Minime. 347



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 347 del 27 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Primo Levi: Ne' domani ne' mai
2. Bruno Segre: Per non dimenticare
3. Un'assemblea nazionale delle donne a Roma
4. A Lucca il 31 gennaio
5. La scomparsa di Patricia Verdugo
6. Enrico Piovesana: Vite da salvare
7. Riedizioni: Apollonio Rodio, Argonautiche
8. L'Agenda dell'antimafia 2008
9. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008
10. Apologeti
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. PRIMO LEVI: NE' DOMANI NE' MAI
[Da Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 1336, riportiamo la
parte conclusiva del testo per l'inaugurazione del Memoriale in onore degli
italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, pubblicato nel fascicolo
edito a cura dell'Associazione nazionale ex-deportati politici nei campi di
sterminio nazisti, aprile 1980.
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel
1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto,
fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita'
umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di
sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu'
alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi:
fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La
ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti
presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora
incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di
Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La
chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il
fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo
Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due
volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere
su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano
1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994;
Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini,
Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992;
Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica,
Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere,
Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia,
Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta,
Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di
Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di
Primo Levi, Mursia, Milano 1976]

In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si e' toccato il
fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e
medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa' che il tuo
viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e
per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa' che il
frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo
seme, ne' domani ne' mai.

2. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE
[Riproponendo nuovamente queste pagine finali del suo libro Shoah, Il
Saggiatore, Milano 2003, nuovamente ringraziamo di cuore Bruno Segre per
averci permesso di riprodurre sul nostro foglio a suo tempo ampi stralci da
questo suo utilissimo libro, la cui lettura vivamente raccomandiamo.
Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di
informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi
legge al testo integrale edito a stampa.
Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, ha studiato
filosofia alla scuola di Antonio Banfi; si e' occupato di sociologia della
cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del movimento
Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha insegnato in Svizzera dal 1964 al
1969; per oltre dieci anni ha fatto parte del Consiglio del "Centro di
documentazione ebraica contemporanea" di Milano; per molti anni ha
presieduto l'associazione italiana "Amici di Neve Shalom Wahat as-Salam";
nel quadro di un'intensa attivita' pubblicistica, ha dedicato contributi a
vari aspetti e momenti della cultura e della storia degli ebrei; dirige la
prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail:
segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli
ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998,
2003]

