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Minime. 347
- Subject: Minime. 347
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 Jan 2008 01:19:05 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 347 del 27 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Primo Levi: Ne' domani ne' mai 2. Bruno Segre: Per non dimenticare 3. Un'assemblea nazionale delle donne a Roma 4. A Lucca il 31 gennaio 5. La scomparsa di Patricia Verdugo 6. Enrico Piovesana: Vite da salvare 7. Riedizioni: Apollonio Rodio, Argonautiche 8. L'Agenda dell'antimafia 2008 9. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008 10. Apologeti 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. PRIMO LEVI: NE' DOMANI NE' MAI [Da Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 1336, riportiamo la parte conclusiva del testo per l'inaugurazione del Memoriale in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, pubblicato nel fascicolo edito a cura dell'Associazione nazionale ex-deportati politici nei campi di sterminio nazisti, aprile 1980. Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976] In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si e' toccato il fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa' che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa' che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, ne' domani ne' mai. 2. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE [Riproponendo nuovamente queste pagine finali del suo libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, nuovamente ringraziamo di cuore Bruno Segre per averci permesso di riprodurre sul nostro foglio a suo tempo ampi stralci da questo suo utilissimo libro, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, ha studiato filosofia alla scuola di Antonio Banfi; si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha insegnato in Svizzera dal 1964 al 1969; per oltre dieci anni ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; per molti anni ha presieduto l'associazione italiana "Amici di Neve Shalom Wahat as-Salam"; nel quadro di un'intensa attivita' pubblicistica, ha dedicato contributi a vari aspetti e momenti della cultura e della storia degli ebrei; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003] Quasi sei decenni ci separano dai giorni in cui le armate alleate raggiunsero i campi di sterminio nazisti restituendo la liberta' ai pochi prigionieri scampati al massacro: da allora la memoria della Shoah rappresenta un elemento costitutivo dell'identita' per una parte cospicua degli ebrei. Ormai la generazione dei testimoni diretti (su entrambi i versanti: quello delle vittime e quello dei persecutori) va estinguendosi. Ma anche gli ebrei della nuova generazione, apparentemente estranei alla paura, affrancati - tanto nella diaspora quanto in Israele - dalle ansie degli antenati, continuano a confrontarsi con la memoria della Shoah, condannati a ritornarvi lungo la propria cronistoria, nelle proprie associazioni mentali, nelle proprie decisioni morali, nei codici di comportamento. "Una mia amica, sopravvissuta come me alla Shoah - scriveva Doris Papier in una lettera da Herzliya (Israele) al "Jerusalem Post" nel dicembre 1990 -, ha visitato recentemente la localita' nella quale erano vissuti e dove vennero assassinati i miei famigliari. Il luogo non e' lontano da Rovno, in Ucraina. Mentre si trovava la', la mia amica registro' con una cinepresa la boscaglia in cui migliaia di ebrei furono passati per le armi". E soggiungeva: "Quando vidi il filmato rimasi inorridita nell'osservare che un po' ovunque, sul terreno, affioravano le ossa delle vittime e, inoltre, che la popolazione del luogo andava frugando fra i resti umani alla ricerca di denti d'oro e di oggetti di valore". (...) "Trovo quasi incredibile che per tutto questo tempo nulla sia stato fatto dalle autorita' sovietiche e/o ucraine per porre rimedio a tale situazione". * Oswiecim, in Polonia ("Auschwitz" in tedesco). Qui, nell'agosto 2000, viene inaugurata la discoteca "System", nella quale ogni fine settimana si danno appuntamento centinaia di giovani. La nascita della discoteca