Minime. 384



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 384 del 4 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Luciano Bonfrate: E poi
2. Giulio Vittorangeli: Non mi chiamare straniero
3. Oggi a Viterbo
4. A Ferrara il 7 marzo
5. A Torino in aprile e maggio
6. Enzo Mazzi ricorda Michele Ranchetti
7. Barbara Ehrenreich: Un estratto dall'Introduzione di "Una paga da fame"
8. Mariuccia Ciotta presenta "Il prezzo del velo" di Giuliana Sgrena
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LUCIANO BONFRATE: E POI

E poi c'e' la guerra dei ricchi contro i poveri
che non finisce mai.
Ed ogni giorno uccide.

2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: NON MI CHIAMARE STRANIERO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Gli esseri umani si muovono. Non e' una grandissima novita'. Lo fanno piu' o
meno da quando sono comparsi sulla Terra. E lo hanno sempre fatto riuscendo
a superare ostacoli ben maggiori di un decreto flussi.
Gli esseri umani si muovono per tante ragioni, ma il piu' delle volte
scappano: da una guerra, dalla fame, dall'assenza di un futuro. Pensare di
poter regolare o fermare gli spostamenti di grandi masse di persone e' un
po' come cercare di tappare con un dito una diga. Finche' in questo mondo le
disuguaglianze restano cosi' profonde, tutto sara' inutile: azioni di
polizia, decreti "sicurezza", repressioni, ecc.
Il pianeta ha urgente bisogno di una diversa distribuzione delle risorse:
economiche, ambientali, alimentari. E siamo noi, che viviamo nei paesi piu'
ricchi, che dobbiamo ricominciare.  Ricominciare anche dalle parole: "Vu
compra'", "Vu torna'", "Vu bada'", "Vu sta la'", "Vu affoga'"...
*
"Non mi chiamare straniero perche' sono nato lontano
o perche' ha un nome diverso la terra da dove vengo.
Non mi chiamare straniero perche' un altro seno o linguaggio dei racconti
accudi' la mia infanzia.
Non mi chiamare straniero se nell'amore di una madre abbiamo sperimentato la
stessa luce nel canto
e nel bacio con cui sognano allo stesso modo le madri contro il loro petto.
Non mi chiamare straniero e non pensare da dove vengo,
meglio sapere dove andiamo, dove ci porta il tempo.
Non mi chiamare straniero perche' il tuo pane e il tuo fuoco calmano la mia
fame
e il mio freddo e mi ripara il tuo tetto.
Non mi chiamare straniero, il tuo grano e' come il mio grano, la tua mano
come la mia,
il tuo fuoco come il mio fuoco e la fame non avvisa mai, vive cambiando
padrone.
E mi chiami straniero perche' mi ha portato qui un viaggio, perche' sono
nato in un altro Paese,
perche' conosco altri mari e salpai un giorno da un altro porto, ma sempre
sono uguali al momento dell'addio i fazzoletti e le pupille confuse di chi
lasciamo lontano, gli amici che ci chiamano per nome
e sono le stesse preghiere e l'amore di colei che sogna il giorno del
ritorno.
Non mi chiamare straniero, portiamo lo stesso grido, la stessa vecchia
stanchezza che viene trascinando l'uomo dall'inizio dei tempi, quando non
esistevano frontiere, prima che venissero loro,
quelli che mentono, che vendono i nostri sogni, quelli che inventarono un
giorno questa parola: Straniero.
Non mi chiamare straniero che e' una parola triste, e' una parola gelata, ha
il puzzo dell'oblio e dell'esilio.
Non mi chiamare straniero, guarda tuo figlio e il mio
come corrono mano nella mano fino alla fine del sentiero!
Non mi chiamare straniero, non conosco la lingua, i limiti, le bandiere;
guardali, vanno verso il cielo con un sorriso, colomba che li unisce nel
volo.
Non mi chiamare straniero, pensa a tuo fratello e al mio,
il corpo pieno di pallottole che bacia di morte il suolo.
Non erano stranieri, si conoscevano da sempre, per la liberta' eterna,
ugualmente liberi morirono.
Non mi chiamare straniero, guardami bene negli occhi molto piu' in la'
dell'odio, dell'egoismo e della paura.
E vedrai che sono un uomo. Non posso essere straniero!"
(Non sono straniero, di Rafael Amor).
*
Purtroppo abbiamo assistito, ed assistiamo, al dilagare della parola
"sicurezza". Sostenendo che la "sicurezza" non e' ne' di destra, ne' di
sinistra. Dimenticando che sono di destra o di sinistra le definizioni che
ne diamo, e le risposte che proponiamo.
Come non ricordare le parole illuminanti di don Lorenzo Milani: "Se voi
pero' avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora
vi diro' che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di
dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e
oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei
stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla curia,
di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente
squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i
poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei
mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine
per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che
approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto" (Lettera ai
cappellani militari, 1965).

