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Nonviolenza. Femminile plurale. 175
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 175
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 11 Apr 2008 16:08:46 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 175 dell'11 aprile 2008 In questo numero: 1. Caterina Soffici intervista Anna Bravo (parte seconda e conclusiva) 2. Maria Grazia Campari: Laicita' delle donne e spazio pubblico 3. Maria Piacente presenta "Dopo la solitudine" di Barbara Mapelli 1. RIFLESSIONE. CATERINA SOFFICI INTERVISTA ANNA BRAVO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.festivaleconomia.it riprendiamo il seguente colloquio di Caterina Soffici con Anna Bravo sul tema "Le relazioni sociali nella lente della storia", svoltosi a Trento il primo giugno 2007. Caterina Soffici (Firenze, 1967) e' giornalista; dal 1998 e' caporedattrice della sezione Cultura del quotidiano "Il giornale"; laureata in Scienze politiche ha iniziato la professione alla cronaca locale di Firenze, scrivendo per "Repubblica" e per "Paese Sera"; a Milano dal 1990, ha lavorato a "Italia Oggi" e poi ha partecipato alla nascita dell'"Indipendente" di Ricardo Franco Levi; dal 1994 e' al "Giornale" dove ha ricoperto vari incarichi, tra cui caposervizio della pagina di societa' e capocronista; si e' occupata di politica interna, cronaca, societa' e cultura; collabora con "Vanity Fair" e con la rivista "Zero". Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008] - Caterina Soffici: Ritengo che un altro aspetto cui abbiamo finora solamente accennato e' costituito dalle reti di relazioni della politica, che spesso, soprattutto nell'odierna politica italiana, produce degli effetti pesantemente negativi. Preferendo fare esempi concreti, si puo' osservare come, in assenza di sistemi che permettono di governare o comunque di prendere delle decisioni, finisce per prevalere il clientelismo, ossia l'aspetto negativo della rete di relazione. Da un lato si afferma la clientela, dall'altro una forma di cooptazione, che teoricamente potrebbe avere degli aspetti positivi, ma che in realta' non sempre si concretizzano. - Anna Bravo: Sono d'accordo. La cooptazione costituisce un meccanismo pericoloso. In primo luogo, le scelte avvengono secondo i criteri di un gruppo che e' al potere: si scelgono i soggetti ritenuti fedeli e il fatto di essere cooptati li rende ancora piu' fedeli. Pare, infatti, che, al di la' degli aspetti propriamente legati agli interessi personali, si affermi la mentalita' del cosiddetto "schiavo premiato". Questo discorso comunque non riguarda le donne di oggi, che versano in una condizione molto diversa. La cooptazione e' precisamente un modo in cui un gruppo, spesso informale, si perpetua attraverso persone che vengono aggiunte, ma sempre nella stessa logica. Si parlava poc'anzi della "clientela", che in Italia ha una tradizione molto radicata, non solo al sud bensi' in tutta la nazione. Frequentemente la si ritrova in rappresentazioni ottocentesche, che raffigurano l'anticamera di un eminente personaggio, affollata di clienti intenti a chiedere favori o semplicemente a recare doni per cementare il rapporto. La clientela adesso si esprime con modalita' diverse, ma il meccanismo per cui si riesce ad avanzare o a ottenere vantaggi attraverso il rapporto personale con il potente, e' ancora profondamente radicato. Si potrebbe affermare che il potere si sviluppa sia verticalmente che in orizzontale: piu' ci si avvicina orizzontalmente al potere e piu' e' facile ottenere vantaggi. Questo elemento rappresenta una palla al piede, oltre che un ostacolo, per molte donne che non sono cooptate per la loro autonomia e la conseguente insicurezza sulle loro azioni future e sul loro voto. Caratteristica delle reti di relazione in politica e' il tremendo conservatorismo: il confronto e' sempre limitato, l'elemento che pensa a suo modo e' considerato un corpo estraneo che va disciplinato per indurlo alla fedelta'. Nella storia le donne si sono contraddistinte per una fedelta' politica esagerata; spesso subiscono angherie e ingiustizie, ma restano comunque legate all'organizzazione. L'eccessiva fedelta' dimostrata dalle donne meriterebbe di essere analizzata in un seminario ad hoc. * - Caterina Soffici: Si potrebbe ipotizzare che le donne siano piu' idealiste degli uomini, anche se io non sono di quest'avviso. - Anna Bravo: In realta' ritengo che le donne vogliono agire, fare politica, sentirsi parte del movimento delle cose che cambiano; ma se fanno parte di un'organizzazione, sono convinte che i loro obiettivi siano perseguibili solo attraverso tale organizzazione. Penso questo perche' e' un'esperienza che ho vissuto in prima persona. Il far parte di un'organizzazione mi era apparso una mediazione importante con la realta'. Questa considerazione me la sono sentita riferire anche da molte partigiane. Esse, peraltro, non hanno potuto sviluppare appieno le loro potenzialita'. Io facevo parte di un gruppo che ad un certo momento e' esploso