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La domenica della nonviolenza. 149
- Subject: La domenica della nonviolenza. 149
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 3 Feb 2008 09:56:23 +0100
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 149 del 3 febbraio 2008 In questo numero: Giuliano Battiston intervista Zygmunt Bauman RIFLESSIONE. GIULIANO BATTISTON INTERVISTA ZYGMUNT BAUMAN [Da "Lo straniero", n. 92, febbraio 2008, riprendiamo la seguente intervista (disponibile anche nel sito: www.lostraniero.net) dal titolo "Cambia il mondo, cambia il vento". Giuliano Battiston, giornalista, ricercatore, saggista, docente, e' ricercatore di "Mediawatch" e tutor presso la Scuola di giornalismo della Fondazione Basso di Roma. Zygmunt Bauman, illustre sociologo, intellettuale democratico, ha insegnato a Varsavia, a Tel Aviv e Haifa, a Leeds; e' il marito di Janina Bauman. Opere di Zygmunt Bauman: segnaliamo almeno Cultura come prassi, Il Mulino, Bologna 1976; Modernita' e olocausto, Il Mulino, Bologna 1992, 1999; La decadenza degli intellettuali, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il teatro dell'immortalita', Il Mulino, Bologna 1995; Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano 1996; La societa' dell'incertezza, Il Mulino, Bologna; Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 1999; Voglia di comunita', Laterza, Roma-Bari 2001; Modernita' liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003; La societa' sotto assedio, Laterza, Roma-Bari 2003; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari 2005; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; L'Europa e' un'avventura, Laterza, Roma-Bari 2006; Lavoro, consumismo e nuove poverta', Citta' aperta, Troina (Enna) 2007; Homo consumens, Erickson, Trento 2007; Modus vivendi, Laterza, Roma-Bari 2007] Anche le riflessioni piu' originali corrono il rischio di cristallizzarsi, avverte Zygmunt Bauman, uno dei piu' noti intellettuali europei. Succede quando vengono trasformate in "doxa", finendo per diventare idee che tutti pensano, ma sulle quali nessuno ragiona. Che anche alcune delle sue acute diagnosi concettuali sulle forme delle societa' contemporanee corrano questo rischio e' il sintomo della straordinaria diffusione che hanno avuto i suoi libri, cosi' come della facilita' con la quale perfino analisi articolate possano essere ridotte a formule passepartout. Forse, pero', nel caso del sociologo di origine polacca, professore emerito presso le Universita' di Leeds e Varsavia, quel rischio e' soprattutto il frutto di un metodo preciso, consapevolmente adottato: la deduzione da cio' che e' estrinseco e "volgare" di cio' che e' intrinseco e "sublime". Come se per Bauman fosse vera sociologia solo quella che nasce dall'osservazione della vita quotidiana, e che, nutrendosi di un confronto costante con essa, non perde mai la consapevolezza della sua natura provvisoria, e insieme della "natura umana, non-inevitabile, contingente e alterabile" di ogni ordine sociale. Attorno a questa consapevolezza Bauman ha costruito un lungo percorso teoretico, fatto di ricerca ma anche di autentica passione etica, di cui i tanti libri pubblicati sono solo l'aspetto piu' visibile, ma non l'unico. Tra quelli tradotti in italiano negli ultimi anni, ricordiamo: Modernita' e Olocausto (Il Mulino 1999), La societa' dell'incertezza (Il Mulino 1999), Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (Laterza 2000), La solitudine del cittadino globale (Feltrinelli 2000), Voglia di comunita' (Laterza 2001), La liberta' (Citta' Aperta 2002), Modernita' liquida (Laterza 2002), La societa' individualizzata. Come cambia la nostra esperienza (Il Mulino 2002), Intervista sull'identita' (Laterza 2003), Lavoro, consumismo e nuove poverta' (Citta' Aperta 2004), L'Europa e' un'avventura (Laterza 2006), La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti (Bollati Boringhieri, nuova edizione 2007), Modus vivendi. Inferno e utopia nel mondo liquido (Laterza 2007), Il disagio della postmodernita' (nuova edizione Bruno Mondadori 2007). * - Giuliano Battiston: Professor Bauman, in un saggio pubblicato prima sulla rivista "Theory, Culture and Society" e poi nel libro Modernita' liquida, lei sostiene che il compito della sociologia sia quello di "prendere le distanze, prendere tempo, al fine di separare il destino dalla sorte, di emancipare il destino dalla sorte, perche' il destino possa affrontare e sfidare la sorte". Che cosa intende? Vuol forse dire che la sociologia deve essere un antidoto alla tendenza a naturalizzare le costruzioni umane? Uno strumento per evitare di attribuire un carattere di inevitabilita' agli eventi? - Zygmunt Bauman: Ha posto la questione in modo molto pertinente, ma devo dire che non posso essere sicuro di quel che pensavo quando ho scritto quel saggio: ho vissuto un tempo incredibilmente lungo, durante il quale il mio personale modo di comprendere il mondo ha attraversato fasi molto diverse, e allo stesso modo sono cambiate molte cose intorno a me. In quello stesso libro, per esempio, ho fatto riferimento al fatto che, quando ero giovane, la psicologia sociale che mi veniva insegnata tendeva a concentrarsi sugli esempi ricavati dai topi da laboratorio, che, messi in un labirinto, avevano il compito di trovare la via d'uscita piu' breve e sicura per ottenere come ricompensa, alla fine del labirinto, un pezzo di cibo. Una volta trovata la via, i topi dunque dovevano memorizzare la maniera piu' efficace per uscire dal labirinto, e la loro