Quasi sei decenni ci separano dai giorni in cui le armate alleate
raggiunsero i campi di sterminio nazisti restituendo la liberta' ai pochi
prigionieri scampati al massacro: da allora la memoria della Shoah
rappresenta un elemento costitutivo dell'identita' per una parte cospicua
degli ebrei. Ormai la generazione dei testimoni diretti (su entrambi i
versanti: quello delle vittime e quello dei persecutori) va estinguendosi.
Ma anche gli ebrei della nuova generazione, apparentemente estranei alla
paura, affrancati - tanto nella diaspora quanto in Israele - dalle ansie
degli antenati, continuano a confrontarsi con la memoria della Shoah,
condannati a ritornarvi lungo la propria cronistoria, nelle proprie
associazioni mentali, nelle proprie decisioni morali, nei codici di
comportamento.
"Una mia amica, sopravvissuta come me alla Shoah - scriveva Doris Papier in
una lettera da Herzliya (Israele) al "Jerusalem Post" nel dicembre 1990 -,
ha visitato recentemente la localita' nella quale erano vissuti e dove
vennero assassinati i miei  famigliari. Il luogo non e' lontano da  Rovno,
in Ucraina. Mentre si trovava la', la mia amica registro' con una cinepresa
la boscaglia in cui migliaia di ebrei furono passati per le armi". E
soggiungeva: "Quando vidi il filmato rimasi inorridita nell'osservare che un
po' ovunque, sul terreno, affioravano le ossa delle vittime e, inoltre, che
la popolazione del luogo andava frugando fra i resti umani alla ricerca di
denti d'oro e di oggetti di valore". (...) "Trovo quasi incredibile che per
tutto questo tempo nulla sia stato fatto dalle autorita' sovietiche e/o
ucraine  per porre rimedio a tale situazione".
*
Oswiecim, in Polonia ("Auschwitz" in tedesco). Qui, nell'agosto 2000, viene
inaugurata la discoteca "System", nella quale ogni fine settimana si danno
appuntamento centinaia di giovani. La nascita della discoteca innesca
l'ultima di una lunga serie di diatribe che, per tutto il secondo
dopoguerra, hanno avvelenato i rapporti tra polacchi ed ebrei: la malcelata
invidia dei primi, che non si sono sentiti abbastanza considerati nel ruolo
di vittime del nazismo, l'antisemitismo strisciante dei governi comunisti di
Varsavia, l'atteggiamento a volte ostile verso gli ebrei della Chiesa
cattolica di Polonia e, soprattutto, il destino di Auschwitz, l'uso e la
tutela di un luogo che la tragedia della Shoah ha inscritto per sempre nella
storia degli ebrei e nella coscienza del mondo. La "pista da ballo sopra le
tombe" - come viene definita la discoteca dai suoi critici -  riaccende la
guerra per la memoria della Shoah: una vicenda conflittuale fatta di
simboli, di controversie religiose e strumentalizzazioni politiche, le cui
radici vanno cercate  nelle pieghe profonde della storia d'Europa, recente e
meno recente.
Gia' negli anni Ottanta un convento di carmelitane, che si era insediato
entro il perimetro dell'ex campo di sterminio, fu trasferito al di fuori dei
fili spinati in seguito alle proteste delle comunita' ebraiche. Nel 1996,
gruppi di pressione ebraici ottennero che fosse annullato il progetto di
costruzione di un centro commerciale, mentre nel 1998 vennero rimosse
trecento croci in legno piantate ad Auschwitz dagli attivisti del "Movimento
per la salvezza del popolo polacco", un gruppuscolo ultranazionalista che fa
dell'antisemitismo e del radicalismo religioso il proprio cavallo di
battaglia. Nel 2000, a chiedere l'immediata chiusura della discoteca
"System" scese in campo nientemeno che il Centro Wiesenthal di Vienna.
Spesso gli ebrei vengono rimproverati di fare di Auschwitz, della Shoah un
mito, un monumento. A ben vedere le cose non stanno esattamente cosi'. Per i
sopravvissuti e per i loro eredi la Shoah, assai piu' che un monumento
rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di
rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine.
Innanzitutto e' impossibile dimenticare che la Shoah ha inghiottito sei o
sette milioni di persone: approssimativamente la meta' degli ebrei europei,
ossia circa un terzo degli ebrei del mondo, fra i quali un milione e mezzo
di bambini. Ma soprattutto, nella Shoah e' andata distrutta una civilta',
quella degli ebrei dell'Europa centro-orientale. Dell'antico scenario fisico
entro il quale si mossero e fiorirono numerose comunita' estremamente vitali
e creative, oggi non rimangono che i muri delle sinagoghe, i cimiteri, i
libri, gli oggetti rituali e d'uso quotidiano, le carte: documenti di una
storia durata poco meno d'un millennio. Pagine della storia degli ebrei,
certamente, ma anche, a pieno titolo, della storia d'Europa e - vorrei
aggiungere - della storia dell'intera umanita'.
*
Come ha scritto Yosef Hayim Yerushalmi, docente alla Columbia University di
New York, la necessita' di ricordare e' divenuta piu' urgente da quando
hanno alzato la voce "coloro che fanno a brandelli i documenti, gli
assassini della memoria e i revisori delle enciclopedie, i cospiratori del
silenzio, coloro che, come nella bellissima immagine di Kundera, possono
cancellare un uomo da una fotografia in modo che ne rimanga solo il
cappello". Quella che ci risulta intollerabile e' l'idea che persino i
crimini piu' atroci possano cadere nell'oblio. In sostanza, il bisogno di
ricordare riguarda il male.
Da piu' parti si sostiene che, in quanto "male assoluto", la Shoah sia
qualcosa di indicibile, di irrappresentabile. Si tratta, in questo caso, di
un'opinione che non condivido. Ritengo infatti che anche il lavoro di coloro
che fanno storiografia avrebbe uno spessore molto inferiore se non potesse
fare riferimento proprio alle narrazioni dei testimoni diretti, dei
deportati, di coloro la cui vita e' stata barbaramente stroncata, dei
sopravvissuti. Come si sa, la testimonianza personale e' fragile, parziale,
incompiuta; tuttavia essa esprime il vissuto, unisce soggettivita' e
oggettivita', individuale e collettivo, pubblico e privato. Ai fini della
conservazione e trasmissione della memoria, il racconto individuale offre