e si e' sciolto, soprattutto a causa delle donne che, dopo aver tanto sopportato, non ce l'hanno fatta piu' e hanno finito per smantellare l'intero sistema. * - Caterina Soffici: E' curioso il riferimento alle partigiane. Forse si puo' affermare che negli anni della Resistenza e della guerra in montagna le donne venivano considerate alla pari degli uomini? Oppure, anche in quella situazione, essendo le donne utilizzate come staffette o comunque attivita' diverse, continuava a riprodursi la relazione classica, in cui sono gli uomini i soli a poter decidere? - Anna Bravo: Ritengo sia vera questa seconda ipotesi. Si e' scritto che la banda partigiana rappresentava una democrazia di base. Indubbiamente si trattava di un esperimento democratico: ma il fatto stesso che le donne venissero impiegate quasi tutte nel ruolo di staffetta, che tra l'altro era piu' pericoloso che condurre uno scontro a fuoco, e non avessero ruoli militari, evidenzia la loro posizione subordinata anche in quella circostanza. In una situazione in cui l'uso delle armi era legato ad un certo avanzamento delle carriere, le donne usavano poco le armi. Una delle pochissime donne che riusci' a imporsi fu una brava e affascinante operaia della Val d'Ossola che si reco' dai partigiani e disse: "Io vengo in banda, non vi lavero' i calzini, non vi faro' da mangiare, non vi curero', io faro' tutto esattamente come voi. Se non mi date un fucile: buonasera, me ne vado". A quel punto fu accettata nel gruppo anche perche' era conosciuta quale agitatrice antifascista. Fu l'unica donna che ottenne il comando di una brigata operativa che mise a segno azioni e sabotaggi: il suo nome era Elsa Olivi. Pero' e' stata l'unica donna, molto dura e di una forza straordinaria che, cosa al tempo difficile da tollerare, riusciva a comandare degli uomini. Ci si potrebbe chiedere se tutte le donne debbano possedere tali qualita' straordinarie per poter ambire a rivestire dei ruoli importanti. Elsa Olivi era una donna fuori scala, dotata di coraggio eccezionale, in un contesto dove le altre donne ricoprivano ruoli di subordine. * - Caterina Soffici: Qual e' stata la sorte di Elsa Olivi? - Anna Bravo: Ha avuto uno strano destino. Suo malgrado le e' rimasta appiccicata l'etichetta della grande guerrigliera o addirittura del gangster "in gonnella", naturalmente non inteso in senso negativo. Un particolare strano e' che, poco prima della morte, ha scritto un romanzo d'amore simile a un fotoromanzo. Elsa Olivi aveva dovuto rinunciare alla dimensione dell'amore: se una donna bella e giovane come lei si fosse legata con altri componenti della banda, si sarebbe verificata una lacerazione dei rapporti. Scrisse quindi un romanzo che non puo' dirsi bello, ma e' certo molto interessante perche' ad un tratto Elsa si trasforma in quella che e' poi stata probabilmente in seguito, ossia una donna fatale, di una bellezza non comune, che e' sempre al centro dell'attenzione. Nel racconto partigiano solitamente il maschio agisce e la donna racconta: mentre lei, invece, agiva e raccontava al contempo, coinvolta in una serie di amori travolgenti, dove Elsa si innamora persino di un prete antinazista. Il romanzo sembra denunciare il suo bisogno di dimostrare di essere una donna che non solo era brava col fucile, ma che poteva avere una storia d'amore e che era stata molto ammirata. Elsa era, giustamente, anche un po' narcisista. La sua vita si concluse cosi'. Il suo racconto e' bello, non tanto in senso letterario, ma per quello che la sua esperienza ci puo' insegnare. * - Caterina Soffici: Per concludere, vorrei riassumere i contenuti della nostra discussione. Finora si e' parlato di relazioni sociali e di relazioni personali; di come queste possano interagire o influire sulla storia e di come ne possano costituire una chiave di lettura. Da storica, ne trae un bilancio positivo oppure negativo? Si enumerano piu' episodi dove tali relazioni hanno avuto effetti positivi o piu' fenomeni, quali la camorra o le clientele politiche, che hanno effetti e manifestazioni negativi? - Anna Bravo: Ritengo dipenda dalla prospettiva che si intende adottare. Gli ebrei danesi coglierebbero gli aspetti progressisti e di coraggio dell'azione di salvataggio. Fossi stata una di quelle giovani donne avrei odiato quelle reti che penetravano nel mio spazio privato, ferendomi nei sentimenti amorosi. A mio giudizio, molto dipende dal fatto che all'interno di queste reti vi sono sempre dei leader, spesso informali, quali la mamma piu' anziana, la vicina di casa autorevole: e cio', dicono, puo' cambiare una situazione. Le reti di relazione, comunque, non sono statiche: al loro interno sono presenti dei conflitti sui quali le persone agiscono, e sono sedi di lotta politica simili ad un partito, nonostante siano poco visibili e pressoche' sconosciute. Ma si tratta di lavorare su entrambi gli aspetti, per far prevalere o l'uno o l'altro. * - Caterina Soffici: Ringrazio Anna Bravo e invito il pubblico ad intervenire con osservazioni o domande, approfittando