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Minime. 446
- Subject: Minime. 446
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 5 May 2008 00:51:17 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 446 del 5 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Rosa Luxemburg: Quando 2. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 3. Giulio Vittorangeli: Le invasioni barbariche 4. Vittorio Amela intervista Spojmai Zariab (2001) 5. Maria Serena Palieri intervista Angela Davis (2003) 6. Sergio Buonadonna intervista Tzvetav Todorov (2005) 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: QUANDO [Da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 517. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976; Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976 (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore 1970; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta, Milano 1977] Non esiste una nazione libera quando la sua esistenza come Stato riposa sulla schiavitu' di altri popoli. 2. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LE INVASIONI BARBARICHE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] I libri di storia narrano che quando l'Impero romano, nella sua espansione in Africa e Asia, entrava in contatti con altri popoli come Egizi e Persiani (rappresentanti di antichi imperi e grandi civilta'), questi venivano definiti come "barbari". I Romani riprendevano cosi', per indicare i popoli con abitudini, costumi, lingue e culture distanti dalle proprie, l'espressione coniata dai Greci per designare coloro di cui non comprendevano la lingua. Il rapporto di Roma con i "barbari" era spesso caratterizzato dall'approccio tipico del dominatore con il sottomesso, come ricorda gran parte dell'iconografia imperiale romana. Con la successiva apparizione dei popoli provenienti dall'Europa del Nord (Germani, Celti delle Isole) e dall'Europa dell'Est (Sarmati, Alani e Goti) o ancora dai confini con l'Asia (Unni, Avari) si iniziava a parlare di "invasioni barbariche". Sono passati tanti secoli, ma non sembra sia cambiato proprio nulla. * Ieri come oggi siamo alle "invasioni barbariche"; alla logica del dominatore e del sottomesso. I "nuovi barbari" sono gli immigrati ed i clandestini; parole "magiche" dietro le quali non ci sono piu' esseri umani, donne, uomini e bambini, ma solo strane entita' aliene e pericolosissime. Conseguentemente, qualsiasi problema e' attribuito alla mancanza di sicurezza, dovuta alla presenza eccessiva di "extracomunitari", sinonimo di scansafatiche, fuorilegge, violenti, ubriaconi, che arrivano qui non per reali necessita'. Si riaffaccia l'istinto persecutorio verso minoranze etniche indiziate, come tali, di pericolosita' sociale. Percio', il sindaco leghista di Treviso ha istituito le "ronde" per la sicurezza privata; mentre quello di Torino (del Partito Democratico) in una recente intervista ha sostituito i termini di solidarieta' e uguaglianza con il termine sicurezza. Insomma, c'e' una pericolosa tendenza bipartisan a confondere marginalita' e criminalita' e a militarizzare la societa' contro la cosiddetta devianza. Non e' un fenomeno nuovo, basta guardare gli Stati Uniti d'America, dove la poderosa militarizzazione non ha certo fatto diminuire, ma semmai ha moltiplicato criminalita', insicurezza ed esclusione, che hanno altrove le proprie origini e le proprie radici. Intanto la sconfitta elettorale viene (non casualmente) spiegata con "la parola sicurezza che si e' usata troppo poco". Eppure non dovrebbe essere difficile comprendere che se si fa (o si subisce) una campagna elettorale sui temi cari alla destra, e' inevitabile che a vincere sia la destra. E' una scelta suicida quella di inseguire la destra sul piano della repressione: loro stanno sempre