3. INCONTRI. OGGI A VITERBO
[Da Teresa Blasi (per contatti: teresablasi at interfree.it) riceviamo e
diffondiamo]

Il Coordinamento delle donne per i diritti e la liberta' comunica che, nel
quadro delle celebrazioni dell'8 marzo, il 4 marzo a Viterbo in piazza delle
erbe, dalle ore 15,30 alle ore 20, sara' organizzato un sit-in per la difesa
della legge 194 e la sua piena applicazione; l'affermazione e la promozione
dei diritti, della dignita', della liberta' delle donne; per una reale
difesa della vita.
Sara' disponibile materiale per una informazione seria e puntuale su tutti i
metodi contraccettivi oggi possibili (in particolare per le/gli
adolescenti), per la tutela della salute e una efficace prevenzione
dell'aborto.
Tra i diritti civili e umani rivendichiamo anche: il riconoscimento
giuridico delle coppie di fatto anche di persone dello stesso sesso;
modifiche sostanziali alla legge sulla procreazione assistita; liberta' e
riconoscimento giuridico del testamento biologico.

4. INCONTRI. A FERRARA IL 7 MARZO
[Da Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e
diffondiamo]

Scuola della nonviolenza di Ferrara, anno scolastico 2007/'08
Venerdi' 7 marzo, ore 21, presso la sede Aias, via Cassoli 25/i, a Ferrara,
si terra' un incotnro sul tema "Carnefici e complici", con Luisa Garofani,
psichiatra e psicoterapeuta.
In una relazione di oppressione che perdura nel tempo, oltre ai meccanismi
della violenza e' da indagare cio' che si muove in colui - o in colei - che
subisce e nella relazione tra carnefice e vittima...
Ne parleremo anche attraverso la proiezione di alcuni frammenti del film "La
morte e la fanciulla" di Roman Polanski, tratto da una piece di Ariel
Dorfman.

5. INCONTRI. A TORINO IN APRILE E MAGGIO
[Da Sergio Albesano (per contatti: sergioalbesano at tiscali.it) riceviamo e
diffondiamo]

Se vuoi la pace, educa alla nonviolenza
Serate in biblioteca per parlare di casi storici in cui la nonviolenza e'
risultata efficace e confrontarsi con la nostra realta' attuale.
Presso la Biblioteca civica "Cesare Pavese", via Candiolo, 79, Torino (tel.
0114437080).
Orario: dalle ore 18 alle 20. Prima di ogni incontro sara' proiettato un
video sull'argomento trattato.
*
Martedi' primo aprile 2008. Nashville: eravamo guerrieri, con Enrico
Peyretti.
Martedi' 8 aprile 2008. India: la sfida alla corona, con Piercarlo Racca.
Martedi' 15 aprile 2008. Sudafrica: liberta' durante la nostra vita, con
Sergio Albesano.
Martedi' 22 aprile 2008. Danimarca: vivere con il nemico, con Elisabetta
Albesano.
Martedi' 6 maggio 2008. Polonia: abbiamo preso Dio per un braccio, con Nanni
Salio.
Martedi' 13 maggio 2008. Cile: sconfitta di un dittatore, con Cinzia Regini.

6. MEMORIA. ENZO MAZZI RICORDA MICHELE RANCHETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 febbraio 2008, col titolo "Michele
Ranchetti, lezioni di vita e di memoria".
Enzo Mazzi, animatore dell'esperienza della comunita' dell'Isolotto a
Firenze, e' una delle figure piu' vive dell'esperienza delle comunita'
cristiane di base, e della riflessione e delle prassi di pace, solidarieta',
liberazione, nonviolenza. Tra le opere di Enzo Mazzi e della Comunita'
dell'Isolotto segnaliamo almeno: Isolotto 1954/1969, Laterza, Bari 1969;
Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002.
Michele Ranchetti (Milano 1925 - Firenze 2008), illustre intellettuale di
profonda cultura e di grande finezza, storico della chiesa e delle
religioni, docente universitario, poeta, pittore, saggista, traduttore,
consulente editoriale, editore; studioso, traduttore e curatore
dell'edizione italiana di opere di Wittgenstein, Freud, Celan, Rilke,
Benjamin; ha curato per i "Meridiani" Mondadori l'edizione della Bibbia di
Diodati. Opere di Michele Ranchetti: Cultura e riforma religiosa nella
storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963; La mente musicale, Garzanti,
Milano 1988; Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo,
Edizioni Cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1997; (a cura di, con
Mauro Bertani), La psicoanalisi e l'antisemitismo, Einaudi, Torino 1999;
Scritti diversi. Vol. 1: Etica del testo, Storia e Letteratura, 1999;
Scritti diversi. Vol. 2: Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, Storia e
Letteratura, 2000; Scritti diversi. Vol. 3: Lo spettro della psicoanalisi,
Storia e Letteratura, 2000; Verbale, Garzanti, Milano 2001; Scritti in
figure, Storia e Letteratura, 2002; Non c'e' piu' religione. Istituzione e
verita' nel cattolicesimo italiano del Novecento, Garzanti, Milano 2003.
Opere su Michele Ranchetti: AA. VV., Anima e paura. Studi in onore di
Michele Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998]