intelligenza era misurata sulla base della rapidita' con cui svolgevano il compito. Questi esperimenti erano fondati sull'assunto che la struttura del labirinto fosse sempre la stessa, e che, in termini piu' generali, qualora un individuo avesse imparato cosa fare nella propria vita, sarebbe potuto andare avanti, e poi ancora avanti, senza cambiare atteggiamenti e abitudini, poiche' il giorno successivo sarebbe stato come il precedente. In questi termini, all'origine di quegli esperimenti c'era un assunto di stabilita', ovvero la fiducia che l'ambiente, le circostanze, tutto cio' che circonda l'uomo sarebbe rimasto immutato per l'intero corso della sua vita, se non per un tempo infinito. In modo simile, Jean-Paul Sartre ha coniato il concetto di "projet de vie", con il quale intendeva dire che, una volta deciso cosa fare nella vita e che tipo di persona essere, agli occhi di un individuo ogni cosa sarebbe diventata chiara, stabile e assolutamente determinata come i passi da compiere e la direzione da seguire per realizzare il proprio "projet de vie". A questo proposito, come lei ricordera', io ho usato la metafora del pellegrino, colui che, conoscendo la mappa esatta della strada che conduce al luogo sacro, si limita a calcolare le risorse che gli occorrono, la forza e il numero di scarpe necessarie per coprire la distanza che lo separa dal tempio. Tutti questi esempi sono accomunati dal tacito assunto secondo il quale l'unico elemento che puo' cambiare nella vita di un uomo e nel mondo nel quale egli vive sia il comportamento personale, mentre tutto il resto e' dotato di una granitica stabilita'. Oggi, pero', tutto questo e' finito. Non ci e' piu' concesso di basare le nostre credenze e le nostre azioni su un presupposto del genere, poiche' le condizioni della nostra vita cambiano in continuazione, determinando quella che ho definito come una modernita' liquida. Modernita' liquida significa che gli elementi di ogni nuova situazione appaiono dal nulla, e che quando appaiono gia' sappiamo che non potranno durare a lungo, perche' saranno ancora una volta sostituiti. Si tratta di un processo di modernizzazione compulsiva e ossessiva: ogni cosa viene continuamente modernizzata, e cio' che oggi e' modernizzato sara' ri-modernizzato di nuovo domani, e ancora il giorno successivo. Ora, per rispondere alla sua domanda: in queste condizioni qual e' il ruolo della sociologia? Si tratta di una questione complicata, ma direi che la sociologia deve intrattenere una continua conversazione con l'esperienza umana. Per tornare ancora una volta a quando ero giovane, agli anni in cui studiavo sociologia da studente, ricordo che allora i miei professori mi insegnavano che il compito della sociologia era quello di correggere il senso comune, giudicato errato e confuso. Si riteneva infatti che la gente comune non avesse ne' il tempo ne' le capacita' di analizzare le cose che vedeva, e che la sociologia invece fosse in grado di investigare sugli avvenimenti. Che, in altri termini, potesse comparare tra di loro le diverse esperienze umane fino a riconoscerne la vera struttura, e che grazie a questa sua capacita' fosse in grado di correggere le concezioni sbagliate derivate dall'osservazione ordinaria. Insomma, si credeva che la sociologia potesse raggiungere la verita' sul mondo. Oggi mi sembra invece che i sociologi non pretendano piu' di godere di un accesso privilegiato alla verita', perche' la verita' cambia molto velocemente: il carattere liquido della modernita' infatti ha relativizzato cio' che sembrava essere la verita' data, l'hardcore della condizione umana e dell'essere umano nel mondo. Oggi, dunque, invece di correggere il senso comune, la sociologia deve continuamente confrontarsi con esso, in una relazione a due, che implica reciprocita'. Attualmente i sociologi studiano un mondo e imparano da un mondo che e' gia' stato pre-interpretato dalle persone comuni nella vita di tutti i giorni, e il mondo in cui agiamo e', nello stesso tempo, un mondo che continuamente interpretiamo. In questo senso la sociologia deve diventare un'ermeneutica secondaria, la cui risorsa primaria sia l'esperienza pre-interpretata dalle persone comuni, che sono degli ermeneuti a loro volta, dato che interpretano ogni giorno la loro vita e le loro esperienze, collocandole in cornici interpretative, costruendo categorie ermeneutiche e cercando di attribuire un senso alla loro vita. Ci troviamo dunque in una situazione nella quale la maggior parte dei presupposti dei sociologi sono andati distrutti, quei presupposti che facevano credere loro di essere i portatori della verita' e della vera conoscenza. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, quale fosse una volta l'orientamento della sociologia verso il potere burocratico. La burocrazia era ovviamente interessata alla gestione delle persone, e i sociologi potevano suggerire ai manager del potere come gestire queste persone dal momento che conoscevano le regole che ne governavano il comportamento, e conoscendo le regole avrebbero potuto guidare il comportamento nel modo ritenuto piu' opportuno. Ritengo che oggi la sociologia abbia smesso di essere utile ai manager, ma che sia di un'enorme utilita' potenziale per le persone comuni. Viviamo infatti in un'epoca che Anthony Giddens definisce di "life politics", nella quale ognuno e' un politico, perche' deve prendere decisioni relative a come utilizzare abilita' e risorse nella propria vita. Tutti siamo politici, non per scelta, ma per necessita'. Dobbiamo esserlo perche' molte