spunti e risorse di una vitalita' unica, insostituibile: basti pensare alle
narrazioni e alle riflessioni preziosissime di un grande testimone quale fu
Primo Levi.
In un mondo sempre piu' orientato a rimuovere e a banalizzare il male - qual
e' il mondo in cui viviamo -, e' importante che un sano impegno pedagogico
dia vita a strategie educative capaci di offrire alle generazioni piu'
giovani il senso concreto di un legame tra la vicenda dello sterminio
nazista e situazioni di violenza, di offesa ai diritti umani, di eccidi di
massa che accadono oggi, pur con tutte le differenze rispetto alla Shoah.
Il ricordo del male passato, pero', non puo' e non deve ridursi a retoriche
manifestazioni in chiave celebrativa: una sorta di illusori compensi postumi
elargiti alle vittime e ai loro eredi. Manifestazioni di questa natura sono
i prodotti di una memoria statica, capace soltanto di  dare corso a
rievocazioni del male che, per essere meramente commemorative ed
esorcistiche, rivelano una radicale sterilita'. Da esse occorre distinguere
le forme di una memoria dinamica, preoccupata di tenere viva la
consapevolezza del male al fine di favorire, semmai, la progettazione di un
futuro diverso e migliore. Infatti il ricordo dell'orrore, seguito dalla
rituale invocazione "cio' non deve accadere mai piu'", appare destinato a
rimanere privo di reale efficacia quando non si saldi a un'interrogazione
argomentata e analitica circa il presente e non si apra con spirito critico
e creativo alla progettualita'.
*
Alla fine del 1997 Sergio Romano pubblico' in Italia un saggio che, a onta
del tenore benevolo del titolo e dell'orgoglioso "laicismo liberale"
ostentato dall'autore, apparve subito abbondantemente farcito dei piu'
abusati luoghi comuni antiebraici. L'autore pretendeva di spaziare in lungo
e in largo nella storia degli ebrei fino a giudicarne lapidariamente la
religione: un "catechismo fossile ('duecentoquarantotto precetti affermativi
e trecentosessantacinque precetti negativi', ricorda il rabbino Toaff)  di
una delle piu' antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai
praticate in Occidente".
Fra le numerose bizzarrie proposteci da questo pamphlet, occupa un posto
centrale la tesi, non priva di malizia, secondo la quale il genocidio degli
ebrei d'Europa si sarebbe ormai trasformato, per l'opinione pubblica
dell'Occidente (cristiano), in una sorta di ricatto permanente.
Nell'imputare tale fatto al culto ebraico della memoria, Romano articola le
sue argomentazioni nei termini seguenti: "[Il genocidio] e' diventato il
peccato del mondo contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni
cristiano dovrebbe chiedere perdono quotidianamente, il nucleo centrale
della storia del XX secolo. Grazie a questa prospettiva storica, ogni paese
e ogni istituzione vengono giudicati per il loro ruolo in quella vicenda e
finiscono, prima o poi, sul banco degli accusati". Dopo avere elencato varie
stragi analoghe o paragonabili per dimensioni o crudelta' (lo sterminio
armeno, le vittime dello stalinismo, del colonialismo, della seconda guerra
mondiale, dei conflitti interetnici in Bosnia o in Ruanda), Romano lamenta
che, mentre la memoria di questi e altri massacri "impallidisce e si
appanna, l''olocausto' continua ad agitare le coscienze". Insomma, "non e'
piu' un episodio storico da studiare nelle particolari circostanze in cui
quelle vicende ebbero luogo".
Di fronte alla ricerca storica, afferma  Romano, molti ambienti ebraici si
rivelano animati da una "ostilita' iniziale" dettata, fra l'altro, dal
"timore che gli studi storici finiscano per 'storicizzare' il genocidio
riducendolo, prima o dopo, ad una gigantesca 'notte di San Bartolomeo'". Con
l'attribuire agli ebrei, in buona sostanza, la colpa di collocare la Shoah
in una dimensione teologica e metastorica, Romano avanza l'ipotesi che la
"strategia della memoria" sia stata per lo Stato d'Israele "una
straordinaria arma diplomatica, una preziosa fonte di legittimita'
internazionale". Inoltre, secondo  Romano, tale strategia e' "il terreno su
cui l'ebraismo e la sinistra possono incontrarsi e collaborare", consentendo
agli ebrei di "tenere in vita una sorta di 'comitato permanente di vigilanza
antirazzista'".
E', questa di Romano, un'ipotesi semplicistica e fuorviante poiche', oltre a
recuperare alcuni "topoi" del "connubio giudaico-comunista" tanto cari alla
pubblicistica fascista degli anni trenta, ha il torto di enfatizzare il
sostegno offerto allo Stato d'Israele dalle comunita' della diaspora e di
sottolineare oltre misura la volonta' d'Israele di tenere viva, nel proprio
esclusivo interesse di Stato, la memoria del genocidio: riducendo in tal
modo il grande esame di coscienza che il mondo continua a compiere di fronte
alla Shoah a una meschina macchinazione politica degli ebrei.
*
Circa gli usi della memoria della Shoah che si sono andati facendo in
Israele lungo l'arco dei decenni, l'analisi piu' compiuta, equilibrata e,
nello stesso tempo, severamente  problematica, e' a mio avviso quella
condotta da Tom Segev - un valido giornalista e storico israeliano - in Il
settimo milione. Osservatore molto attento e sottile delle dinamiche
complesse e talvolta contraddittorie che si registrano all'interno della
classe politica e della societa' israeliane, Segev rammenta che "Israele e'
diverso dalla maggior parte degli altri paesi del mondo perche' ha la
necessita' di giustificare, agli occhi altrui e ai propri, il diritto
all'esistenza". L'Olocausto, spiega Segev, "e' la conferma definitiva della
validita' della tesi sionista secondo cui gli ebrei possono vivere nella
sicurezza e godere pienamente dei diritti dei quali usufruiscono gli altri
popoli soltanto in uno Stato autonomo e sovrano, capace di difendersi.
Eppure, di guerra in guerra, si e' visto chiaramente che al mondo ci sono
molti altri luoghi in cui gli ebrei sono piu' al sicuro che in Israele. Non