Si parla ormai di Michele Ranchetti al passato. Per parte mia preferisco, a
un mese dalla sua morte, parlarne al presente. E' lui stesso che c'ispira.
"Vivo in una cassa da vivo: morto saro' risorto" scrive nella raccolta
poetica Verbale (Garzanti 2001).
E' proprio il presente il tempo in cui irrompe il suo complesso messaggio di
storico della Chiesa che da un lato vede l'impossibilita' strutturale
dell'istituzione ecclesiastica di aprirsi a un dialogo vero, sincero, con la
democrazia e d'altra parte individua con l'ottimismo della speranza spazi di
apertura nella prassi del cattolicesimo di base. E' una bella lezione per la
politica tutta orientata, da sempre ma oggi con piu' ossequioso trasporto,
ad accattivarsi le gerarchie ecclesiastiche ignorando completamente il nuovo
che nasce alla base della realta' ecclesiale.
Mettiamo a confronto, a titolo di esempio, due suoi messaggi estremamente
attuali che rappresentano plasticamente come i due poli di una personalita'
combattuta fra pessimismo e speranza, affaticata dal bisogno e dall'impegno
di pacificazione fra la vita e il proprio limite, cioe' fra le due realta'
del nostro essere che sono una cosa sola ma che la cultura sacrale
violentemente separa: "Precipita la vita nella sorte/ della non vita da cui
viene/ e si confronta a quel nulla/ la misura del vivere: il morire", scrive
ancora nel Verbale.
Il primo messaggio, quello che parla il linguaggio del pessimismo, cosi' a
me sembra, e' un'analisi spietata pubblicata su "La rivista del manifesto"
(numero 10, ottobre 2000) col titolo "Praevalebunt".
Partendo dal pontificato di Wojtyla compie un magistrale escursus,
fortemente e lucidamente critico, sulla storia della Chiesa cattolica nel
secolo scorso per concludere, pessimisticamente appunto, con una
dichiarazione esplicita di dissenso senza apparentemente un barlume di
speranza.
"Questa Chiesa... non ha alcun bisogno di mediazioni: essa e' e vuole. Vuole
la beatificazione di tutti i suoi capi, indipendentemente dalla storia
'profana', si appropria di tutti i martiri, costruisce un universo di santi
a sua immagine e somiglianza, invade tutti i territori della vita politica,
civile, religiosa, tutti gli schermi e le formule di imbonimento (quanti
frati figurano come i migliori suggeritori di prodotti culinari, come se la
loro competenza provocasse la vendita di prosciutti e biscotti), disattende
qualsiasi forma di meditazione, di raccoglimento, sfoggia i suoi giovani,
pronti ad acclamare un pontefice sofferente prima di accorrere ad acclamare
un probabile capo del governo che, a sua volta, si presenta come esempio di
virtu' cristiane, davvero improbabili.
"Era necessario questo esito? E' certamente coerente e corrisponde alla
progressiva, forse ineludibile erosione della cultura umanistica a vantaggio
delle nuove forme, anch'esse di cultura, dei nuovi strumenti che hanno,
appunto, nell'immagine e nella disponibilita' dei nuovi accessi
all'informazione non mediata i propri caratteri. Una Chiesa come questa
corrisponde anche, cosi' sembra, all'abbandono, non detto ma praticato, del
cristianesimo come religione in favore di una Chiesa visibile in cui si
compendia la storia secondo il prologo della Lettera agli Ebrei. Senza
alcuna forma di ossequio o di consenso, occorre prenderne attoª".
Il secondo polo, la speranza, lo troviamo, sempre a mo' di esempio, nella
prefazione da lui scritta al libro della Comunita' dell'Isolotto, Oltre i
confini, Lef, Firenze 1995. Fu il primo incontro diretto fra una
personalita' apparentemente schiva ma in realta' partecipe e la comunita'
"il cui carattere e la cui forza - come lui scrive - non sono mai derivate
dal riferimento a figure carismatiche".
Egli parte dall'Isolotto, ma il suo sguardo si estende su tutta l'area del
"dissenso creativo" fiorentino, nazionale, mondiale. Li' nella base critica
della chiesa e della societa', che non e' contrapposizione ma costruzione
positiva di una "chiesa altra" e di una "societa' altra", vede e analizza
acutamente germi di speranza. Per la realta' ecclesiale ma anche per tutta
la societa'.
"La vicenda... Isolotto appartiene contemporaneamente ad almeno tre
contesti: la storia di Firenze, la storia della chiesa locale, la storia
della chiesa. Appartiene anche, molto piu' di quanto si sia fino ad ora
considerato, alla 'storia del mondo'...
"Dal 1954 a oggi, in Firenze si sono succedute diverse forme particolari di
esperienza e vita religiosa, e grandi figure rappresentative di essa. Da
Elia Dalla Costa a don Facibeni, a La Pira, a padre Davide Turoldo, a don
Lorenzo Milani, a Luigi Rosadoni, a padre Ernesto Balducci, i modelli di
obbedienza e di proposta religiosa e civile si sono succeduti come momenti
irripetibili, ciascuno nella sua unicita', e pure appartenenti a una sorta
di costellazione religiosa, quasi un privilegio di grazia".
Un elemento importante di speranza lo vede nel carattere evolutivo e
dialettico della storia: "Questo consentira' di liberare la storia
dell'Isolotto dalla prospettiva, in cui viene per solito chiusa, di una
conflittualita' particolare, quasi caratteriale, privata, presente si' ma
come elemento 'perenne' della dialettica propria della storia della chiesa e
alla fine riconducibile alla dicotomia fra trascendenza e immanenza o fra
particolare e universale o fra visibile e invisibile o profezia e storia,
ossia alle coppie e ai nessi su cui si costruisce l'esperienza religiosa".
Infine lo sguardo prospettico, la profezia, il gettare "oltre" la luce della
speranza, coerentemente col titolo del libro per cui scrive la prefazione:
"Per questo, in certo modo, il Concilio e le sue carenze, ma anche la
restaurazione appartengono ancora, o cosi' sembra, alle categorie del sacro,
dell'istituzione, della Chiesa discente e docente, a distinzioni e caratteri
che la storia di oggi, e non solo la storia religiosa, non sa piu' e non
deve piu' forse riconoscere come presenti e operanti".
In questo prepotente ritorno del sacro che ci sconcerta, in questa stagione
culturale e politica in cui sono cosi' centrali i temi etici e il rapporto
con la Chiesa, le riflessioni dello storico illuminato e fine poeta sono
parecchio illuminanti. Purtroppo la politica difetta di cultura e non e'
capace di approfittare di queste lezioni di memoria e di vita.
Michele Ranchetti e' ognuno di noi, la sua lotta fra pessimismo e speranza
e' la nostra lotta, la sua fatica di pacificazione interiore e di
liberazione dal dominio del sacro e' la nostra fatica.