della disponibilita' della nostra ospite. - Intervento dal pubblico: A quanto risulta dalle sue affermazioni appare che le reti di relazione rappresentano un potenziale che puo' essere volto sia al bene sia al male. A suo giudizio e' possibile tentare di far tendere al bene anche le reti di relazione che sono protese al male? - Anna Bravo: La domanda e' stimolante ma la risposta non e' facile. A mio giudizio esistono certi livelli di reti di relazione che dimostrano di essere molto forti; mentre le reti di relazione di base sono piu' automatizzate in questo momento. Indubbiamente occorre tentare di rafforzare le reti di base, perche' esse rappresentano un elemento di potenza autentica, come dimostra, ad esempio, il tema della reputazione, che purtroppo e' ancora molto sentito. Dentro una rete di relazione composta di giovani, per ipotesi, il prendere posizione duramente contro la violenza sulle donne puo' assumere un significato molto importante. Occorre ricreare nelle reti di giovani tabu' non piu' esistenti, quali l'inviolabilita' dei corpi. A mio parere, questi sono gli obiettivi che vale la pena di perseguire. * - Caterina Soffici: Condivido quanto affermato da Anna Bravo in merito all'aspetto personale. Mi domando pero' se tale affermazione possa essere riferita anche alla prassi delle clientele e ai sistemi politici, che si autosostengono e si autoalimentano vicendevolmente, in un discorso che non riguarda le singole fazioni ma l'intero ambito della politica. In queste situazioni ritengo siano necessari interventi esterni, dato che il sistema delle clientele non e' in grado di eliminarsi da se'. C'e' bisogno di trovare il modo di rompere dall'esterno quel circolo vizioso, altrimenti ineliminabile. Capisco che questa e' una considerazione piuttosto ovvia e che occorre poi indicare le vie percorribili per l'attuazione del progetto: ma detto discorso ci condurrebbe troppo lontano. - Anna Bravo: Mi sovviene, del tutto estemporaneamente, la considerazione che sarebbe utile privare alcuni protagonisti centrali della politica di oggi di telefonini ed e-mail per dieci giorni. Sarebbe una buona soluzione per rompere le reti, per frenare la democrazia del telefono di cui si lamentava la femminista francese. A prima vista e' una soluzione che pecca di autoritarismo, ma del resto al giorno d'oggi molte decisioni sono prese per telefono o tramite e-mail o altre simili tecnologie. Sarebbe interessante sapere cosa farebbero queste persone senza questi strumenti. * - Caterina Soffici: Come si poteva privare Luciano Moggi del telefono? Ne possedeva tre. - Anna Bravo: Gli andavano tolti tutti. * - Intervento dal pubblico: Vorrei proporre una considerazione critica. Quando si parlava delle piccole cooperative di donne, che tali rimangono perche' creano una situazione di vita piacevole e non subiscono la dannazione a crescere, a mio parere non si diceva esattamente la verita'. Le cooperative gestite da donne talvolta non crescono per le medesime paure che hanno i soci delle cooperative maschili ad aprirsi ad esperienze diverse. Le donne temono di aprirsi ad altre donne, in quanto in strutture di dimensioni contenute esistono equilibri e modi di interazione oramai assestati e funzionanti. Questa, tutto sommato, non e' una considerazione molto positiva; non e' un atteggiamento fecondo il non regalare l'esperienza della propria piccola cooperativa e la nostra felicita' ad altre donne, spesso a causa della pigrizia e del non volersi mettere in discussione. - Anna Bravo: Probabilmente esistono anche elementi di attaccamento all'esistente. Sono molte le paure di fronte alla novita'. E' una reazione riscontrabile sia tra le donne che tra gli uomini, con probabile prevalenza delle prime. Mi domando spesso se, in una societa' caratterizzata dall'individualismo acquisitivo, dove si ambisce a possedere sempre piu', la scelta migliore non sia proprio quella di rimanere in una dimensione che riusciamo a padroneggiare. Non tutto quello che porta ad ingrandirsi e al progresso e' bene; non tutto cio' che va avanti e che e' innovativo contribuisce a rendere la vita piu' piacevole. Ad esempio, gestire una grande cooperativa riduce il tempo libero perche', per sottostare alle leggi di mercato e del lavoro, si e' costretti a ritmi di vita frenetici. Magari io stessa sono imbrigliata in tali ritmi, ma non fa parte dei miei ideali. Nonostante non vi sia certezza in proposito, probabilmente tale discorso si rivela applicabile sia per gli uomini che per le donne. Credo che l'agire in ottica conservativa di cui si e' discusso poc'anzi, in determinate fasi rappresenti una soluzione migliore rispetto al perseguimento dell'innovazione. * - Caterina Soffici: A mio parere si puo' evidenziare un ulteriore aspetto. I rapporti, sia quelli personali che quelli sociali, tendono a irrigidirsi. Una volta trovato uno status quo soddisfacente viene a cessare lo stimolo al cambiamento. E' un rischio sempre presente: si pensi ad esempio alle forme di flessibilita' del lavoro che