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Nonviolenza. Femminile plurale. 155
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 155
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 31 Jan 2008 11:57:00 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 155 del 31 gennaio 2008 In questo numero: 1. Maria Grazia Campari: Per un piano contro la violenza di genere 2. Lea Melandri: Ostacolo alla cultura del dominio 3. Giancarla Codrignani: Il mio Sessantotto 4. Anna Bravo ricorda Lidia Beccaria Rolfi 5. Anna Bravo ricorda Maria Occhipinti 1. PROPOSTE. MARIA GRAZIA CAMPARI: PER UN PIANO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo dal titolo completo "Per un piano nazionale di educazione e sensibilizzazione contro la violenza di genere" del 21 gennaio 2008. Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista, impegnata nei movimenti per la pace e i diritti] Premessa In questa fase, la globalizzazione economica esercita un influsso prepotente sulle vite di tutte e tutti, donne e uomini. Le donne, in particolare, subiscono l'esito infausto del nesso fra egemonia del mercato e politiche familistiche (uomo individualista economicamente indipendente, donna dipendente al servizio della famiglia) al quale fa seguito la diffusione di valori morali e giuridici di stampo fondamentalista, implicanti una negazione di liberta' in primo luogo per le donne, poi per tutti per la indivisibilita' di questo valore. Questo ordine determina la negazione di qualsiasi relazione fra soggetti dotati di pari valore, svalorizza l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne, nega loro fondamentali diritti della personalita'. Attraverso il richiamo a valori religiosi dichiarati indisponibili, nega l'autogoverno laico delle vite e avvolge tutte in una rete intessuta di nodi autoritari. Questo ordine comporta, inoltre, precise ricadute sull'integrita' e sulla vita stessa delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore, alla inesistenza di autonomia decisionale sul proprio corpo (sancita da leggi e regolamenti), alla persecuzione con violenza, fino all'uccisione di chi ha scelto di reggere il filo della propria vita con le proprie mani, senza affidarsi ai ruoli imposti dalla tradizione e dalla cultura maschile. La violenza, anche quando abbia luogo fra le mura domestiche, non e' un fatto privato sulla cui origine i poteri pubblici possano stendere un velo di silenzio e disinteresse, oppure tentare di porvi rimedio attraverso la scorciatoia del solo diritto criminale, inasprendo la previsione di pene. Come in altri Paesi europei (Spagna, ad esempio), le istituzioni sono chiamate ad intervenire nella consapevolezza che e' lo svantaggio sociale femminile il dato di base all'origine della violenza e che esso va rimosso con sistemi adeguati. Occorre pensare ad un piano nazionale di acculturamento e sensibilizzazione rivolto a tutti; occorre una costante vigilanza sulla sua osservanza e applicazione; occorre un piano legislativo che contenga un forte ed esplicito messaggio culturale e politico per un cambiamento delle relazioni fra donne e uomini. Una legge onnicomprensiva che evidenzi l'origine sessista della violenza insita nella discriminazione contro le donne, che evidenzi l'importanza della visibilita' e della prevenzione per un problema da considerarsi grave problema sociale e da risolversi in tempi ragionevolmente rapidi da parte dei poteri pubblici. Seguono alcune proposte che, volutamente, prescindono dall'intervento penale, considerato quale rimedio solo successivo e non risolutivo del problema, riservato eventualmente agli esperti di settore. * Proposte di intervento integrato multidisciplinare La Presidenza del Consiglio dei Ministri con l'intervento dei Ministeri competenti (Sanita', Giustizia, Istruzione, Interni, Pari Opportunita'), dovra' avviare un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere che comprenda almeno i seguenti aspetti. * Introduzione e pubblicizzazione di una nuova scala di valori fondati sul rispetto dei diritti e delle liberta' fondamentali, uguaglianza fra uomini e donne, esercizio della solidarieta' e dell'accoglienza, in un quadro di civile convivenza. Tale scala di valori sara' rivolta a uomini e donne attraverso un lavoro multiculturale posto a carico di tutti i pubblici poteri coinvolti. Dovra' prevedere un programma di istruzione complementare e di formazione ad hoc per tutti i professionisti in qualsiasi modo destinati ad intervenire in situazioni caratterizzate dall'esercizio di violenza contro le donne. Il programma di educazione/formazione sara' controllato da una Commissione di esperti di nomina parlamentare, che dovra' essere rappresentativa di tutti gli orientamenti politico-culturali e dovra' vedere la presenza di professionisti di riconosciuta esperienza, rappresentanti istituzionali e singoli esponenti di ong e associazioni dotati di comprovata pluriennale capacita' di intervento nel campo. Promozione e cura da parte dei pubblici poteri centrali e locali di campagne di informazione e sensibilizzazione tendenti allo scopo di prevenire la violenza di genere. * Principi per il sistema educativo Il sistema educativo