ha criticato per l'eccessivo centralismo. Dovremmo cominciare a democratizzare l'Onu? - Johan Galtung: In effetti le Nazioni Unite dovrebbero dotarsi di una struttura piu' orizzontale, tramite un processo di democratizzazione che sottragga il potere di veto alle cinque grandi potenze. Inoltre, bisogna includere piu' paesi nel Consiglio di sicurezza, portandolo per esempio a cinquantaquattro paesi; e poi, dal momento che anche i termini che usiamo sono importanti per indicare cio' che desideriamo ottenere, invece che di Consiglio di sicurezza potremmo parlare di Consiglio di pace e sicurezza, perche' se il termine sicurezza rimanda alla stabilita', pace invece e' una parola molto piu' dinamica. Tutto cio' implica un processo che si realizzera' nel futuro, forse tra trent'anni. Prima pero' ci sara' il crollo degli Stati Uniti. * - Giuliano Battiston: A proposito: nel 1980, con la teoria della "sinergia delle contraddizioni sistemiche" lei aveva predetto con precisione il crollo dell'impero sovietico. Oggi invece si dice convinto che tra il 2020 e il 2025 crollera' l'impero americano. Quali sono gli elementi che glielo fanno credere? - Johan Galtung: Quindici contraddizioni distribuite nei campi della economia, militare, politico, culturale e sociale, di cui le piu' importanti sono tre. Intanto, la discrasia tra l'economia finanziaria e l'economia produttiva, che divide la parte bassa della societa', sfruttata e troppo povera per avere la capacita' di comprare beni, da quella alta, che invece gode di una liquidita' eccessiva usata per speculare. Nel settore militare la contraddizione principale e' quella tra il terrorismo e il terrorismo di Stato, mentre nell'ambito culturale la contraddizione e' quella creata artificialmente tra l'Islam da un lato e l'ebraismo e il cristianesimo dall'altro, con la divisione in due blocchi contrapposti delle tre religioni abramitiche. Quanto alla presidenza di George Bush, non ha fatto che accelerare il processo di collasso dell'impero americano. * Postilla. Vita e opere. Sulle orme di Gandhi Nato a Oslo nel 1930, Johan Galtung ha studiato matematica e sociologia, e si e' dedicato sin da giovane agli studi sulla pace, pubblicando nel '55, insieme ad Arne Naess, un testo sul pensiero di Gandhi, Gandhi's political ethics. Fondatore nel '59 del primo istituto di ricerca sulla pace, l'International Peace Research di Oslo, ne e' stato direttore per dieci anni. Nel '64 Galtung ha dato vita alla prima rivista dedicata agli studi sulla pace, il "Journal of Peace Research", contribuendo inoltre alla fondazione della "International Peace Research Association". Dal '69 ha ottenuto una delle prime cattedre al mondo di studi sulla pace, insegnando fino al '77 Conflict and Peace Research presso l'Universita' di Oslo. Consigliere di diversi organismi delle Nazioni Unite, nell'87 Galtung ha avuto il Nobel alternativo per la pace, il Right Livelihood Award. Ha anche fondato "Transcend", un network internazionale di studiosi e attivisti che promuove la risoluzione nonviolenta dei conflitti; ed e' rettore della Transcend University. Autore di numerosi libri, molti dei quali nella collana "Essays on Peace Research and Methodology", ne ha alcuni tradotti in italiano. Tra questi, I diritti umani in un'altra chiave, La pace con mezzi pacifici, e Scegliere la pace: un dialogo con Daisaku Ikeda (delle edizioni Esperia); Ci sono alternative. Quattro strade per la sicurezza, Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Buddismo, una via per la pace (Gruppo Abele). 