un po' piu' in la', un po' oltre. Piu' parliamo il loro linguaggio, piu' facciamo propaganda alle loro idee, piu' gli prepariamo la rivincita. Non a caso, violenza, degrado, rapporto con i rom e con i rumeni sono stati gli argomenti forti della campagna del sindaco Alemanno. In questa societa', che va facendosi ogni giorno piu' oppressiva ed escludente, ci dicono che il problema e' la presenza disturbante di graffitari, lavavetri, venditori e parcheggiatori abusivi, mendicanti e, subito dopo in un inquietante crescendo qualitativo, di migranti, di rumeni, con particolare accanimento se rom. Allo stesso tempo non rientrano nella contabilita' del crimine: la corruzione, il falso in bilancio, la frode fiscale, i fondi neri, il riciclaggio di denaro sporco, la devastazione ambientale, gli attentati alla salute, le adulterazioni alimentari, l'inquinamento, la riduzione in schiavitu', il lavoro servile, lo sfruttamento di manodopera clandestina, gli infortuni sul lavoro, ecc. Proviamo a fare nostre le sagge e preoccupate parole di Stefano Rodota': "Serve davvero con 'necessita' e urgenza', un'altra forma di tolleranza zero. Quella contro chi parla di 'bestie' o invoca metodi nazisti. Non e' questione di norme. Bisogna chiudere la 'fabbrica della paura'. E' il compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui e' sempre piu' arduo ritrovare le tracce". * In conclusione, ritornando alla storia di Roma e ai "barbari", vale la pena ricordare come dalla fusione (non facile, ma allo stesso tempo affascinante e complessa) tra tradizione romana e culture dei popoli esterni avrebbe preso avvio la nascita di un nuovo mondo, le radici dell'Europa odierna. 4. TESTIMONIANZE. VITTORIO AMELA INTERVISTA SPOJMAI ZARIAB (2001) [Dal "Corriere del Ticino" del 12 dicembre 2001, col titolo "Intervista alla scrittrice afghana Spojmai Zariab esule a Parigi", e il sottotitolo: "Tornera' un tempo in cui leggeremo poesie". Spojmai Zariab, scrittrice afgana, nata a Kabul nel 1949, esule in Francia dal 1990. Tra le opere di Spojmai Zariab: Ces murs qui nous ecoutent, L'Inventaire, 2000; La plaine de Cain, L'Aube, 2001; Dessine-moi un coq, l'Aube, 2003] Spojmai Zariab e' vestita di nero. Questa scrittrice afghana di etnia tagika, che si definisce "di sinistra e musulmana per tradizione, ma non praticante", ha lasciato Kabul nel 1991 e adesso vive a Montpellier, nel Sud della Francia. Le sue opere, scritte in persiano, ritraggono il dramma di un Paese sconvolto da vent'anni di guerra; due di esse, Le plain de Cain e Ces murs qui nous ecoutent, sono state tradotte e pubblicate in Francia dalle case editrici Souffles e L'Inventaire. Zariab appartiene a una famiglia della media borghesia afghana, benestante e istruita; da bambina il padre, commerciante, la sera le leggeva poesie. "A quel tempo in Afghanistan non avevamo la televisione, per nostra fortuna - commenta Zariab, che adesso ha cinquantadue anni e tre figlie -. Questo non significa che io approvi i Talebani che hanno distrutto i televisori: i miei principi democratici me lo impediscono. Ma quello che voglio dire e' che la televisione occidentale e' violenta e dannosa per i bambini". Le chiedo di raccontarmi come comincio' il dramma afghano. "Non potro' mai dimenticare quella fredda mattina d'inverno quando uscii di casa, salii in macchina e vidi ad ogni angolo di strada carri armati guidati da soldati stranieri. Sembravano degli extraterrestri... Era il 1979". * - Vittorio Amela: Era cominciata l'invasione sovietica... - Spojmai Zariab: Gia'. E' cosi' che ebbe inizio la catastrofe che non si e' ancora conclusa. * - Vittorio Amela: Com'era la vita in Afghanistan prima di allora? - Spojmai Zariab: Negli anni Cinquanta e Sessanta era piuttosto tranquilla. E sicura: io andavo a scuola da sola ogni giorno. Tutti