potrebbero essere introdotte in determinate realta', ma che molto spesso non sono attuate a causa del permanere di un irrigidimento, talora ideologico, che impedisce di riconoscere le opportunita' offerte dalla novita'. Cio' vale particolarmente per le donne, per le quali costituirebbero unicamente un vantaggio. In un'intervista con l'allora ministra per le pari opportunita', l'onorevole Prestigiacomo, si discusse del tema del part-time, chiedendosi il perche' di una cosi' marcata richiesta di tale regime di lavoro da parte delle donne. Nel part-time si ravvisa una logica simile a quella delle piccole cooperative, permeata dal desiderio di prendersi cura della famiglia, dei figli, degli anziani. La ministra affermo' di non aver mai proposto l'introduzione del part-time obbligatorio per le donne che ne fanno richiesta, a causa delle rigidita' dimostrate proprio dai gruppi di sostegno delle donne, anche femministi, che argomentavano che la scelta di un regime di orario ridotto si sarebbe riflessa in un blocco delle possibilita' di carriera. E' del resto innegabile che il ruolo, per ipotesi, di amministratore delegato, non e' compatibile con un orario part-time. Sarebbe auspicabile un avanzamento, anche minimale, nelle relazioni personali, dove l'abbandono dei rigidi schematismi lasci spazio all'instaurarsi di rapporti di fiducia, utili a migliorare sia le condizioni di vita delle donne che le relazioni in generale. * - Intervento dal pubblico: Frequentemente il restare piccoli rappresenta effettivamente una scelta. Personalmente preferisco vedere l'aspetto positivo di mantenere una dimensione ridotta, anziche' credere che cio' denunci il persistere di paure di crescere: riconosco invece in tale scelta il desiderio di avere tempi diversi e di resistere rispetto a tutti i meccanismi, anche informatici, che finiscono con lo slegare dalle persone. A livello di aneddoto, io sono in lotta costante con la mia banca, che insiste affinche' io utilizzi i bonifici bancari per effettuare i miei pagamenti: mentre io preferisco raggiungere la banca a piedi, perche' quel tratto di strada mi consente di vedere delle persone, di vedere chi e' morto e chi si sposa; e' un aspetto importante della mia vita che sento di aver recuperato. Occorre resistere per ottenere le cose di cui lei parlava poc'anzi. Nonostante mi renda conto che affermare che "piccolo e' bello" sia banale, essendo una donna che ha vissuto il '68 e che lavora da sempre, la mia scelta di condurre un'attivita' di piccole dimensioni mi soddisfa e mi induce a incoraggiare le altre donne a sviluppare le potenzialita' che gli uomini non possiedono. Ho una concezione molto diversa da quella femminista, che risiede nel differente approccio riguardo ai temi del lavoro e del recupero del tempo; da una prima posizione teorica ho avuto il coraggio di sperimentare il lavoro in piccolo. La tentazione di ingrandirsi porta a vivere il lavoro in una maniera del tutto diversa, anche a livello di relazioni. Nel piccolo c'e' piu' tempo per una vita di comunicazione; a livello personale, essendo cresciuta in un cortile, posso dire di aver sperimentato la vita di relazione di cui le persone abbisognano. Cio' mi ha aiutato moltissimo a non sentirmi mai sola. La societa' odierna conduce al consumo sfrenato e all'annientazione e il resistere a questa tendenza rappresenta un'esperienza bellissima. Incoraggio le donne giovani, affinche' possano arrivare alla mia eta' nelle mie condizioni. * - Intervento dal pubblico: A suo giudizio, un sistema federalista e' in grado di migliorare i rapporti a livello sussidiario, ad esempio investendo nelle relazioni tra culture, elemento che condurrebbe ad una maggior unione, senza l'erezione di barriere? Sarebbe trasferibile in Italia il sistema federalista vigente negli stati del Nord Europa? - Anna Bravo: Io ritengo che, a certe condizioni, quello sia un sistema molto positivo. La prima condizione necessaria e' che, invece di muri, si costruiscano ponti. Quest'ultima affermazione e' di Alexander Langer, nato a Bolzano e che ambiva a costruire ponti tra comunita', anche di lingue diverse. Tutti gli atti amministrativi, quali il doppio censimento sudtirolese in cui bisogna dichiarare la propria appartenenza etnica italiana o tedesca, benche' appaiano formalita' puramente burocratiche, rappresentano in realta' forti elementi di divisione all'interno di una comunita'. Aspetto importante delle culture locali e' la valorizzazione della tradizione, che spesso e' totalmente inventata. Il libro di Hobsbawm dal titolo L'invenzione della tradizione (7) descrive come molte delle tradizioni britanniche siano in realta' inventate e dirette a scopi politici. In Italia, del resto, si e' inventata la tradizione del "dio Po". Questi sono strumenti di lotta politica. Indubbiamente la decentralizzazione e' un obiettivo da perseguire, ma e' necessario che a livello locale vi sia chi si occupa di gettare ponti; l'erezione di muri comporta il sempre maggior restringimento delle comunita', in una spirale che conduce ad una frammentazione radicale nei popoli. Sono situazioni queste, che dipendono molto dalle classi politiche locali e non solo dalle persone. * - Caterina Soffici: Ringrazio Anna Bravo per il suo interessante contributo e tutti voi per l'attenta partecipazione e vi auguro buona giornata. * Note 7. Hobsbawm E., Ranger T., L'invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987. 2. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: LAICITA' DELLE DONNE E SPAZIO PUBBLICO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo, dal titolo "Laicita' delle donne e spazio pubblico", apparso su "Queer", inserto del quotidiano "Liberazione" del 6 aprile 2008. Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista, impegnata nei movimenti per la pace e i diritti] La societa' attuale appare percorsa dal fenomeno religioso, cio' che rende necessario porsi interrogativi sulla forma di laicita' piu' adeguata al desiderio di liberta' nello spazio pubblico che molte/i ancora nutrono. Gli interrogativi dovranno essere posti, in particolare, "sull'antica alleanza fra religione e autorita', cio' che solleva la questione seria della fonte autoritativa dei nostri 'valori' tradizionali, delle nostre leggi, dei nostri costumi e dei nostri criteri di giudizio, che per tanti secoli sono stati consacrati dalla religione..." (Hannah Arendt, "Religione e politica", in Archivio Arendt 2, Feltrinelli). La forma di laicita' che ci interessa e' quella che si incardina sul principio secondo cui la societa' politica deve garantire la liberta' di tutti senza discriminare o privilegiare nessuno, favorendo un confronto critico fra differenze, impostando il dibattito pubblico su posizioni e visioni differenziate che interagiscono senza pretese di superiorita' indiscusse, basate su valori trascendenti, a connotazione imperiale. Questa impostazione mi sembra possa aiutarci ad affrontare il nodo cruciale dell'autodeterminazione e della responsabilita' individuale, in opposizione al principio di autorita', assai praticato, attualmente, dagli esponenti di elites che esercitano un potere in larga misura sottratto al popolo sovrano. La struttura gerarchica del sistema politico (tuttora patriarcale, malgrado qualche spostamento e qualche modesta scalfittura inflitta dal femminismo all'ordine simbolico) accetta di buon grado il collegamento con i depositari di verita' dogmatiche superiori ai quali puo' riferirsi riproducendone (in miniatura?) la qualita' di depositario di deleghe conferite una volta per tutte in modo acritico. La consegna a pochi del potere decisionale determina l'appropriazione privata della democrazia e si traduce in una rapina di soggettivita' per quanto riguarda le donne, consegnate ad un clima sociale che normalizza esclusione, chiusura in fortini familistici, esercizio autorizzato di violenza. Tale considero l'offensiva della gerarchia ecclesiastica e dei cosiddetti "devoti" che, a vario titolo, dettano la propria agenda alle istituzioni dello Stato, rivolgendosi principalmente contro l'autogoverno e la responsabilita' di ciascuna donna sulla propria vita. * E' stato giustamente rilevato che la difesa della laicita', del modello che consente liberta' e tensione all'eguaglianza nello schema di una democrazia critica, e' interesse precipuo delle donne perche' le imposizioni delle autorita' vaticane e statali riguardano principalmente la sfera dei rapporti uomo-donna, dei rapporti sessuali, della famiglia tradizionale eterosessuale e si indirizzano soprattutto a contrastare la signoria di ciascuna sul proprio corpo. Questo perche' la societa' italiana, plasmata sulla dottrina cristiano-cattolica e in particolare sul culto mariano, trova il suo perno nel modello di famiglia in cui il potere materno opera nell'interesse esclusivo del figlio fino al sacrificio di se', in una dedizione oblativa che finisce con l'estendersi in favore di ogni singolo componente e della istituzione nel suo complesso. Inoltre, proposta come modello all'imitazione la vergine-madre, il sacrificio di se' per il bene del figlio e la maternita' diventano scelte obbligate (v. Luisa Accati, Scacco al padre, Marsilio). In questa situazione, il senso della propria dignita' di persone, la consapevolezza della propria responsabilita' di soggetti inseriti in un contesto deliberativo pubblico allargato, sfumano e si assiste ad una scena pubblica in cui istituzioni statali e vaticane disquisiscono su famiglia, controllo delle nascite, fecondazione in un dialogo omosessuale maschile che vede le donne emarginate dal livello politico decisionale e dalla comunicazione mediatica. Con evidente compromissione anche dei fondamenti del nostro ordine costituzionale, con pericolo grave per gli assetti democratici che guadagnano esistenza solo salvaguardando principi quali l'autonomia personale, il rispetto delle convinzioni altrui, la garanzia della qualita' della vita. Un attacco grave alla liberta' individuale e all'autonomia della sfera deliberativa e' in atto da tempo (nelle titubanza