5. RIFLESSIONE. TIZIANA BARTOLINI INTERVISTA DACIA MARAINI [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Il mio '68 di Dacia Maraini" e il sommario "Il '68 ha prodotto nella societa' italiana un profondo ripensamento e un grande cambiamento soprattutto sul piano dei costumi". Tiziana Bartolini e' direttrice di "Noi donne" dal 2000. Nata a Roma ha due figli. Laureata in storia e filosofia, giornalista, ha frequentato un master in Formazione e Pari Opportunita' e un corso di alta specializzazione in comunicazione e marketing del No Profit. Esperta di comunicazione sociale, ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali e con la Rai per il Terzo Settore. Ha gestito quale responsabile nazionale l'area comunicazione e l'ufficio stampa di un'organizzazione internazionale impegnata nell'inclusione sociale delle persone con ritardo mentale, occupandosi anche della formazione. E' stata coordinatrice editoriale di "Mondo sociale", ha maturato competenze nel campo della pubblica amministrazione ed attualmente e' componente del consiglio di amministrazione della Cooperativa Libera Stampa, societa' editrice di "Noi donne". Dacia Maraini, nata a Firenze nel 1936, scrittrice, intellettuale femminista, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura democratica italiana. Un breve profilo biografico e' in "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 47. Tra le opere di Dacia Maraini segnaliamo particolarmente: L'eta' del malessere (1963); Crudelta' all'aria aperta (1966); Memorie di una ladra (1973); Donne mie (1974); Fare teatro (1974); Donne in guerra (1975); (con Piera Degli Esposti), Storia di Piera (1980); Isolina (1985); La lunga vita di Marianna Ucria (1990); Bagheria (1993). Vari materiali di e su Dacia Maraini sono disponibili nel sito www.dacia-maraini.it] - Dacia Maraini: Il '68 ha prodotto nella societa' italiana un profondo ripensamento e un grande cambiamento soprattutto sul piano dei costumi. L'Italia era arretrata rispetto agli altri paesi europei. La cosa che ha piu' colpito dal punto di vista delle donne e' stata la diffusione dello stile associativo del '68: non c'era citta' italiana, anche piccola, che non avesse i suoi gruppi di donne che facevano autocoscienza e che riflettevano sulla memoria femminile, storica e personale. Quei gruppi e quei modi hanno avuto una forza dirompente nella societa' di allora. Hanno distrutto un certo tipo di famiglia patriarcale, autoritaria e hanno introdotto dei principi di parita', di giustizia, di liberta' personale che in Italia - soprattutto per via dell'influenza della Chiesa che e' stata sempre cosi' presente - erano sconosciuti. Anche nei partiti di sinistra c'erano arretratezze con cui ci si scontrava, basta pensare a figure come la Kuliscioff o la Mozzoni e alle fatiche affrontate per fare passare le battaglie per il suffragio universale. Anche i partiti di sinistra pensavano che il voto alle donne fosse sprecato. Certo, dopo la seconda guerra mondiale c'e' stata un'evoluzione, pero' e' stato il '68 a dare il via all'idea che i diritti dovessero essere uguali per uomini e donne, che la democrazia comprende sia il maschile che il femminile. * - Tiziana Bartolini: Il segno che ha distinto quegli anni e' stata la discontinuita', i cambiamenti forti ed inequivocabili. - Dacia Maraini: Parlare di una societa' in modo generico non aiuta a capire. Finche' siamo sul piano dei ricordi e delle impressioni tutto e' opinabile. Altro e' portare come prova la creazione di leggi molto importanti che hanno cambiato la situazione e i costumi delle donne. Dal '68 in poi sono state approvate norme che prima erano state sempre rimandate: Il diritto di famiglia, per esempio. Ricordiamoci che prima tutto era deciso dal capofamiglia e che la moglie doveva avere il permesso del marito per ogni decisione che la riguardasse o riguardasse i propri figli. Ricordiamoci che l'adulterio della donna era punito mentre quello dell'uomo era considerato con delle attenuanti, situazione superata solo con la legge che abrogava il delitto