delle funzioni che prima venivano soddisfatte dalla comunita' o dallo Stato sono ora ricadute sul piano individuale, cosicche' ognuno di noi e' tenuto personalmente a trovare delle soluzioni ai problemi della propria vita. In questi termini la sociologia - conversando continuamente con l'esperienza, mostrando la possibilita' di altre interpretazioni dell'esperienza, relativizzando cio' che pensiamo e le costruzioni umane, e indicando il meccanismo interno che connette ogni decisione individuale con alcuni scenari sopraindividuali - puo' offrire un aiuto e arricchire le capacita' degli individui per operare in un contesto fluido. Questo e' il destino della sociologia, perche' una volta che la modernita' si e' liquefatta, pretendere che ci siano ancora dei progetti di vita o delle strutture stabili su cui basare le proprie azioni diventa una pura illusione. Il destino della sociologia, dunque, e' di dissentire rispetto alla sua vecchia pretesa di pedanteria pedagogica; di dissentire rispetto all'illusione di poter insegnare alla masse. E' un destino che puo' essere trasformato in occasione, in una forma di vita consapevolmente scelta e praticata soltanto se si accetta il fatto che oggi il problema centrale e' il disperato sforzo di trovare soluzioni a problemi di carattere sociale, sapendo pero' che queste soluzioni sono divenute individuali. * - Giuliano Battiston: I suoi libri sono caratterizzati da un evidente rigore analitico, ma anche dall'attenzione alla dimensione divulgativa, e non e' un caso che, per dare concretezza alle analisi teoriche, lei faccia spesso riferimento a metafore molto convincenti. Per esempio, per descrivere il passaggio dalla modernita' solida a quella liquida, ha sostenuto che l'attuale fase della modernita' sia quella del "cacciatore". Quali sono le principali caratteristiche di questa fase, e in che termini si differenzia da quelle precedenti? - Zygmunt Bauman: Molti anni fa ho scritto un libro, Legislators and Interpreters, in cui suggerivo che prima dell'avvento della modernita' l'atteggiamento principale verso il mondo fosse quello del guardiano. Il guardiano non intende cambiare il mondo; piuttosto, convinto che ogni cosa sia il frutto della creazione divina, e che la natura sappia prendersi cura di se stessa nel migliore dei modi, ha il solo compito di prevenire l'intervento criminale dell'uomo, facendo in modo che la natura resti in grado di difendere se stessa. Nella modernita' solida, invece, l'atteggiamento dominante e' quello del giardiniere, colui che ha in mente un disegno ideale per intervenire sulla realta' e sulla natura. Il fatto che abbia gia' in mente un disegno prima di operare significa che alcune piante possono diventare erbacce, e vadano quindi eliminate, mentre altre vanno coltivate e cresciute con cura. La differenza fondamentale tra il guardiano e il giardiniere risiede nel fatto che, mentre il giardiniere crede che senza di lui, senza il suo disegno e la sua attivita' ci sarebbe il caos, e che stabilire l'ordine sia una sua responsabilita', il guardiano ritiene invece che l'ordine sia gia' nelle cose, e che il suo unico compito sia quello di difenderlo dagli intrusi. Entrambi, pero', considerano la realta' e la natura in quanto totalita', come una totalita' aggregata di elementi, e in un modo o in un altro sono interessati a inserire e collocare l'individuo in questa totalita' data. Tutto cio' e' venuto meno, ancora una volta, ed e' per questa ragione che ho introdotto la terza disposizione verso il mondo, quella che chiamo del cacciatore, colui che non si cura della totalita', ma esclusivamente dei risultati delle sue battute di caccia. Il cacciatore non si preoccupa del fatto che, se ottiene molto successo durante la caccia, la quantita' di prede nella foresta puo' essere ridotta al punto tale da compromettere in modo pericoloso la stessa possibilita' di cacciare in futuro. Non si interessa di queste cose perche', se un particolare terreno di caccia viene reso poco fruttuoso dalle sue battute, semplicemente si sposta su un altro terreno, e poi di nuovo su un altro dove possa trovare delle buone condizioni per la caccia. In questi termini, se il guardiano e il giardiniere sono sensibili nei confronti del legame che corre tra il benessere della totalita' e quello dell'individuo, il cacciatore invece rompe il legame tra l'attivita' individuale e lo stato del mondo. Questo e' cio' che accade oggi in economia, un settore in cui, una volta che un determinato luogo non sia piu' produttivo, si sposta semplicemente il business altrove, trasferendo il capitale con un pulsante per ottenere profitti e risultati immediati. Ma e' cio' che accade anche nella vita di ognuno. Mi riferisco in particolare, ancora una volta, a Giddens, che ha coniato il concetto di "pure relationships", quelle relazioni tra esseri umani prive di legami solidi, nelle quali si entra solo per soddisfare un desiderio, soddisfatto il quale viene meno la ragione per mantenere la relazione, che viene rotta, per cercarne un'altra, altrove. Se per esempio riteniamo che la nostra compagna ci abbia dato tutto quello che poteva, e se ci sembra che tutto sia ripetitivo, che non sia piu' intrigante, eccitante, nuovo, o avventuroso, ma che sia noioso e che non ci soddisfi piu' come ci aspetteremmo, e, ancora, se al di la' del nostro recinto ci sembra che ci sia erba fresca e verde, perche' rimanere? Perche' non muoversi verso quel giardino? Come risultato dell'atteggiamento del cacciatore, la vita si sgretola in frammenti, si