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Minime. 402
- Subject: Minime. 402
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 22 Mar 2008 00:40:43 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 402 del 22 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: Tibet. Gli imperi crollano, ma il Budda rinasce 2. Peppe Sini: Ogni giorno 3. Votare 4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 5. Maria G. Di Rienzo presenta il suo romanzo "Il giudizio di Morna" 6. Letture: Umberto Eco, A passo di gambero 7. Letture: Masters. Vita, poetica, opere scelte 8. Riletture: Fritjof Capra, Ecoalfabeto. L'orto dei bambini 9. Riletture: Silvia Vegetti Finzi e Anna Maria Battistin, I bambini sono cambiati 10. Riedizioni: Jean Berenger, Storia dell'impero asburgico 11. Riedizioni: Stephen Jay Gould, Quando i cavalli avevano le dita 12. Riedizioni: Luciano, Opere scelte 13. Riedizioni: Antonio Martelli, La lunga rotta per Trafalgar 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: TIBET. GLI IMPERI CROLLANO, MA IL BUDDA RINASCE [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007] Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, e' la guida politica e spirituale del popolo tibetano. E' uno dei pochi statisti al mondo che si ispira alla nonviolenza. E' un capo di stato che vive in esilio a Dharamsala, in India. Non ha esercito. La sua forza e' nella preghiera. I suoi "soldati" sono i monaci buddisti. A lui e' affidato il passato e il futuro del Tibet, la religione, la cultura, le tradizioni, l'integrita' fisica. Per questo si muove da sempre con molta saggezza e prudenza. La Cina e' una potenza militare ed economica, e certamente il piccolo Tibet non puo' competere su questi piani. Diversa, dunque, deve essere la strategia per evitare lo scontro diretto e la sconfitta sicura. Il Dalai Lama ha dovuto trovare uno spiraglio per mantenere aperta la possibilita' di mediazione ("la bellezza del compromesso", come diceva Gandhi). Ha rinunciato all'impossibile idea di indipendenza. Ha elaborato proposte di autonomia per salvare la lingua, la liberta' religiosa, le tradizioni buddiste. Ha cercato solidarieta' per la causa del Tibet girando in tutto il mondo per far conoscere il messaggio buddista, ha lavorato per la comprensione e il dialogo fra le religioni, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1989, ed e' riuscito in pochi anni ad ottenere rispetto e simpatia a livello internazionale; nel contempo il Dalai Lama doveva trovare il modo di non costringere i paesi disponibili alla sua causa a mettersi contro la Cina, il cui potere di minaccia e di ricatto economico e' enorme. Non doveva nemmeno mettere in difficolta' l'India, paese che lo ospita e che e' in competizione di crescita con Pechino. Una posizione di equilibrio difficile da trovare e da mantenere. Forse in questa luce vanno lette anche le discutibili parole del Dalai di comprensione per la bomba atomica indiana, e i giudizi moderati sulla politica estera americana dopo l'11 settembre. Nelle stesso modo vanno interpretati gli altalenanti rapporti fra il Vaticano e il governo in esilio del Tibet. Nonostante questa politica accorta e prudente, la Cina non ha mai smesso di individuare nel Dalai Lama un pericolo per la propria immagine rampante, e nel Tibet una ferita aperta da normalizzare. La Cina mostra una chiusura totale e considera il Tibet come una qualsiasi provincia, negandone la storia e la specificita'. Qualsiasi tentativo di affermare la diversita' del Tibet viene considerato un attacco all'integrita' della Cina, e represso duramente. E' quello che sta avvenendo in questi giorni. Non sapremo probabilmente mai la vera entita' del massacro in atto, che avviene senza testimoni, in una dittatura militare che non conosce la liberta' di stampa. In Tibet sta emergendo anche un'opposizione radicale, non piu' disposta ad accettare la via nonviolenta di pazienza e mediazione indicata dal Dalai Lama. Probabilmente si tratta di spinte estreme, esasperate, fuori dalla tradizione religiosa tibetana, gruppi che facilitano il compito ai provocatori e infiltrati cinesi. In questa difficile situazione il Dalai Lama ha fatto sapere della sua volonta' di lasciare: "Se la situazione finira' fuori controllo, allora la mia unica opzione sara' rassegnare completamente le dimissioni". E' una