d'onore. * - Tiziana Bartolini: Molte posizioni critiche sul '68 dicono che il terrorismo e' stato figlio di quegli anni. - Dacia Maraini: Le deviazioni o le degenerazioni appartengono a tutti i grandi movimenti rivoluzionari. Puo' succedere che degenerino in aberrazioni ed estremismi. E' successo anche con la Rivoluzione francese. Mi sembra chiaro pero' che nell'insieme il '68 ha prodotto grandissime innovazioni della societa' italiana. * - Tiziana Bartolini: Anche per le donne? - Dacia Maraini: La condizione delle donne e' migliorata, ci sono stati cambiamenti drastici sul piano del lavoro, degli studi, delle professioni. Nell'universita', ad esempio, negli anni Cinquanta c'erano pochissime donne, soprattutto in certi indirizzi di studio. Oggi quasi tutte le facolta' sono in maggioranza femminili, anche quelle scientifiche. Le donne sono brave ma poi il mondo del lavoro le penalizza. Inoltre sappiamo che non e' facile cambiare nel profondo la psicologia di un paese. Ci sono questioni che sembrano risolte e che invece riemergono sotto forma di rigurgiti di violenza. L'aumento delle violenze contro le donne e i bambini e' certamente un segno di non accettazione da parte di chi crede in una immobilita' sociale. * - Tiziana Bartolini: In quegli anni c'era grande partecipazione, oggi c'e' un individualismo che non facilita i rapporti e le conquiste. - Dacia Maraini: Oggi come donne siamo tornate ad una situazione di debolezza e fragilita' perche' la situazione economica e' brutta: la globalizzazione ha portato alla precarieta' e a nuove gravi forme di poverta'. In questo cambiamento le donne pagano di piu' perche' non e' stata risolta a monte la divisione dei compiti. Come tanti studi dimostrano, dopo la teorizzazione e le conquiste di parita', le donne continuano a fare i conti con il doppio degli oneri dentro e fuori casa, il lavoro di cura grava ancora sulle loro spalle. * - Tiziana Bartolini: Pero' dei nuovi movimenti femministi stanno rinascendo. - Dacia Maraini: Al momento mi sembrano un po' vaghi, mancano i punti di riferimento. Una volta c'erano dei gruppi precisi, identificabili anche con dei nomi. E' bello lo spontaneismo e va bene che ci siano dei momenti in cui le donne, sentendo calpestati i propri diritti, si facciano sentire. Ma il fatto che le dimostrazioni si decidano li' per li', secondo il grado di indignazione, che tante donne si radunino per strada e poi tutto scompaia nel silenzio e' certo una debolezza. * - Tiziana Bartolini: In attesa che il movimento delle donne riemerga con forza, quali sono le emergenze? - Dacia Maraini: La questione dei ruoli e' stata messa in discussione e anche risolta teoricamente, ma nella pratica c'e' ancora una forza molto evidente che spinge alla famiglia tradizionale. Se le donne che lavorano in Italia sono una percentuale inferiore nella media europea e' perche' la divisione dei compiti e' rimasta quella vecchia e perche' gli aiuti sociali sono minimi. La situazione e' paradossale: le ragazze italiane escono dalle universita' con studi brillanti, potrebbero diventare bravissime scienziate o eccellenti professioniste e invece si trovano a scegliere se fare figli o impegnarsi ne lavoro fuori casa. * - Tiziana Bartolini: Il solito dilemma: fare la madre o la carriera? - Dacia Maraini: La parola carriera e' stata demonizzata, non usiamola per favore. Anzi aboliamola del tutto e parliamo di professione che presuppone amore, sacrificio, dedizione. La professione e' qualcosa su cui la donna investe tempo, studio, energie, passioni ed e' qualcosa a cui tiene. La carriera fa subito pensare ad un'arpia che cerca a gomitate di farsi strada e guadagnare piu' soldi. Perche' non pensiamo che una donna che vuole fare la magistrata non sta inseguendo una carriera, ma l'amore per la professione