imbarazzata di molti politici) attraverso il corpo delle donne e la negazione della loro autodeterminazione riproduttiva, per esemplificare, con la priorita' conferita alla vita dell'embrione attraverso la legge 40, l'aborto parificato all'esecuzione capitale (detto anche infanticidio in spregio al codice penale) o addirittura definito come genocidio impunito di cui si chiede la moratoria. L'occhio pubblico invade gli individui, controlla e costringe la liberta' di scelta di ognuno, fa del concepito e della sua vita materia di pubblico dominio. * Qui ripropongo un quesito, secondo me, importante e poco esplorato: esso riguarda le ragioni della difficolta' della legge a contenere i corpi e a risolvere, con apposita regolamentazione, il conflitto di sesso sulla riproduzione. In particolare, alcune disposizioni sollecitano interrogativi su legge e corpo. Si potrebbe sostenere che il corpus legislativo non preveda il corpo sessuato. Nel libro primo che tratta delle persone, il nostro Codice civile si limita a vietare, con prescrizione sobria, gli atti di disposizione del corpo che cagionino una diminuzione permanente dell'integrita' fisica. Il diritto appare complessivamente fondato sulla presupposizione dell'assenza dei corpi (sessuati), formula regole generali e astratte che compiono un percorso immediato dal soggetto apparentemente neutro/astratto (il legislatore) alla generalita' dei soggetti regolati. Il soggetto legislatore (maschile) apparentemente astrae dal proprio corpo/mente per dettare la norma universalmente valida. In realta', e' la volonta' che nasce dal suo corpo/mente quella che conforma la regola, mentre la donna vi e' regolata. Non a caso un corpo compare a piu' riprese nella legge per esservi normato: il corpo femminile. Ma il legislatore, per normarlo, viola i principi cardine dell'ordinamento da lui stesso costruito. * Una santa alleanza fra esponenti di istituzioni a prevalente o esclusiva composizione maschile (maggioranze parlamentari italiane e gerarchie vaticane) ha prodotto, in tempi passati e recenti, regole sul corpo femminile che violano in modo palese persino le previsioni della nostra legge fondamentale: gli artt. 2, 3, 32 e 33 della Costituzione. Il progresso scientifico, il prodotto della ricerca scientifica ha reso possibile l'uso di nuove tecnologie riproduttive che, pero', non sono rese disponibili per ampliare, con nuove possibilita' di scelta, gli spazi della deliberazione autonoma e della responsabilita' individuale (ratio sottostante l'art. 33 Cost.). Non hanno reso possibile una migliore tutela del diritto alla salute (art.32 Cost.) determinando un ampliamento delle possibilita' di scelta individuale, ampliando la tutela dei diritti fondamentali del soggetto femminile; hanno, al contrario, causato una grave lesione dei diritti individuali e della sfera privata attraverso la negazione della liberta'/responsabilita' della donna, operata principalmente e dichiaratamente attraverso la legge 40/2004 sulla Pma, ma anche attraverso la reinterpretazione attuale della troppo lodata legge 194/1978 che contiene in se', a parere di molte, tutte le premesse per una lettura regressiva e anticostituzionale delle sue disposizioni. * Iniziando dalla piu' esplicita legge 40/04, due aspetti interconnessi la rendono inquietante: la soggettivita' giuridica dell'embrione, strumentale alla negazione di liberta'/responsabilita' riproduttiva femminile e la correlata unicita' del modello famigliare-genitoriale che viene imposto. Il senso del complesso normativo appare quello di ridurre, nuovamente, il rapporto fra i sessi ad uno scambio impari, avente ad oggetto il corpo della donna, contraddicendo ogni elaborazione di diritto asimmetrico, ma non diseguale. In effetti, questo disegno si manifesta fin dal primo articolo che proclama la volonta' legislativa di "assicurare i diritti del soggetto concepito". In tal modo e per la prima volta, il concepito-embrione diviene soggetto giuridico e si palesa nel sociale come centro di imputazione di diritti prioritari, potenzialmente confliggenti con quelli della madre, in contrasto con i principi attuali del nostro ordinamento che riconosce alcuni diritti solo al momento della nascita. Del resto, negli ordinamenti moderni e' soggetto giuridico il soggetto psico-corporeo dotato (potenzialmente) di raziocinio e volonta', capace di comportamenti di cui e' responsabile. Solo questo soggetto e' persona, essere umano in quanto membro della societa'. E' chiaro, allora, che la finzione giuridica di considerare soggetto di diritto un essere non dotato di esistenza autonoma, implica la necessita' di un suo rappresentante, sociale, terzo rispetto alla donna, un curator ventris destinato a rapportarsi al concepito attraverso il corpo della madre, funzionalizzato a supposti diritti non suoi propri. Se l'embrione e' soggetto dotato di diritti autonomi e indipendenti dai diritti della donna, allora quest'ultima diviene soggetto-assoggettato a fini non suoi, incapace di liberta' di scelta e di