solo: l'Olocausto e' stato un'innegabile sconfitta per il movimento
sionista, che non e' riuscito a convincere la gran parte degli ebrei del
mondo a stabilirsi in Palestina quand'era ancora possibile".
"Secondo alcuni", ricorda Segev, "sarebbe meglio che gli israeliani
dimenticassero l'Olocausto, dal momento che ne traggono insegnamenti
sbagliati". E nel menzionare taluni dei rischi che il culto della memoria
comporta, egli osserva correttamente che "la scuola e le celebrazioni
ufficiali alimentano spesso lo sciovinismo e l'idea che lo sterminio nazista
giustifichi qualsiasi azione purche' giovi alla sicurezza di Israele,
compresa la repressione della popolazione palestinese nei Territori
occupati". Tuttavia, dichiara alla fine l'autore, gli israeliani "non
possono e non devono dimenticare [l'Olocausto]. Quello che devono fare e'
trarne conclusioni diverse. L'Olocausto chiede a tutti noi di tutelare la
democrazia, combattere il razzismo e difendere i diritti umani. Conferma e
rafforza la legge israeliana che impone a ogni soldato di non obbedire a un
ordine palesemente illegittimo. Certo non sara' facile inculcare gli
insegnamenti umanistici dell'Olocausto finche' Israele lottera' per
difendersi e per giustificare la propria esistenza. Ma farlo e' essenziale".
*
E' chiaro che il rapporto fra memoria della Shoah e storia e'
particolarmente complesso, giacche l'elaborazione dei lutti provocati dalla
tragedia e' lunga e dolorosa. Faccio senz'altro mia la preoccupazione  di
non cadere in "eccessi di memoria", che rischierebbero di schiacciare sul
passato la progettazione di un qualsiasi avvenire. Ne' intendo qui negare
che in ambito ebraico siano oggi presenti, tanto in Israele quanto nella
diaspora, gruppi politici e frange sociali disposti a fare della Shoah un
uso strumentale onde giustificare forme di sciovinismo miope e arrogante,
pericolose derive fondamentaliste e grette chiusure di natura confessionale.
Tuttavia, il piccolo universo degli ebrei continua, nel suo insieme, a
essere ricco di interne tensioni, di una vivacissima dialettica, di spinte e
controspinte, e presenta connotazioni complesse, diversificate  e troppo
difficili da cogliere perche' sia consentito accostarsi a esso con un
approccio del tipo di quello adottato da Sergio Romano. Forse l'urgenza con
la quale Romano preme per "storicizzare" la Shoah rivela una sotterranea
ansia di "archiviazione", tesa  a liquidare una memoria troppo ingombrante
per i tanti europei che, pur di sentirsi innocenti, cercano di "chiamarsi
fuori" in vari modi, per esempio ponendo lo sterminio a esclusivo carico
della defunta ideologia nazista.
Il vero problema, a mio avviso, e' quello di conciliare il compito morale di
evitare che il passato cada nell'oblio con l'impegno  a operare perche' le
nuove generazioni si possano costruire un futuro vivibile e decente, da
condividere responsabilmente e fraternamente con tutti i figli degli uomini.
In ambito ebraico, alcune strade in questa direzione appaiono gia'
tracciate.
Mi riferisco, in primo luogo, all'esperienza di Yad Vashem, il museo della
Shoah di Gerusalemme: un'istituzione che, fin da quando vide la luce nel
1957, volle ricordare accanto alla memoria delle vittime anche i "giusti",
ossia i protagonisti del bene, quanti a rischio della propria vita si
prodigarono per la salvezza dei perseguitati. Le vicende dei  "giusti" hanno
permesso a molti fra i sopravvissuti di ritrovare la speranza nell'umanita'.
Per numerosi ebrei e per i loro figli e nipoti e' stato possibile ritornare
nei paesi che li avevano perseguitati e traditi, solo dopo avere saputo di
uomini e donne che si erano comportati diversamente. In tal modo i "giusti"
sono diventati il tramite di un riavvicinamento tra le vittime della
violenza e i popoli che li hanno oppressi.
In una direzione non dissimile si colloca il lavoro del Post-Holocaust
Dialogue Group: un'associazione internazionale creata all'inizio degli anni
Novanta da Gottfried Wagner  - pronipote di Richard e figlio "degenere"
dell'attuale direttore del Festival di Bayreuth (in Germania) - e da Abraham
Peck, direttore  amministrativo e dei programmi dell'Archivio
ebraico-americano di Cincinnati (negli Stati Uniti). Le iniziative di questo
gruppo mirano non gia' a ricomporre le memorie della Shoah - ancor oggi
profondamente divise - in una fittizia unita' sotto l'etichetta di una
"comune memoria" (un'operazione che, qualora venisse proposta, recherebbe
offesa a tutte le persone coinvolte a vario titolo nella tragedia), bensi' a
dare luogo al lavoro difficilissimo, e tuttavia necessario, di reciproco
riconoscimento, di dialogo appunto, tra i figli di coloro che la Shoah
l'hanno subita e i figli di coloro che, invece, l'hanno architettata e
inflitta. Un dialogo, dunque, tra persone nate dopo lo sterminio.
Uno dei membri ebrei del gruppo, lo psichiatra newyorkese Yehuda Nir, ha
pubblicato un'autobiografia che e' stata tradotta in nove lingue. In
un'introduzione all'edizione olandese, composta con un pensiero rivolto in
particolare agli studenti, Nir interpella idealmente Gottfried Wagner con
parole che esprimono tutt'intera la tensione e la fatica di un lavoro
congiunto di ricostruzione morale e psicologica, portato avanti con estrema
delicatezza dagli uni e dagli altri attori di questo dialogo straordinario:
"Gottfried, io ti vedo come un rappresentante di questo [nuovo] mondo. Tu
sei l'anti-Lohengrin, che non nasconde il suo passato e dice: 'Per favore,
Yehuda, chiedimi che cos'hanno fatto i miei genitori'. In modo sincero ti
definisci un figlio dei persecutori, un tedesco nato dopo la Shoah. Hai
affermato di essere legato alla storia della Germania.  Non chiedi perdono.
Tutto cio' che desideri e' impegnarti in un dialogo per capire che cosa e
come e' successo, e se e' possibile evitare che possa accadere di nuovo. Sei
un tedesco che vuole aiutare a creare un mondo in cui noi ebrei possiamo
prendere in considerazione il perdono".