innesca l'ultima di una lunga serie di diatribe che, per tutto il secondo dopoguerra, hanno avvelenato i rapporti tra polacchi ed ebrei: la malcelata invidia dei primi, che non si sono sentiti abbastanza considerati nel ruolo di vittime del nazismo, l'antisemitismo strisciante dei governi comunisti di Varsavia, l'atteggiamento a volte ostile verso gli ebrei della Chiesa cattolica di Polonia e, soprattutto, il destino di Auschwitz, l'uso e la tutela di un luogo che la tragedia della Shoah ha inscritto per sempre nella storia degli ebrei e nella coscienza del mondo. La "pista da ballo sopra le tombe" - come viene definita la discoteca dai suoi critici - riaccende la guerra per la memoria della Shoah: una vicenda conflittuale fatta di simboli, di controversie religiose e strumentalizzazioni politiche, le cui radici vanno cercate nelle pieghe profonde della storia d'Europa, recente e meno recente. Gia' negli anni Ottanta un convento di carmelitane, che si era insediato entro il perimetro dell'ex campo di sterminio, fu trasferito al di fuori dei fili spinati in seguito alle proteste delle comunita' ebraiche. Nel 1996, gruppi di pressione ebraici ottennero che fosse annullato il progetto di costruzione di un centro commerciale, mentre nel 1998 vennero rimosse trecento croci in legno piantate ad Auschwitz dagli attivisti del "Movimento per la salvezza del popolo polacco", un gruppuscolo ultranazionalista che fa dell'antisemitismo e del radicalismo religioso il proprio cavallo di battaglia. Nel 2000, a chiedere l'immediata chiusura della discoteca "System" scese in campo nientemeno che il Centro Wiesenthal di Vienna. Spesso gli ebrei vengono rimproverati di fare di Auschwitz, della Shoah un mito, un monumento. A ben vedere le cose non stanno esattamente cosi'. Per i sopravvissuti e per i loro eredi la Shoah, assai piu' che un monumento rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine. Innanzitutto e' impossibile dimenticare che la Shoah ha inghiottito sei o sette milioni di persone: approssimativamente la meta' degli ebrei europei, ossia circa un terzo degli ebrei del mondo, fra i quali un milione e mezzo di bambini. Ma soprattutto, nella Shoah e' andata distrutta una civilta', quella degli ebrei dell'Europa centro-orientale. Dell'antico scenario fisico entro il quale si mossero e fiorirono numerose comunita' estremamente vitali e creative, oggi non rimangono che i muri delle sinagoghe, i cimiteri, i libri, gli oggetti rituali e d'uso quotidiano, le carte: documenti di una storia durata poco meno d'un millennio. Pagine della storia degli ebrei, certamente, ma anche, a pieno titolo, della storia d'Europa e - vorrei aggiungere - della storia dell'intera umanita'. * Come ha scritto Yosef Hayim Yerushalmi, docente alla Columbia University di New York, la necessita' di ricordare e' divenuta piu' urgente da quando hanno alzato la voce "coloro che fanno a brandelli i documenti, gli assassini della memoria e i revisori delle enciclopedie, i cospiratori del silenzio, coloro che, come nella bellissima immagine di Kundera, possono cancellare un uomo da una fotografia in modo che ne rimanga solo il cappello". Quella che ci risulta intollerabile e' l'idea che persino i crimini piu' atroci possano cadere nell'oblio. In sostanza, il bisogno di ricordare riguarda il male. Da piu' parti si sostiene che, in quanto "male assoluto", la Shoah sia qualcosa di indicibile, di irrappresentabile. Si tratta, in questo caso, di un'opinione che non condivido. Ritengo infatti che anche il lavoro di coloro che fanno storiografia avrebbe uno spessore molto inferiore se non potesse fare riferimento proprio alle narrazioni dei testimoni diretti, dei deportati, di coloro la cui vita e' stata barbaramente stroncata, dei sopravvissuti. Come si sa, la testimonianza personale e' fragile, parziale, incompiuta; tuttavia essa esprime il vissuto, unisce soggettivita' e oggettivita', individuale e collettivo, pubblico e privato. Ai fini della conservazione e trasmissione della memoria, il racconto individuale offre spunti e risorse di una vitalita' unica, insostituibile: basti pensare alle