smembra, diventa semplicemente episodica, un insieme di episodi da cui cerchiamo di spremere il piu' possibile per poi muoverci altrove: un insieme di esperienze e avventure tenute insieme solo dal fatto di essere vissute dalla stessa persona. Potremmo dire che la vita diventa una serie di sempre nuovi inizi, e che - per usare una parola molto di moda negli Stati Uniti - gli individui diventino dei sempre nuovi "born again", come se potessero eliminare completamente tutto cio' che viene prima e cominciare con un nuovo inizio. Questo e' l'atteggiamento del cacciatore, che si manifesta in quello che ho chiamato l'episodicita' della vita, una serie sconnessa di situazioni ed eventi, un movimento di avventura in avventura e di esperienza in esperienza, senza che si abbia la minima idea di quel che accadra' l'anno prossimo. Daniel Cohen, l'economista della Sorbona, ha ricordato che cinquanta anni fa, quando gli apprendisti della Ford e della Fiat cominciavano a lavorare erano sicuri che sarebbero rimasti legati a quel lavoro per i successivi quarant'anni, mentre oggi i giovani, quelli ambiziosi, energici e fortunati che si ritrovano nella Silicon Valley per cercare lavoro con i vari Bill Gates - un lavoro che sembra rappresentare uno dei piu' grandi sogni per i giovani - ebbene questi giovani non hanno idea di quel che accadra' loro l'anno successivo, o persino nei sei mesi successivi. Non e' un caso che, secondo un calcolo fatto dal sociologo Richard Sennett, la durata media di un impiego nella Silicon Valley sia di otto mesi. E' la prospettiva del cacciatore: sparare, sparare e sparare; poi, finito il gioco, muoversi altrove e ricominciare di nuovo. * - Giuliano Battiston: Secondo la sua analisi, se l'unione di potere e politica caratteristica dello Stato-nazione ha costituito il cuore della modernita' solida, nella modernita' liquida invece il potere avrebbe "divorziato" dalla politica. Quali trasformazioni hanno determinato questa separazione? - Zygmunt Bauman: Si tratta di un argomento sul quale ho scritto alcune cose. Nel corso della storia moderna, per circa duecento anni al livello degli Stati-nazione c'e' stato un matrimonio tra potere e politica, e si riteneva che potere e politica dovessero comunque vivere insieme: l'arte politica come potere di fare cose, un potere dunque regolato, compensato e orientato dalla politica. Quello che sta accadendo ora, in un periodo caratterizzato da una globalizzazione meramente negativa, nel quale ancora non abbiamo dato vita a istituzioni politiche di carattere globale che godano delle stesse prerogative di quelle degli Stati-nazione, e' che il potere evapora nel cyberspazio, in uno spazio planetario. Il vero potere, infatti, quello che decide delle nostre opportunita' di lavoro e delle nostre chances di vita non si decide certo a Torino o Roma, ma altrove, nello spazio planetario senza controllo. Voglio dire, per esempio, che se ci fosse un improvviso cambiamento negli scambi monetari, o una sorta di assalto contro l'euro, le nostre possibilita' di vita cambierebbero improvvisamente. La politica, d'altra parte, puo' fare molto poco per fermare questo processo. Perche'? Perche' il potere diventa globale, mentre la politica rimane locale. Da un lato c'e' la politica che va a caccia, sparando per prendere il potere, e dall'altra il potere che non e' piu' costretto dalla politica, ne' da altro. La politica e' sempre piu' privata di potere, e gli Stati-nazione, di conseguenza, possono fare sempre meno rispetto a quel che facevano prima, mentre i governi, avendo meno potere per supportare gli indirizzi politici, devono rinunciare a quel che facevano prima, e non possono neanche impegnarsi responsabilmente con i cittadini per garantir loro le stesse cose che gli assicuravano in passato. Dunque, un numero sempre maggiore di quelle funzioni che una volta erano prerogativa dei governi, con le privatizzazioni e la deregulation sono state spostate altrove, trasferite al mercato, che ovviamente non e' un'istituzione politica, ma un attore che si pone al di fuori del controllo della politica. Altre funzioni, invece, sono passate dal piano della politica a quello individuale, tanto che, come ha giustamente sottolineato il sociologo tedesco Ulrich Beck, oggi gli individui devono cercare soluzioni "biografiche" e personali a problemi sistemici, socialmente determinati. Le funzioni politiche, dunque, sono state o trasferite al mercato o abbassate al livello degli individui, e come risultato e' avvenuto il divorzio tra potere e politica. * - Giuliano Battiston: A proposito di questo, lei ha scritto in Modus vivendi che "il problema e il compito spaventoso che questo secolo si trovera' con ogni probabilita' a dover affrontare come sfida principale consistera' nel cercare di tornare a coniugare potere e politica", ma su un livello che sia planetario. Dovremo guardare a quell'universalismo politico di cui lei parla in Search for Politics? E con quali strumenti potremo costruirlo? - Zygmunt Bauman: La mia ipotesi e' che il matrimonio tra potere e politica non possa piu' essere pensato e restaurato al livello degli Stati-nazione. E' ormai troppo tardi per una cosa del genere. D'altra parte, non so quale forma prendera' questa nuova unione. Se oggi Aristotele, invitato a Roma, vedesse come funziona il parlamento, e gli venisse detto: "Ecco, questa e' la democrazia", rimarrebbe meravigliato, perche' per lui democrazia significava l'insieme dei cittadini ateniesi che discutono e prendono decisioni al mercato. Nella trasformazione dalla