3. INCONTRI. UN'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE DONNE A ROMA
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendamo il seguente resoconto
della recente assemblea svoltasi a Roma, li' apparso col titolo "Assemblea
nazionale delle donne" e il sommario "Centinaia di donne provenienti da
tutta Italia si sono riunite alla Casa internazionale delle donne di Roma
per fare un bilancio dopo la manifestazione del 24 novembre e discutere le
strategie e le iniziative future"]

Sono arrivate da Taranto, Gorizia, Salerno, Milano, Palermo, Torino,
Firenze, Trieste, Napoli, Viareggio, Bologna e da molte altre citta'.
Numerosissime le realta' rappresentate, le associazioni, i gruppi, i
collettivi e le singole donne, anche impegnate in ambiti istituzionali.
Donne di tutte le eta', dai dieci ai quasi novanta, in una sala che e'
rimasta gremita fino in serata.
Al di la' delle differenze di opinioni, esperienze, pensieri, e' comune
l'intento di creare una piattaforma di azione per la liberta' e
l'autodeterminazione delle donne, coordinata a livello nazionale e che abbia
forte radicamento a livello territoriale.
L'intento dell'assemblea e' di proseguire in maniera organizzata il cammino
intrapreso a partire dall'emozionante esperienza del 24 novembre 2007, su
cui sono state fatte valutazioni positive. "Intendiamo dare una
valorizzazione all'esterno e all'interno", e' stato detto da una delle
organizzatrici.
Bisogna combattere tutte le forme di violenza contro le donne: la violenza
sessuale, la violenza economica, la violenza politica e istituzionale, la
violenza psicologica, la violenza culturale. "Vogliamo spazi autonomi", ha
detto Emilia di Salerno.
C'e' "una grande inadeguatezza della politica istituzionale" rispetto alle
problematiche delle donne, ha affermato Franca di Bologna.
Sono necessarie "riflessioni e confronti su temi come il separatismo, le
differenze di percorsi e di generazione".
"Ancora una volta, con la proposta di moratoria internazionale contro
l'aborto, gli uomini parlano in nome e per conto delle donne con l'unico
scopo di negarne l'autonomia, considerandoci meri contenitori biologici
senza volonta' ne' controllo del nostro corpo", si legge nel comunicato
stampa diffuso da controviolenzadonne.org
Forti critiche sono state mosse verso quanti stanno attuando un attacco alle
conquiste delle donne e contro il generale imbarbarimento e impoverimento
culturale che vede ancora una volta le donne, le bambine e i bambini vittime
di violenze in famiglia e nella societa'. Sono state pronunciate parole
incisive in difesa della legge 194, sul degrado dei consultori, sulle
discriminazioni delle donne migranti, sulla "collusione tra destra,
sinistra, chiesa cattolica e malavita". "E' necessario un confronto serio su
tutte le differenze tra di noi, ben sapendo che la politica c'e', il
Vaticano c'e', e che siamo quindi 'costrette' a produrre politica per tutte
le donne"; parole che indicano una chiara volonta' di diventare una
controparte significativa e "portare avanti insieme concrete iniziative per
i nostri diritti in modo collettivo e condiviso", mantenendo una continuita'
e "coinvolgendo le donne nelle istituzioni, nei posti di lavoro, nei media".
Obiettivi comuni e agenda politica comune, quindi, da cui scaturiranno una
serie di iniziative, fra cui una "due giorni" in febbraio e un 8 marzo
"nuovo". Infatti la presenza di giovani e giovanissime e la straordinaria e
inaspettata partecipazione, a partire dalla manifestazione nazionale, danno
nuovo impulso ai movimenti delle donne.