posizione limpida, di chi fa sapere che si puo' e si deve mediare su tutto, ma non sull'opzione nonviolenta. Il Tibet ha legato la sua esistenza alla nonviolenza; non come "nonviolenza del debole" (chi subisce senza reagire perche' non ha la forza e gli strumento per farlo), ma come "nonviolenza del forte" (la scelta della nonviolenza attiva come mezzo e come fine). I monasteri buddisti sono luoghi di formazione e addestramento ad una nonviolenza disposta al sacrificio estremo per rimanere nella strada della verita'. La nonviolenza del Tibet e' anche un progetto per il proprio futuro, basato sul rispetto dei cicli naturali, e quindi a basso consumo, piu' attento al progresso spirituale che a quello tecnologico. Il vero scontro in atto e' quello fra due visioni diverse del mondo. Da una parte il modello cinese (centralismo politico, potenza militare, sviluppo economico, crescita dei consumi, ricchezza energetica), dall'altra quello tibetano (autonomia regionale, sobrieta', spiritualita', cultura e tradizioni, primato religioso). La forza cinese e' quella dell'economia; la forza tibetana e' quella della preghiera. La potenza cinese e' quella militare; la potenza tibetana e' quella nonviolenta. Sappiamo che gli imperi crollano, ma il Budda rinasce. 2. EDITORIALE. PEPPE SINI: OGNI GIORNO Ogni giorno giungono notizie di stragi in Afghanistan. A volerle sapere, queste notizie. Ad andarsele a cercare tra le "brevi" delle agenzie internazionali (in Italia le riporta quasi solo "Peacereporter" (www.peacereporter.net) e a seconda dell'ora - nell'accumulo di altre tragiche notizie di catastrofi da ogni dove provenienti - non appaiono neppure nell'home page del sito, ma devi andare a ritrovarle tra tutte le "brevi" del giorno). Di queste stragi anche l'Italia e' responsabile, anche noi cittadini italiani. * Sono le stragi della guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, cui anche le forze armate del nostro paese stanno partecipando; sono le stragi di una guerra e di un'occupazione militare straniera e di un "grande gioco" onnicida e di una conseguente barbarie (una barbarie accuratamente promossa e scrupolosamente organizzata ed utilissima ai signori della guerra, utilissima ai signori della droga, a livello locale e globale; utilissima al terrorismo di stato o di setta di tutte le mafie assassine), una mattanza che li' perdura da decenni e cui anche l'Italia da anni ormai prende scelleratamente parte. Sono le stragi di cui sono colpevoli anche tutti i governi italiani delle ultime due legislature e tutti i parlamentari che a favore della guerra e dei massacri hanno votato negli ultimi sette anni, in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale del nostro paese. Sono le stragi in considerazione delle quali i governanti che ne sono corresponsabili, i parlamentari che ne sono corresponsabili, i partiti politici che ne sono corresponsabili, e tutti i candidati che nelle liste di quei partiti si presentano, non devono essere votati, poiche' votare per gli stragisti, massime mentre le stragi continuano, significa farnese complici. E mi chiedo con quale faccia di bronzo politicanti stragisti e partiti stragisti - dall'estrema destra fino alla ex-sinistra che ha governato nell'ultimo biennio - ancora si presentino alle elezioni e chiedano un voto, il nostro voto, per uccidere le noste sorelle ed i nostri fratelli, per uccidere noi stessi. E mi chiedo quale profonda perversione deve essersi data nel comune sentire del nostro paese perche' a vedere e quindi a dire questo cosi' flagrante orrore sia quasi solo questo foglio. 3. LE ULTIME COSE. VOTARE Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ma solo per quelle liste di sinistra (a sinistra della ex-sinistra che ha governato negli ultimi due anni in pro del razzismo e della guerra) promosse da persone che alla guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, costantemente si siano opposte - e che candidino in testa di lista persone oneste (ripetiamolo: persone oneste, che e' merce assai rara, e quindi vieppiu' preziosa, nel desolato panorama del ceto politico consolidato e in formazione, e di quella autoproclamata societa' civile le cui nequizie sono legione) e che negli scorsi anni non siano state complici dei razzisti e dei bellicisti, del regime della corruzione, della devastazione della biosfera, del femminicidio. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ma contro sfruttamento, inquinamento e guerra; contro il crimine; contro la disumanita'. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, per affermare che ad ogni essere umano tutti devono essere riconosciuti i diritti umani; per affermare che questa terra e' l'unica casa comune che abbiamo e chi la devasta e' un criminale e un insensato cui non puo' essere affidato il governo della cosa pubblica; per affermare - se e come possible - la proposta politica della nonviolenza, il suo arduo necessario cammino. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, contro la guerra frusta e mannaia e fornace divoratrice dei popoli e delle parsone, contro il razzismo che in mille modi si traveste, contro il populismo che e' il contrario della democrazia, contro il totalitarismo che continuamente risorge a distruggere anime e vite e societa', contro il fondamentalismo che nega l'altrui verita'. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, per la democrazia, per la legalita' costituzionale, per le antiche virtu' repubblicane, per l'internazionale futura umanita' - gia' presente, gia' compresente. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, valutando e scegliendo con oculatezza, con piena coscienza, con responsabilita'. Ogni persona con la propria testa, ogni persona con la propria storia, ogni persona con la propria cultura. * Votare certo occorre alle prossime elezioni di aprile, ad esempio in Veneto per Michele Boato, uno dei tre promotori dell'appello "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". 4. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo e diffondiamo] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il codice fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento ed in particolare per rendere operativa la "Casa per la pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni con coerenza lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * P. S.: se non fai la dichiarazione in proprio, ma ti avvali del commercialista o di un Caf, consegna il numero di codice fiscale e di' chiaramente che vuoi destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per ulteriori informazioni e contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5. LIBRI. MARIA G. DI RIENZO PRESENTA IL SUO ROMANZO "IL GIUDIZIO DI MORNA" [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il testo di questo suo intervento a un incontro di presentazione svoltosi nel settembre 2007 del suo romanzo Il giudizio di Morna, Stelle Cadenti, 2007. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Con Michele Boato e Mao Valpiana ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?". Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] Il libro in questione, un romanzo breve, e' una fiaba con tracce di tecnologia, science-fantasy direi, perche' le atmosfere ricordano piu' la fantasy che la fantascienza, ma quando ci sono alieni, altri pianeti, eccetera la classificazione usuale e' fantascienza. Qualcuno pensa sempre che scrivere all'interno di un genere sia piu' facile rispetto a quella che viene definita "vera" (virgolette) letteratura, ma onestamente io non ho mai trovato nulla di quel che ho letto che non potesse essere classificato in un genere o un altro. Dal romanzo storico a quello d'azione, dal giallo al rosa, dal saggio al libello, si tratta solo di che scatola di attrezzi decidi di usare: se poi li userai bene o male quello e' un altro discorso. Nessuno si sognerebbe di dire che Mary Shelley, la creatrice di Frankenstein, o George Orwell, o Verne, o Butler, o Vonnegut o Tolkien siano autori da poco perche' hanno prodotto le loro opere migliori all'interno dei generi fantasy e fantascienza. Allora, questa classificazione, le convenzioni relative a questo genere, sono, per me che scrivo, semplicemente l'attrezzatura che sto usando per dare forma a quel particolare tipo di storia. Ho qualcosa da costruire e decido che quella scatola di attrezzi e' per me il modo migliore di farlo. Inoltre, personalmente, per me sarebbe molto piu' facile scrivere nel tempo presente della situazione presente: dello scenario non sarei costretta a spiegare quasi nulla al lettore, mentre, se decido di inventare un paio di altri mondi, devo inserire nella narrazione tutte le informazioni utili