vecchia polis greca allo Stato-nazione moderno gia' e' avvenuto un cambiamento nella forma della democrazia, ma nonostante questo viviamo ancora in una democrazia, perche' il governo e' controllato dal popolo ed e' rappresentativo del popolo, nella misura in cui tenta di dare voce a ognuno. Voglio dire che i requisiti fondamentali della democrazia sono ancora soddisfatti, ma la forma da essa assunta e' molto differente da quella del passato. In questo senso, l'unica cosa di cui sono abbastanza sicuro e' che la futura democrazia globale - che non faro' in tempo a vedere perche' non vivro' abbastanza a lungo - sara' diversa da quella attuale e dal modello parlamentare, perche' se tutte le forme di democrazia inventate nei tempi moderni sono state pensate, disegnate e poi aggiustate per lo Stato-nazione, una democrazia di livello globale, che tenga conto di un mondo cosi' variegato - differente in ogni suo aspetto, per modi di pensare, vedere, vivere, credere e sperare - dovra' essere differente dalla forma di democrazia che conosciamo. Ritengo che questa nuova forma di democrazia possa essere ottenuta solo con il metodo dei tentativi e degli sbagli, e che alcuni esperimenti falliranno e altri avranno invece successo. E' il metodo che sta adottando il laboratorio politico europeo, visto che il processo di integrazione dell'Unione Europea ha avuto basi molto differenti rispetto a quelle che hanno dato luogo ai singoli Stati-nazione. Al tempo della loro edificazione, infatti, gli Stati-nazione sono stati integrati sulla base di postulati relativi all'uniformita', un'uniformita' che intendeva garantire per ogni Paese una cultura nazionale, una storia nazionale, una fede nazionale, una lingua nazionale, un calendario e via dicendo, mentre gli stranieri potevano scegliere tra l'essere assimilati, rinunciando alla propria differenza e accettando l'omologazione all'uniformita', oppure andar via. Non c'erano altre soluzioni per loro. Questo e' il principio attraverso il quale e' stato condotto il processo di edificazione degli Stati-nazione e sono stati concepiti gli orientamenti delle politiche nazionali. L'Unione Europea invece non si sta costruendo su questo principio, ma al contrario vuole preservare le differenze, e la cosa singolare e' che, nelle attuali condizioni determinate dalla globalizzazione negativa, ogni nazione ha maggiori opportunita' di preservare la propria identita' se concede parte della sovranita' all'Unione Europea piuttosto che se combatte isolatamente nel tentativo di preservarla. In quest'ultimo caso, infatti, cadrebbe vittima delle forze del mercato, che la distruggerebbero. Direi che in un certo senso l'Unione Europea e' unificata e integrata proprio perche' difende la varieta' e si sta costruendo su un principio contrario a quello che ha permesso lo sviluppo e l'integrazione degli Stati-nazione. E' per questo che l'Europa rappresenta un laboratorio importante per comprendere in che modo si potra' ottenere una coesistenza pacifica tra gruppi - etnici, religiosi, linguistici - molto diversi l'uno dall'altro. Quella dell'Unione Europea e' un'unita' ottenuta nonostante e grazie alle differenze, ed e' precisamente questa la strategia che serve per costruire istituzioni politiche globali, istituzioni che non possono essere caratterizzate da forme di governo vecchio stile, e che richiedono piuttosto una qualche forma di congregazione, una congregazione che sappia rispettare la diversita', riconoscendo che le persone sono diverse, e che ognuna puo' compiere scelte diverse determinate da legami con tradizioni diverse. * - Giuliano Battiston: I cambiamenti che hanno investito le tradizionali cartografie politiche e i modi di esercizio del potere sono diversi, e assumono forme molto diverse. Lei ha sostenuto per esempio che, se la metafora del Panopticon poteva essere usata per descrivere il potere moderno, l'attuale fase della modernita' potrebbe essere definita sicuramente come "post-panottica". Cosa intendeva dire? - Zygmunt Bauman: Il Panotpicon ha a che fare innanzitutto con la sorveglianza. Il modello del Panopticon di Jeremy Bentham, usato da Michel Foucault come metafora del potere moderno, rimanda a una strategia di esercizio del potere in cui le persone sono divise tra chi sorveglia e guarda e chi viene sorvegliato e guardato. Tante cose pero' sono cambiate. Certo, abbiamo ancora a che fare con il controllo e la sorveglianza, e probabilmente oggi siamo sorvegliati e controllati piu' che in passato: ci sono sistemi televisivi che ci controllano a ogni semaforo, telecamere nelle strade, visori in ogni centro commerciale, apparecchi computerizzati che verificano le nostre possibilita' economiche nelle banche, e via dicendo. Tuttavia, la questione fondamentale sta nel fatto che la funzione della sorveglianza e' cambiata completamente, ed e' per questo che ho parlato di un Big Brother classico e di un Big Brother 2. Se il Big Brother, nella sua versione classica, era pensato per costringere le persone "dentro", per impedir loro di uscire, e in questo modo il potere se ne assicurava il controllo, il Big Brother 2, invece, non e' interessato a trattenere "dentro" le persone, ma serve a tenere fuori la gente sbagliata. Chi non sembra poter essere un vero cliente deve restare fuori dai grandi magazzini, cosi' come chi non e' un cliente affidabile non puo' ottenere una carta di credito, e via dicendo. In questo senso la sorveglianza continua, ma ha a che fare con l'esclusione, non piu' con l'inclusione. * - Giuliano Battiston: Per