4. INCONTRI. A LUCCA IL 31 GENNAIO
[Dalla Scuola della pace di Lucca (per contatti:
scuolapace at provincia.lucca.it) riceviamo e diffondiamo]

Giovedi' 31 gennaio, alle ore 21, presso la Sala Maria Luisa di Palazzo
Ducale, a Lucca si svolgera' un incontro con don Achille Rossi sul tema
"L'incontro indispensabile: il dialogo interculturale oggi".
*
Don Achille e' parroco in una parrocchia di periferia a Citta' di Castello
(Perugia). Tutti i giorni gestisce in prima persona un frequentato
doposcuola pomeridiano.
E non e' tutto: anni fa ha dato vita a una piccola ma preziona casa
editrice, L'altrapagina, che sta producendo libri di grande qualita' con
scritti di Raimon Panikkar, Susan George, Bruno Amoroso, Rodrigo Rivas,
Raniero La Valle, Giulietto Chiesa e altri ancora. L'altrapagina pubblica
inoltre gli atti dei convegni che periodicamente don Achille organizza in
varie citta' dell'Umbria.
"L'altrapagina" e' anche il nome di una rivista radicata nella realta'
locale ma con un respiro globale.
Don Achille propizio' la venuta a Lucca nel 2002 di Ivan Illich ed e' stato
nostro ospite in diverse occasioni per apprezzatissimi incontri su tematiche
legate all'intercultura.