narrazioni e alle riflessioni preziosissime di un grande testimone quale fu Primo Levi. In un mondo sempre piu' orientato a rimuovere e a banalizzare il male - qual e' il mondo in cui viviamo -, e' importante che un sano impegno pedagogico dia vita a strategie educative capaci di offrire alle generazioni piu' giovani il senso concreto di un legame tra la vicenda dello sterminio nazista e situazioni di violenza, di offesa ai diritti umani, di eccidi di massa che accadono oggi, pur con tutte le differenze rispetto alla Shoah. Il ricordo del male passato, pero', non puo' e non deve ridursi a retoriche manifestazioni in chiave celebrativa: una sorta di illusori compensi postumi elargiti alle vittime e ai loro eredi. Manifestazioni di questa natura sono i prodotti di una memoria statica, capace soltanto di dare corso a rievocazioni del male che, per essere meramente commemorative ed esorcistiche, rivelano una radicale sterilita'. Da esse occorre distinguere le forme di una memoria dinamica, preoccupata di tenere viva la consapevolezza del male al fine di favorire, semmai, la progettazione di un futuro diverso e migliore. Infatti il ricordo dell'orrore, seguito dalla rituale invocazione "cio' non deve accadere mai piu'", appare destinato a rimanere privo di reale efficacia quando non si saldi a un'interrogazione argomentata e analitica circa il presente e non si apra con spirito critico e creativo alla progettualita'. * Alla fine del 1997 Sergio Romano pubblico' in Italia un saggio che, a onta del tenore benevolo del titolo e dell'orgoglioso "laicismo liberale" ostentato dall'autore, apparve subito abbondantemente farcito dei piu' abusati luoghi comuni antiebraici. L'autore pretendeva di spaziare in lungo e in largo nella storia degli ebrei fino a giudicarne lapidariamente la religione: un "catechismo fossile ('duecentoquarantotto precetti affermativi e trecentosessantacinque precetti negativi', ricorda il rabbino Toaff) di una delle piu' antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai praticate in Occidente". Fra le numerose bizzarrie proposteci da questo pamphlet, occupa un posto centrale la tesi, non priva di malizia, secondo la quale il genocidio degli ebrei d'Europa si sarebbe ormai trasformato, per l'opinione pubblica dell'Occidente (cristiano), in una sorta di ricatto permanente. Nell'imputare tale fatto al culto ebraico della memoria, Romano articola le sue argomentazioni nei termini seguenti: "[Il genocidio] e' diventato il peccato del mondo contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni cristiano dovrebbe chiedere perdono quotidianamente, il nucleo centrale della storia del XX secolo. Grazie a questa prospettiva storica, ogni paese e ogni istituzione vengono giudicati per il loro ruolo in quella vicenda e finiscono, prima o poi, sul banco degli accusati". Dopo avere elencato varie stragi analoghe o paragonabili per dimensioni o crudelta' (lo sterminio armeno, le vittime dello stalinismo, del colonialismo, della seconda guerra mondiale, dei conflitti interetnici in Bosnia o in Ruanda), Romano lamenta che, mentre la memoria di questi e altri massacri "impallidisce e si appanna, l''olocausto' continua ad agitare le coscienze". Insomma, "non e' piu' un episodio storico da studiare nelle particolari circostanze in cui quelle vicende ebbero luogo". Di fronte alla ricerca storica, afferma Romano, molti ambienti ebraici si rivelano animati da una "ostilita' iniziale" dettata, fra l'altro, dal "timore che gli studi storici finiscano per 'storicizzare' il genocidio riducendolo, prima o dopo, ad una gigantesca 'notte di San Bartolomeo'". Con l'attribuire agli ebrei, in buona sostanza, la colpa di collocare la Shoah in una dimensione teologica e metastorica, Romano avanza l'ipotesi che la "strategia della memoria" sia stata per lo Stato d'Israele "una straordinaria arma diplomatica, una preziosa fonte di legittimita' internazionale". Inoltre, secondo Romano, tale strategia e' "il terreno su cui l'ebraismo e la sinistra possono incontrarsi e collaborare", consentendo agli ebrei di "tenere in vita una sorta di 'comitato permanente di vigilanza