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Minime. 389
- Subject: Minime. 389
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 9 Mar 2008 00:51:26 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 389 del 9 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il segreto del nostro orrore 2. Simone de Beauvoir: Non esiste una morte naturale 3. Elena Monguzzi: Levatrici, vestali... parole donne 4. Rossella Ciani intervista Lea Melandri 5. Premio "Augusto Finzi" per tesi di laurea sull'agricoltura biologica 6. Sandro Mezzadra presenta "Adam Smith a Pechino" di Giovanni Arrighi 7. Benedetto Vecchi presenta "Adam Smith a Pechino" di Giovanni Arrighi 8. Letture: Baudelaire. Vita, poetica, opere scelte 9. Letture: Petrarca. Vita, poetica, opere scelte 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. IL SEGRETO DEL NOSTRO ORRORE La guerra in Afghanistan. La guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, la guerra a vantaggio dei fondamentalisti di tutte le ideologie e dei trafficanti di tutte le mafie, la guerra che sempre consiste dell'uccisione di esseri umani, la guerra che sempre e' nemica dell'umanita' intera. La guerra. La guerra in Afghanistan. Che dal cratere dell'Afghanistan per ogni dove si propaga. * E la partecipazione militare italiana ad essa, illegale e criminale, in flagrante violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. L'innominabile segreto di tanto rombare di chiacchiere in questi giorni di comizi degli assassini dalle cui bocche propaganda e sangue tu vedi fuoriuscire in un sol getto. La partecipazione militare italiana ad essa, che di quei massacri ci rende tutti complici. * Me ne ricordo quasi solo io. E chi e' sotto le bombe. E i familiari in lutto degli assassinati. La guerra in Afghanistan. 2. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: NON ESISTE UNA MORTE NATURALE [Sono le parole conclusive di Simone de Beauvoir, Una morte dolcissima, Einaudi, Torino 1966, 2001, p. 102. Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)] Non esiste una morte naturale: di cio' che avviene all'uomo, nulla e' mai naturale, poiche' la sua presenza mette in questione il mondo. Tutti gli uomini sono mortali: ma per ogni uomo la propria morte e' un caso fortuito, ed anche se la conosce e vi acconsente, una indebita violenza. 3. ELENA MONGUZZI: LEVATRICI, VESTALI... PAROLE DONNE [Ringraziamo Elena Monguzzi (per contatti: eleudiche at tele2.it) per averci messo a disposizione questo brano di prosa poetica. Nella lettera che lo accompagna l'autrice scrive: "l'ho letto pubblicamente in occasione delle celebrazioni di un 25 aprile di quattro o cinque anni fa ed e' la versione definitiva di una poesia pubblicata col titolo "Parole donne" in I colori delle donne 2002-2003, Librati 2003, Libreria Rinascita, Ascoli Piceno. Lo dedico a tutte le donne, per il loro dopo 8 marzo". Elena Monguzzi e' poetessa, docente, traduttrice, impegnata nella societa' civile, per i diritti umani di tutti gli esseri umani] Le nostre parole non possono piu' uscire in melodiosa sordina, nella panna del primo chiaro di luna, mediate e armonizzate dalla bellezza dell'arte; la sordina e' applicata a una tromba stonata: quella di questi nostri giorni sconvolti. Le nostre parole devono venir urlate fuori, la bella arte che le governa deve farsi dura, per dare luogo a quell'urlo di queste nostre parole, perche' esse possano partorire lo sferzante carico di sdegnato sprezzo di cui sono inesauste levatrici in giorni come questi nostri, sconvolti dalla globalizzazione della follia. Il vile e potentissimo impresario ha comprato tutti i biglietti della rappresentazione del mondo e si gode da solo lo spettacolo di cui e' artefice e regista. Dai palchi rovescia sul capo di noi, platea fantasma, ceneri di massacri. Si diverte, gioca; gioca sempre, e' sempre impegnato in qualche gioco di forza e vive degli applausi di chi e' dentro il grande fratello, mostruoso utero in affitto. E bisogna pagarla questa pigione di plauso, pena il venire scaraventati nella luce buia di questi nostri giorni, nell'afonia paradossale delle nostre parole, ancora troppo debolmente urlate nel magma indistinto in cui galleggia l'utero dato in affitto a dei miseri di cuore dal signore della giostra. Lui, quello che vende azioni a Tokyo e compra corpi: fanciulli in Cambogia, adolescenti in qualsiasi periferia; lui sposta pedine umane da Qandahar a Guantanamo, dalla striscia di Gaza all'inferno, e tiene in iscacco l'Iraq, Baghdad, Sherazade; e tiene in iscacco l'Iran, la Persia, i tappeti volanti dei nostri sogni bambini. In Africa vende sindrome da immunodeficienza acquisita e non regala farmaci contro. Del