7. LIBRI. BARBARA EHRENREICH: UN ESTRATTO DALL'INTRODUZIONE DI "UNA PAGA DA
FAME"
[Dal sito www.feltrinellieditore.it riprendiamo il seguente estratto da
Barbara Ehrenreich, Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel
paese piu' ricco del mondo, Feltrinelli, Milano 2002, 2004.
Barbara Ehrenreich e' sociologa, docente universitaria, giornalista e
saggista; insegna all'Universita' di Berkeley; scrive sul "New York Times",
"Time", "Harper's Magazine", "The Nation", "The Progressive", "Mother
Jones", "Z Magazine"; vive in Florida, e' autrice di tredici libri; e' stata
tra le prime firmatarie dell'appello "Not in our name", sottoscritto da
migliaia di intellettuali statunitensi contro la guerra in Iraq. Tra le
opere tradotte in italiano di Barbara Ehrenreich: Le streghe siamo noi. Il
ruolo della medicina nella repressione della donna, La salamandra, Milano
1977; Riti di sangue. All'origine della passione della guerra, Feltrinelli,
Milano 1998; Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel paese
piu' ricco del mondo, Feltrinelli, Milano 2002, 2004; (a cura di, con Arlie
Russell Hochschild), Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli,
Milano 2004]

Introduzione - Antefatto e preparativi
L'idea da cui e' nato questo libro vide la luce in una cornice di relativo
lusso. Il direttore di "Harper's", Lewis Lapham, mi aveva invitata a
colazione in uno di quei ristorantini francesi che promettono cucina rustica
(30 dollari al pasto) per mettere a punto la mia collaborazione alla
rivista. Ordinai salmone con insalatina selvatica, se ben ricordo, poi,
mentre esponevo la proposta di una serie di articoli sulla cultura pop, la
conversazione ando' a toccare uno dei temi che piu' mi stanno a cuore, la
poverta'. Come fa la gente a sopravvivere con i salari dei lavori meno
qualificati? E in particolare, come faranno a sopravvivere, con paghe di 6 o
7 dollari l'ora, quei quattro milioni di donne che saranno forzatamente
immesse sul mercato del lavoro dalla riforma del welfare? [legge del 1996 -
ndt]. Questo ci stavamo chiedendo, quando me ne uscii con un'idea di cui in
seguito avrei avuto modo di pentirmi a piu' riprese: "Bisognerebbe mandare
qualcuno sul campo a fare una bella inchiesta vecchio stile". Naturalmente
intendevo una persona molto piu' giovane di me, qualche neofita entusiasta
con tanto tempo a disposizione. Fu allora che, con un sorrisino a mezza
bocca e un luccichio folle negli occhi, Lapham pronuncio' le due parole che
per me segnarono la fine della vita normale, almeno per un lungo periodo:
"Giusto: te".
Un'analoga esortazione a lasciarmi alle spalle la mia solita vita, nella
fattispecie per andare a fare l'operaia, mi era stata rivolta negli anni
Settanta, quando sull'onda delle contestazioni del '68 un mucchio di
studenti volevano provare il lavoro in fabbrica per "proletarizzarsi" e nel
contempo organizzare la classe operaia. No, grazie, compagni. Le mie
simpatie andavano ai poveri genitori, che avevano risparmiato tanto per
mandare quegli aspiranti operai all'universita', e anche, devo dire, ai
poveri proletari, che avrebbero dovuto farsi nobilitare da loro. Nella mia
famiglia la proletarizzazione della vita era spesso stata dietro l'angolo,
tanto da farmi apprezzare come oro l'esaltante indipendenza del mio lavoro,
non esattamente strapagato, di scrittrice. Mia sorella, che conosce bene la
trafila da un lavoro scarsamente remunerato all'altro (propagandista di
societa' dei telefoni, operaia, centralinista), la chiama "schiavitu'
salariale". Mio marito, quando ci mettemmo insieme quindici anni fa, faceva
il magazziniere a 4 dollari e mezzo l'ora, e considera una liberazione
l'essere diventato attivista sindacale degli autotrasportatori. Mio padre
lavorava nelle miniere di rame; zii e nonni facevano i minatori o gli operai