affinche' il lettore vi si trovi a proprio agio, e devo farlo senza intaccare il ritmo della storia, presentandole in modo che non appesantiscano la narrazione, eccetera. Quello che intendevo costruire, sei anni fa (perche' il libro ha sei anni) con "Il giudizio di Morna" era una doppia riflessione: sull'incontro con le differenze e sul linguaggio, che sono due temi che mi interessano molto. La questione della differenza e' un punto cruciale in molte delle situazioni di crisi che ci troviamo a vivere, nel mondo reale, ma dal punto di vista della scrittura cio' a cui io sono interessata e' quella che definirei "crisi cognitiva", e che si presenta spesso nell'incontro con l'alterita'. I due personaggi principali hanno questo problema: appartengono letteralmente a due mondi diversi, quindi le loro lingue sono diverse (e difatti entrambi spesso non hanno le parole per dire quel che intendono) e sono diverse le metafore attraverso cui interpretano e leggono il mondo. E qui devo fare una piccola digressione dal racconto per spiegarmi meglio. * Come sapete, il cervello umano funziona in due modi: per pensiero logico, categorizzazione, valutazione, e per pensiero analogico, connessione, analogia, metafora. Un buon numero di ricerche hanno confermato che siamo molto veloci e bravi ad usare il secondo tipo di pensiero, spesso piu' di quanto lo siamo nel pensiero logico. Questo nostro pensiero duale, diciamo cosi', e' inserito in cornici culturali: storiche, linguistiche, e cosi' via, e lavora all'interno di schemi. Uno schema e' un codice mentale utile a fornire la rappresentazione delle esperienze, e include regole e categorie che danno "significato" al flusso dei dati sensori. Lo schema non e' la memoria di una specifica esperienza, ma il riassunto e il distillato di molteplici esperienze. Anche non nostre. Alle nostre si sommano quelle che ci sono state raccontate, o che abbiamo visto in tv o letto in un racconto. Gli schemi ci aiutano ad interpretare il mondo in cui viviamo, a dare una nostra teoria sulla natura della realta'. Ogni schema ovviamente enfatizza dei tratti e ne sminuisce altri, costruendo metafore che interpretano la realta' in cui viviamo. In questo processo, la nostra mente, di fronte alla situazione nuova, cerca dapprima un'esperienza identica: se non la trova, ne cerchera' qualcuna che contenga alcuni tratti similari. Se non trova neppure un'esperienza di questo tipo, inventa, ma quest'ultima situazione e' piu' rara. C'e' sempre qualcosa con cui possiamo fare delle analogie. Quando trova l'idea che cerca, la mente la connette alla nuova situazione, e se lo schema suggerisce dei responsi alla situazione, li applichera' quasi istantaneamente, e in modo che diremo "istintivo", anche se e' largamente appreso. Il primo responso nei confronti di ogni cosa nuova che ci troviamo davanti e' in effetti un pre-giudizio, un'opinione priva di conoscenza reale dei fatti. In lingua italiana la parola "pregiudizio" ha una connotazione ampiamente negativa, e viene usata quasi esclusivamente per delineare un'opinione non favorevole. In realta', positivo e negativo sono solo due degli attributi che un pregiudizio puo' presentare, e noi pre-giudichiamo (giudichiamo prima di conoscere) in tutta una serie di situazioni senza che questo comporti necessariamente l'evoluzione del pregiudizio in discriminazione o ricerca del capro espiatorio e cosi' via. Perche' avvenga questo passaggio e' necessaria la presenza di altri fattori, come la pressione sociale, l'adesione stretta ad un sistema ideologico, il timore di essere respinti da un gruppo o catalogati in un altro, eccetera. Il rischio di restare "chiusi" nei pregiudizi aumenta in situazioni di instabilita' (economiche, politiche, sociali), quando perdiamo la fiducia nella nostra capacita' di creare senso, significato, e tendiamo a non lasciare spazio a dati che potrebbero modificare la nostra percezione della realta'. Il giudizio prematuro, se vogliamo chiamarlo cosi', molto piu' spesso e' solo una sorta di "tappa fluttuante" verso la conoscenza, un punto non fisso durante il viaggio che ci conduce all'incontro con l'Altro: qualcosa che crediamo di sapere ma di cui non siamo certi, qualcosa che sappiamo cambiera' quando vi aggiungeremo altri dati. * Nel mio racconto tutto questo e' evidente a piu' livelli: nell'interazione fra i due