comprendera' fra i suoi obiettivi la formazione al rispetto dei diritti e liberta' fondamentali, di uguaglianza, disponibilita' all'accoglienza e soluzione pacifica dei conflitti. Allo scopo di garantire l'uguaglianza effettiva fra uomini e donne sara' precisa responsabilita' e onere del ministero e degli organi scolastici competenti che nei materiali educativi di ogni ordine e grado siano rimossi stereotipi sessisti e che venga promosso il pari valore di uomini e donne. Anche per i docenti dovranno essere previsti piani di formazione che includano l'educazione specifica in materia di uguaglianza, al fine di assicurare loro specifiche competenze e conoscenze tecniche indispensabili a: 1. incoraggiare capacita' che portino all'esercizio di diritti e obblighi uguali per maschi e femmine nell'ambito sia pubblico che privato. 2. individuare precocemente situazioni di disagio o violenza nella sfera famigliare e intervenire in forma istituzionalmente corretta ed efficace. 3. educare alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. * Principi per il settore della comunicazione e della pubblicita' E' da considerare illecita la pubblicita' che utilizza l'immagine femminile in modo vessatorio e discriminatorio. Le amministrazioni e le autorita' pubbliche a livello statale e locale dovranno vigilare affinche' mezzi di stampa e audiovisivi adempiano l'impegno di garantire un modo di trattare la figura femminile che sia conforme ai principi e valori costituzionali. In ambito statale, regionale e comunale dovranno essere individuati organismi preposti alla vigilanza autorizzati ad esercitare azioni giudiziarie urgenti aventi lo scopo di ottenere dall'autorita' giudiziaria ordinaria l'interruzione e/o la soppressione della pubblicita' e delle immagini illecite perche' contrastanti con le indicazioni sopra estese. I mezzi di comunicazione dovranno rimuovere tutti gli aspetti che favoriscano la situazione di disuguaglianza della donna e promuovere, d'intesa con i pubblici poteri, campagne di sensibilizzazione verso l'uguaglianza fra i sessi e per la repressione della violenza di genere. * Principi per il settore sanitario Le amministrazioni centrali e locali avranno il compito di sostenere e favorire le azioni degli operatori sanitari volte alla rilevazione precoce della violenza di genere e di proporre le misure necessarie ad ottimizzare il contributo del settore sanitario nella lotta contro questo tipo di violenza. Dovranno sviluppare programmi di sensibilizzazione e formazione continua del personale sanitario allo scopo di promuovere la diagnosi precoce e l'assistenza e il sostegno delle donne vittime di violenza. Dovranno quindi provvedere, anche tramite gli istituti preposti, all'introduzione nei corsi di studio e formazione professionale di insegnamenti orientati al fine sopra enunciato. * I diritti delle donne vittime di violenza di genere I principali diritti per le donne vittime di violenza sono quelli all'informazione, assistenza sociale e legale; essi costituiscono la condizione minima necessaria al reale godimento delle garanzie costituzionali di liberta', inviolabilita' e sicurezza; essi saranno pertanto assicurati, senza condizioni ne' preclusioni, a qualunque donna residente nel territorio italiano. Le amministrazioni pubbliche (centrali e locali) dovranno predisporre servizi in grado di corrispondere alle vittime di violenza informazione completa, assistenza medica e psicologica, sostegno sociale, supporto legale e, in generale, assistenza adeguata alle loro condizioni personali e sociali. Si tratta di un'opera di soccorso e accoglienza multidisciplinare che comprende: informazione alle donne interessate, attenzione e sostegno sociale, supporto giudiziario, appoggio in materia di formazione e inserimento professionale. Tali prestazioni richiederanno una collaborazione integrata di vari settori pubblici: servizi sanitari, di polizia, legali e giudiziari, scolastici e formativi. Tutta l'assistenza sara' gratuita. Per le donne vittime di violenza e per i loro figli dovra' essere inoltre previsto un aiuto economico adeguato ai loro bisogni esistenziali e dovra' essere messa a disposizione un'abitazione protetta. * Compiti istituzionali I Ministeri interessati (Sanita', Giustizia, Interni, Istruzione, Pari Opportunita') dovranno curare la costituzione nell'ambito degli addetti alla giustizia, polizia e del personale sanitario di unita' specializzate nella prevenzione della violenza di genere, nella protezione delle donne esposte a tale rischio, nella repressione rapida di comportamenti violenti e/o intimidatori, nella cooperazione alla effettiva applicazione delle misure cautelari e repressive adottate dagli organi giudiziari. Dovranno essere predisposti anche protocolli che assicurino una azione globale e integrata, uniforme in tutto il territorio nazionale, fra le diverse amministrazioni centrali e locali e i vari servizi ad hoc che ne dipendono. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: OSTACOLO ALLA CULTURA DEL DOMINIO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 25 gennaio 2008 col titolo "La ragione subordinata alla fede, il mondo alla rovescia dei laici". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Quando in un Paese, che si proclama laico e democratico, politici e mezzi di informazione invocano, quasi unanimemente, che venga data "liberta' di parola" a un'istituzione che dichiaratamente si pone sulla sponda opposta - in quanto depositaria di una verita' assoluta, di "valori fondamentali" che, come ha scritto Navarro-Valls ("La Repubblica" del 15 gennaio 2008), "precedono la politica", perche' "non dipendono da noi" -, i casi sono due: o si e' convinti che le proprie istituzioni siano abbastanza forti e temprate storicamente da reggere all'urto della potenza che ne minaccia l'autonomia, oppure si e' gia' fatta propria inconsapevolmente la posizione dell'altro. Come spiegare altrimenti la sorprendente inversione di rotta che hanno preso le accuse di intolleranza, fine della laicita', chiusura culturale, violenza ideologica, nel momento in cui, a seguito del dissenso espresso da un gruppo di docenti e studenti, il papa ha deciso di non presenziare all'inaugurazione dell'anno accademico dell'universita' La Sapienza? In modo del tutto speculare, il fronte laico si e' trovato a trasferire su di se' le stesse critiche, le stesse accuse, che fino al giorno prima aveva rivolto al pontificato di Benedetto XVI, o, in alcuni casi, a recitare simultaneamente la parte della vittima e dell'aggressore. Dopo aver deplorato la data infausta, che avrebbe messo fine a un Paese "democratico" e affossato la speranza di vivere in una "Repubblica serenamente laica", Ezio Mauro ("La Repubblica" del 16 gennaio 2008) prosegue dicendo che la Chiesa e' tornata a "essere un primo attore in tutte le vicende pubbliche", "pretende di determinare i comportamenti parlamentari delle personalita' politiche cattoliche", si pone "come una riserva superiore di verita' esterna al libero gioco democratico, una sorta di obbligazione religiosa a fondamento delle leggi e delle scelte di un libero Stato". Benche' si dica convinto che una universita' di Stato non possa fare del pensiero religioso "la fonte costitutiva del suo sistema culturale ed educativo", all'autorita' massima che ne e' portatrice Ezio Mauro avrebbe voluto che si aprissero le porte nel giorno simbolicamente piu' significativo del suo percorso interno, quale e' l'inaugurazione dell'anno accademico, in modo che i docenti "potessero interloquire, fissare e ribadire l'autonomia dell'insegnamento e della liberta' di ricerca". E' come dire che, per essere "tolleranti", si deve lasciar spazio all'intolleranza, per essere "liberi" lasciarsi espropriare dei luoghi dove la liberta', di pensiero e di parola, e' garantita dal dettato costituzionale, oltre che dai regolamenti interni di una istituzione, per essere "laici" cedere la lectio magistralis a un sapere confessionale, cioe' a una verita' di fede. In altre parole, non e' previsto che si possa dissentire, ribellarsi, chiedere che venga messo un limite la' dove la liberta' di una parte interferisce con quella dell'altra, potendo contare su una innegabile disparita' di potere. Nel momento stesso in cui si riconosce che l'interlocutore laico ha subito una "riduzione di dignita'", inspiegabilmente gli si chiede di accettare il dialogo, il confronto. Guardare il mondo alla rovescia, pensare che la parola del papa, trasmessa settimanalmente a tutto il mondo e quasi ogni giorno sui teleschermi di casa nostra, abbia bisogno di essere protetta dalla "censura", dal rischio di passare sotto silenzio, puo' essere lo scarto di prospettiva che, paradossalmente, restituisce alle cose la giusta proporzione. Diventa preoccupante quando si fa senso comune, visione condivisa, irragionevolezza diffusa. A questo punto le domande che dobbiamo porci sono altre. Di che pasta e' fatto il consenso a una rappresentazione cosi' distante dalla realta'? Perche' il papa appare intoccabile, al di sopra di ogni legge, di ogni civile regola di convivenza, di ogni conquista di liberta'? Perche' un sistema medioevale, che subordina la scienza, il diritto, e quindi la politica, al superiore dettato della filosofia e della teologia - la "coppia gemellare" di saperi a cui San Tommaso d'Aquino aveva affidato "la ricerca sull'essere umano nella sua totalita'", il compito di "tener desta la sensibilita' per la verita'", che ha il suo culmine nella fede cristiana -, puo' essere scambiato oggi per l'espressione piu' alta della ragione? Nel discorso di Ratzinger, che deve essere risuonato ancora piu' solenne letto in sua assenza, e' detto con chiarezza quali siano la radice e l'albero, la forza propulsiva creatrice e le diramazioni dell'umano: "Se pero' la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana... inaridisce come un albero le cui radici non raggiungano piu' le acque che gli danno vita... Applicato alla nostra cultura europea cio' significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e... preoccupata della sua laicita', si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa piu' ragionevole e piu' pura, ma si scompone e si frantuma". Dopo il lungo, combattuto percorso, che ha portato alla separazione tra Chiesa e Stato, fede e conoscenza, come e' possibile che la fede torni ad essere "forza purificatrice" che