responsabilita' rispetto al proprio progetto di vita. Altro aspetto negativo e' la conferma legale dell'assenza di pluralismo nel diritto di famiglia che connota, per obbedienza ecclesiastica, per amore del principio di autorita', il nostro Paese e lo conduce a negare tutele anche minime alla coppie di fatto, a negare loro la possibilita' di adozione, a negare le unioni omosessuali; una situazione che riverbera effetti negativi e condiziona il grado di liberta' delle donne in famiglia e nella societa'. * Anche nella formazione della legge 194/78 la dottrina cattolica ha proiettato ombre pesanti. Come noto, fu necessario negli anni Settanta del secolo scorso intervenire sul Codice Penale che prevedeva l'aborto fra i reati "contro la stirpe". L'iter prese avvio da una sentenza della Corte Costituzionale (18.2.1975 n. 27) che statui' la legittimita' dell'aborto affermando prevalente la salute e la vita della donna sulla vita del nascituro. La dottrina cattolica, al contrario, propugnava il concetto per cui la madre aveva il dovere di esporsi al pericolo di vita in favore del nascituro. A seguito della raccolta di 550.000 firme per il referendum abrogativo del reato di aborto, fu promulgata la legge 194/78 che aveva anche il segnalato scopo di evitarlo e che, di fatto, mantenne il reato di aborto per le interruzioni di gravidanza operate al di fuori delle strutture pubbliche (o accreditate) e delle procedure previste. L'impianto di questa legge risente, quindi, della valenza negativa attribuita all'interruzione di gravidanza, in omaggio all'idea cattolica della sessualita' femminile unicamente volta alla maternita'. In effetti, il primo articolo ribadisce questo valore e dichiara la finalita' di tutela della vita umana fin dal suo inizio (non la qualita' ma la pura esistenza). Anche i successivi articoli (2-5) si conformano a questa ideologia, sottolineata nella relazione di maggioranza alla legge, mediante la previsione di consultori che intervengano sulla gestante in difesa della gravidanza. Attraverso una procedura complessa si produce una situazione di controllo pubblico non solo sulle modalita' dell'intervento (caso unico nel panorama legislativo conosciuto) ma anche sui motivi stessi che legittimano la richiesta. In piu', la legge contiene al suo interno una clausola, per cosi' dire, di dissolvenza che ne consente la disapplicazione: la previsione della possibilita' di obiezione di coscienza dei sanitari, anche di quelli addetti alle strutture legittimate in via esclusiva alla interruzione della gravidanza. La legge fa dipendere dallo Stato la pratica dell'aborto: l'intervento non puo' essere eseguito in strutture private, costituisce reato. Inoltre, la legge medicalizza l'intervento, ma, contemporaneamente, concede ai medici il potere di astenersi dal fornire la relativa prestazione. Un complesso normativo con pecche evidenti rispetto all'etica costituzionale, recuperato alla civilta' giuridica da una prassi interpretativa spesso (ma non sempre) piu' aderente ai principi fondamentali dell'ordinamento. * Come e' noto, le interpretazioni risentono dell'aria dei tempi e oggi nel nostro Paese si sta facendo un uso retrogrado delle credenze religiose, un uso diretto a creare dipendenza e sudditanza soprattutto a carico delle donne, con la pericolosa tendenza a trasferire il dogma religioso nelle leggi dello Stato. Occorre contrastare questa deriva che, servendosi dell'immaginario religioso, finisce per bloccare la liberta' e la crescita democratica; occorre ribadire che nessuna volonta' esterna - fosse anche quella della stragrande maggioranza dei consociati - puo' soverchiare quella degli interessati: il governo del corpo e della vita appartiene alla libera determinazione di ciascuno. Per questo la laicita' e' dovere e interesse delle donne, agente di civilizzazione della societa' nel suo complesso perche' strumento atto a garantire ognuna/o nell'unicita' della sua liberta' e responsabilita' verso se stessa/o e verso tutti gli altri. 3. LIBRI. MARIA PIACENTE PRESENTA "DOPO LA SOLITUDINE" DI BARBARA MAPELLI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione tratta dalla rivista "Pedagogika", anno XII, I, 2008. Maria Piacente e' direttrice della bella rivista "Pedagogika". Barbara Mapelli e' nata a Milano l'8 settembre 1947, sposata e madre di un figlio, svolge da anni attivita' di progettazione formativa e ricerca sociopedagogica, con particolare attenzione alle tematiche di genere; in questo ambito ha partecipato e diretto la progettazione e realizzazione di ricerche e iniziative di formazione italiane ed europee. Insegna Pedagogia della differenza di genere presso la seconda Universita' di Milano-Bicocca. Ha collaborato con il Ministero pari opportunita', divisione scuola e cultura, ha fatto parte per dieci anni del Comitato pari opportunita' del Ministero pubblica istruzione e ha diretto, dal 1987 al 2000, l'area di ricerca Genere e educazione presso il Cisem (Istituto di ricerca della Provincia di Milano). Fa parte della redazione