resto non regala per propria natura; per propria natura specula e finanzia; finanzia mafie spietate, padroni di tutto il resto, terroristi credenti fedeli terroristi. Sa delle catastrofi sempre prima che accadano, fa in modo che le borse cadano, evoca estorsioni e violente ritorsioni, arma la vendetta con lacrime di coccodrillo, ingiusto, non conosce il perdono. Umilia ed offende le donne comprandole infibulandole lapidandole stuprandole vendendole, anche solo relegandole (e immolandole) sugli altari delle nevrosi dell'isteria la', dove le parole vengono graffiate, incrinate nella loro purezza di cristallo; queste nostre parole eppure costitutive di mondo, perche' le parole siamo noi, vestali della vita e allora vegliamo cantandole, cantando le nostre parole, facendone canzoni di basta col silenzio, inni per stroncare i luoghi comuni: orchi di propaganda per silenti angeli di un romantico focolare messosi consumisticamente al passo coi tempi. Le parole siamo noi, parole donne; vegliamo incarnandole, non soccombiamo agli ammiccamenti patinati di chi ci vorrebbe vergini poco, stolte molto, dedicate alla parvenza q.b.: la darei io, figlia madre, la mia vita per trenta denari in questi nostri giorni sconvolti se solo potessi resuscitare la pacata rivoluzione della luna a fasciare le ferite della terra con bende di marea, mestruo fecondo di parole donne. 4. RIFLESSIONE. ROSSELLA CIANI INTERVISTA LEA MELANDRI [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org), col titolo "Conversando con Lea Melandri. Debolezza e forza del gruppo" e il sommario "Le donne fanno 'gruppo' e gli uomini fanno 'squadra'. La differenza e' grande perche' la vita pubblica e' organizzata in base alla forze della squadra". Rossella Ciani scrive su "Noi donne". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] La professoressa Lea Melandri, fondatrice ed attuale animatrice della Libera Universita' delle Donne di Milano (www.universitadelledonne.it), su sollecitazione di "Noidonne" riflette sulle ragioni che inducono le donne a fare "gruppo" e gli uomini a fare "squadra" e sul perche' si osserva una grande frammentazione di questi gruppi. "Fare gruppo, fare squadra? E' semplice: la spiegazione sta nel diverso modo di lavorare insieme, donne con donne e uomini con uomini, ovvero nella diversa modalita' di costruire legami sociali. Il concetto di gruppo e di squadra non possono essere analizzati al di fuori del contesto storico della comunita' umana. La vita pubblica, esclusivamente o prevalentemente condotta dagli uomini, ha inventato le istituzioni secondo norme precise, metodi e logiche definite, che le sottendono. Non c'e' squadra senza normative, ruoli, gerarchie. La squadra e' la storia del sesso maschile: cosi' e' per la chiesa (il potere e' solo maschile), per l'esercito, la politica, tutt'ora maschilissima nonostante gli sforzi delle donne per accedervi. Gli uomini tra loro lottano, competono, si distruggono, si fanno la guerra, ma sempre si danno una continuita'. La continuita' e' garantita dalle istituzioni/squadra, con norme intrinseche di autoperpetuazione del potere. Non e' che le donne siano vissute isolate e in solitudine, all'ombra di un uomo. Anche le donne conoscono la socialita'. Dove sono nata, nella terra di Romagna, la comunita' delle donne si chiamava 'trebbo', parola vernacolare di difficile traduzione (dal latino trivium, stare insieme, essere almeno in tre a trovarsi a parlare); ogni zona dell'Italia e del mondo ha il suo 'trebbo'. E' stato storicamente un modo di stringere legami all'ombra della case, delle famiglie, delle relazioni personali, parentali, affettive. Un mondo tenuto a parte dalla sfera pubblica, svalutato, rimosso, o esaltato immaginativamente. I politici uomini si combattono, ma hanno qualcosa in comune. I movimenti delle donne sono meno 'istituzionali', meno regolati, piu' imprevedibili sia per quanto riguarda le fasi esaltanti, quasi magiche, che il rapido disgregarsi. Si tratta di gruppi fluidi, che nascono, e' vero, nell'ambito pubblico, ma che conservano del privato la ricchezza e, al medesimo tempo, la fragilita' dei sentimenti, degli affetti, delle emozioni personali. "La centralita' della sfera personale e' ambiguamente l'elemento di forza, perche' ha al suo interno l'interezza della persona, cosa che la politica tradizionale non ha mai avuto. Quindi una politica consapevole dell'importanza del corpo, dell'appartenenza di sesso, in grado di costruire un mondo 'altro' da quello che abbiamo conosciuto, costruito su un dominio maschile che ha separato natura e cultura, privato e pubblico, individuo e societa'. "Il fare gruppo ha tuttavia, proprio per questo, anche elementi