restare sul modello-Panopticon, lei ha sottolineato come nella fabbrica fordista tale modello offrisse anche dei benefici, dal momento che capitale e lavoro erano costretti a negoziare regole di cooperazione condivise. Se, seguendo le sua analisi, assumiamo che la fine del "potere-Panopticon" e' anche la fine della reciprocita' nella relazione tra capitale e lavoro, quale forma assume oggi questa relazione? - Zygmunt Bauman: Nella fabbrica fordista il sistema del Panotpicon era sicuramente disumanizzante, ma il rapporto di dipendenza tra il capitale e i lavoratori era una vera relazione a due: i lavoratori dipendevano da Ford per la loro sopravvivenza, perche' altrove non avrebbero trovato lavoro, ma allo stesso modo Ford dipendeva dai suoi lavoratori, perche' tutti i suoi guadagni, la sua ricchezza e la sua influenza derivavano dalla fabbrica, e se non fosse riuscito a tenere in fabbrica gli operai non avrebbe generato profitto grazie alla produzione di automobili ne' ottenuto influenza. Entrambi erano perfettamente consapevoli che avrebbero dovuto convivere per un periodo molto lungo, come accadeva un tempo a coloro che si sposavano in chiesa, consapevoli che sarebbero rimasti legati a lungo. Cosi', come accadeva nei matrimoni, anche Ford e gli operai erano costretti a trovare un "modus vivendi", un modo per vivere insieme che soddisfacesse entrambi; erano costretti a negoziare sulle differenze, a trovare compromessi, a rinunciare da un lato a qualcosa e a guadagnare dall'altro; erano portati a trovare un accordo che permettesse una coesistenza relativamente stabile e una vita relativamente soddisfacente per un periodo piuttosto lungo. Certo, si trattava di un modello disumanizzante, perche' implicava l'abbandono di molti sogni e desideri, il loro confinamento dentro certi limiti, che andavano accettati e rispettati; ma era un modello che permetteva anche di dare forma alla vita, di ottenere sicurezza riguardo al futuro. Oggi abbiamo ottenuto molta piu' liberta' rispetto alle costrizioni del passato, ma al tempo stesso abbiamo perso molta della sicurezza di cui godevamo. Dietro questo cambiamento c'e' il fatto che, se alla base del rapporto di dipendenza tra capitale e lavoratori esisteva un rapporto tra due poli, oggi invece ce n'e' uno solo: i lavoratori sono ancora dipendenti dal capitale, mentre il capitale e' libero di andare dove preferisce. Il lavoratore perde il posto e li' finisce la faccenda. Basti guardare a quel che e' successo alla Fiat, o ad altri giganti industriali, che si spostano dove le condizioni per fare profitto sono migliori, mentre i lavoratori, lasciati senza mezzi di sussistenza, devono ricominciare una nuova vita dall'inizio. La relazione, ormai, e' a senso unico, perche' il capitale non e' piu' dipendente dai lavoratori e puo' muoversi liberamente. * - Giuliano Battiston: Da quello che dice sembra di capire che, anche in questo caso, ci sia di mezzo il rapporto tra liberta' e sicurezza, quel rapporto che, partendo dalle analisi di Freud, lei ha avuto modo di investigare in modo approfondito. Ce ne vuole parlare? - Zygmunt Bauman: E' un punto su cui torno spesso perche' lo ritengo cruciale. Esistono due valori che sono ugualmente indispensabili per una vita umana decente, perche' non si puo' ottenere una vita umana decente senza liberta' o, allo stesso modo, senza sicurezza; dunque, affinche' possa essere decente, una vita deve contemplare entrambi gli elementi, elementi che pero' e' molto complicato tenere insieme, poiche' quando tentiamo di conciliarli otteniamo una volta troppa liberta' e poca sicurezza, e un'altra volta l'eccessiva sicurezza confina e soffoca la liberta'. Si tratta dunque di un equilibrio che cambia sempre, in un rapporto in cui non c'e' nessun progresso, ma che andrebbe visto piuttosto come il movimento di un pendolo, in continua oscillazione. Per esempio, trenta, quaranta anni fa le persone reclamavano maggiori liberta', desideravano meno restrizioni sulla liberta' sessuale, piu' opportunita', la possibilita' di scegliere piu' liberamente la propria identita', e vedevano nella sicurezza una forma di schiavitu', mentre oggi l'orientamento sembra essere molto differente, e la gente e' persino disposta a sacrificare la propria liberta' pur di avere sicurezza. Le persone sono pronte a sacrificare molte delle proprie liberta' individuali, sarebbero d'accordo nel consentire il controllo delle telefonate e l'arresto di un uomo senza alcuna accusa. Diverse generazioni di persone hanno lottato contro questa evenienza, e per assicurare la liberta' umana, e invece ora la gente si chiede: "E perche' no? Se qualcuno e' sospettato ma non ci sono prove e' meglio metterlo in prigione che lasciarlo libero". Questo significa che abbiamo raggiunto un punto in cui le domande piu' urgenti delle persone comuni sono relative alla sicurezza piuttosto che alla liberta'. Per riprendere la metafora del pendolo, mi pare che l'attuale situazione, che e' estrema, indichi che quel movimento si e' pericolosamente arrestato. * - Giuliano Battiston: Il progetto del comunitarismo, che lei ha ampiamente studiato, fonda la propria capacita' attrattiva proprio sulla pretesa di poter far risorgere una comunita' capace di risolvere immediatamente - e in modo definitivo - i problemi derivati dalla difficile conciliazione tra liberta' e sicurezza. Lei, invece, ha spesso sottolineato come tale progetto non faccia altro che esacerbare quella dicotomia tra liberta' e sicurezza che pretende di sanare... - Zygmunt Bauman: L'idea di