della rivista "Adultita'" e su questa ed altre riviste specializzate ha pubblicato articoli e saggi; collabora a numerose riviste di pedagogia e ha diretto la progettazione e realizzazione di video didattici sulle tematiche oggetto delle sue ricerche. Tra le pubblicazioni di Barbara Mapelli: Immagini di cristallo. Desideri femminili e immaginario scientifico, Milano, 1991; Un futuro per le ragazze. Manuale di orientamento al femminile, Firenze,1991; Sentimenti, gesti, parole, Milano, 1992; I modelli e le virtu', Milano, 1994; Desideri e immagini di futuro, Milano, 1994; Care, carissime donne, Roma, 1995; Tra donne e uomini, Milano, 1997; Educare alla sessualita', Firenze, 1998; Il libro della cura, Torino, 1999; Scuola di relazioni, Milano, 1999; Cuore di mamma, Milano, 2000; Orientamento e identita' di genere, Firenze-Milano, 2001; Dopo la solitudine. Pedagogia narrativa tra donne e uomini, Mimesis, Milano 2007] "Specchi in metallo, mascherato specchio di mogano che sfuma nella bruma del suo rosso crepuscolo quel volto che guarda il volto che lo sta guardando..." (Jorge Luis Borges) Il testo affronta, attraverso la lettura della figura del Doppio con riferimento alla sua storia antica e mitica, il complesso divenire degli uomini e delle donne che insieme costruiscono relazioni amorose, amicali, sororali. Barbara Mapelli sa tessere attraverso i racconti dei grandi della letteratura, e delle interpretazioni che ne da' la psicoanalisi, trame assai suggestive che, con pudore, disvelano il dolore e il sacrificio del Doppio: l'immagine del soggetto che si duplica e si rispecchia in se stesso, fuggendo le relazioni reali, come modalita' soprattutto maschile. L'autrice, all'interno di una vasta ricerca letteraria, fa dialogare con scioltezza molti personaggi: da Sofocle a Shakespeare, dalla Woolf a Maria Zambrano, da Paul Ricoeur a Remo Bodei, da Etty Hillesum a Carla Lonzi, per citarne alcuni. Un ricco saggio, che quasi si tramuta in romanzo per le suggestioni e per le "visioni" attraverso le quali Mapelli conduce le lettrici ed i lettori dentro le stanze dei quattro capitoli: "Il doppio e la negazione dell'amore"; "L'uomo duplicato, il desiderio, la morte e la follia"; "Storie di coppie, sorelle e fratelli, allievi e maestri, mogli e mariti"; "Verso un altro mondo". Quello che emerge e' un quadro composito, denso, emotivamente coinvolgente e ad alta valenza pedagogica per tutti i giovani e le giovani, gli uomini e le donne, impegnati nelle relazioni, nella complessita' della vita e, quindi, interessati a cio' che conta davvero. Certo e' importante quali occhiali si indossano, perche' tutte le luci emanate dalle molteplici sfaccettature che le relazioni possiedono possano riverberarsi, pena l'avanzare ingigantito del Doppio dolente. E Barbara Mapelli ci mette in guardia per rintracciare, dentro di noi, le gesta distruttive del proprio se' e dell'altro, in quell'anelito testardo che cerca, nel ritorno alla propria madre, l'idillio dentro il quale vivere e compiacersi. Ora il Doppio, il desiderio di riflettersi in specchi che rimandano solo rassicurazioni, ingigantendo sempre piu' narcisisticamente il proprio io, costringe l'uomo ad autoconfinarsi in territori certo sicuri, ma pieni solo di aridita' e tristezze. La conoscenza di se', che solo in rapporto agli altri puo' disvelarsi, non puo' avere luogo se all'altro interlocutore e' negato il proprio riconoscimento. L'altro, che altera la mia alterita' e con il quale devo pur fare i conti, rimane altrimenti su uno sfondo infecondo, arido e piatto. Gli uomini che si circondano di donne, con le quali relazionarsi per rispecchiarsi solo entro i confini delle loro sicurezze, stanno ancora cercando quel rapporto esclusivo materno, un Doppio che rimanda quella che loro considerano la "giusta luce", una identificazione ed un amore che non si discosta da quell'idillio primigenio. Il rapporto con le donne che "costringono" con la loro alterita' a riflettere un'immagine dell'uomo che non corrisponde a quell'ideale dell'io, nel quale lo stesso si riconosce, mette profondamente in crisi il soggetto, che cosi' rifugge la relazione rifugiandosi in una solitudine emotiva che lo abita, generando insoddisfazione e dolore. E proprio rispetto al Doppio, il femminile ed il maschile ancora si differenziano per quella incapacita' che gli uomini hanno di convivere con la mancanza, quella capacita' generativa, per ora privilegio femminile. Ma con la conoscenza ed il sapere possiamo, forse, distaccarci da quel "sogno d'amore", dalle nostre Grandi Madri e pensare nuovi mondi. Si tratta dell'avanzare di "nuove Antigoni" che ancora con coraggio contrastano Creonte per generare insieme agli uomini. Mondi nuovi, oltre le Solitudini, almeno per pronunciare con l'autrice la frase messa in esergo alla sua introduzione: Todo futuro es fabuloso. Favoloso! ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 175 dell'11 aprile 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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