antirazzista'". E', questa di Romano, un'ipotesi semplicistica e fuorviante poiche', oltre a recuperare alcuni "topoi" del "connubio giudaico-comunista" tanto cari alla pubblicistica fascista degli anni trenta, ha il torto di enfatizzare il sostegno offerto allo Stato d'Israele dalle comunita' della diaspora e di sottolineare oltre misura la volonta' d'Israele di tenere viva, nel proprio esclusivo interesse di Stato, la memoria del genocidio: riducendo in tal modo il grande esame di coscienza che il mondo continua a compiere di fronte alla Shoah a una meschina macchinazione politica degli ebrei. * Circa gli usi della memoria della Shoah che si sono andati facendo in Israele lungo l'arco dei decenni, l'analisi piu' compiuta, equilibrata e, nello stesso tempo, severamente problematica, e' a mio avviso quella condotta da Tom Segev - un valido giornalista e storico israeliano - in Il settimo milione. Osservatore molto attento e sottile delle dinamiche complesse e talvolta contraddittorie che si registrano all'interno della classe politica e della societa' israeliane, Segev rammenta che "Israele e' diverso dalla maggior parte degli altri paesi del mondo perche' ha la necessita' di giustificare, agli occhi altrui e ai propri, il diritto all'esistenza". L'Olocausto, spiega Segev, "e' la conferma definitiva della validita' della tesi sionista secondo cui gli ebrei possono vivere nella sicurezza e godere pienamente dei diritti dei quali usufruiscono gli altri popoli soltanto in uno Stato autonomo e sovrano, capace di difendersi. Eppure, di guerra in guerra, si e' visto chiaramente che al mondo ci sono molti altri luoghi in cui gli ebrei sono piu' al sicuro che in Israele. Non solo: l'Olocausto e' stato un'innegabile sconfitta per il movimento sionista, che non e' riuscito a convincere la gran parte degli ebrei del mondo a stabilirsi in Palestina quand'era ancora possibile". "Secondo alcuni", ricorda Segev, "sarebbe meglio che gli israeliani dimenticassero l'Olocausto, dal momento che ne traggono insegnamenti sbagliati". E nel menzionare taluni dei rischi che il culto della memoria comporta, egli osserva correttamente che "la scuola e le celebrazioni ufficiali alimentano spesso lo sciovinismo e l'idea che lo sterminio nazista giustifichi qualsiasi azione purche' giovi alla sicurezza di Israele, compresa la repressione della popolazione palestinese nei Territori occupati". Tuttavia, dichiara alla fine l'autore, gli israeliani "non possono e non devono dimenticare [l'Olocausto]. Quello che devono fare e' trarne conclusioni diverse. L'Olocausto chiede a tutti noi di tutelare la democrazia, combattere il razzismo e difendere i diritti umani. Conferma e rafforza la legge israeliana che impone a ogni soldato di non obbedire a un ordine palesemente illegittimo. Certo non sara' facile inculcare gli insegnamenti umanistici dell'Olocausto finche' Israele lottera' per difendersi e per giustificare la propria esistenza. Ma farlo e' essenziale". * E' chiaro che il rapporto fra memoria della Shoah e storia e' particolarmente complesso, giacche l'elaborazione dei lutti provocati dalla tragedia e' lunga e dolorosa. Faccio senz'altro mia la preoccupazione di non cadere in "eccessi di memoria", che rischierebbero di schiacciare sul passato la progettazione di un qualsiasi avvenire. Ne' intendo qui negare che in ambito ebraico siano oggi presenti, tanto in Israele quanto nella diaspora, gruppi politici e frange sociali disposti a fare della Shoah un uso strumentale onde giustificare forme di sciovinismo miope e arrogante, pericolose derive fondamentaliste e grette chiusure di natura confessionale. Tuttavia, il piccolo universo degli ebrei continua, nel suo insieme, a essere ricco di interne tensioni, di una vivacissima dialettica, di spinte e controspinte, e presenta connotazioni complesse, diversificate e troppo difficili da cogliere perche' sia consentito accostarsi a esso con un approccio del tipo di quello adottato da Sergio Romano. Forse l'urgenza con la quale Romano preme per "storicizzare" la Shoah rivela una sotterranea ansia di "archiviazione", tesa a liquidare una memoria troppo