per la Union Pacific. Per me, dunque, lo stare seduta tutto il giorno a
scrivere era non soltanto un privilegio, ma un dovere: un tributo a quanti,
vivi e morti, avevano contribuito a farmi diventare quella che ero e non
avevano avuto diritto di parola.
Ulteriore motivo di perplessita' era la considerazione che, in fondo, come
non mancavano di farmi futilmente notare alcuni miei familiari, avrei potuto
svolgere la mia inchiesta senza neppure muovermi dallo studio. Bastava che
mi assegnassi una somma teorica mensile, calcolata sul salario medio
d'ingresso, e ne detraessi le spese di vitto, alloggio e benzina. Tenuto
conto che nella nostra zona la paga oraria e' sui 6-7 dollari e gli affitti
vanno, grosso modo, dai 400 dollari mensili in su, il mio ipotetico
lavoratore, calcolai, avrebbe potuto far quadrare i conti. Se invece la
domanda era: puo' una madre sola, privata dell'assistenza pubblica sotto
forma di buoni alimentari, servizio sanitario gratuito e sussidi per
l'affitto e l'asilo dei bambini, riuscire a sopravvivere? la risposta era
nota senza bisogno che mi scomodassi io. Secondo i dati della National
Coalition for the Homeless, nel 1998 (l'anno d'inizio del mio progetto), per
potersi permettere un monolocale piu' servizi, un lavoratore doveva
guadagnare 8,89 dollari all'ora (media nazionale); e secondo la stima del
Preamble Center for Public Policy, le probabilita' che il tipico
beneficiario dell'assistenza pubblica trovasse un lavoro a quel livello di
retribuzione (il cosiddetto "salario minimo di sussistenza") erano circa una
su 97. Aveva senso, dunque, che mi dessi da fare per confermare quelle cifre
deprimenti? Con l'avvicinarsi del momento della decisione mi sentivo sempre
piu' come quel mio conoscente che, nel compilare la dichiarazione dei
redditi, prima usa la calcolatrice, poi controlla i risultati rifacendo
tutti i conti a mano.
Alla fine, a farmi superare queste riserve fu l'idea di considerarmi alla
stregua di una ricercatrice scientifica, che e' poi quello per cui ho
studiato. Ho fatto il dottorato di ricerca in scienze biologiche e non l'ho
certo ottenuto rimanendo seduta alla scrivania a giocare coi numeri. In quel
campo puoi inventarti tutte le teorie che vuoi, ma prima o poi devi
rimboccarti le maniche e tuffarti nel normale caos della natura, dove le
piu' accurate misurazioni riservano sempre un mucchio di sorprese. Metti che
nel mondo dei lavoratori a basso salario potessi scoprire economie sommerse?
Dopo tutto, se quasi il 30% della forza-lavoro accetta di sgobbare per 8
dollari l'ora, o anche meno secondo i dati dell'Economic Policy Institute di
Washington, puo' darsi che questi lavoratori abbiano inventato sistemi di
sopravvivenza a me ignoti. Magari avrei addirittura potuto sperimentare
direttamente su di me l'effetto psicologicamente tonificante dell'uscire dal
chiuso delle pareti domestiche, come argomentano con tanta sottigliezza i
cervelloni che ci hanno regalato la riforma del welfare. Oppure, al
contrario, avrei potuto scoprire l'incidenza di costi fisici, economici o
emotivi capaci di ribaltare tutti i calcoli. L'unico modo per verificarlo
consisteva nell'andare a toccare con mano.
Da brava scienziata, per prima cosa stabilii una serie di regole e
parametri. Regola numero uno (abbastanza ovvia): nel cercare lavoro non
dovevo fare ricorso a capacita' derivanti dai miei studi o dalla mia normale
professione (non che, peraltro, le scrittrici di saggistica fossero molto
richieste sul mercato...). Regola numero due: dovevo scegliere il lavoro
meglio retribuito tra le offerte disponibili e, una volta accettato, dovevo
fare del mio meglio per conservarmelo; niente comizi marxisti ne' sedute
prolungate alla toilette. Terza regola: dovevo scegliere la sistemazione
abitativa piu' economica possibile o, quantomeno, la piu' economica tra