scelta? Il termine carriera e' usato contro le donne in modo terroristico, per far venir loro i sensi di colpa. Le parole attivita', mestiere, talento, occupazione devono sostituire la parola carriera che e' deformante. Penso che le donne abbiano il diritto di amare il mestiere che hanno deciso di intraprendere e non e' giusto che siano costrette a scegliere se avere o no una famiglia. Ho visto che nel Parlamento dei paesi del Nord Europa, ma anche nelle aziende, ci sono asili e nidi. E sono gratuiti. Da noi sono le nonne o le zie a dovere provvedere ma quando non ci sono? * - Tiziana Bartolini: Il mondo della cultura ieri e oggi. Ci sono differenze? - Dacia Maraini: C'e' piu' indipendenza e piu' varieta'. Negli anni Cinquanta le poche donne che scrivevano sui giornali si occupavano di moda o bambini. Ricordo che un direttore del "Corriere della sera" asseriva di non volere in redazione "ne' donne ne' omosessuali". Questo era il clima. Pero' osservo che anche se le giornaliste sono tantissime, ancora oggi le opinioniste sono poche: evidentemente le donne non hanno sufficiente autorevolezza. Si', in Italia c'e' ancora molta misoginia. 6. LIBRI. FEDERICA SOSSI PRESENTA "REGINA DI FIORI E DI PERLE" DI GABRIELLA GHERMANDI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione. Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo. Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999; Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma 2002; Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza, il Saggiatore, Milano 2007. Su Gabriella Ghermandi dal sito www.gabriella-ghermandi.it riprendiamo la seguente scheda: "Gabriella Ghermandi, italo-etiope-eritrea, e' nata ad Addis Abeba nel 1965, e si e' trasferita in Italia nel 1979. Da parecchi anni vive a Bologna, citta' originaria del padre. Nel 1999 ha vinto il primo premio del concorso per scrittori migranti dell'associazione Eks&Tra, promosso da Fara Editore, e nel 2001 il terzo premio. Ha pubblicato racconti in varie collane e riviste, tra cui Nuovo planetario Italiano. Mappa della nuova geografia di scrittori migranti in Italia e in Europa a cura di Armando Gnisci, ed. Citta' Aperta, L'Italiano degli altri: 16 storie di normale immigrazione per Einaudi scuola, Quaderni del Novecento: La letteratura postcoloniale italiana, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Il lettore di provincia n. 123-124 - volume monografico intitolato "Spaesamenti padani" a cura di Clarissa Clo', Longo Editore. Seguendo l'arte della metafora tipica della tradizione culturale etiope, scrive e interpreta spettacoli di narrazione che porta in giro sia in Italia che in Svizzera. Conduce laboratori di scrittura creativa nelle scuole, in Italia e Svizzera, sulla ricerca della identita' "unica" di ciascun individuo - da contrapporre alle "identita' collettive" - come percorso di pace. E' stata per due anni direttrice artistica del Festival Evocamondi, festival di narrazione e musiche dal mondo, organizzato dalla rivista "El Ghibli", a Bentivoglio, in provincia di Bologna. Ha creato per il festival "Le strade dell'esodo - II edizione" la performance di lettura, musica e narrazione Terre rosse dei sentieri d'Africa, e per "Le strade dell'esodo - III edizione" la performance di lettura Mille sono le vie del ritorno. Si e' occupata della raccolta di interviste a migranti nella Comunita' Montana Val Samoggia in provincia di Bologna, per il progetto Migranti, storia e storie di un millennio di mobilita' nelle valli del Samoggia e del Lavino. Ha partecipato come consulente tecnica in vari progetti tra i quali "Ti conosco perche' ti ho letto", percorso di lettura di autori migranti in quaranta classi nelle scuole della valle dell'Idice (provincia di Bologna) e "all'incrocio dei sentieri" incontri