comunita' mi fa problema. La comunita' e' ancora qualcosa che riteniamo positiva, ma diventa sempre piu' una comunita' "a' la carte", come nei ristoranti. La comunita' tradizionale era molto potente e solida, e i suoi membri erano soggetti a regole di condotta molto rigide, che andavano accettate in tutti i loro aspetti, come fosse un pacchetto "tutto incluso", e che, qualora fossero state trasgredite, avrebbero generato seri problemi. Essere un membro della comunita' significava essere definito, pre-determinato, e implicava la rinuncia a parte della propria liberta' personale. Oggi, invece, sempre piu' cio' di cui parlano le persone non sono comunita', ma networks, i quali, a differenza della comunita', sono costruiti sulla base di due differenti attivita': il connettere e il disconnettere. Il network e' caratterizzato proprio da questa facilita' di disconnettersi. Ci basta prendere il nostro telefono, e possiamo tanto facilmente aggiungere un nome e un numero alla rubrica - che e' il nostro network -, quanto eliminarne uno. Se non vogliamo che mister x faccia parte del nostro network, ci basta interrompere le comunicazioni, non leggere e non inviare messaggi. Il network dunque e' un composto liquido, non ha una struttura chiara, definita e continua, non e' qualcosa di strutturato che si eredita sin dalla nascita, come la comunita', ma qualcosa che creiamo e di cui siamo i manager: lo creiamo, poi lo ricreiamo ancora una volta, lo cambiamo ancora e ancora. Potremmo dire che, se una volta l'appartenenza veniva prima dell'identita', perche' era l'appartenenza a una comunita' a determinare l'identita', oggi invece accade il contrario, perche' l'identita' viene prima dell'appartenenza: prima ci auto-identifichiamo, decidendo che tipo di persona vogliamo essere in questo momento (visto che non possiamo sapere quel che saremo in futuro), e poi, a seconda del tipo di identita' che vogliamo ottenere, includiamo nei nostri networks persone che sono rilevanti in relazione a quell'identita', escludendone invece quelle che non lo sono. In questo senso l'appartenenza e' l'effetto postumo dell'auto-identificazione. * - Giuliano Battiston: Facendo riferimento ad alcune considerazioni avanzate da Michel Agier nel suo studio sui profughi nell'era della globalizzazione, lei ha sostenuto che i profughi, "l'epitome e l'incarnazione piu' piena dello spirito da Far West" che anima la globalizzazione, "sono senza Stato, ma senza Stato in un senso nuovo": sono infatti "hors du nomos", al di fuori non di questa o quella legge, "ma della legge in quanto tale". Ritiene che lo spirito da Far West di cui parla rischi di "universalizzare" la condizione di "hors du nomos" riservata per ora ai profughi? - Zygmunt Bauman: Come dicevo prima riferendomi al Big Brother e al Panopticon, il Big Brother 2 e la moderna forma di Panopticon sono orientati verso l'esclusione: alcune persone devono essere escluse, coloro che non sono benvenuti, gli immigrati, quanti vivono per le strade, i cosiddetti sottoproletari: tutti quelli che non soddisfano i requisiti della moderna societa' dei consumi sono dei marginali che devono essere confinati letteralmente o metaforicamente nei campi. Sia che si tratti di un campo chiuso da sbarre, come quello dei rifugiati, sia che si tratti di un ghetto, un luogo che non ha sbarre, da cui formalmente non e' vietato uscire ma nel quale e' molto difficile vivere a causa della pressione sociale o economica. Questa reclusione non riguarda pero' la massa delle persone, ma i marginali, che devono rimanere separati e isolati. La massa, la gente comune, in apparenza e' invece completamente responsabile delle proprie azioni e libera, perche' nessuno sembra dirle come e cosa fare. Ma anche le persone comuni finiscono con l'essere "imprigionate", perche' devono conformarsi, adottando i comportamenti che regolano la societa' dei consumi nella quale viviamo. Diversi anni fa Pierre Bourdieu ha sottolineato come, invece delle repressione, della coercizione e del controllo normativo, le societa' si stessero muovendo verso la seduzione. Si e' sedotti dalla e alla conformita', non si e' piu' forzati, trattenuti o costretti. Si tratta di una diversa tecnologia: la seduzione alla conformita'. E' cambiata la strategia della dominazione, ma la dominazione e' ancora li', perche' non siamo mai veramente liberi di parlare e agire liberamente. Ci sembra di esserlo, ma lo siamo solo fintanto che non oltrepassiamo le leggi fondamentali della societa' in cui viviamo. Per esempio, ci sembra di poter scegliere liberamente la merce che preferiamo, ma il fatto di dover scegliere non e' piu' una questione di liberta', perche' dobbiamo scegliere, e in questo senso non siamo veramente liberi. Come succedeva in altre forme di societa', dunque, ci sono ancora delle strutture che dominano la vita individuale, e che ci portano ad adottare un comportamento conformista. Come dicevo, sono le strategie di dominazione a essere cambiate: non si tratta piu' del lavaggio del cervello, di coercizione, della punizione legata alla legge e cosi' via, ma, piuttosto, della creazione di nuove condizioni di incertezza, con le quali dobbiamo fare i conti e che ci rendono permeabili alla seduzione, aperti alle offerte che pretendono di risolvere i nostri problemi. Sfogliando i giornali, guardando la tv, le pubblicita' cosa promettono? Di risolvere le nostre difficolta', di aiutarci a trovare una compagnia nella vita, di diventare belli e desiderabili. Ascoltiamo e finiamo per accettare le offerte. D'altra parte