quelle che garantissero un grado di sicurezza e di privacy accettabile,
anche se al momento i miei standard al riguardo erano piuttosto vaghi e,
come si vide poi, destinati ad abbassarsi via via.
Ho onestamente cercato di attenermi a queste regole, ma tutte, una volta o
l'altra e in varia misura, sono state disattese. Per esempio, a Key West,
dove a fine primavera del 1998 il progetto e' iniziato, durante un colloquio
per un posto di donna delle pulizie in un albergo, mi autopromossi a
cameriera dicendo che avrei saputo accogliere i turisti europei con
opportuni bonjour e guten tag; ma quella e' stata l'unica volta in cui abbia
sfruttato le vestigia della mia cultura. A Minneapolis, l'ultima sede,
nell'estate del 2000, infransi un'altra delle mie regole, evitando di
scegliere il lavoro meglio retribuito; ma lascio a voi valutare le mie
motivazioni. E, proprio verso la fine, mi sono anche lasciata andare a
tenere qualche comizio, ma di nascosto e mai a portata d'orecchio della
direzione.
C'era poi il problema di come presentarmi ai potenziali datori di lavoro e,
in particolare, di come spiegare la vistosa mancanza di precedenti
esperienze lavorative nel settore. Dire la verita', o almeno una versione
drasticamente epurata della verita', mi sembro' la soluzione piu' semplice:
nei colloqui mi descrivevo come una casalinga costretta dal recente divorzio
a immettersi nuovamente sul mercato del lavoro, il che tutto sommato non era
propriamente una bugia. Qualche volta, non sempre pero', aggiunsi un paio di
esperienze come domestica, citando come referenze il nome di ex compagne di
stanza all'universita' e di un'amica di Key West, che di tanto in tanto
aiuto davvero a lavare i piatti dopo un invito a pranzo. I moduli di
assunzione chiedono anche il titolo di studio, e in questo caso mi parve che
scrivere laurea e diploma di specializzazione sarebbe stato fuori luogo,
anzi avrebbe potuto dare l'idea che fossi un'alcolizzata, una fallita o
simili. Percio' mi limitai al diploma di scuola superiore, specificando
quale. Di fatto, i miei dati non furono mai messi in dubbio e soltanto un
datore di lavoro, tra le molte decine, si prese la briga di controllare le
mie referenze. Quando un'intervistatrice piu' loquace della media mi chiese
quali fossero i miei interessi nel tempo libero e io risposi "scrivere", la
cosa non suscito' la minima curiosita', benche' il lavoro in questione fosse
adatto anche a un'analfabeta.
Infine, posi alcuni paletti per garantirmi dalle eventuali durezze della
vita che mi aspettava. Primo, avere a disposizione un'automobile: a Key West
usai la mia; negli altri posti ne noleggiavo una di seconda mano, pagando
con la carta di credito, non con i miei guadagni. Certo, avrei potuto andare
a piedi o limitarmi a posti accessibili con i mezzi pubblici. Ma mi sembrava
che la descrizione di lunghe attese alla fermata dell'autobus non avrebbe
costituito una lettura esaltante. Secondo, avere un tetto sopra la testa:
l'idea era di trascorrere un mese in ciascuna localita', per verificare se
fossi capace di trovare un lavoro e di guadagnare con cio' abbastanza da
pagarmi il secondo mese di affitto. Se l'affitto era settimanale e mi fossi
trovata nell'incapacita' di pagarlo, pazienza, l'esperimento sarebbe
terminato; ma niente ostelli per poveri ne' nottate in macchina, grazie. E
nemmeno avevo intenzione di patire la fame: se mi fossi ridotta a non
potermi permettere un pasto decente, giurai che avrei barato, ricorrendo al
mio bancomat.
Insomma, questa non e' la storia di una romantica impresa con travestimenti
e rischio della vita. Chiunque potrebbe fare quello che ho fatto io: cercare
lavoro, lavorare, tirare la fine del mese. Anzi, milioni di americani fanno
esattamente questo, tutti i giorni, senza darsi tante arie ne' credere di
fare chissa' che...