di debolezza: nei gruppi entrano in campo le emozioni, le fantasie, le proiezioni (ad esempio il rapporto madre-figlia, che talvolta e' distruttivo), per cui il legame affettivo che si crea e' facile che si dissolva. Ne consegue che il gruppo puo' procedere a momenti quasi in consonanza, per le donne che ne fanno parte, come un 'corpo unico'; e che, subito dopo, questa forza collettiva si incrini, per entrare, nel migliore dei casi, in una zona carsica. Proprio allo stesso modo con cui si comporta l'acqua, che si muove sotterranea, invisibile (ma c'e') e ad un certo punto riaffiora: ma quando? come? dove? in che modo? con quale forza?". * Un tratto che caratterizza l'incontro delle donne e' il costante crearsi e lo svanire di gruppi e gruppetti che si ritrovano o per leggere e commentare una poesia scritta da una di loro, o magari per conoscere la ricerca sulla vita di una donna del '600, che faceva la madre abbadessa in un convento alla periferia di Parigi. E' questo un ritrovarsi intorno ad argomenti che non incidono nella sfera politica delle donne. Sono gruppi con argomenti e modalita' di ritrovo autoreferenziali. "Con la stagione degli anni '70 si e' dibattuto e portato alla politica la sfera personale (con lo slogan 'il personale e' politico'), le problematiche del corpo (la frase-chiave 'il corpo e' mio e me lo gestisco io') e la maternita' (aspetto politico tutt'ora in prima linea, 'decido io donna, quando e come avere dei figli'), tutti fatti che avevano una grande valenza rivoluzionaria, che hanno prodotto leggi ed organizzazioni sociali, pensiamo, ad esempio, ai consultori familiari. Partendo da un terreno, considerato storicamente 'non politico' - la vita personale, il corpo, la sessualita', la maternita' - le donne andavano a ribaltare tutte le strutture pubbliche: i saperi, istituzioni come la chiesa e i partiti, la divisione sessuale del lavoro, l'esercito, ecc. Dopo questa fase, in cui si era visto il potere modificativo di una pratica come l'autocoscienza, che interrogava la sfera sociale a partire dal suo retroterra (corpi, sessualita', famiglia), con l'inizio degli anni '80 il femminismo ha perso la sua tensione politica, l'idea di poter trasformare se' e il mondo; e' diventato, prevalentemente, un fenomeno culturale. "Infatti e' in quel decennio che nascono le associazioni, i centri di documentazione delle donne, gli studi di genere nelle universita', si aprono le librerie delle donne, prendono vita le societa' delle storiche, letterate, filosofe, scienziate e giuriste; tutte organizzazioni che prima non erano mai esistite. In molte citta' italiane le donne si appoggiarono all'ente locale, cioe' alla politica istituzionalizzata per ottenere il supporto economico e logistico di questi centri a valenza culturale. "Il femminismo non e' comunque scomparso, ma ha cambiato forma, perdendo la spinta modificativa della vita pubblica, Da qui la tendenza dei gruppi femministi a chiudersi nell'autoreferenzialita'. Questo spiega anche come tanta cultura femminile sia entrata, per cosi' dire, in clandestinita', quindi non sia piu' visibile, e abbia perso capacita' di incidere. Si e' persa la forza iniziale di 'accomunamento' tra donne, sono prevalsi, al contrario, frazionamento, isolamento e solitudine. Inoltre, purtroppo, questa cultura femminile non ha piu' parlato alle nuove generazioni, le quali ci chiedono: Donne, dove siete? "Ma qualcosa, di quella stagione intensa di cambiamento delle coscienze e della vita delle donne, deve essere passato sotterraneamente, se guardiamo alle grandi impreviste manifestazioni di Milano, il 14 gennaio 2006, e di Roma, il 24 novembre 2007, su temi e problematiche che sono state al centro del femminismo negli anni '70 e oggi tornate tristemente di attualita': l'aborto, la violenza maschile sulle donne, la loro esclusione dai posti decisionali della vita pubblica". 5. INIZIATIVE. PREMIO "AUGUSTO FINZI" PER TESI DI LAUREA SULL'AGRICOLTURA BIOLOGICA [Da Paolo Stevanato dell'Ecoistituto del Veneto (per contatti: ecoistituto at stevanato.org) riceviamo e diffondiamo] La Fondazione per la ricerca scientifica Aiab e la Cooperativa sociale Anima Mundi onlus, in collaborazione con il Comune di Venezia, bandiscono la terza edizione del bando di laurea "Augusto Finzi" che prevede l'assegnazione di tre premi del valore di 800 euro cadauno per tesi di laurea specialistiche che abbiano come tema l'agricoltura biologica in qualsiasi dei suoi aspetti: tecniche colturali, valutazione di impatto ambientale, biodiversita', sostenibilita', analisi di mercato, marketing, ecc. Il premio intende commemorare la figura di Augusto Finzi (1941-2004) che dedico' gran parte