aiuta la ragione ad "essere piu' se stessa"? Una risposta, o una chiave interpretativa, la offre Giuliano Ferrara, il paladino piu' acceso di quello che definisce il "Papa della ragione", nel suo editoriale ("Il Foglio" del 17 gennaio 2008). Il merito, che fa di Benedetto XVI un "Papa a disposizione del suo tempo", e' di aver rafforzato "l'identita' cristiana e cattolica nel mondo", di aver dato "un aiuto insperato a un'epoca di svuotamento tendenziale del vivere e del convivere. Specie in relazione al risveglio del temperamento piu' fanatico di un certo islamismo radicale". Che cosa si debba intendere per "vivere e convivere", e' detto piu' estesamente da Ritanna Armeni su "Liberazione" (16 gennaio 2008): "Il papa interviene sulle manifestazioni della vita e della societa' che toccano aspetti fondanti dei valori religiosi cattolici: la vita, la morte, la pace, la guerra, la scienza, la politica". E' su questa "battaglia di valori", "iniziata dalla Chiesa, e non solo da essa, sulla Legge 40 e proseguita sui vari terreni, dall'eutanasia alla famiglia e alle unioni civili e ora all'aborto", che il fronte laico dovrebbe "accettare il confronto". La "lezione" del papa alla Sapienza, stando alle dichiarazioni del rettore, avrebbe dovuto essere "il polo di irradiazione in altri atenei... per la proclamazione e la difesa di alcuni valori... un momento importante di riflessione per credenti e non credenti su problemi etici e civili, quale l'impegno per la moratoria della pena di morte", e, prevedibilmente, per la moratoria sull'aborto. Se la violazione piu' plateale della liberta' di ricerca, che ha nell'universita' il suo luogo piu' autorevole, non ha registrato se non qualche raro grido di allarme, e' perche' evidentemente la separazione tra fede e conoscenza e' un traguardo ancora lontano dall'Occidente laico e democratico, molto piu' di quanto lo sia quella tra Chiesa e Stato. La "confusione" appare oggi piu' profonda - sedimento di pregiudizi e paure antiche -, nel momento in cui affiorano alla sfera pubblica esperienze essenziali dell'umano, come la nascita, la morte, la sessualita', la procreazione. E' su questo terreno che la "sensibilita' etica" va ad appiattirsi dentro quella "sensibilita' alla verita'", di cui la Chiesa fa depositario il messaggio cristiano, l'unica "istanza" che, secondo Benedetto XVI, sfugge al le logiche dell'"interesse" e dell'"utile", dentro cui si muovono i partiti e in generale le istituzioni laiche. Di fronte agli sviluppi imprevedibili di un sapere tecnico-scientifico, che sembra non conoscere limiti, sottoposto alla pressione di potenti interessi economici e politici, non e' difficile, per una autorita' apparentemente neutrale e dedita alle cose dello spirito, far balenare il pericolo di una incombente "disumanita'", e convincere le scienze storiche e umanistiche ad accogliere, "criticamente e insieme docilmente", la sapienza delle grandi tradizioni religiose. In primis, del cattolicesimo. Si comprende meglio, a questo punto, che cosa abbia aperto, sul fronte laico, un vuoto cosi' grande di "ragioni" proprie: il discredito caduto sulle istituzioni politiche, la resistenza della sinistra a trovare nessi tra vita e politica, la tentazione di un potere in crisi di appoggiarsi alla sua stampella secolare, il "sacro", e a chi se ne fa depositario unico, cioe' la religione. Ma, al centro, come ha visto lucidamente Enzo Mazzi ("Il manifesto" del 16 gennaio 2008) c'e' la competizione tra culture maschili, "la fede impallidita" e la fiorente ragione scientifica, alleate "per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio". 3. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: IL MIO SESSANTOTTO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005] Prima c'erano stati i Beatles. Fu la prima contraddizione. Fu dura indurre un amico che allora mi interessava a leggere i testi delle canzoni per capirle. Si percepiva molta insofferenza, anche dentro di noi: tutti stufi di leggere cose stimolanti di una cultura che chiamavamo di sinistra, senza riuscire a schiodare gli standard riduttivi del vivere democristiano. La sinistra piu' esigente e, riconosciamolo, abbastanza viscerale veniva definita "extraparlamentare" e sembrava pericolosa anche ai comunisti: diventera' pericolosa anche perche' le fu fatto muro contro. Poi entrarono in agitazione le universita' americane e, con loro, le universita' di quasi tutti i paesi, compresa Praga, anticipazione di una volonta' innovativa da reprimere. Anche in Italia il "maggio franceseî e l'illusione che fosse "la rivoluzione" animarono gli studenti, che subito fecero "movimento", "occuparono" gli istituti e riempirono le piazze contro il democristiano Gui, ministro della pubblica istruzione. Mio padre era contento che i giovani avessero ancora "spirito rivoluzionario". Io insegnavo latino e greco a Reggio Emilia e, come tutti, non sapevo che stavo vivendo il mitico Sessantotto. Alla Statale di Milano era stata contestata la Divina Commedia e al Liceo Ariosto Omero e Virgilio non erano il massimo del gradimento studentesco: quando consentii a interrogare su Marcuse invece che su Euripide e tutti preferirono studiarsi il