i bambini, maschi e femmine, frequentavano le scuole. * - Vittorio Amela: I Talebani, poi, lo proibirono... - Spojmai Zariab: Gli studenti coranici venuti dalle madrase del Pakistan hanno condannato un'intera generazione all'ignoranza. Io, come quasi tutte le altre bambine, frequentavo una scuola pubblica, dove imparai il francese. E oltre la meta' degli insegnanti erano donne. * - Vittorio Amela: Chi governava l'Afghanistan allora? - Spojmai Zariab: Il re Mohamed Zahir, che nel 1964 istitui' una monarchia parlamentare. Fu approvata una Costituzione propria di uno Stato laico: la religione, allora, faceva parte della sfera intima, personale. Io sono musulmana per educazione e tradizione, come tutti gli afghani, ma credo che lo Stato abbia il compito di offrire una serie di servizi ai cittadini, non quello di immischiarsi nella loro vita spirituale. * - Vittorio Amela: Mi stava parlando di un tempo in cui vi si poteva vivere serenamente... - Spojmai Zariab: Si'. Un tempo in cui le donne avevano il diritto di voto. Fu un periodo breve, pero': duro' solo dieci anni. Nel 1973 il re Zahir ando' a Roma per curarsi. E il suo Primo ministro Mohamed Daud ne approfitto' per proclamare la repubblica. * - Vittorio Amela: Come reagi' il popolo? - Spojmai Zariab: La gente credette che il passaggio da una monarchia a una repubblica avrebbe significato una maggiore democrazia. Ma non fu cosi', Daud si rivelo' un cattivo governante, e per di piu' non poteva contare sul sostegno popolare di cui aveva goduto il re. Percio' cerco' l'appoggio del partito comunista: una formazione politica minoritaria, ma assetata di potere. Un'alleanza che nel 1978 fini' con un colpo di stato organizzato da quel pugno di comunisti, i quali assassinarono Daud con tutta la sua famiglia: moglie, figli, fratelli... * - Vittorio Amela: Mentre accadeva tutto cio', lei che cosa faceva? - Spojmai Zariab: Studiavo. Mi laureai in Lettere all'Universita' di Kabul e cominciai a lavorare all'ambasciata francese come traduttrice. Intanto i comunisti ci governavano con Nur Mohamed Taraki. Fu quello l'inizio della nostra tragedia. Era impossibile, infatti, che un regime comunista - livellatore, autoritario, ateo, estraneo - fosse amato in Afghanistan, un Paese tradizionalista, religioso, amante della sua cultura. Anzi, delle sue culture, perche' ne ha molte, e tutte ricche e antichissime. * - Vittorio Amela: Il popolo, infatti, si ribello'. - Spojmai Zariab: Per spegnere qualunque focolaio di ribellione, il governo ricorse al terrore: molte persone furono imprigionate o assassinate, altre furono giustiziate senza processo, altre ancora sparirono nel nulla. Anche mio marito fu arrestato. * - Vittorio Amela: Un terrorismo di Stato, insomma. - Spojmai Zariab: Taraki, in un discorso, dichiaro': "Mi basta un milione di persone per ricostruire l'Afghanistan". Il che voleva dire che non avrebbe avuto remore ad uccidere i restanti diciannove milioni... Taraki controllava le citta', ma molti di coloro che vivevano nelle campagne fuggivano in Iran e in Pakistan. Allora Taraki decise di chiedere aiuto all'Unione Sovietica. * - Vittorio Amela: Cosi' ritorniamo a quella mattina in cui lei s'imbatte' nei carri armati sovietici. - Spojmai Zariab: Si'. I guerriglieri lottarono per dieci anni contro i comunisti. E intanto il Paese franava nella miseria e nella disperazione. E il resto del mondo assisteva indifferente. * - Vittorio Amela: In definitiva, gli afghani vinsero quella guerra. - Spojmai Zariab: Si', ma la rivalita' fra le diverse fazioni precipito' il Paese in un'altra catastrofe. Ci furono scontri in ogni citta', in ogni quartiere, famiglie che fuggivano lasciando insepolti i loro morti, case abbandonate... * - Vittorio Amela: Lei che cosa fece? - Spojmai Zariab: Avevo due figlie di 11 e 7 anni e le scuole erano state chiuse. Decisi percio' di trasferirmi in Francia finche' tutto non fosse tornato alla normalita'. Invece i Talebani presero il potere in qualita' di rappresentanti del re in esilio e promettendo di farsi garanti della pace. La gente, stanca della guerra, ci credette. Ma come sappiamo, mentivano. 