della sua vita alla difesa della salute pubblica e alla promozione dell'agricoltura biologica come mezzo per la salvaguardia della salute dell'ambiente e dell'uomo. Le tesi devono essere state discusse tra il primo gennaio 2007 e il 29 febbraio 2008. I criteri di valutazione faranno riferimento a: importanza del lavoro per lo sviluppo dell'agricoltura biologica in Italia; qualita' tecnico-scientifica e aspetti innovativi del lavoro; la pubblicazione dei risultati della tesi (pubblicazioni su riviste internazionali faranno titolo di merito). La premiazione si terra' nell'ambito di una conferenza nazionale sull'agricoltura biologica a Mestre-Venezia il 15 maggio 2008 in occasione del II Congresso nazionale Aiab. In tale sede i premiati saranno invitati ad esporre brevemente il loro lavoro. La scadenza per la presentazione della domanda e' lunedi' 31 marzo 2008 Il bando completo e' consultabile nel sito: www.sinab.it * Approfittiamo dell'occasione per ricordare gli altri due premi per tesi di laurea che abbiamo segnalato qualche tempo fa: - il Premio ecologia "Laura Conti" per tesi ambientali (per informazioni: www.ecoistituto-italia.org); - il Premio consumo sostenibile per tesi di laurea su materie consumeristiche (per informazioni: www.fondazioneicu.org). * Per informazioni sul Premio Finzi: cooperativa sociale Anima Mundi onlus, tel. e fax: 041980421, e-mail: am_ambiente at libero.it 6. LIBRI. SANDRO MEZZADRA PRESENTA "ADAM SMITH A PECHINO" DI GIOVANNI ARRIGHI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 marzo 2008, col titolo "La lunga marcia alla societa' di mercato" e il sommario "La via non capitalista dell'Oriente. Una discussione a partire dal volume Adam Smith a Pechino di Giovanni Arrighi edito da Feltrinelli La tesi dello studioso italiano sull'eclissi dell'egemonia statunitense come sintomo della fine del capitalismo storico andrebbe problematizzata alla luce dei tanti conflitti sociali esplosi nella Cina contemporanea. Sandro Mezzadra insegna storia del pensiero politico contemporaneo e studi coloniali e postcoloniali al'Universita' di Bologna, e' membro della redazione di "Filosofia politica" e di "Scienza & Politica"; i suoi principali argomenti di ricerca sono la storia delle scienze dello Stato e del diritto in Germania tra Otto e Novecento, la storia del marxismo, la teoria critica della politica: globalizzazione, cittadinanza, movimenti migratori, studi postcoloniali. Pubblicazioni principali: von Treitschke, La liberta', Torino 1997 (cura e introduzione); La costituzione del sociale. Il pensiero politico e giuridico di Hugo Preuss, Il Mulino, Bologna 1999; Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, Ombre Corte, Verona 2001, 2006; Marx, Antologia di scritti politici, Carocci, Roma 2002 (cura e introduzione, con Maurizio Ricciardi); Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Roma-Bari 2002 (cura e introduzione); (a cura di), I confini della liberta'. Per una analisi politica delle migrazioni contemporanee, DeriveApprodi, 2004; (con Carlo Galli, Edoardo Greblo), Il pensiero politico del Novecento, Il Mulino, Bologna 2005; La condizione postcoloniale. Storia e politica nel presente globale, Ombre corte, Verona 2008. Giovanni Arrighi, nato nel 1937, economista e sociologo, e' docente di sociologia e direttore dell'Istituto per gli studi globali alla Johns Hopkins University; i suoi principali interessi di ricerca sono nel campo della sociologia comparata e storica, dell'analisi del sistema-mondo e della sociologia economica. Dalla Wikipedia, edizione italiana, estraiamo le seguenti brevi note biografiche: "Giovanni Arrighi e' nato in Italia il 7 luglio 1937. Si e' laureato in economia all'universita' di Milano nel 1960. Dopo alcuni anni di insegnamento in Italia, nel 1963 e' andato in Africa, dove ha prima insegnato all'universita' della Rhodesia-Zimbabwe, ed in seguito all'universita' di Dar es Salaam. In quegli anni ha condotto ricerche sullo sviluppo dell'Africa, e ha indagato su come l'offerta di lavoro e la resistenza dei lavoratori abbiano influenzato lo sviluppo del colonialismo e dei movimenti nazionali di liberazione. Sempre in Africa e' venuto in contatto con Immanuel Wallerstein, con il quale ha poi collaborato su diversi progetti di ricerca. Tornato in Italia nel 1969, Arrighi nel 1971 ha creato assieme ad altri il Gruppo Gramsci. Nel 1979 Arrighi raggiunge Immanuel Wallerstein e Terence Hopkins come professore di sociologia al Centro Fernand Braudel per lo studio delle economie, dei sistemi storici e delle civilta' alla State University of New York Binghamton. In quegli anni il Centro Fernand Braudel era conosciuto come il centro principale