ingombrante per i tanti europei che, pur di sentirsi innocenti, cercano di "chiamarsi fuori" in vari modi, per esempio ponendo lo sterminio a esclusivo carico della defunta ideologia nazista. Il vero problema, a mio avviso, e' quello di conciliare il compito morale di evitare che il passato cada nell'oblio con l'impegno a operare perche' le nuove generazioni si possano costruire un futuro vivibile e decente, da condividere responsabilmente e fraternamente con tutti i figli degli uomini. In ambito ebraico, alcune strade in questa direzione appaiono gia' tracciate. Mi riferisco, in primo luogo, all'esperienza di Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme: un'istituzione che, fin da quando vide la luce nel 1957, volle ricordare accanto alla memoria delle vittime anche i "giusti", ossia i protagonisti del bene, quanti a rischio della propria vita si prodigarono per la salvezza dei perseguitati. Le vicende dei "giusti" hanno permesso a molti fra i sopravvissuti di ritrovare la speranza nell'umanita'. Per numerosi ebrei e per i loro figli e nipoti e' stato possibile ritornare nei paesi che li avevano perseguitati e traditi, solo dopo avere saputo di uomini e donne che si erano comportati diversamente. In tal modo i "giusti" sono diventati il tramite di un riavvicinamento tra le vittime della violenza e i popoli che li hanno oppressi. In una direzione non dissimile si colloca il lavoro del Post-Holocaust Dialogue Group: un'associazione internazionale creata all'inizio degli anni Novanta da Gottfried Wagner - pronipote di Richard e figlio "degenere" dell'attuale direttore del Festival di Bayreuth (in Germania) - e da Abraham Peck, direttore amministrativo e dei programmi dell'Archivio ebraico-americano di Cincinnati (negli Stati Uniti). Le iniziative di questo gruppo mirano non gia' a ricomporre le memorie della Shoah - ancor oggi profondamente divise - in una fittizia unita' sotto l'etichetta di una "comune memoria" (un'operazione che, qualora venisse proposta, recherebbe offesa a tutte le persone coinvolte a vario titolo nella tragedia), bensi' a dare luogo al lavoro difficilissimo, e tuttavia necessario, di reciproco riconoscimento, di dialogo appunto, tra i figli di coloro che la Shoah l'hanno subita e i figli di coloro che, invece, l'hanno architettata e inflitta. Un dialogo, dunque, tra persone nate dopo lo sterminio. Uno dei membri ebrei del gruppo, lo psichiatra newyorkese Yehuda Nir, ha pubblicato un'autobiografia che e' stata tradotta in nove lingue. In un'introduzione all'edizione olandese, composta con un pensiero rivolto in particolare agli studenti, Nir interpella idealmente Gottfried Wagner con parole che esprimono tutt'intera la tensione e la fatica di un lavoro congiunto di ricostruzione morale e psicologica, portato avanti con estrema delicatezza dagli uni e dagli altri attori di questo dialogo straordinario: "Gottfried, io ti vedo come un rappresentante di questo [nuovo] mondo. Tu sei l'anti-Lohengrin, che non nasconde il suo passato e dice: 'Per favore, Yehuda, chiedimi che cos'hanno fatto i miei genitori'. In modo sincero ti definisci un figlio dei persecutori, un tedesco nato dopo la Shoah. Hai affermato di essere legato alla storia della Germania. Non chiedi perdono. Tutto cio' che desideri e' impegnarti in un dialogo per capire che cosa e come e' successo, e se e' possibile evitare che possa accadere di nuovo. Sei un tedesco che vuole aiutare a creare un mondo in cui noi ebrei possiamo prendere in considerazione il perdono". 