personaggi principali, un umano e un'aliena che devono entrambi venire in qualche modo a patti con cio' che credono di sapere l'uno dell'altra e viceversa; nella crisi dell'assetto politico del mondo fantastico in cui essi si muovono, in cui svariati altri personaggi si aggrappano ciecamente a cio' che credono di sapere della situazione e precipitano nei propri pregiudizi, oppure accettano la possibilita' di un'interazione con l'alterita', e quindi accettano la possibilita' del cambiamento; ed e' evidente nella stessa percezione del lettore, credo, perche' le persone che io descrivo tendo a renderle il piu' possibile "vere": percio' hanno dubbi, si dibattono in contraddizioni, non seguono percorsi lineari, fanno errori e cosi' via. L'incontro con l'Altro porta inevitabilmente con se' un cambiamento, e accettare questo e' lo scoglio principale oltre cui i miei personaggi devono andare. E credo sia un'esperienza che in molti abbiamo fatto. Solo che in realta', se ci riflettete, il cambiamento e' la chiave della nostra esistenza come esseri umani, e non dovrebbe comportare le overdose di paura che spesso comporta. Nessuno di noi resta uguale a se stesso, giorno dopo giorno, e tutti noi lavoriamo ogni giorno per conseguire dei cambiamenti nella nostra vita. E' anche vero che il cambiamento, anche il piu' desiderato, comporta sempre un certo grado di ansia, di insicurezza, che e' in relazione diretta a quante informazioni abbiamo e a quanto le giudichiamo attendibili. Chiunque abbia avuto un figlio, per fare un esempio, sa di cosa parlo. Un bimbo puo' essere atteso con enorme affetto e desiderio, e in tale attesa pero' vi sono numerose preoccupazioni, dalla piu' banale (sara' sano, andra' tutto bene) alla piu' aleatoria, se volete, che e' "che persona sara'" questa persona nuova, che rapporti avra' con me, e cosi' via. Su questi aspetti noi non abbiamo certezze, e questo ci rende insicuri. La percezione della sicurezza e' in realta', per il nostro cervello, la percezione di un certo grado di "prevedibilita'": ti puo' piacere l'avventura, e incontrare persone nuove, ma vuoi anche sapere che domani il sole si alzera' come tutti i giorni e l'autobus sara' al suo posto alle 8 meno un quarto. * Questa prevedibilita' si sgretola progressivamente, per il protagonista del racconto, mano a mano che il suo viaggio con l'aliena prosegue. L'espediente che muove il racconto, il viaggio appunto, e' uno dei piu' usati, e a me serviva non tanto, o non solo, per descrivere l'ambiente in cui i personaggi vivono, ma soprattutto come pretesto e contrappunto per il viaggio interiore del protagonista. Per narrare la storia, infatti, ho adottato il suo punto di vista. E' il punto di vista di un giovane uomo nato e cresciuto in una societa' pesantemente basata sulla guerra e sull'appartenenza tribale, una societa' che dall'esercizio delle armi deriva gerarchie sociali, rituali, abitudini, modi di rappresentare il mondo. In questo contesto, la cosa piu' importante per lui e' l'onore del guerriero, qualcosa che definisce il suo rango, e il suo posto nel mondo, e che gli e' stato tolto a causa di un errore durante una battaglia. Nel momento in cui lo incontriamo, questo giovane non ha messo in discussione nessuno dei crismi su cui la sua societa' si regge: non ha dubbi, ha accettato persino la sentenza che lo ha ridotto ad uno schiavo, anche se temporaneamente, e spera di aver l'occasione di riguadagnare la propria posizione (giacche' questa e' una possibilita' insita nella sentenza che ha subito). Il problema della comunicazione e' il primo che gli si presenta nel suo incontro con questa persona diversa, totalmente, da lui. Una persona che viene da un altro mondo, la cui forma fisica e' inquietante, ed il protagonista la registra visivamente come una mistura fra umano e animale, e per di piu' questa persona diversa, questa straniera, e' gravata da leggende, miti, e persino da dati storici, che la descrivono come incommensurabilmente malvagia, una distruttrice crudele, un demonio. Questo e' cio' che il giovane uomo sa di lei. Le sue paure, durante l'incontro, sono del tutto giustificate. L'aliena, pero', gli chiede di ascoltare altro. Gli dice piu' o meno: Tu credi di sapere delle cose su di me, ma io voglio darti altre informazioni, se intendi ascoltarle. Il primo passo di una comunicazione