5. LUTTI. LA SCOMPARSA DI PATRICIA VERDUGO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 gennaio 2008]

La scrittrice e giornalista cilena Patricia Verdugo, una delle voci che piu'
duramente e con piu' passione ha condannato la dittatura militare di Augusto
Pinochet, svelandone crimini e violazioni dei diritti umani, e' morta a
Santiago del Cile. Patricia Verdugo e' nota per il libro Gli artigli del
puma (Sperling & Kupfer), il documentato resoconto dell'attivita' criminale
della "Carovana della morte", una squadra militare che dopo il golpe del
1973 aveva il compito di arrestare, torturare, far sparire e assassinare
tutti gli oppositori politici e che viaggiava tra le varie province cilene a
bordo di un elicottero Puma. Con la sua decina di libri, Verdugo ha messo a
nudo, in tutta la sua crudelta' ed efferatezza, i crimini commessi nel suo
paese durante i 17 anni della dittatura, attraverso una produzione
letteraria per cui ha ottenuto il Premio Maria Moors Cabot nel 1993 (il piu'
importante riconoscimento attribuito negli Stati Uniti ad un autore
straniero) e il Premio nazionale di giornalismo cileno nel 1997. Verdugo ha
scritto, tra gli altri, i volumi Salvador Allende. Anatomia di un complotto
organizzato dalla Cia (Baldini Castoldi Dalai) e Golpe in diretta. L'ultima
battagli di Allende e le registrazioni clandestine delle comunicazioni tra
gli alti comandi militari (Unicopli). Suo padre, Sergio Verdugo, fu una
delle 30.000 vittime del terrore e alla sua storia e' ispirato il libro
Calle Bucarest 187, Santiago del Cile (Baldini Castoldi Dalai).

6. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: VITE DA SALVARE
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 23 gennaio 2008, dal titolo "Afghanistan, l'esportazione della
teocrazia" e il sommario "Condannato all'impiccagione per blasfemia giovane
giornalista critico verso la religione".
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in
qualita' di inviato]

Hafizullah Khaliqyar, procuratore generale della provincia settentrionale di
Balkh, ha annunciato la condanna all'impiccagione per blasfemia del giovane
giornalista Parwiz Kambakhsh, 23 anni, arrestato a ottobre per aver stampato
e diffuso tra i suoi amici un articolo ripreso da un sito internet, che
mette in evidenza alcuni versi del Corano controversi riguardo ai diritti
delle donne. Pare che come "prova" della sua malafede sia stato addotto il
fatto che in casa sua sono stati trovati libri di filosofia e religione
scritti da autori occidentali. Secondo la famiglia del ragazzo, non gli e'
stato nemmeno concesso un avvocato difensore e ci sarebbero state forti
pressioni delle gerarchie islamiche afgane sul tribunale provinciale di
Balkh.
*
Anche il fratello nel mirino del governo
Parwiz, studente di giornalismo all'Universita' di Mazar-i-Sharif, ha
stampato l'articolo incriminato - non si sa quale - per poi discuterne in
classe con i suoi compagni di corso e con l'insegnante. Alcuni ragazzi della
classe hanno denunciato il fatto alle autorita' e cosi' sono scattate le
manette.
Parwiz collaborava anche con un giornale locale progressista, il Jahan-e-Now
(Nuovo Mondo), sul quale aveva pubblicato diversi articoli. Voleva seguire
le orme di suo fratello maggiore, Yaqub Ibrahimi, giornalista molto noto in
Afghanistan per le sue coraggiose inchieste sui crimini e la corruzione dei
politici governativi legati all'ex Alleanza del Nord. Non e' escluso che le
autorita' afgane abbiano voluto punire Ibrahimi colpendo suo fratello.
*
Minacce ai giornalisti solidali con Parwiz
Nei giorni scorsi, molte organizzazioni per i diritti umani afgane e
internazionali avevano rivolto accorati appelli al presidente Hamid Karzai
perche' intervenisse nella vicenda. Reporter Senza Frontiere si era detta
"profondamente scioccata da questo processo, celebrato in fretta, senza il
minimo riguardo per le procedure di legge e per il diritto d'espressione
garantito dalla Costituzione afgana; Parwiz Kambakhsh non ha commesso nulla
che giustifichi le accuse che gli vengono mosse".
I giornalisti della regione si sono radunati davanti alla casa di Parwiz in
segno di solidarieta' e di protesta. Il procuratore Khaliqyar li ha
avvertiti: "Ordinero' l'arresto di ogni giornalista che critichera' la
sentenza".
*
Si attende ora un'altra sentenza
Rischia la condanna a morte per blasfemia anche un altro giornalista afgano,
Mohammad Ghaws Zalmai, 40 anni, arrestato in novembre dopo aver pubblicato
una traduzione del Corano che, secondo i religiosi, conteneva passi
interpretati in maniera scorretta.