greco, rimasi meravigliata per un'autorita' riconfermata con poco. Con i colleghi non c'era accordo: non capivano che l'oggettivita' del voto e il nozionismo erano arretratezza in un tempo che per i giovani sarebbe diventato professionalmente e socialmente complesso. Ci inventammo di sostituire le "versioni in classe" (ricordate quando ce le davano da tradurre e noi tentavamo di copiare o di far copiare, mentre il "prof" faceva il poliziotto?) con traduzioni di gruppo in biblioteca, consegnate in redazione collettiva con a margine le note di chi non condivideva. Imparai che non e' vero che i piu' bravi si impongono, ma, anzi, spesso si adeguano anche al peggio. Mi venne in mente anche dopo, a Montecitorio. Ma non c'era solo la scuola. * C'era il Vietnam. Difficile oggi rendersi conto della consapevolezza delle cosiddette "masse" che, contro la guerra scatenata su un popolo analfabeta e contadino che difendeva la sua autonomia, riempivano le piazze e le assemblee nelle fabbriche. Fu un'altra occasione per aprire gli occhi e, forse come correttivo alla mia passione per l'antichita', studiare i problemi del mondo: il versante piu' fallimentare del socialismo fu, infatti, a mio giudizio, l'"internazionalismo". C'erano anche gli slogan. Belli: "l'immaginazione al potere", "fate l'amore, non la guerra". O inquietanti: "Dio e' morto". Davvero un certo dio era morto e il Papa buono, Giovanni XXIII, se ne era accorto e, con i "segni dei tempi" (l'avanzamento sociale della classe operaia, delle donne, del popoli del Sud del mondo), aveva riorientato lo sguardo dei credenti. Molti, intellettuali e no, capivano che "anche Marx non stava troppo bene". Ma dominava l'assunzione dogmatica, come se Marx non fosse morto nel 1883 e non si morisse a Praga: in un circolo della sinistra extraparlamentare un lavoratore sostenne che "se un cecoslovacco si rivoltava contro il comunismo perche' non possedeva la macchina, allora era meglio il capitalismo che gliela dava". Spunti ancor oggi attuali. Infine le donne. Erano, forse, le piu' interessate ai cambiamenti; certamente erano le piu' comprensive con le ragioni dei figli che contestavano la scuola. Ma incominciavano anche a sentire - leggete i numeri di "Noi donne" dell'epoca - che la societa' non andava da nessuna parte se restava al palo della tradizione: le stesse nel 1974 difenderanno il divorzio per la propria dignita'. Le piu' giovani sostenevano le lotte studentesche e le esperienze trasgressive delle "comuni": "uguali" ai maschi, anche se di fatto erano usate e, anche in "Lotta continua" o in "Potop", gli "angeli del ciclostile" il "potere" se lo sognavano. Quarant'anni fa. * Siamo certamente cambiati; non solo individualmente, ma come societa'. In positivo (siamo diventati europei con una moneta comune, il benessere e' maggiore, le nuove tecnologie hanno cambiato le comunicazioni, ci sono i cellulari, le staminali potranno riparare i guasti del nostro corpo), ma anche in negativo (il lavoro e' diventato precario, siamo pienamente consumisti, accettiamo la piu' becera alienazione televisiva, disconosciamo le regole del vivere civile, regaliamo ai figli delle playstation violente che insegnano a uccidere senza soffrire). Ma domina il rimpianto di "quando c'erano le passioni". Saro' illuminista, ma se erano illusorie, meglio averle perdute. Infatti gli ideali e i principi restano il punto di riferimento, ma conta di piu' studiare e progettare per fare migliore il futuro. Come donne, la storia delle passioni la conosciamo bene e, quando mettiamo in piedi una famiglia, sappiamo che bisogna darsi da fare con le possibilita' concrete. Adesso e' il tempo di fare lo stesso con la societa' che vogliamo prendere in custodia: non vorremo mica che, se ci sono dei posti per noi, non siamo in grado di riempirli del nostro linguaggio e delle nostre proposte? Forse, come dice Anna Finocchiaro ("L'Unita'", 12 dicembre 2007), "sta cominciando la nostra era. Gli uomini sono un genere esausto: sono ricchi di un'esperienza millenaria, ma hanno gia' dato. Se si valuta per meriti e competenze vincono le donne". 4. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA LIDIA BECCARIA ROLFI [Riproponiamo ancora una volta il seguente testo di Anna Bravo originariamente apparso nell'ampio lavoro collettaneo, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Italiane, 3 voll., Roma 2004 (nel volume secondo, alle pp. 23-24). Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003. Lidia Beccaria Rolfi (1925-1996), nata a Mondovi' nel 1925, staffetta partigiana nella Resistenza, nel '44 fu arrestata dai nazifascisti e deportata nel campo di sterminio di Ravensbrueck. Insegnante, testimone, e' deceduta nel 1996. Opere di Lidia Beccaria Rolfi: (con Anna Maria Bruzzone), Le donne di Ravensbrueck, Einaudi, Torino 1978; L'esile filo della memoria, Einaudi, Torino 1996; (con Bruno Maida), Il futuro spezzato, Giuntina, Firenze 1997. Opere su Lidia Beccaria Rolfi: Bruno Maida (a cura di), Un'etica della testimonianza. La memoria della deportazione femminile e Lidia Beccaria Rolfi, Angeli, Milano 1997. Un ampio profilo di Lidia Beccaria Rolfi scritto da Valentina Greco, con preziosa bibliografia, e' nei nn. 1184-1185 de "La nonviolenza e' in cammino"] "Per rappresentare la dialettica servo-padrone non c'e' bisogno del Lager, per raccontare il Lager non c'e' bisogno di inventare una storia d'amore tra carnefice e vittima" - diceva sempre Lidia Beccaria Rolfi, partigiana piemontese deportata al campo nazista di Ravensbrueck. Alla prima del "Portiere di notte" si era risentita di fronte alla rappresentazione del rapporto fra l'ex deportata Charlotte Rapling e l'ex Ss Dirk Bogarde. Non aveva dimenticato il suo ritorno, quando tanti pensavano che le donne fossero state deportate per lo svago dei soldati tedeschi, esempio estremo del sospetto che circonda sempre la prigionia femminile; e aveva in orrore il repertorio di fantasie sadiche cresciuto rapidamente intorno al binomio SS-prigioniere. Maestra elementare di famiglia contadina, nel 1945 Lidia e' una ragazza ardita e vulnerabile, un'antifascista esistenziale avida di cose fresche e nuove. Ma sui libri di testo rifatti in fretta e furia trova al posto dei balilla una schiera di orfanelli poveri tristi e operosi, al posto delle storie di guerra storie di santi; negli uffici si scontra con i vecchi funzionari del regime. Non entra in nessun partito, frequenta tutte le riunioni politiche, lavora per 100 lire al giorno alla Camera del lavoro. Riprende a insegnare. Al momento di partire per una scuoletta in cima alle Langhe, e' "pronta a violare subito la nuova legge dell'Italia libera" - fraternizzando con i genitori degli allievi, leggendo troppi libri e giornali politici, trascurando le preghiere in classe. In piu' - bella, bionda, minuta, penetranti occhi castani - si trucca e porta i pantaloni, fuma, non va in chiesa, balla alle feste dei coscritti. Per la gente del paese e' una persona cara. Per i benpensanti di campagna e di citta', una strana ragazza che deve aver avuto una strana esperienza in Germania. Presto si accorge che anche tra gli antifascisti di deportazione si sa poco, e quella femminile non interessa proprio. "Deportata? - la apostrofa un comandante della sua zona - le partigiane si fanno uccidere, non si fanno prendere prigioniere". Tempo qualche anno, impara a contrattaccare in vari modi. Insieme ad Anna Maria Bruzzone scrive Le donne di Ravensbrueck, la prima opera analitico-narrativa sulle deportate politiche, uscita nel '78 e all'indomani gia' un classico e un battistrada per altre ricerche; sull'atteggiamento con cui i suoi compagni di partigianato l'accolgono al ritorno da Ravensbrueck, dice parole essenziali: "Quando tu tentavi di raccontare la tua avventura, tiravano sempre fuori l'atto eroico: '... pero' noi!'. I tedeschi li avevano ammazzati loro, i fascisti li avevano fatti fuori loro... e noi eravamo prigionieri..." - dove l'ironia prende di mira, insieme all'autocelebrazione, i valori celebrati: orgoglio militare, enfasi sulla morte, primato del combattente in armi. Per Lidia, a qualificare la resistenza non sono gli strumenti con cui la si pratica. Per quasi trent'anni si dedica a far conoscere la prigionia delle donne e a correggere il clima che l'ha tenuta ai margini. Grande disturbatrice, la battaglia contro fascismo e negazionismi non le impedisce di criticare l'equazione resistenza=lotta armata, che oscura ogni altra forma di opposizione antinazista, a cominciare da quelle attuate in Lager; di strapazzare gli amici deportati per il loro maschilismo; di imporre la presenza femminile nelle sedi piu' restie. Cuore vigile, prende posizione contro i crimini del presente, convinta che compito dei sopravvissuti sia testimoniare il Lager e insieme farsi portavoce di tutti gli oppressi, in primo luogo dei meno ascoltati. Muore nel '96, subito dopo aver pubblicato il racconto del suo ritorno - non una parola sprecata ne' una mancata, nessun eufemismo linguistico e politico: era il suo modo di raccontare, che ha portato in tante scuole, in tante occasioni pubbliche. Lavorava da anni a un libro sull'infanzia sotto il nazismo, dove accanto ai bambini dei ghetti e dei lager dovevano trovare posto gli scolari e scolare tedeschi violentemente socializzati alla guerra e alla riproduzione, i bambini uccisi nella cosiddetta "Operazione Eutanasia", quelli vittime dell'"Operazione Lebensborn". Non riuscira' a completarlo; ma dopo il Lager - diceva - era stata tutta vita regalata. 5. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA MARIA OCCHIPINTI [Riproponiamo ancora una volta il seguente testo di Anna Bravo originariamente apparso nell'ampio lavoro collettaneo, a cura di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Italiane, 3 voll., Roma 2004 (nel volume terzo, alle pp. 206-207). Per un accostamento alla figura di Maria Occhipinti, dalla tesi di laurea di Silvia Ragusa, "Maria Occhipinti: una ribelle del Novecento" (sostenuta all'Universita' di Catania nell'anno accademico 2003-2004, disponibile nel sito www.tesionline.it) riportiamo per stralci la seguente utile bibliografia: a. Opere di Maria Occhipinti: Monito alle donne siciliane, in "La comune anarchica", Siracusa 1947; Chi sono i colpevoli della prostituzione?, In "Anarchismo", Napoli, numero unico maggio-marzo 1950-1951; Una donna di Ragusa, prefazione