3. INCONTRI. UN'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE DONNE A ROMA [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendamo il seguente resoconto della recente assemblea svoltasi a Roma, li' apparso col titolo "Assemblea nazionale delle donne" e il sommario "Centinaia di donne provenienti da tutta Italia si sono riunite alla Casa internazionale delle donne di Roma per fare un bilancio dopo la manifestazione del 24 novembre e discutere le strategie e le iniziative future"] Sono arrivate da Taranto, Gorizia, Salerno, Milano, Palermo, Torino, Firenze, Trieste, Napoli, Viareggio, Bologna e da molte altre citta'. Numerosissime le realta' rappresentate, le associazioni, i gruppi, i collettivi e le singole donne, anche impegnate in ambiti istituzionali. Donne di tutte le eta', dai dieci ai quasi novanta, in una sala che e' rimasta gremita fino in serata. Al di la' delle differenze di opinioni, esperienze, pensieri, e' comune l'intento di creare una piattaforma di azione per la liberta' e l'autodeterminazione delle donne, coordinata a livello nazionale e che abbia forte radicamento a livello territoriale. L'intento dell'assemblea e' di proseguire in maniera organizzata il cammino intrapreso a partire dall'emozionante esperienza del 24 novembre 2007, su cui sono state fatte valutazioni positive. "Intendiamo dare una valorizzazione all'esterno e all'interno", e' stato detto da una delle organizzatrici. Bisogna combattere tutte le forme di violenza contro le donne: la violenza sessuale, la violenza economica, la violenza politica e istituzionale, la violenza psicologica, la violenza culturale. "Vogliamo spazi autonomi", ha detto Emilia di Salerno. C'e' "una grande inadeguatezza della politica istituzionale" rispetto alle problematiche delle donne, ha affermato Franca di Bologna. Sono necessarie "riflessioni e confronti su temi come il separatismo, le differenze di percorsi e di generazione". "Ancora una volta, con la proposta di moratoria internazionale contro l'aborto, gli uomini parlano in nome e per conto delle donne con l'unico scopo di negarne l'autonomia, considerandoci meri contenitori biologici senza volonta' ne' controllo del nostro corpo", si legge nel comunicato stampa diffuso da controviolenzadonne.org Forti critiche sono state mosse verso quanti stanno attuando un attacco alle conquiste delle donne e contro il generale imbarbarimento e impoverimento culturale che vede ancora una volta le donne, le bambine e i bambini vittime di violenze in famiglia e nella societa'. Sono state pronunciate parole incisive in difesa della legge 194, sul degrado dei consultori, sulle discriminazioni delle donne migranti, sulla "collusione tra destra, sinistra, chiesa cattolica e malavita". "E' necessario un confronto serio su tutte le differenze tra di noi, ben sapendo che la politica c'e', il Vaticano c'e', e che siamo quindi 'costrette' a produrre politica per tutte le donne"; parole che indicano una chiara volonta' di diventare una controparte significativa e "portare avanti insieme concrete iniziative per i nostri diritti in modo collettivo e condiviso", mantenendo una continuita' e "coinvolgendo le donne nelle istituzioni, nei posti di lavoro, nei media". Obiettivi comuni e agenda politica comune, quindi, da cui scaturiranno una serie di iniziative, fra cui una "due giorni" in febbraio e un 8 marzo "nuovo". Infatti la presenza di giovani e giovanissime e la straordinaria e inaspettata partecipazione, a partire dalla manifestazione nazionale, danno nuovo impulso ai movimenti delle donne. 4. INCONTRI. A LUCCA IL 31 GENNAIO [Dalla Scuola della pace di Lucca (per contatti: scuolapace at provincia.lucca.it) riceviamo e diffondiamo] Giovedi' 31 gennaio, alle ore 21, presso la Sala Maria Luisa di Palazzo Ducale, a Lucca si svolgera' un incontro con don Achille Rossi sul tema "L'incontro indispensabile: il dialogo interculturale oggi". * Don Achille e' parroco in una parrocchia di periferia a Citta' di Castello (Perugia). Tutti i giorni gestisce in prima persona un frequentato doposcuola pomeridiano. E non e' tutto: anni fa ha dato vita a una piccola ma preziona casa editrice, L'altrapagina, che sta producendo libri di grande qualita' con scritti di Raimon Panikkar, Susan George, Bruno Amoroso, Rodrigo Rivas, Raniero La Valle, Giulietto Chiesa e altri ancora. L'altrapagina pubblica inoltre gli atti dei convegni che periodicamente don Achille organizza in varie citta' dell'Umbria. "L'altrapagina" e' anche il nome di una rivista radicata nella realta' locale ma con un respiro globale. Don Achille propizio' la venuta a Lucca nel 2002 di Ivan Illich ed e' stato nostro ospite in diverse occasioni per apprezzatissimi incontri su tematiche legate all'intercultura. 