di analisi dei sistemi mondiali, e attirava studiosi da ogni parte del mondo". Tra le opere di Giovanni Arrighi in volume disponibili in italiano: Sviluppo economico e sovrastrutture in Africa, Einaudi, Torino 1969; Geometria dell'imperialismo, Feltrinelli, Milano 1978; Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, Milano 1996, 1999; I cicli sistemici di accumulazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999; (con Terence K. Hopkins, Immanuel Wallerstein), Antisystemic movements, Manifestolibri, Roma 2000; (con Silver Beverly J.), Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Bruno Mondadori, Milano 2006; Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, Milano 2006. Un'ampia bibliografia e' nel sito: www.soc.jhu.edu\people\Arrighi] E' un libro importante, quello di Giovanni Arrighi. Ed e' un libro che spiazza, fin dal titolo: Adam Smith a Pechino (Feltrinelli, pp. 464, euro 38). Chi lo prendesse in mano reduce dalla lettura di Shock Economy, di Naomi Klein (Rizzoli editore), potrebbe in verita' trovarlo perfino banale: l'Adam Smith che compare nel titolo, penserebbe probabilmente quel lettore, sara' certo il mandante morale di Milton Friedman, il genio del male che, invitato da Deng Xiao Ping in Cina nel 1980 e nel 1988, pianto' pure li' il seme della malapianta del neoliberismo, germogliato in Cile nel 1973 e destinato negli anni successivi a fiorire un po' ovunque sul pianeta. Ma certo quel lettore strabuzzerebbe gli occhi di fronte alle tesi presentate in particolare nel secondo capitolo del libro di Arrighi, dedicato alla "sociologia storica di Adam Smith": l'autore della Ricchezza delle nazioni non gioca qui la parte del "cattivo" della storia, ma addirittura quella del "buono", del teorico di una via "naturale" nello sviluppo dell'economia di mercato che sarebbe stata radicalmente negata nei decenni successivi dalla traiettoria seguita dall'Europa, e in primo luogo dalla Gran Bretagna. Di piu': quest'ultima traiettoria sarebbe stata quella analizzata e criticata come capitalistica da Marx, mentre la via "naturale" nello sviluppo dell'economia di mercato teorizzata da Smith sarebbe stata una via "non capitalistica". Ancora di piu': questa via "non capitalistica" era quella che stava dipanandosi in Asia orientale nel XVIII secolo, all'insegna di una "rivoluzione industriosa" dai caratteri del tutto diversi dalla "rivoluzione industriale" inglese. E infine: la Cina di oggi, proprio quella che ha le sue origini nelle "riforme" di Deng Xiao Ping, potrebbe ricollegarsi a quel modello "virtuoso" e far coincidere la fine dell'egemonia statunitense nel sistema-mondo del capitalismo storico nientemeno che con la fine del capitalismo stesso. * La grande divergenza Occorrerebbe ben altro spazio di quello qui disponibile per discutere nel dettaglio queste tesi di Arrighi. Basti dire, tuttavia, che esse dialogano in modo produttivo con gli sviluppi degli studi smithiani (penso ad esempio, per quel che riguarda l'Italia, ai lavori di Adelino Zanini) e con una gran mole di letteratura storica sulla "rivoluzione industriosa" nell'Asia orientale, cresciuta negli ultimi anni soprattutto in Giappone (il lettore italiano ha a disposizione, su questi temi, il libro di Kenneth Pomeranz, La grande divergenza. La Cina, l'Europa e la nascita dell'economia mondiale moderna, Il Mulino, 2004). Ripeto: occorrerebbe discutere nel dettaglio le tesi di Arrighi appena evocate. Esse hanno comunque il pregio, ed e' auspicabile che siano recepite in questo senso, di mettere a soqquadro (di costringere a verificare continuamente) la mappa dei concetti con cui la sinistra che si vuole "radicale" ha interpretato e criticato negli ultimi anni, tanto teoricamente quanto politicamente, la "globalizzazione capitalistica". "Neoliberismo" non e' soltanto uno di questi concetti: e' la parola che tutti li riassume. Non che sia un termine privo di ogni utilita', sia chiaro. Ma certo, nell'uso che ne viene spesso fatto esso rischia di perdere ogni connotazione analitica, di ridursi a parola buona per invettive tanto generiche quanto inefficaci. Giovanni Arrighi, che polemizza a questo riguardo con lo studioso statunitense David Harvey, mette in discussione questo uso: ed e' una delle tante ragioni per cui Adam Smith a Pechino e' un libro importante. Ve ne sono altre, tanto sotto il profilo storico quanto sotto il profilo politico. Dal primo punto di vista il lavoro di Arrighi contribuisce a ristabilire in modo incontrovertibile la rilevanza strategica di colonialismo e imperialismo per lo sviluppo economico del sistema-mondo capitalistico (la "grande divergenza" richiamata precedentemente pone un problema