di Paolo Alatri e nota di Carlo Levi, Landi Editore, Firenze 1957; Una donna di Ragusa, prefazione di Enzo Forcella, Feltrinelli, Milano 1976; Lettera a Feliciano Rossitto, in "L'Unita'", 5 maggio 1977; Mani in alto e fuori la terra!, in "L'Europeo", 8 novembre 1979; Sull'ospedale civile di Ragusa, in "Sicilia Libertaria", anno IV, n. 15, novembre 1980; I terremoti, quelli creati dallo Stato, in "Lotta Continua", 12 dicembre 1980; Una donna di Ragusa, nota di Carlo Levi, Sellerio, Palermo 1993; Il carrubo ed altri racconti, introduzione di Gianni Grassi, Sellerio, Palermo 1993; Una donna libera, nota di Marilena Licitra, Sellerio, Palermo 2004. b. Studi critici in libri e riviste: Addonizio Michele, Una donna contro il governo, la chiesa, la guerra, in "Lotta Continua", 22 novembre 1979; Anonimo, A "Donna di Ragusa" di Maria Occhipinti il premio Brancati, in "Corriere della Sera", 30 dicembre 1976; Antoci Franca, Maria, la Pasionaria di Ragusa, in "La Sicilia", 8 marzo 1994; Eadem, Nelle lettere ai grandi la rabbia della ribelle, in "La Sicilia", 8 marzo 1994; Asciolla Enzo, La Sicilia esca dal suo "letargo", in "Gazzetta del Sud", 31 dicembre 1976; Barone Laura, Maria Occhipinti. Storia di una donna libera, Sicilia Punto L, Ragusa 1984; Eadem, Il carrubo ed altri racconti della ragusana Maria Occhipinti, in "Ragusa Sera", 17 luglio 1993; Eadem, Maria Occhipinti, in Rivolta e memoria storica. Atti del convegno 1945-1995: le sommosse contro il richiamo alle armi, cinquant'anni dopo, Sicilia Punto L, Ragusa 1995; Eadem, Una donna di Ragusa: Maria Occhipinti, in Nella Sicilia del passato tra figure femminili e vecchi mestieri, Fidapa, Distretto Sicilia 2002; Eadem, Maria Occhipinti, in Tra terra e cielo. Due secoli di storia iblea al femminile, Donna e Comunita', Ragusa 2002; Bonina Gianni, Dalla Russia con dolore, in "La Sicilia", 1 aprile 1995; Bravo Anna, La ribelle di Ragusa messa in galera dagli antifascisti, in "Liberal", 21 maggio 1998; Calapso Jole, Donne ribelli, Flaccovio, Palermo 1980; Cambria Adele, Un'isola di rabbia, in "Il Messaggero", 5 luglio 1976; Catalfamo Antonio, Scrittori umanisti e "cavalieri erranti" di Sicilia, Sicilia Punto L, Ragusa 2001; Chemello Adriana, Una donna di Ragusa, in "Azione nonviolenta", novembre-dicembre 1976; Eadem, Una donna contro la guerra, in "Azione nonviolenta", novembre-dicembre 1981; Cotensin Ismene, Maria Occhipinti e la rivolta di Ragusa (gennaio 1954): un percorso intellettuale, politico e letterario, Sicilia Punto L, Ragusa 2003; D'Aquino Alida, Maria Occhipinti, in Sarah Zappulla Muscara' (a cura di), Letteratura siciliana al femminile: donne scrittrici e donne personaggio, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 1987; D. S., Una donna di Ragusa - veicolo al verbo comunista, in "Avvenire Ibleo", 22 febbraio 1958; Giarratana Letizia, Ciao Compagna, in "Sicilia Libertaria", XX anno, n.146, Ragusa, settembre 1996; Giubilei Giuliano, Lo Stato ruba la terra ai contadini ragusani, in "Paese Sera", 25 gennaio 1980; G. V, Occhipinti-Cambria: meta' premio per ciascuna, in "Espresso Sera", 31 dicembre 1976; Mafai Simona, Le siciliane, in AA. VV., Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti, Roma 1976; Marzocchi Umberto, Un documento umano: una donna di Ragusa, in "Umanita' Nova", 3 ottobre 1957; Mughini Giampiero, Essere donna a Ragusa nel 1945, in "Paese Sera", 3 gennaio 1977; Nicolosi Casimiro, Le donne protagoniste al "Brancati-Zafferana", in "La Sicilia", 28 dicembre 1976; Santi Correnti, Donne di Sicilia, Tringale Editore, Catania 1990; Stajano Corrado, Una donna di Ragusa, in "Linus", n.10, ottobre 1976; Seroni Adriano, Una donna di Ragusa, in "L'Unita'", 17 settembre 1957; Simonelli Giovanni, Una donna di Ragusa, in "6 gennaio 1945", Ragusa, maggio 1976; Teodori Maria Adele, La pasionaria di Ragusa, in "L'Europeo", 8 novembre 1979; c. Opere storiche d'inquadramento: AA. VV., Rivolta e memoria storica. Atti del convegno 1945-1995: le sommosse contro il richiamo alle armi, cinquant'anni dopo, Sicilia Punto L, Ragusa 1995; La Terra Giovanni, Le sommosse nel ragusano: dicembre 1944 - gennaio 1945, Sicilia Punto L, Ragusa 1980; Mangiafico Antonio, Gurrieri Pippo, Non si parte! Non si parte! Le sommosse in Sicilia contro il richiamo alle armi, Sicilia Punto L, Ragusa 1991; Mangiamieli Rosario, La regione in guerra 1943-1950, in Storia d'Italia. Dall'unita' a oggi: la Sicilia, Einaudi, Torino 1987; Nicolosi Salvatore, Sicilia contro Italia (il separatismo siciliano), Tringali Editore, Catania 1981; Nobile Giuseppe, Questi miserabili, S. E. I., Genova 1953; Ragionieri Ernesto, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia. Dall'unita' ad oggi, tomo III, Einaudi, Torino 1976; Romano Giosue' Luciano, Moti rivoluzionari nel ragusano: dicembre 1944 - gennaio 1945, Sicilia Punto L, Ragusa 1998. d. Altri saggi letterari: (...) [sono segnalati testi di riferimento non specifici di Salvatore Battaglia, Italo Calvino, Franco D'Intino, Danilo Dolci, Marizano Guglielminetti, Carlo Levi, Carlo Salinari, Manfred Schneider, Leonardo Sciascia, Rocco Scotellaro, Ignazio Silone, Carlo Varese - ndr]. e. Fonti internet, audio e video: (...) Adele Cambria, La rivolta dei Non si parte, 17 settembre 2002, Raisat Album 2002; Silvana Mazzocchi, Le ribelli del Novecento, 22 febbraio 2003, Raisat Album; 16 aprile 2004: Presentazione libro di Ismene Cotensin: Maria Occhipinti e la rivolta di Ragusa (gennaio 1945). Un percosrso intellettuale, politico e letterario, Sicilia Punto L, Sala Avis, Ragusa. Relatori: Laura Barone, Marilena Licitra Occhipinti, Pippo Gurrieri, Ismene Cotensin; 10 luglio 2004: Intervista personale, riportata in appendice [alla tesi di laurea da cui citiamo - ndr], con Marilena Licitra Occhipinti, Ragusa; 12 novembre 2004: Presentazione del libro postumo di Maria Occhipinti Una donna libera, Sellerio, Centro Studi "Feliciano Rossitto", Ragusa. Relatori: Salvatore Assenza, Laura Barone, Marilena Licitra Occhipinti, Pippo Gurrieri, presente in sala Franco Leggio"] Povera, combattiva, di sinistra, la giovane ragusana Maria Occhipinti (1921-1996) non si capacitava che a chiuderla in galera in quel gennaio 1945 fosse la nuova Italia democratica e antifascista. Lei figlia di un muratore e di una cucitrice, costretta a lasciare la scuola a dispetto dell'amore per i libri, lei con la sua storia di sofferenze e riscatto, dall'infanzia difficile alla guerra, da una gravidanza di stenti alla morte della bimba appena nata, dalla ripresa degli studi all'approdo al comunismo, alle grandi speranze all'arrivo degli americani, alle lotte contro il carovita. Quasi un prototipo di biografia militante da portare a esempio - ma solo fino all'inverno '44-'45, quando il governo Bonomi emana i bandi di leva per un contingente da affiancare alle truppe alleate: al nord partigiano si addice il volontariato, al sud toccano le cartoline rosa. Di fronte alla renitenza generalizzata in tutto il centro-sud e nelle isole, si passa ai rastrellamenti casa per casa e alle retate, e ne nascono scontri violentissimi con migliaia di arresti, decine di morti e feriti. E' la rivolta chiamata dei "non si parte", che cambia segno alla vita di Maria. Sulla provinciale di Ragusa il 4 gennaio 1945 avanzava un camion carico di ragazzi catturati nel popolare quartiere "Russia"; e tra la piccola folla di donne disperate c'era lei, incinta di cinque mesi, che quattro anni prima aveva visto partire il marito e ora, decisa a non sopportare piu' che lo stato si impadronisca dei giovani, si stende davanti alle ruote, dando il via alla fuga dei rastrellati. Comincia cosi' la breve epopea della citta', e comincia la repressione giudiziaria. Identificata come leader, Maria e' portata al confino a Ustica, dove partorisce la sua seconda bambina e rischia di perderla per mancanza di cure, poi al carcere di Palermo. Quando esce per amnistia, il 7 dicembre 1946, scopre che il marito l'ha abbandonata, peregrina per molte citta', in Svizzera incontra un mondo diverso, che le sembra piu' adulto, piu' rispettoso ed equilibrato nei rapporti uomo/donna e che le fa apparire gli uomini siciliani "piccini, quasi balbettanti". Resta fuori d'Italia per molti anni, mentre sulla lotta dei "non si parte" c'e' un generale silenzio. All'estero lavora duramente, ma trova il tempo di scrivere Una donna di Ragusa, meta' autobiografia meta' cronaca della rivolta. Racconta i protagonisti, studenti, donne, contadini, reduci da tutti i fronti, molti socialisti e comunisti. Spiega che semplicemente nessuno voleva piu' saperne di fare la guerra, tanto meno per Vittorio Emanule e Badoglio; che nessuno credeva piu' sulla parola a chi prometteva un esercito diverso, epurato dalle vecchie ingiustizie e gerarchie. Mostra quanto abbiano avuto torto le forze politiche, compreso il suo partito di riferimento, il Pci, che hanno liquidato la rivolta come frutto di manovre separatiste o di un rigurgito fascista. La calda simpatia di alcuni intellettuali, in primo luogo di Enzo Forcella, non basta a creare consenso intorno a un testo scomodo e a una figura come Maria, antifascista che disobbedisce agli ordini dell'antifascismo, comunista dal cuore anarchico. Una donna di Ragusa resta a lungo un libro per pochi , mentre nell'autrice si vede soprattutto l'erede delle donne di ancien regime tante volte insorte a difesa degli interessi della comunita'. in parte e' cosi'. Ma Maria e' anche una moderna ribelle che fa un gesto imprevisto: molto prima che nascano l'interesse per la storia "dal basso" e il mito della spontaneita' popolare, rivendica per se' il diritto di parola e di giudizio disconoscendo a politici e specialisti il monopolio dell'interpretazione. Dal suo racconto esce male la nuova Italia, nordcentrica, sprezzante verso il sud, incapace di riconoscere le proprie aporie e incline a vedere in ogni lotta "irregolare" un anacronismo o un complotto; ne esce esaltata l'iniziativa personale, senza capi ne' organizzazione. Ancora oggi, che abbiamo imparato a distinguere i diversi dopoguerra e le diverse reazioni popolari, della difficilmente catalogabile eroina di Ragusa nei convegni sulla Resistenza spesso ci si dimentica di parlare. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 155 del 31 gennaio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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