5. LUTTI. LA SCOMPARSA DI PATRICIA VERDUGO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 gennaio 2008] La scrittrice e giornalista cilena Patricia Verdugo, una delle voci che piu' duramente e con piu' passione ha condannato la dittatura militare di Augusto Pinochet, svelandone crimini e violazioni dei diritti umani, e' morta a Santiago del Cile. Patricia Verdugo e' nota per il libro Gli artigli del puma (Sperling & Kupfer), il documentato resoconto dell'attivita' criminale della "Carovana della morte", una squadra militare che dopo il golpe del 1973 aveva il compito di arrestare, torturare, far sparire e assassinare tutti gli oppositori politici e che viaggiava tra le varie province cilene a bordo di un elicottero Puma. Con la sua decina di libri, Verdugo ha messo a nudo, in tutta la sua crudelta' ed efferatezza, i crimini commessi nel suo paese durante i 17 anni della dittatura, attraverso una produzione letteraria per cui ha ottenuto il Premio Maria Moors Cabot nel 1993 (il piu' importante riconoscimento attribuito negli Stati Uniti ad un autore straniero) e il Premio nazionale di giornalismo cileno nel 1997. Verdugo ha scritto, tra gli altri, i volumi Salvador Allende. Anatomia di un complotto organizzato dalla Cia (Baldini Castoldi Dalai) e Golpe in diretta. L'ultima battagli di Allende e le registrazioni clandestine delle comunicazioni tra gli alti comandi militari (Unicopli). Suo padre, Sergio Verdugo, fu una delle 30.000 vittime del terrore e alla sua storia e' ispirato il libro Calle Bucarest 187, Santiago del Cile (Baldini Castoldi Dalai). 6. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: VITE DA SALVARE [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 23 gennaio 2008, dal titolo "Afghanistan, l'esportazione della teocrazia" e il sommario "Condannato all'impiccagione per blasfemia giovane giornalista critico verso la religione". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in qualita' di inviato] Hafizullah Khaliqyar, procuratore generale della provincia settentrionale di Balkh, ha annunciato la condanna all'impiccagione per blasfemia del giovane giornalista Parwiz Kambakhsh, 23 anni, arrestato a ottobre per aver stampato e diffuso tra i suoi amici un articolo ripreso da un sito internet, che mette in evidenza alcuni versi del Corano controversi riguardo ai diritti delle donne. Pare che come "prova" della sua malafede sia stato addotto il fatto che in casa sua sono stati trovati libri di filosofia e religione scritti da autori occidentali. Secondo la famiglia del ragazzo, non gli e' stato nemmeno concesso un avvocato difensore e ci sarebbero state forti pressioni delle gerarchie islamiche afgane sul tribunale provinciale di Balkh. * Anche il fratello nel mirino del governo Parwiz, studente di giornalismo all'Universita' di Mazar-i-Sharif, ha stampato l'articolo incriminato - non si sa quale - per poi discuterne in classe con i suoi compagni di corso e con l'insegnante. Alcuni ragazzi della classe hanno denunciato il fatto alle autorita' e cosi' sono scattate le manette. Parwiz collaborava anche con un giornale locale progressista, il Jahan-e-Now (Nuovo Mondo), sul quale aveva pubblicato diversi articoli. Voleva seguire le orme di suo fratello maggiore, Yaqub Ibrahimi, giornalista molto noto in Afghanistan per le sue coraggiose inchieste sui crimini e la corruzione dei politici governativi legati all'ex Alleanza del Nord. Non e' escluso che le autorita' afgane abbiano voluto punire Ibrahimi colpendo suo fratello. * Minacce ai giornalisti solidali con Parwiz Nei giorni scorsi, molte organizzazioni per i diritti umani afgane e internazionali avevano rivolto accorati appelli al presidente Hamid Karzai perche' intervenisse nella vicenda. Reporter Senza Frontiere si era detta "profondamente scioccata da questo processo, celebrato in fretta, senza il minimo riguardo per le procedure di legge e per il diritto d'espressione garantito dalla Costituzione afgana; Parwiz Kambakhsh non ha commesso nulla che giustifichi le accuse che gli vengono mosse". I giornalisti della regione si sono radunati davanti alla casa di Parwiz in segno di solidarieta' e di protesta. Il procuratore Khaliqyar li ha avvertiti: "Ordinero' l'arresto di ogni giornalista che critichera' la sentenza". * Si attende ora un'altra sentenza Rischia la condanna a morte per blasfemia anche un altro giornalista afgano, Mohammad Ghaws Zalmai, 40 anni, arrestato in novembre dopo aver pubblicato una traduzione del Corano che, secondo i religiosi, conteneva passi interpretati in maniera scorretta. 