5. RIFLESSIONE. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA ANGELA DAVIS (2003) [Dal quotidiano "L'Unita'" dell'8 settembre 2003, col titolo "Musica, eros e civilta'". Maria Serena Palieri (Roma, 1953) giornalista, dal 1979 scrive su "L'Unita'", attualmente lavora alle pagine culturali e si occupa di narrativa italiana e internazionale e mercato editoriale; ha collaborato con diverse testate, tra cui "l'Espresso" e "Marie Claire", e' stata consulente di Rai Educational e autrice-conduttrice per Radiodue; in campo editoriale lavora anche come editor e traduttrice dal francese; un suo libro-intervista con Domenico de Masi, Ozio creativo, sui tempi di vita, ha avuto quattro edizioni (Ediesse, Rizzoli) ed e' stato pubblicato in Brasile da Sextante. Angela Davis (Birmingham, Alabama, 1944), pensatrice, militante, docente universitaria, saggista, insegna attualmente "Storia della coscienza" all'Universita' della California di Santa Cruz, e vi dirige il Women Institute. Ha studiato filosofia con Marcuse e con Adorno, in varie universita' americane, a Parigi, a Francoforte. Attivista e teorica marxista, femminista, antirazzista, e' stata duramente perseguitata; continua tuttora la sua lotta e la sua attivita' di insegnamento, di studiosa, di militante. Opere di Angela Davis: a) in italiano: Autobiografia di una rivoluzionaria, Garzanti 1975, Minimum fax, 2007; Bianche e nere, Editori Riuniti, 1985; Lady day, lady night, Greco & Greco, 2004; b) in inglese: Angela Davis: An Autobiography, 1974, 1989; Women, Race and Class, 1981; Women, Culture and Politics, 1989; The Prison Industrial Complex, 2000; Are Prisons Obsolete?, 2003] Poco piu' di trent'anni fa, per alcune settimane tra agosto e ottobre del 1970, negli Stati Uniti sulle finestre di molti appartamenti in cui vivevano cittadini di sinistra comparve una scritta: "Angela, sister, you are welcome in this house", Angela, sorella, in questa casa sei la benvenuta. Poi, durante sedici mesi, le piazze degli Stati Uniti e delle metropoli europee si riempirono di frequente di gente - per lo piu' ragazze e ragazzi - che scandivano lo slogan "Angela Davis libera". Angela Yvonne Davis, nata il 26 gennaio 1944 a Birmingham, Alabama, da una coppia di insegnanti, laureata con lode in filosofia alla Brandeis University, specializzata a Francoforte e a Parigi e all'universita' californiana di San Diego, allieva di Adorno e Marcuse, era infatti finita nella lista dei dieci principali ricercati dall'Fbi e, dopo una fuga durata due settimane, catturata in un piccolo albergo del Greenwich Village, avrebbe trascorso un anno e quattro mesi in carcere con l'accusa di assassinio, sequestro di persona e cospirazione: rischiava la camera a gas. L'imputazione era di aver partecipato al sanguinoso tentativo di far evadere dal penitenziario l'attivista nero George Jackson. Due anni prima di finire nella lista dei ricercati, nel 1968, Angela Davis era stata costretta a lasciare l'insegnamento universitario di filosofia a San Diego perche' esso era stato considerato incompatibile con la sua militanza nel Pc americano e nella Pantere nere. Dal processo la filosofa afroamericana ventiseienne, che le fotografie sui giornali ci consegnavano bellissima, il fisico longilineo sovrastato da un'inedita e tutta sua chioma corvina "a nuvola", usci' assolta con formula piena. La storia dice che, se fu rimessa in liberta', c'entro' la vigilanza dell'opinione pubblica internazionale su un processo