che viene risolto, per dirla in breve, con la conquista britannica dell'India e con le guerre dell'oppio contro la Cina). Dal secondo punto di vista, offre una chiave fondamentale per comprendere le formidabili opportunita' che, tra l'altro come esito contro-intenzionale della (contro)rivoluzione "monetaristica", si presentano oggi ai Paesi emergenti sulla scena della politica e dell'economia mondiale. La "nuova Bandung" che Arrighi vede potenzialmente formarsi oggi attorno a quello che definisce il "consenso di Pechino", leggiamo nell'epilogo del volume, a differenza del movimento dei non allineati nel secondo dopoguerra "puo' mobilitare e utilizzare il mercato globale come strumento di perequazione dei rapporti di potere tra Nord e Sud". Vale a questo proposito quel che si e' detto in precedenza: anche questa e' una tesi importante, che andrebbe discussa in profondita'. Occorrerebbe, per farlo, ripercorrere l'analisi minuziosa offerta da Arrighi di quella che gli pare la fase terminale della crisi dell'egemonia statunitense all'interno del sistema-mondo capitalistico, sancita a suo giudizio dalla sconfitta del progetto neocons nell'inferno iracheno. E' d'altronde una tesi - quella del declino dell'egemonia statunitense - con cui i lettori di Arrighi sono familiari quantomeno dalla pubblicazione de Il lungo XX secolo (Il Saggiatore, 1996). Lo spostamento verso l'Asia del "centro" dell'economia mondiale, gia' analizzato in quel volume, trova qui una serie di conferme a proposito degli spettacolari tassi di crescita della Cina e a proposito del ruolo chiave che la Cina stessa sta assumendo come "creditore" degli Usa. E' questo un punto su cui il discorso di Arrighi e' certo spesso molto convincente, anche se sarei portato a mettere in discussione l'uso che fa (pur con molte osservazioni e cautele critiche) della stessa categoria di "centro" e la persistente denominazione nazionale dei capitali sulla cui base si sviluppa il suo ragionamento. Vi saranno altre occasioni per sviluppare questo ragionamento, che interroga in profondita' la teoria dei "cicli egemonici" sviluppata da Arrighi e da altri esponenti della cosiddetta teoria del sistema-mondo. La questione su cui vorrei concludere questo confronto con il nuovo libro di Arrighi e' tuttavia un'altra. E riguarda la stessa categoria di capitalismo da lui utilizzata. Gia' si e' visto che "capitalismo" non coincide con "economia di mercato": e' un punto su cui agisce la grande lezione storica di Fernand Braudel, secondo cui il capitalismo si determina nel punto di congiunzione tra Stato e capitale, tra Stato e "accumulazione senza limiti di capitale", per riprendere la formula marxiana. Senonche' vi e' un'altra formula marxiana, quella secondo cui il capitale e' un "rapporto sociale" antagonistico. * Le retoriche dell'armonia Arrighi, raffinato conoscitore di Marx, lo sa bene. E pur non citando questa formula ne mostra l'efficacia quando insiste, sulla traccia dell'importante lavoro di Beverly Silver (Forces of Labor. Workers' Movements and Globalization since 1870, Cambridge University Press, in corso di traduzione per Bruno Mondadori), sulla straordinaria rilevanza delle lotte operaie nel determinare la dinamica della crisi in Occidente negli anni Settanta del Novecento. E' un'indicazione di metodo, che pare pero' accantonata quando il discorso si concentra sulla Cina contemporanea. Adam Smith a Pechino e' un titolo carico di significati. Come viene spiegato nel primo capitolo, si ispira al titolo di un lavoro di Mario Tronti, Marx a Detroit (1971), e dunque allude all'intensita' del confronto di Arrighi con l'operaismo italiano. Nell'ultima parte del volume, quella appunto dedicata alla Cina contemporanea, i marxiani "segreti laboratori della produzione" che Tronti aveva riscoperto a Detroit sembrano tuttavia completamente dimenticati, cosi' come la determinazione antagonistica dei rapporti di produzione su cui lo sviluppo cinese degli ultimi anni si e' fondato. "Accumulazione senza spossessamento" nelle campagne, persistente influenza dell'eredita' della rivoluzione, economia mista, cooperative, alta qualita' del lavoro (per richiamare alcune delle formule utilizzate da Arrighi per descrivere l'economia cinese di oggi) finiscono per comporre un quadro davvero un po' troppo simile alle retoriche dell'"armonia" proposte dalla nuova leadership cinese (quella di Hu Jintao e Wen Jiabao) per risultare credibile. Tanto che, quando nelle ultime quattro pagine di questa parte del volume ("contraddizioni sociali del successo economico") il lettore si trova di fronte alla descrizione di una formidabile "proliferazione di lotte sociali tanto nelle aree