7. RIEDIZIONI. APOLLONIO RODIO: ARGONAUTICHE
Apollonio Rodio, Argonautiche, Mondadori, Milano 2003, 2007, pp. XCIV + 506,
euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Con testo greco a
fronte, ampio e forse indispensabile apparato, a cura di Alberto Borgogno.
Dico prima tutti i miei pregiudizi: il canto epico e l'intarsio alessandrino
non sono compatibili; e' possibile scrivere l'Iliade solo credendo a quella
fame di vento, l'abitatore dell'infinita biblioteca non puo' credere piu' in
quella pienezza di vita ad un tempo barbarica  e solare: ove ovunque il
poeta incontra gli dei, il filologo incontra pagine. Un'operazione come
queste Argonautiche e' impossibile in re ipsa. Eppure quest'opera esiste, ed
anche se e' un sogno e un delirio, non e' un falso sogno, non e' un vero
delirio. Leggere Apollonio Rodio e' insieme irritante e avvincente. Cio' che
e' esibito, sovente tedia; cio' che e' taciuto, attenuato, nascosto, non di
rado seduce. E ad ogni passo ti chiedi se e' il filologo o l'antropologo che
ti tende un agguato e ti convoca sfinge. Per molti anni ho pensato che non
avrei consigliato neppure al mio peggior nemico di tuffarsi in quest'opera e
traversarla dall'inizio alla fine (cosi' come non si proporrebbe a nessuno
una lettura filata delle Metamorfosi di Ovidio che pure piacquero a
Calvino - e a Dante, e certo a Borges), ma credo di rendere un buon servigio
a chiunque suggerendo di aprire una pagina a caso e lasciarsi afferrare dal
flusso dei versi e delle sfide alla memoria, e leggere con quella capacita'
di ascolto che e' del fanciullo che trova la conchiglia: di tutto
meravigliandosi ancora. Della luce, della voce, del corso del racconto,
della belta' infinita dell'infinito mondo.

8. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008
Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia
2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007,
euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro
Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse.
L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel.
0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito:
www.centroimpastato.it

9. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008
Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di
riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla
nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di
"antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente
rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo.
Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it
Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti
progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore.

10. LE ULTIME COSE. APOLOGETI

Taluni divennero apologeti dei crimini dei potenti.
Apologeti dell'illegalita' omicida.
Se a governare sono i loro amici, allora non conta piu' il rispetto delle
leggi.
Se a governare sono i loro amici, allora si possono uccidere gli afgani in
casa loro e i migranti in casa nostra e nel mare nostrum.
*
Persone che una volta sapevano che uccidere era male, lo dimenticano quando
siedono al governo e in parlamento, o in parlamento e al governo siedono
coloro che dispensano loro la gita in delegazione, la consulenza o la
ricerca o la pubblicazione, il patrocinio al convegno, il finanziamento
all'associazione, il posticino di sottogoverno, l'ingresso nella processione
del grande saccheggio del pubblico erario.
Persone che una volta dicevano che la Costituzione va difesa, lo dimenticano
quando violare la Costituzione fa comodo, invece che ad altri, a loro o ai
loro amici.
*
Son cose tristi. Dispiace dirle.
Eviteremmo volentieri di dirle se gli apologeti dei crimini dei governanti
cessassero la loro stolta e infame propaganda in pro della guerra, del
razzismo, della corruzione, dell'eversione dall'alto, dell'illegalitarismo
dei potenti.
Eviteremmo volentieri di dirle se cessasse questa gestione scellerata della
cosa pubblica, questa gestione scellerata che porta al trionfo del fascismo
e della mafia.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 347 del 27 gennaio 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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