che fu durissimo e astioso. Angela Davis, ieri a Mantova, per parlare di qualcosa che puo' sembrare sideralmente distante dal suo radicalismo di trent'anni fa: di un mito della vocalita' novecentesca, Billie Holiday, morta quarantacinquenne nel 1959 e diventata oggi l'emblema femminile della musica nera. Tanto che la sua voce e' un jingle cui ricorrono spesso gli spot pubblicitario di vestiti e automobili. In questi tre decenni in Italia di Angela Davis avevamo perso le tracce, fatta salva l'uscita nel 1975 dell'Autobiografia di una rivoluzionaria per Garzanti e, nel 1985, di un titolo dal successo ormai molto meno clamoroso, Bianche e nere per gli Editori Riuniti. Tra chi, allora, visse la Davis comunista, pantera nera e protofemminista come un'icona, era lecito che corresse un brivido di curiosita' diffidente: qual e' stato poi il suo percorso umano e intellettuale? Tranquilli. Billie Holiday, la "Lady Day" del jazz e' co-protagonista, con Gertrude "Ma" Rainey e Bessie Smith, del libro che Angela Davis ha pubblicato nel '98 con Pantheon House: titolo eloquente, Blue Legacy and Black Feminism. Un saggio nel quale conia per le tre signore della musica nera un neologismo: "foremothers", le "capostipiti". (E due capitoli del libro compaiono ora in un piccolo, singolare saggio a piu' voci, Lady Day Lady Night. Interpretare Billie Holiday che, curato da Giorgio Rimondi, uscira' a breve per le edizioni milanesi Greco & Greco). Angela Davis ricostruisce e analizza arte e repertorio di Billie Holiday in modo fascinoso, e non disdegnando strumenti che altri nel frattempo hanno chiuso nel ripostiglio, per esempio quel vecchio binomio eros & civilta'. Oggi, a 59 anni, insegna Storia delle minoranze all'universita' di San Francisco e si batte per la chiusura delle carceri. Se dal movimento dei comunisti afroamericani di fine anni Sessanta uscirono molti destini (specie quelli dei leader e dei militanti maschi) conclusi nella tragedia o nella tragica banalita', sparatorie ma anche overdose, Angela Davis e' viva e lotta molto piu' sapientemente di noi. E' una bella e simpatica donna, dai capelli - sorpresa - sempre "a nuvola" ma biondi. * - Maria Serena Palieri: Come e' nato il suo interesse scientifico per il blues, per il jazz e in particolare per l'arte di Billie Holiday? - Angela Davis: Il blues e' una musica di liberta' nata in tempi di oppressione. A fine Ottocento, dopo l'abolizione della schiavitu', gli afroamericani avevano conquistato la liberta' economica, ma non quella politica. La loro prima vera liberta' consisteva nel poter viaggiare e nel poter esercitare la sessualita' senza le costrizioni subite in precedenza: in regime di schiavitu' la sessualita' era spesso vincolata alla procreazione e quindi alla volonta' del padrone e alle leggi di mercato. Percio' il blues agli inizi canta di viaggi e di sesso. Di sessualita' femminile, anche, come liberta' di scegliersi piu' di un partner. Le cantanti blues si esibivano in modo sfrontato di fronte al pubblico nero, perche' era a questo che alludevano. Billie Holiday e' figlia di cantanti come Gertrude "Ma" Rainey e Bessie Smith che avevano gia' femminilizzato il repertorio. Ma si differenzia da loro perche' realizzo' la maggior parte delle sue performance al nord, di fronte a un pubblico bianco o multirazziale. E questo la costrinse a tenere conto delle ideologie dominanti di razza e di genere. Billie Holiday cantava in club in cui poi le era vietato consumare un drink, in alberghi dove era ammessa solo negli ascensori destinati ai fornitori. E si esibiva per un pubblico che concepiva la sessualita' femminile in modo tutto diverso da come la concepivano i neri. * - Maria Serena Palieri: Nell'immaginario e' scolpita piuttosto l'immagine fragile di una donna vissuta tra tossicodipendenze