7. RIEDIZIONI. APOLLONIO RODIO: ARGONAUTICHE Apollonio Rodio, Argonautiche, Mondadori, Milano 2003, 2007, pp. XCIV + 506, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Con testo greco a fronte, ampio e forse indispensabile apparato, a cura di Alberto Borgogno. Dico prima tutti i miei pregiudizi: il canto epico e l'intarsio alessandrino non sono compatibili; e' possibile scrivere l'Iliade solo credendo a quella fame di vento, l'abitatore dell'infinita biblioteca non puo' credere piu' in quella pienezza di vita ad un tempo barbarica e solare: ove ovunque il poeta incontra gli dei, il filologo incontra pagine. Un'operazione come queste Argonautiche e' impossibile in re ipsa. Eppure quest'opera esiste, ed anche se e' un sogno e un delirio, non e' un falso sogno, non e' un vero delirio. Leggere Apollonio Rodio e' insieme irritante e avvincente. Cio' che e' esibito, sovente tedia; cio' che e' taciuto, attenuato, nascosto, non di rado seduce. E ad ogni passo ti chiedi se e' il filologo o l'antropologo che ti tende un agguato e ti convoca sfinge. Per molti anni ho pensato che non avrei consigliato neppure al mio peggior nemico di tuffarsi in quest'opera e traversarla dall'inizio alla fine (cosi' come non si proporrebbe a nessuno una lettura filata delle Metamorfosi di Ovidio che pure piacquero a Calvino - e a Dante, e certo a Borges), ma credo di rendere un buon servigio a chiunque suggerendo di aprire una pagina a caso e lasciarsi afferrare dal flusso dei versi e delle sfide alla memoria, e leggere con quella capacita' di ascolto che e' del fanciullo che trova la conchiglia: di tutto meravigliandosi ancora. Della luce, della voce, del corso del racconto, della belta' infinita dell'infinito mondo. 8. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008 Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia 2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007, euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse. L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 9. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008 Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di "antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore. 10. LE ULTIME COSE. APOLOGETI Taluni divennero apologeti dei crimini dei potenti. Apologeti dell'illegalita' omicida. Se a governare sono i loro amici, allora non conta piu' il rispetto delle leggi. Se a governare sono i loro amici, allora si possono uccidere gli afgani in casa loro e i migranti in casa nostra e nel mare nostrum. * Persone che una volta sapevano che uccidere era male, lo dimenticano quando siedono al governo e in parlamento, o in parlamento e al governo siedono coloro che dispensano loro la gita in delegazione, la consulenza o la ricerca o la pubblicazione, il patrocinio al convegno, il finanziamento all'associazione, il posticino di sottogoverno, l'ingresso nella processione del grande saccheggio del pubblico erario. Persone che una volta dicevano che la Costituzione va difesa, lo dimenticano quando violare la Costituzione fa comodo, invece che ad altri, a loro o ai loro amici. * Son cose tristi. Dispiace dirle. Eviteremmo volentieri di dirle se gli apologeti dei crimini dei governanti cessassero la loro stolta e infame propaganda in pro della guerra, del razzismo, della corruzione, dell'eversione dall'alto, dell'illegalitarismo dei potenti. Eviteremmo volentieri di dirle se cessasse questa gestione scellerata della cosa pubblica, questa gestione scellerata che porta al trionfo del fascismo e della mafia. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 347 del 27 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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