efficace, sostanzialmente, e' l'ascolto. E l'aliena mette subito in chiaro anche qual e' il limite della conversazione che si sta dando fra loro, ovvero il fatto che lei si esprime in una lingua diversa dalla propria, quella del luogo in cui si trova, e quindi molti termini, dice, le mancano. * Ora, chiunque fra voi abbia mai appreso un'altra lingua, oltre quella materna, e abbia tentato di tradurre dall'una all'altra, sa che la cosa e' piu' complessa di quel che appare, anche quando le due lingue condividono molti elementi di base, o hanno una comune origine. Non si tratta semplicemente di sostituire delle parole con altre parole ad esse equivalenti, e magari di maneggiare un po' l'ordine degli elementi grammaticali che compongono una frase. Perche' le lingue umane sono il prodotto del desiderio di comunicare all'interno di condizioni specifiche: riflettono sempre, oltre al tentativo di descrivere il mondo, una visione del mondo stesso. I linguisti dicono che il linguaggio umano e' un attrezzo paradossale, ed hanno ragione, se ci pensate: e' una cosa che forma i pensieri e le attitudini nel mentre viene usato per dar loro espressione. Ed e' un attrezzo potente, perche' e' rivestito di enorme e plurima carica simbolica. Non a caso potete esaminare storicamente ogni vicenda che comporti l'occupazione di un territorio da parte di un popolo venuto da fuori, e vedrete che spessissimo una delle prime mosse degli occupanti e' quella di sostituire la lingua locale con la propria. Per farvi un esempio europeo recente, fino agli anni '50 dello scorso secolo era ancora possibile vedere in Francia cartelli con su scritto "E' vietato sputare per terra e parlare bretone". O per andare piu' indietro i bardi gallesi, per quattro secoli a partire dal XV, furono soggetti a pene detentive e pecuniarie, da parte del governo inglese, solo perche' componevano poesie nella propria lingua (e chiunque parlasse gallese era comunque escluso dalle cariche pubbliche). Quando non vogliamo che un soggetto, o un concetto, vengano rappresentati sulla scena pubblica, e quindi abbiano potere, una delle prime cose che facciamo e' cancellarli linguisticamente. Nel dialetto parlato dai talebani non esiste la parola "donna": potete dire di che uomo e' figlia o madre o sorella, e quindi definire questa persona a seconda delle relazioni che ha con un uomo, ma non potete definirla come persona a se' stante, come qualcuno che ha un posto al mondo per il semplice fatto di esistere. * All'inizio vi ho citato Orwell, se ricordate. La prima cosa che lessi di lui fu 1984, credo di aver avuto 15 anni, quindi era un secolo fa... Probabilmente conoscete la storia, che tratta di un futuro in cui sistemi oligarchici e tirannici usano la guerra come sistema per mantenere lo status quo: razionamenti e limitazioni, di risorse e di liberta' individuali, ed una condizione perenne di timore e oppressione, vengono giustificati con il nemico esterno e le dure necessita' del conflitto. 1984 e' un'anti-utopia, un romanzo cupo che ha parecchie scene scioccanti, o "dure", se volete, pero' la scena che all'epoca della mia prima lettura mi sconvolse non presentava aspetti di violenza clamorosa, tipo le scene di tortura del protagonista, che pure ci sono. No, quello che fece paura a me fu la descrizione di una conversazione fra Winston Smith, il protagonista, ed un suo conoscente, il cui lavoro consisteva nel rimodernare il vocabolario nazionale. Questo tizio dice al protagonista, in sostanza, che la sua occupazione e' cancellare parole. Il vocabolario e' piu' ristretto ogni anno che passa. Ma non si tratta solo di questo, aggiunge: anche i differenti concetti che una parola puo' suggerire sono sempre meno. Presto, conclude, la parola "libero" potra' essere usata solo in frasi del tipo "questo cane e' libero da pulci", ma non servira' piu' a definire "libero" un individuo. Orwell era assai conscio, come scrittore, del potere della parola. E molto di quel che aveva individuato nel 1948, quando termino' il romanzo, sulle tendenze presenti nell'uso del linguaggio, lo abbiamo sotto gli occhi oggi. Senza fare paragoni irriverenti, perche' il mio breve romanzo non ha com'e' ovvio assolutamente la portata di questo, il problema dell'avere e del non avere le parole me lo sono posta anch'io. Diventa una questione centrale, per il mio personaggio