e naufragi sentimentali. Dov'e', in senso femminile, la sua autorevolezza? - Angela Davis: Comunemente si collega la sua grandezza alla sua disperazione. Io propongo di rileggere la sua arte. Di fronte al pubblico bianco minimizzo' movimenti e sfoggio di erotismo. Perche' perseguiva quello che era il suo vero progetto artistico: portare la voce femminile a pari dignita' degli strumenti musicali che l'accompagnavano, sassofoni e trombe. E cosi' cavalco' la cresta che portava dal blues al jazz. Molto del suo repertorio e' stato di canzoni popolari, che parlavano di ruoli classici, di subordinazione al maschio, all'amante, all'uomo. Ma come le cantava: come cantava, mettiamo, My man. Con perfezione formale, con distacco, ne sovvertiva il senso. E la sua predilezione per un testo come Strange Fruit, clou del suo repertorio per anni, dice molto sulla sua consapevolezza politica. Billie Holiday ha creato il collegamento tra musica e movimenti libertari. * - Maria Serena Palieri: Parliamo dell'altro interesse che lei ha coltivato in questi anni, ha raccontato, dopo la sua stessa detenzione: lei propugna l'"abolizionismo" in campo carcerario. Cosa intende? - Angela Davis: Uso la parola con intenzione. L'abolizione, amo dire, ha liberato tutti i neri, tranne quelli in prigione. Il sistema carcerario, in America, e' un complesso industriale: chi lucra, chi, privato, gestisce carceri, chi guadagna sull'indotto, e le multinazionali che si servono della manodopera a prezzo stracciato dei reclusi. Intanto, invece, si tagliano i fondi del Welfare e cresce, nelle prigioni, la percentuale di donne-madri private di sussidi. Su due milioni di carcerati, negli Stati Uniti, quasi la meta' sono afroamericani e, se li uniamo ai latinos, gli amerindi e gli asio-americani, arriviamo a una maggioranza schiacciante della popolazione. Ma la situazione va diventando analoga su scala mondiale: in Italia su 56.000 carcerati non sono forse stranieri 16.000? Dunque, la figura del criminale assume una colorazione etnica. E questo prepara il terreno a farci percepire la figura del terrorista con una colorazione razziale. Sempre piu' si afferma una gestione penitenziale dell'immigrazione. Col mio movimento, mi oppongo al principio della punizione che produce guadagno. * - Maria Serena Palieri: L'ultima iniziativa di massa afroamericana di cui abbiamo letto e' la marcia del milione di maschi neri organizzata nel '95 da Louis Farrakhan. Mentre nella nostra mente spiccano piuttosto i visi di due potenti membri dell'amministrazione Bush, Colin Powell e Condoleeza Rice. Che fine ha fatto il grande movimento dei neri? - Angela Davis: Col tempo i movimenti cambiano, le sfide sono diverse. Io ero contro la marcia di Farrakhan perche' ritenevo inaccettabile il suo separatismo maschile. Dai tempi di Martin Luther King pero' e' cambiato il ruolo degli afroamericani nella societa'. Si tratta di coniugare, oggi ormai, la questione razziale con quella di classe. * - Maria Serena Palieri: Pensa che la candidatura di una donna, Hillary Clinton, alle presidenziali possa costituire una novita' radicale? - Angela Davis: Si', ma se e' frutto di un progetto politico. Da un pezzo ho smesso di avere fiducia nei singoli nomi: preferisco l'uomo, bianco, progressista, alla donna, nera, conservatrice. * - Maria Serena Palieri: Lei nei primi anni Settanta e' stata un'icona. Per una generazione di ragazzi i capelli neri e ricciuti "alla Angela Davis" sono stati un segnale di rivolta. Come mai oggi e' bionda? - Angela Davis: Capisco il senso della domanda. All'epoca io non immaginavo minimamente che sarei diventata un simbolo: hanno scritto persino un piccolo saggio semiologico su quella mia chioma. Le rivelo che quel taglio l'avevo copiato ad altre e quel nero era frutto di una tintura. Allora mi tingevo di nero, oggi mi tingo di biondo. 