urbane quanto in quelle rurali", non puo' mancare di domandarsi a che cosa sia dovuta questa straordinaria conflittualita' sociale. E puo' finire per pensare che sia appunto una conflittualita' meramente sociale, priva di radici nel "successo economico". * Soggettivita' in formazione Sia chiaro: anche nell'ultima parte del libro di Arrighi vi sono spunti di grande interesse. Ma proprio per discuterli e svilupparli e' bene a mio giudizio ripartire da un'analisi delle lotte di classe in Cina che ci consenta di cartografare i rapporti di produzione su cui il "successo economico" si fonda; nonche' di individuare nella composizione del lavoro vivo che a quel successo corrisponde il profilo frastagliato ed eterogeneo di una soggettivita' in formazione i cui movimenti sono una variabile decisiva per ragionare sul futuro della Cina. Nonche', sia detto sobriamente, del mondo. 7. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "ADAM SMITH A PECHINO" DI GIOVANNI ARRIGHI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 marzo 2008, col titolo "Marx a Pechino. Quei flessibili laboratori della produzione" e il sommario "Capitalismo. Una finanza che governa reti produttive che travalicano i confini nazionali". Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman] Giovanni Arrighi e' un critico dell'economia politica ed e' secondo questa prospettiva che vanno letti i suoi libri. Questo Adam Smith a Pechino non e' solo un puntuale testo di sociologia storica dell'economia mondiale che vede spostare il suo baricentro nel Pacifico, quanto una lettura teorica-politica delle attuali tendenze del capitalismo che si contrappone a molta saggistica "di sinistra" che continua a vedere nel neoliberismo una sorta di fase suprema del capitalismo che continua ad assegnare agli Stati Uniti, e in misura minore ai paesi dell'Unione Europea, la leadership nel capitalismo globale. E infatti dialoga polemicamente con David Harvey e con il filone di pensiero critico che fa riferimento alla rivista "Le Monde Diplomatique", come ha affermato nell'intervista concessa a questo giornale il 24 gennaio. Piu' che fase suprema, sostiene dunque Arrighi, il neoliberismo e' il canto del cigno degli Stati Uniti, che riescono a mantenere la loro egemonia grazie alla loro potente macchina da guerra. Ed e' proprio questo il punto piu' interessante della sua analisi. Che la retorica del neoliberismo sia oramai diventato un mantra che nulla spiega e' indubbio, nonostante il fatto che la pubblicazione degli scritti di Michel Foucault sulla sua genealogia indicano tutt'ora dei possibili percorsi di ricerca sui cambiamenti intervenuti nella forma-stato delle contemporanee societa' capitaliste. Ed e' altrettanto indubbio che l'incapacita' degli Stati Uniti di normalizzare militarmente l'Iraq ha messo in evidenza le difficolta' delle imprese statunitensi nel fronteggiare il dinamismo dell'economia cinese. Ma uno dei terreni da esplorare e' se e come e' mutato il marxiano rapporto tra i "laboratori della produzione" e il capitale finanziario. Da questo punto di vista, l'analisi di Arrighi continua a vedere la finanza come un fattore improduttivo, tutt'al piu' funzionale a mantenere il dominio sull'economia mondiale, mentre si fanno strada economie nazionali che hanno puntato sull'innovazione dei processi produttivi o che si sono specializzate nella produzione di un bene di consumo, come in passato e' accaduto con l'acciaio, l'automobile o i microprocessori. La rilevanza strategica assunta dal venture capital nel favorire l'innovazione dei prodotti dovrebbe tuttavia condurre a una analisi della metamorfosi della finanza nella produzione capitalista. Assistiamo, infatti, al dispiegarsi di una rete produttiva i cui nodi sono disseminanti spazialmente al di fuori dei confini nazionali e che vedono convivere forme del lavoro tra loro eterogenee, talvolta arcaiche, talvolta innovative, spesso basate su lavoro manuale, altrettanto frequentemente caratterizzate da una significativa percentuale di produttivi knowledge workers. La finanza, cosi' come la progettazione e il coordinamento di quella stessa rete produttiva sono momenti fondamentali della valorizzazione capitalistica. Da questo punto di vista, parlare di declino degli Stati Uniti rischia di cogliere solo uno degli elementi che caratterizzano il presente. E questo non perche' gli Stati Uniti hanno l'esercito piu' potente del mondo, ma perche' le imprese transnazionali statunitensi, e in misura minore quelle europee, continuano ad esercitare una leadership nei settori di punta dell'economia mondiale, grazie proprio a questa capacita' di progettare flessibili reti produttive su scala globale. In