8. LIBRI. MARIUCCIA CIOTTA PRESENTA "IL PREZZO DEL VELO" DI GIULIANA SGRENA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo marzo 2008, col titolo "Donne sotto
il velo, il sipario strappato", e il sommario "Chador, burqa, niqab... tanti
modi per dire la segregazione femminile. Il libro di Giuliana Sgrena,Il
prezzo del velo, racconta i crimini silenziosi della 'guerra dell'islam
contro le donne'. La lotta e la resistenza".
Mariuccia Ciotta e' giornalista e condirettrice del quotidiano "Il
manifesto"; e' altresi' acuta studiosa di cinema e autrice di innumerevoli
articoli e saggi, sovente illuminanti. Opere di Mariuccia Ciotta: (con
Roberto Silvestri), Da Hollywood a Cartoonia, Manifestolibri, Roma 1994; Un
marziano in tv. Adriano Celentano, Rai-Eri, 2001 (con Cd-rom); Walt Disney.
Prima stella a sinistra, Bompiani, Milano 2005.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto"
riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in
provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a
Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da
Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella
redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno
d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere
di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri,
Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola
dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma
2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005; Il prezzo del velo,
Feltrinelli, Milano 2008]

"Mi ricordo il pallore dei visi delle donne afghane quando hanno manifestato
per la prima volta contro il burqa dopo la partenza dei taleban. La pelle
che per anni non aveva goduto del beneficio dei raggi del sole si squamava".
E' un'immagine folgorante, la scena clou di un film dell'orrore, dove piu'
del sangue conta il piccolo dettaglio, l'incrinatura ai margini... "la pelle
si squamava".
Il libro di Giuliana Sgrena Il prezzo del velo (Feltrinelli, pp. 156, euro
13) e' una polifonia di crimini e di resistenza, il racconto in crescendo
della "guerra dell'islam contro le donne", sottotitolo di un noir dove il
maschile e' definito dall'annientamento del femminile. E dove al tempo
stesso, nel suo delirio di controllo della donna, l'uomo integralista
nazionalista devoto ne esce subumano. Il furore machista e identitario
contro modernita' e occidente si spegne nel suicidio della sua stessa
cultura, la donna oscurata e' una parte di se' che muore. La rivoluzione,
che interiorizza la schiavitu' e lacera il proprio corpo, non avra' luogo.
Giuliana strappa il velo, declinato in tutte le sue forme, chador
(iraniano), burqa (afghano), niqab (saudita), e ci mostra cosa c'e' oltre lo
schermo. Dietro l'abaya nera, ispiratrice della maschera di Guerre stellari,
si apre un abisso, molto lontano dalle riflessioni europee sull'uso del velo
da concedere o meno alle immigrate. Quel pezzo di stoffa e' solo il segnale
visibile di un feroce abuso, un sipario che puo' apparirci voluttuoso, quasi
un monile sensuale posto a barriera dello sguardo e che nasconde invece il
piu' grande crimine contro l'umanita'.
La mappa di Giuliana disegna l'esproprio della liberta' delle donne in una
vasta area del mondo, dove non c'e' scelta possibile. Chi dichiara di
indossare il vero liberamente sa che non e' dato vivere "con il vento nei
capelli" (titolo del libro della scrittrice palestinese Salwa Salem) per
milioni di sorelle che combattono perche' un giorno il foulard non
significhi altro che moda (le passerelle di Parigi in questi giorni mostrano
ragazze con un fazzoletto sulla testa, vintage degli anni Sessanta). Ma ora
il percorso del Prezzo del velo ci porta nei gironi infernali di paesi amici
e nemici dell'occidente, che fingono di ignorare le lotte estreme delle
donne e dei giovani contro una politica di segregazione. "L'obiettivo di