6. RIFLESSIONE. SERGIO BUONADONNA INTERVISTA TZVETAN TODOROV (2005) [Dal sito www.mentelocale.it riprendiamo la seguente intervista del 19 settembre 2005, dal titolo "Todorov: la bellezza e' amore", il sommario "Il pupillo di Roland Barthes a Sanremo. L'autore di Memoria del male ai Grandi incontri giovedi' 22. L'intervista di Sergio Buonadonna", e la nota introduttiva "Tzvetan Todorov a Sanremo, un appuntamento eccezionale per i Grandi incontri condotti dal giornalista Sergio Buonadonna e organizzati dall'Assessorato alla Cultura guidato da Daniela Cassini. L'incontro con il grande storico bulgaro-francese, allievo prediletto di Roland Barthes, avverra' giovedi' 22 settembre alle ore 17 al Teatro Ariston Ritz. Grande e' l'attesa di ascoltare dal vivo l'autore di Memoria del male, tentazione del bene, il saggio del 2001 sulle tragedie del Novecento provocate dalla follia nazifascista e dall'utopia comunista, dopo il recente intervento del filosofo e analista politico sulle "Nuove tentazioni del potere" apparso nei principali quotidiani europei e pubblicato in Italia da "La Stampa". Attualmente Todorov, che dirige il Centre National de Recherche Scientifique di Parigi, sta sviluppando il suo lavoro in direzione della bellezza nei secoli come sinonimo d'amore, unica via possibile per salvare il mondo dalla crudelta' del tempo presente. Il curatore dei Grandi incontri, Sergio Buonadonna, ha realizzato con Todorov una lunga intervista di cui mentelocale.it anticipa (per gentile concessione dell'autore) la parte iniziale". Sergio Buonadonna, giornalista culturale e saggista, vive a Genova, ha curato varie pubblicazioni, tra cui: Finestra sul Mediterraneo, trenta racconti da Consolo a Ben Jelloun (Il melangolo); Liguria svelata, viaggio d'autori sul territorio "nascosto"; I fiori raccontano, il viaggio di un folletto nel giardino Liguria. Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali. Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del 'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi, Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi, Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002; (con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino 1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995; Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese, Seuil, Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti, Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano 1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo. Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica, Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007 (tra esse segnaliamo particolarmente Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001: un'opera che ci sembra fondamentale)] - Sergio Buonadonna: Professor Todorov, dopo avere raccontato le tenebre del male sull'individuo, le minacce, i rischi e le conseguenze dei totalitarismi, lei si e' soffermato sul destino politico dell'individuo attraverso il valore della bellezza e del bene. E lo ha fatto partendo dalla pittura fiamminga del XV secolo quando figurativamente l'immagine dell'individuo assume un ruolo ed un significato piu' definiti. Perche' ha fatto questa scelta e quale percorso vuole indicare? - Tzvetav Todorov: In ogni tempo gli uomini hanno avvertito il bisogno di instaurare un rapporto con l'assoluto. Per molti secoli, lo hanno identificato con gli dei, vivendo questa esperienza nei confini dell'ambito religioso. Nel secolo dei lumi, si e' voluto far discendere l'assoluto in terra e definirlo in termini puramente umani. Si e' creduto di trovarlo in entita' collettive: la Nazione, poi la Classe operaia o la Razza ariana, o ancora in un processo come la Rivoluzione. I risultati di questi tentativi, che in