principale, mano a mano che le sue convinzioni si modificano, che la sua lettura del mondo cambia. Puo' il suo onore essere definito dalla lealta' a dei principi di equanimita' e giustizia, piuttosto che dall'attenersi alle convenzioni del guerriero, che gli dicono solo di chiamare "nemico" chi i capi tribali hanno definito tale? L'affetto che finisce per provare per l'aliena, una creatura cosi' diversa da lui ha un nome, e quale? E qual e' il suo stesso nome, chi e' lui, ora che le esperienze e l'ascolto lo hanno cambiato? Ecco, dato che per dirvi tutto questo sarei costretta a parlare per un'altra mezz'ora, e io vi voglio bene, non lo faro'. Se siete interessate e interessati a saperlo sarete costretti a leggervi il libro, che puo' essere letto senza minimamente far caso, se preferite, a quello che c'e' fra le righe, e che io vi ho raccontato oggi. Potete leggerlo semplicemente come un racconto di viaggio, con i suoi colpi di scena e le sua corsa, perche' ho inteso deliberatamente non porre freno all'azione, per tenere il lettore con me il piu' a lungo e nel modo piu' interessante possibile. * Mi resta da dirvi, credo, perche' faccio questo, perche' racconto storie. In sintesi, e' perche' le storie che sappiamo raccontare contribuiscono a determinare che tipo di vite viviamo. Quando raccontiamo una storia costruiamo un'esperienza, a seconda delle convenzioni interpretative a noi disponibili, e degli incentivi interiori ed esteriori che ci spingono a farlo. Le forme che le storie prendono non sono casuali. I ruoli che assumiamo nelle nostre vite sono grandemente modellati su come gli altri ci hanno raccontato delle storie, e su come noi raccontiamo storie: a noi stessi e agli altri. Le storie contengono un sacco di suggerimenti: su cosa siamo, su cosa dovremmo fare in determinate situazioni, su cosa ci si aspetta da noi. Questo piccolo libro e' il mio umile suggerimento su cosa si puo' fare, invece di buttarsi da una finestra o di imbracciare un mitra, quando ci presentano al diavolo. Forse non e' brutto come lo si dipinge. E forse neppure noi esseri umani siamo brutti come spesso crediamo di essere, cosi' incapaci di maneggiare situazioni diverse o difficili. Forse dovremmo riflettere su chi ci ha detto questo di noi, e spesso scopriremo che si tratta di qualcuno che tramite le parole non vuole comunicare con noi, ma mantenere del potere su di noi. 6. LETTURE. UMBERTO ECO: A PASSO DI GAMBERO Umberto Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Bompiani, Milano 2006, 2007, pp. 368, euro 9. In questo volume l'autore ha raccolto molti dei suoi articoli e interventi tra 2000 e 2005 riferiti "agli eventi politici e mediatici di questi ultimi sei anni", a comporre una meditazione morale (quindi pratica) e un invito all'impegno civile (ergo politico nel senso alto del termine), che merita di essere ascoltata, che merita di essere accolto. Anche quando non si e' del tutto d'accordo, ed anche quando dispiace il tono faceto, Eco e' sempre un buon maestro. 7. LETTURE. MASTERS. VITA, POETICA, OPERE SCELTE Masters. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp. 656, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Riproponendo testi gia' editi da Mondadori-Electa ed Einaudi, il volume contiene l'intera Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con un saggio introduttivo (in cui ovviamente non mancano alcune pagine sulla ricezione italiana da Pavese a De Andre') ed alcuni essenziali apparati di Catia Gusmini; testo originale a fronte, ovviamente, e nella classica traduzione di Fernanda Pivano di cui tutti, tutti ci siamo nutriti. 8. RILETTURE. FRITJOF CAPRA: ECOALFABETO. L'ORTO DEI BAMBINI Fritjof Capra, Ecoalfabeto. L'orto dei bambini, Stampa alternativa - Nuovi equilibri, Roma-Viterbo 2005, pp. 64, euro 1. Un'intervista (a cura di Simonetta Franceschetti) e due conferenze (con testo inglese a fronte) del fisico, saggista, ambientalista sull'educazione all'ecologia. 9. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI E ANNA MARIA BATTISTIN: I BAMBINI SONO CAMBIATI Silvia Vegetti Finzi e Anna Maria Battistin, I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996, 2003, pp. XVI + 368. Non solo per genitori, insegnanti, operatori sociali, ma anche per militanti politici, pubblici amministratori e persone di volonta' buona assai giovevole sarebbe la lettura di questo libro (come anche degli altri due con cui si compone in trilogia: A piccoli passi, e L'eta' incerta) - e piu' in generale dell'opera tutta di Silvia Vegetti Finzi, che a noi pare essere un contributo tra i maggiori alla costruzione di un'educazione civile, a quella riforma intellettuale e morale che e' ancora il compito dell'ora nel nostro paese; un contributo che illumina, scalda e nutre. 10. RIEDIZIONI. JEAN BERENGER: STORIA DELL'IMPERO ASBURGICO Jean Berenger, Storia dell'impero asburgico, Il Mulino, Bologna 2003, "Il giornale", Milano s.d. (ma 2008), pp. XXII + 476, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Dal 1700 al 1918 si dipana questa storia di una vicenda politica ed amministrativa (e culturale, e militare...) che tanta parte ha avuto nel conflittuale costituirsi dell'Europea come noi oggi la percepiamo - ed il cui studio oggi sarebbe di grande giovamento a chi vuol ragionare le questioni dell'integrazione politico-istituzionale europea in una prospettiva di lunga durata ed affrontando i compiti politici e civili avendo memoria non solo delle catastrofi del XX secolo. Un ampio affresco originariamente apparso originariamente nel 1990; l'autore e' docente alla Sorbona. 11. RIEDIZIONI. STEPHEN JAY GOULD: QUANDO I CAVALLI AVEVANO LE DITA Stephen Jay Gould, Quando i cavalli avevano le dita, Feltrinelli, Milano 1984, 2006, pp. 416, euro 12,50. I libri di Stephen Jay Gould (geologo, biologo, storico della scienza, pubblicista scientifico mai banale ed anzi sempre di forte rigore intellettuale e morale, di scrittura come atto educativo e civile) a me sono sempre parsi non solo un elegante esercizio di intelligenza e per cosi' dire di stile - di stile illuministico, ma anche un gesto ad un tempo di amicizia e di impegno, di impegno - intendo - a contrastare la menzogna, e di riconoscimento dell'umana dignita', della bellezza del mondo, della possibilita' di comprendere, e quindi comprendersi e rispettare infine se stessi, gli altri, il mondo (quest'unico mondo che abbiamo e di cui siamo parte, la casa comune di tutti noi fugaci transeunti - ma senzienti e pensanti, infine). 12. RIEDIZIONI. LUCIANO: OPERE SCELTE Luciano, Opere scelte, Mondadori, Milano 2008, pp. VI + 616, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Per le cure di Massimo Vilardi, Claudio Consonni, Franco Montanari e Andrea Barabino, con testo greco a fronte, la Storia vera, i Dialoghi dei morti, il Sogno, il Gallo, l'Asino e Come si deve scrivere la storia; ovvero alcune - anzi molte - delle cose migliori di quel Luciano di Samosata che e' al'origine di cosi' tante cose della letteratura come noi la intendiamo che talvolta ti chiedi se l'intero Occidente cosi' come esiste in forma di parole in testo distese ed impresse non sia nato molto piu' da questo beffardo indagatore di ogni mistero ed inventore di ogni veritiera fantasia e critico di tutte le critiche, che non - che so - dai tragici, dai dialoghi platonici o dalla Bibbia. E mi sono chiesto molte volte che vita abbia condotto (e pensato, e forse scelto oltre che subito - nella misura in cui la vita la si puo' scegliere o costruire, ed e' ben picciola quota) questo cosi' antico e cosi' prossimo Luciano, che e' peraltro tanto abile a mascherarsi soprattutto dove pare piu' esporsi, e forse piu' si offre dolente e indifeso quando piu' catafratto e irridente vuole apparire, ed in quale, in quale misura quel suo fustigare fosse anche la sua lotta contro se stesso (cosi' come capita anche a me, che non ho mai saputo dare una coltellata se non nelle mie carni) - diceva Annibale Sarchiapone, ed ancora lo ricordo. 13. RIEDIZIONI. ANTONIO MARTELLI: LA LUNGA ROTTA PER TRAFALGAR Antonio Martelli, La lunga rotta per Trafalgar. Il conflitto navale anglo-francese, Il Mulino, Bologna 2005, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008, pp. 358, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). E' un'opera di quel genere di storiografia che, conoscendo le tue idiosincrasie, sembrerebbe aver tutti i requisiti per annoiarti: poi decidi comunque di leggere, e vedi che anche un libro siffatto ti appassiona ancora. Cosi' imprevedibile e' l'animo umano. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 402 del 22 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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