Adam Smith a Pechino Giovanni Arrighi sottolinea infine che al Washington consensus si stia sostituendo il "consenso di Pechino", cioe' di una societa' all'interno di una transizione, che invita alla cautela nel definirla capitalista. Un invito tuttavia segnato da una lettura dello sviluppo capitalistico scandita appunto dalla riproduzione di cicli sempre uguali. Un'altra sfida che il volume di Arrighi pone e' dunque di pensare alle diverse forme assunte dallo sviluppo capitalistico. Questo volume, come il precedente Il lungo XX secolo, poco pero' analizzano le diversita' tra il capitalismo europeo e quello statunitense. La grande divergenza avviata tra Occidente e Oriente nel XVIII secolo richiamata da Arrighi nel volume non si chiude con l'emergere di una societa' non capitalista, ma neanche socialista, bensi' di una societa' capitalistica che ha caratterizzato proprie e che e' fortemente segnata tanto dalle strategie delle imprese transnazionali che hanno il loro centri di progettazione e controllo ancora nel cuore dell'impero, quanto dai movimenti sociali che si oppongono al regime del lavoro salariato. 8. LETTURE. BAUDELAIRE. VITA, POETICA, OPERE SCELTE Baudelaire. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp. 624, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Il volume ripropone materiali gia' editi da Einaudi e Mondadori-Electa: introduzione e apparati di Franca Gusmini, e una pressoche' integrale selezione delle Fleurs e Les epaves, con testo a fronte e nella traduzione di Giovanni Raboni. Cosi' diceva, all'osteria di Nocenza, Gennaro Sciamanna detto lo Stroligo, e ancora lo ricordo: "Come tutti quando giovinetto lessi per la prima volta Baudelaire - e l'alone di Baudelaire era allora immenso - mi chiesi perche' questo autore fosse ritenuto cosi' fondamentale, e se non si trattasse di un abbaglio, di un effetto dell'egemonia parigina su una cultura ancora provinciale (della provincia europea, intendo). Ed e' la domanda che ogni volta che nel corso degli anni sono tornato a leggere ces fleurs maladives (ma anche quelle traduzioni francesi di Poe) sono tornato a pormi, senza mai riuscire a superare quel sentimento ambivalente di fascinazione e disagio. E sovente ho pensato che e' vero che Baudelaire ha colto (come solo Dickens e Marx e Conrad oltre a lui, forse - poi venne Fanon, ma questa e' appunto un'altra storia, la nostra) il nocciolo duro della frattura che noi chiamiamo modernita' e occidente, la nostra condizione furente e scissa di nati nel tramonto, quella verita' metuenda dell'oppressione e della repressione che l'acutezza da rapace del suo sguardo gli permetteva di divinare e illuminare semplicemente toccando un oggetto o guardando una persona o sentendo la musica di un giro di parole; ed insieme penso che un giorno tutto cio' sara' cancellato, e pensando quest'ultimo pensiero un cruccio ancora mi riduole, come in quella dialettica in cui l'uno incessantemente si frange in due in conflitto e ancora e ancora, poiche' come puoi non provar nostalgia per quei tanti versi che una volta appresi per sempre la memoria impiglia, e che ti accorgi, molti, molti anni dopo, essere diventati parte (e arte) di te, hypocrite lecteur, mon semblable, mon frere". E a questo punto, anche questo ricordo, Annibale Scarpante o un altro dei nostri rompeva a dire con voce tonante "Ma parla come magni". E di questo in effetti si parlava, della societa' dei mangiatori d'uomini, e del programma di Lu Xun da adempiere. 9. LETTURE. PETRARCA. VITA, POETICA, OPERE SCELTE Petrarca. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008, pp. 640, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "Il sole 24 ore"). Il volume ripropone testi gia' pubblicati da Electa e Mondadori: una monografia introduttiva di Maria Rosa Tabellini, il Canzoniere (senza commento di sorta, e forse in alcuni casi cio' rende di difficile intellezione la poesia petrarchesca), alcuni essenziali apparati ed indici. Lo so che tutta la lirica moderna e' uscita dal cappotto di Petrarca. E lo so che la mia insofferenza per tanta parte dei rerum vulgarium fragmenta e' frutto di un pregiudizio alimentatosi a fonti e vicende che qui non mette conto rievocare (alla mia professione di dantismo in primis, del Dante condannato a morte ed esule). Eppure eppure, basta che mi riaccosti a queste pagine che il loro incanto ancora mi cattura; ditemi voi se questo callidissimo calligrafo deve ancora riuscire ad affascinarmi cosi' coi suoi labirinti di parole... 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 389 del 9 marzo 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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