questo libro - scrive l'autrice - non e' tanto la denuncia delle violazioni
dei diritti delle donne nel mondo islamico (...) bensi' far luce su una
realta' poco nota e poco raccontata: la presenza nei paesi musulmani di
donne (ma anche di uomini) che si battono per i loro diritti...".
Un viaggo che parte da Sarajevo, diventata terra di conquista dei mujahidin,
i combattenti di credo wahabita, impegnati a reislamizzare la Bosnia.
Scopriamo che qui le donne "convertite" ottengono 400 marchi bosniaci (200
euro) al mese se indossano l'hijab, soldi provenienti in gran parte
dall'Arabia Saudita. Un ritorno al passato, stigmatizzato dalla sociologa
femminista Nada Ler Sofronic, che lamenta la sottovalutazione del fenomeno:
"che non e' religioso: la fede viene usata come strumento da un movimento
neoconservatore e nazionalista, e' la destra politica".
Il libro passa quindi alle "malvelate" dell'Iran, dove non si "puo' pregare
con lo smalto" e che evoca un bellissimo cartoon uscito in questi giorni,
Persepolis di Marjanne Satrapi, giovane scrittrice e disegnatrice iraniana.
Un arabesque di carboncino che graffia lo schermo con i suoi "barbuti" e
inquadra se stessa bambina in fuga, perseguitata per il suo modo "sportivo"
di portare il velo, le scarpe da ginnastica e l'ironia.
Per tutte vale il "modello saudita" che detta il suo mostruoso decalogo
"rosa": vietato guidare, viaggiare, star sole in albergo, dare il nome ai
figli, ottenere il passaporto, lasciare la casa, avere un lavoro, andare a
scuola, aprire un conto in banca, sposarsi... vietato, a meno che il marito
o il padre non diano il permesso. Uomini, costretti a far da cane da guardia
alle loro donne per sentirsi vivi, e che della vita dispongono, come nel
caso del gruppo fondamentalista palestinese Righteous swords of Islam,
vicino ad al Qaeda, che ha minacciato le giornaliste senza velo in tv di
distruggere le loro case, far saltare per aria il posto di lavoro, e, se
necessario, decapitarle e/o sgozzarle "per salvare lo spirito e la morale
del nostro paese".
E via con una serie di incontri e di esperienze dirette con militanti,
intellettuali, artiste, tutte sotto il fuoco del fanatismo, intrappolate
nella Umma, la comunita' islamica, che veglia sulla fedelta' a presunti
principi religiosi. Giuliana, che martedi' 4 marzo ricordera' con noi la sua
liberazione dal sequestro funestato dalla morte di Nicola Calipari, non ci
da' tregua nel suo racconto avvicente che ci conduce dalle "spose bambine"
ai "suicidi d'onore", alle lapidazioni, alla poligamia, alle
ragazze-kamikaze ma anche alle case-rifugio, la rete di protezione per le
perseguitate, e agli "istituti di bellezza", gli hammam (bagni turchi), oasi
misteriose e spesso proibite, dove sogni e parole si confondono con i vapori
profumati.
Un mondo a parte che si dispiega nelle pagine del libro, guida alla
conoscenza di qualcosa di travolgente, dove la violenza ma anche la tecnica
persuasiva del telepredicatori islamici viola ogni giorno non l'"altra", ma
ognuno di noi. E che dall'integralismo islamico si propaga a ogni
integralismo, a ogni forma di machismo, presente ovunque. Di sharia ce ne
sono tante e le parole del Prezzo del velo toccano anche chi crede di essere
immune dalla narrazione di una infelicita' impensabile.
La Convenzione delle Nazioni Unite, conclude il libro, e' stata ratificata
dalla maggior parte dei paesi musulmani, ma "con riserva", vale a dire che
il principio di uguaglianza tra i sessi e' sottoposto alla legislazione
nazionale che, paradossalmente, fa appello alla "differenza di genere" per
violare i trattati internazionali. Ma quei "visi pallidi" prima o poi
prenderanno il sole e il sipario che nega l'esistenza delle donne sara'
strappato.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 384 del 4 marzo 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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