Europa hanno occupato gli ultimi due secoli, sono stati disastrosi. Ma esiste una terza via, che oggi e' particolarmente attuale, ed e' quella che consiste nel cercare l'assoluto nell'esperienza individuale: rendere quindi la propria esistenza quotidiana ricca d'amore, di senso, di bellezza. Questa scelta non ci dispensa dal partecipare alla vita pubblica e politica del nostro paese, ma ci mette in guardia da aspettative eccessive: nessun regime politico puo' assicurare la compiutezza interiore della persona. * - Sergio Buonadonna: "La bellezza salvera' il mondo" e' il titolo della sua conferenza a Sanremo, unica sua presenza in Italia nella seconda meta' del 2005, non a caso lei si e' appassionato ed ha scritto nelle sue ultime opere di personaggi che hanno vissuto il fuoco della vita come la poetessa russa Marina Cvetaeva, lo scrittore irlandese Oscar Wilde. Quali sono gli uomini e le donne che in questo momento della storia rappresentano la via della bellezza? - Tzvetav Todorov: "La bellezza salvera' il mondo" e' una frase che, come e' noto, figura nel romanzo L'idiota di Dostoevskij. Fuori dal suo contesto, si puo' interpretarla in un senso estetizzante: circondarsi di begli oggetti, contemplare la natura e le opere d'arte, consacrarsi alla creazione artistica. Ma Dostoevskij dava tutt'altro significato al termine "bellezza": quello dell'amore, cosi' come era incarnato nel Cristo. E' una via che e' aperta a tutti, non solo ai creatori di genio, come Wilde, Rilke o Cvetaeva. Per dare un esempio tratto dall'attualita': nel mese d'agosto del 2005, il musicista Daniel Barenboim ha organizzato un concerto a Ramallah, in Palestina, quello dell'orchestra "le Diwan occidental-oriental" che ha fondato con Edward Said e che riunisce musicisti israeliani, egiziani, siriani, giordani, palestinesi. E' una goccia nel mare, non risolvera' il conflitto israelo-palestinese, ma e' un atto ammirevole che partecipa dello spirito che animava Dostoevskij quando scriveva che la bellezza salvera' il mondo. * - Sergio Buonadonna: Lei ha raccontato l'indivisibilita' del bene e del male, lancia la sfida della bellezza, fa l'elogio dell'imperfezione. Quale lezione trarre dal Novecento, il secolo tragico dei totalitarismi: un cattivo uso del bene e un buon uso del male? - Tzvetav Todorov: Una delle lezioni della storia del XX secolo in Europa consiste proprio nel prendere atto del pericolo delle utopie politiche quando vogliono realizzarsi sulla terra: il comunismo, come anche il fascismo e il nazismo, hanno causato milioni di morti e innumerevoli sofferenze. Un male che non e' stato compiuto da figure diaboliche ma da capi politici animati dalla tentazione del bene, un bene che volevano imporre con la forza ai loro concittadini, ovvero al mondo intero. * - Sergio Buonadonna: E oggi come ha cambiato faccia il totalitarismo: quali rischi corre la democrazia? - Tzvetav Todorov: Il totalitarismo, nelle sue forme trascorse, non e' piu' un pericolo per noi, e' vero. Ma non per questo la democrazia puo' dormire tranquilla. E' minacciata, innanzitutto, da forze che le si contrappongono direttamente, quelle di un militantismo nazionalista o di un fanatismo religioso. Deve poi combattere la sua deriva moralizzatrice, quella che la spinge a praticare il "politicamente corretto" a domicilio e a imporre con la forza il suo modello all'esterno. Infine, o forse soprattutto, deve fare attenzione a non soccombere a quella che chiamero' "la sacralizzazione dei mezzi" e "l'oblio dei fini": il culto dello sviluppo per lo sviluppo, del potere per il potere, della performance tecnologica fine a se stessa. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 446 del 5 maggio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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