con scrittori migranti nelle biblioteche della provincia di Bologna. E' fondatrice, assieme ad altri scrittori, della rivista online "El Ghibli" e fa parte del comitato editoriale. Ha partecipato come relatrice a vari convegni tra cui quello dell'Aais (American association for italian studies), nella sezione "spaesamenti padani" condotta dalla professoressa Clarissa Clo' nel 2006, e nel 2007 assieme a Edvige Giunta sul tema della multidentita' e scrittura. Quest'anno, dal 16 aprile al 6 maggio, e' stata in tour negli Stati Uniti a portare i suoi spettacoli di narrazione nelle facolta' del Wisconsin, San Diego, Los Angles e Colorado Springs. Nell'aprile 2007 e' uscito il suo primo romanzo Regina di fiori e di perle per Donzelli editore"] "E loro, i tre venerabili anziani di casa, me lo dicevano sempre negli anni dell'infanzia, durante il caffe' delle donne: 'Da grande sarai la nostra cantora'. Poi un giorno il vecchio Yakob mi chiamo' nella sua stanza, e gli feci una promessa. Un giuramento solenne davanti alla sua Madonna dell'icona. Ed e' per questo che oggi vi racconto la sua storia. Che poi e' anche la mia. Ma pure la vostra". Gia', di chi e' la storia? Termina cosi' il libro di Gabriella Ghermandi, con una storia da raccontare che e' una storia di tutti, del vecchio Yakob, di Mahlet, la protagonista-narratrice di Regina di fiori e di perle, e nostra, di noi lettori che in quell'istante terminiamo di leggere il suo libro e di un altro "noi", per nulla nascosto nell'ultima parola di questa storia in realta' gia' raccontata dall'autrice. In quel "vostra", infatti, nella vostra storia, si racchiude un "noi" lettori/italiani che attraverso la storia di Mahlet come lei ci mettiamo in ascolto delle storie dei talian soldato che hanno occupato il suo paese, della resistenza etiope e dell'arma sconosciuta usata dagli italiani per batterla, quella "nebbiolina quasi invisibile che si adagiava nelle valli, nei crepacci, nelle gole, e ammazzava i nostri uomini bruciandoli da dentro, dai polmoni" (p. 144). Uno strano modo di terminare, rimandando a una storia che dovra' essere raccontata e che noi lettori gia' conosciamo. E' cosi' che il tempo dell'Etiopia occupata dagli italiani si snoda, attraverso dei nodi su un primo nodo: la storia di Yakob, e poi le storie che si annodano alla sua e che Mahlet, diventata adulta, continua ad ascoltare per poterci poi raccontare la "nostra storia". Ma anche queste storie ascoltate sono gia' plurali, contengono storie d'altri, perche' tutti hanno una storia, come dice di aver compreso dai racconti della madre una delle donne ascoltata da Mahlet. Cosi', questa storia che e' di tutti e' una strana storia, immediatamente soggettiva e collettiva, singolare e plurale, storia dei soggetti e storia di un popolo, o di due popoli, storia di Yakob, di Mahlet, storia del passato e del presente dello spazio da loro abitato, e storia dell'Etiopia e dell'Italia ai tempi della sua impresa coloniale nella terra di Mahlet. 7. LETTURE. KAVAFIS. VITA, POETICA, OPERE SCELTE Kavafis. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp. 608, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Il volume a cura di Stefano Pozzi reca un'ampia introduzione alla figura e all'opera di Kavafis, due saggi di Ghiorgos Seferis e di Massimo Peri, una cronologia e una bibliografia sintetica, e l'edizione canonica delle 154 poesie accettate dal poeta - nella traduzione di Filippo Maria Pontani e col testo originale a fronte. Queste poesie tu le hai gia' lette cento e cento volte, ed ogni volta ti tolgono il respiro. Tale e' la loro bellezza, tale la loro verita'. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 459 del 18 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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