e' cosi' facile. Andiamo in un negozio pensando che, comprando un certo prodotto, potremo risolvere i nostri problemi. Dunque, si tratta di seduzione, non piu' di coercizione, perche' non esiste alcun organo di polizia che ci costringa a comprare quel prodotto, dicendoci "Compralo!". Lo facciamo, invece, in modo responsabile. * - Giuliano Battiston: Non e' un caso che lei abbia sottolineato come il piu' grande pericolo per la societa' capitalistica sia il "consumatore tradizionale"... - Zygmunt Bauman: E' vero. Il consumatore tradizionale e' colui che, soddisfatti i propri bisogni, si ferma. Mangia, beve, dorme, si veste, e li' finisce la questione. Ma e' in questo finire che sta la tragedia. Infatti, se le persone fossero guidate nel loro "comportamento da shopping" esclusivamente dai propri bisogni, la societa' dei consumi sarebbe condannata all'estinzione. Cio' che e' veramente importante, invece, e' che la gente continui a rimanere aperta e permeabile ai desideri, ai desideri momentanei: andiamo in un negozio a comprare un dentifricio, ma lungo la strada vediamo in vetrina qualcosa. "Bellissimo! Non posso non averlo! Devo comprarlo!", ci diciamo, e finiamo per portarlo a casa. Li', lo guardiamo di nuovo, e ci chiediamo: "E ora, che dovrei farmene? E' stata proprio una stupida idea quella di spendere tanti soldi per questo aggeggio". La cosa eccitante, infatti, sta nell'ottenere quell'oggetto, non nell'usarlo una volta ottenuto. E' proprio in questa direzione che bisogna indirizzare le persone, addestrandole affinche' siano aperte a questa momentanea sensazione prodotta dalla seduzione. Questo e' il motore della societa' dei consumi. * - Giuliano Battiston: Proviamo ora ad allontanarci dal campo della pubblicita' e della seduzione, per entrare in quello dell'etica e della morale, visto che il suo lavoro non e' segnato solo dal rigore scientifico, ma anche da una forte tensione etica. Ci vuole spiegare cosa intende dire, quando scrive, in un'affermazione che evoca lo starec Zosima di dostoevskijana memoria, che "dobbiamo prenderci la responsabilita' per la nostra responsabilita'"? - Zygmunt Bauman: Quello che voglio dire e' che, ci piaccia o no, che lo riconosciamo o meno, che ne traiamo o meno le conseguenze, siamo tutti responsabili per ogni altro essere umano: siamo responsabili perche', trovandoci in un pianeta sovrappopolato, dipendiamo l'uno dall'altro, tanto che, qualunque cosa io ottenga, qualcun altro la perde o rischia di perderla, e cio' che faccio influenza e condiziona le prospettive e le possibilita' di vita di altre persone. In questo senso siamo tutti responsabili. Tuttavia, la strada che ci conduce dall'essere responsabili oggettivamente all'essere responsabili soggettivamente e' molto lunga, perche' assumersi responsabilita' per la propria responsabilita' e' un passo molto complicato e difficile da compiere. In genere agiamo cosi' in famiglia, dove calcoliamo gli effetti delle nostre azioni prendendo in considerazione anche l'interesse degli altri, dei fratelli, dei genitori, oppure dei figli, anche se a volte non lo facciamo neanche in famiglia: se vogliamo divorziare da nostra moglie perche' e' noiosa e non piu' attraente come prima, finiamo infatti con il dimenticarci l'interesse dei nostri bambini, che ovviamente preferirebbero che i genitori rimanessero insieme. Comunque, in genere, in quel piccolo ambiente che e' la famiglia giorno dopo giorno tendiamo ad assumerci responsabilita' per la nostra responsabilita'; ma cosa succede nei riguardi degli stranieri, di quanti sono lontani da noi, di quelli che non sono "near and dear" e che non sono membri della nostra famiglia? Qui nascono le vere difficolta'. In questi casi, infatti, di solito non ci assumiamo la responsabilita', ma semplicemente la plachiamo, per non dover fare i conti con la nostra coscienza. Ci capita di ascoltare terribili notizie su terremoti, tifoni, tsunami, e via dicendo, e quel che facciamo non e' altro che prendere il portamonete, tirarne fuori qualche banconota e inviarla nel luogo del disastro. Questo pero' e' un modo di comprare la nostra responsabilita', non e' una vera assunzione di responsabilita'. Se volessimo davvero essere responsabili per la nostra responsabilita', infatti, dovremmo assumerci responsabilita' delle stesse condizioni di vita di quelle persone. Questo, pero', evitiamo di farlo. * - Giuliano Battiston: Un'ultima domanda che riguarda una "lontana attualita'": recentemente un giornale conservatore polacco, "Ozon", ha scritto che lei da giovane ha fatto parte del controspionaggio sovietico, e lei stesso ha alcune delle notizie pubblicate. Vuole aggiungere qualcosa alle cose gia' dette? - Zygmunt Bauman: Si tratta di una cosa avvenuta piu' di sessant'anni fa, e non vorrei ripetermi su questioni di cui ho gia' parlato. Tutti sanno, infatti, che in quel periodo credevo nel comunismo, e per diversi anni ho ritenuto che il comunismo fosse lo strumento piu' opportuno per far uscire il mio Paese dalle pessime condizioni in cui si trovava. Ho creduto che fosse il programma piu' realistico per superare poverta' e miseria e cominciare a ricostruire la nazione. Quando ho realizzato che il programma comunista, che risultava affascinante perche' suonava come liberta', fratellanza e uguaglianza, era diverso dalla pratica, ho lasciato perdere. Questa e' tutta la storia. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 149 del 3 febbraio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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