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Minime. 343
- Subject: Minime. 343
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 23 Jan 2008 01:10:59 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 343 del 23 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. L'Agenda dell'antimafia 2008 2. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008 3. Giobbe Santabarbara: Cada il governo della guerra e della corruzione. Cessi ogni complicita' con i partiti delle stragi e delle ruberie. Si costruisca la sinistra della nonviolenza 4. Mohandas Gandhi: Soltanto 5. Anna Bravo: La Shoa' e i Giusti in Italia 6. Anna Bravo: La compassione nella Resistenza 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008 Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia 2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007, euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse. L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 2. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008 Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di "antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore. 3. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: CADA IL GOVERNO DELLA GUERRA E DELLA CORRUZIONE. CESSI OGNI COMPLICITA' CON I PARTITI DELLE STRAGI E DELLE RUBERIE. SI COSTRUISCA LA SINISTRA DELLA NONVIOLENZA Il governo della guerra e della corruzione merita di cadere, e merita di cadere perche' e' il governo della guerra e della corruzione. Ovvero perche' ha violato la Costituzione, ha proseguito la guerra e contribuito alle stragi, ha avallato e sostenuto il razzismo, ha continuato in pratiche ecocide che cooperano alla devastazione della biosfera a danno dell'umanita' intera e, infine, ha mantenuto pratiche di corruttela e saccheggio. Il governo della coalizione eletta con i voti di chi si opponeva a Berlusconi si e' rapidamente berlusconizzato. Il governo della coalizione eletta coi voti di chi si opponeva alla guerra e al riarmo si e' rapidamente allineato alla guerra e al riarmo. Il governo della coalizione eletta coi voti di chi difendeva la Costituzione ha subito violato e sfregiato la Costituzione. Il governo eletto coi voti delle persone e dei movimenti che si oppongono ai poteri criminali, al regime della corruzione, alla devastazione e distruzione della biosfera e del pubblico bene, ha subito caratterizzato la sua azione in continuita' con le scelte che implicano la devastazione e distruzione della biosfera e del pubblico bene, che implicano l'eternizzazione del regime della corruzione, che implicano il rafforzamento dei poteri criminali: una politica estera caratterizzata dalla guerra in Afghanistan, guerra che e' terrorista e alimentatrice di terrorismo, guerra che favoreggia i signori della droga e le mafie transnazionali, e' una politica a vantaggio dei poteri criminali; una politica interna sull'immigrazione e sui diritti sociali che perseguita i poveri e gli oppressi e li lascia in balia delle mafie, dei trafficanti e degli schiavisti, e' una politica a vantaggio dei poteri criminali. Questo governo e la coalizione parlamentare che lo sostiene, e i partiti politici che compongono l'uno e l'altra, hanno violato la Costituzione e si sono collocati fuori e contro la legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Questo governo e la coalizione parlamentare che lo sostiene, e i partiti politici che compongono l'uno e l'altra, hanno avallato e attuato una politica criminale, assassina, stragista, terrorista. Questo governo e la coalizione parlamentare che lo sostiene, e i partiti politici che compongono l'uno e l'altra non possono rappresentare una sinistra che voglia essere sinistra, cioe' che abbia alla sua base la scelta della solidarieta' che tutti gli esseri umani raggiunga, la scelta dell'uguaglianza di diritti tra tutti gli esseri umani, la scelta della democrazia come impegno comune per il bene comune, la scelta della giustizia come responsabilita' di tutti e di ciascuno per la civile convivenza, la scelta della legalita' come inveramento del criterio del rispetto della liberta' e della dignita' di ogni essere umano. Occorre prenderne atto. * E prendendone atto si pone la necessita', urgente, di costruire una rappresentanza istituzionale della sinistra adeguata ai compiti dell'ora, che fronteggi la catastrofe delle organizzazioni che pretendevano di rappresentare le classi oppresse ed invece si erano gia' prostituite al regime dello sfruttamento e della corruzione entrando a farne parte. Occorre una rappresentanza istituzionale della sinistra che si organizzi sulla base della scelta della nonviolenza, come criterio rigoroso, come scelta nitida e intransigente, come fedelta' all'umanita'. Occorre organizzare le forme pratiche che consentano alla sinistra della nonviolenza di entrare nelle istituzioni e portare nelle istituzioni il punto di vista, il criterio, il progetto, le proposte e l'azione concreta della nonviolenza. Queste forme si compendiano in una essenziale: la costruzione di liste elettorali della sinistra della nonviolenza. * Liste elettorali della nonviolenza presa sul serio: ovvero rigorosamente antimaschiliste ed antipatriarcali. Ovvero rigorosamente antimilitariste ed antiriarmiste. Ovvero rigorosamente ecologiste ed antitotalitarie. Ovvero rigorosamente socialiste e libertarie. Ci sono in Italia movimenti sociali, ci sono esperienze organizzate, c'e' un blocco storico gia' pronto a questo passo? Noi crediamo di si'. Ma questo soggetto non sta che in minima parte nei movimenti che si autoproclamano nonviolenti (e tra i quali ben pochi lo sono con sincerita' d'intenti e profondita' di riflessione), e' soprattutto fuori di essi. E' nonviolenza in cammino la vicenda, la ricerca e la lotta dei movimenti delle donne: li' e' il soggetto storico centrale, li' e' la forza motrice del percorso che qui si propone. E' nonviolenza in cammino la resistenza delle classi oppresse al modo di produzione dello sfruttamento: e questa tradizione va ereditata e inverata nel progetto che qui si propone. E' nonviolenza in cammino la mobilitazione sociale in difesa dell'ambiente di cui viviamo, della biosfera di cui siamo parte: e questa cultura e questa prassi, questa ormai lunga e luminosa storia di resistenza e di coscienza, e' parte integrante della proposta che qui si formula. E' nonviolenza in cammino la resistenza alla guerra e al razzismo. E' nonviolenza in cammino la lotta contro ogni potere mafioso. E' nonviolenza in cammino l'azione individuale e collettiva perche' i valori supremi scritti nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana cosi' come nella Dichiarazione universale dei diritti umani si inverino qui e adesso in azione politica, in organizzazione sociale, in ordinamento giuridico effettualmente cogente. * Non si potra' fermare il degrado delle istituzioni, la degenerazione nel crimine e nel razzismo, il disastro sociale e morale, la deriva anomica e totalitaria, se non si organizza una sinistra politica della nonviolenza che nelle istituzioni entri con tutta la propria forza e capacita' propositiva. * La nonviolenza non e' mera pedagogia, non e' mera testimonianza, e meno che mai e' mero insieme di tecniche o peggio generica e astratta aspirazione ed esortazione: la nonviolenza e' essenzialmente lotta politica per obiettivi politici. La nonviolenza e' volonta' di piu' ampia democrazia, e' impegno politico diretto senza deleghe e senza rinvii. La nonviolenza e' in cammino. Oggi in Italia si pone la necessita', l'urgenza, dell'ingresso della nonviolenza nelle istituzioni per combattere contro il crimine dei potenti e per governare la cosa pubblica secondo il criterio della difesa e della promozione dei diritti e della dignita' di tutti gli esseri umani. * Occorre abbandonere ogni pigrizia e ogni rassegnazione, occorre rompere ogni subalternita' e ogni ambiguita', occorre uscire dall'apatia e dall'esitazione, dalla minorita' e dall'irresolutezza. Ma non basta opporsi alla corruzione guerrafondaia e razzista ministeriale. Occorre opporsi anche alla corruzione squadrista e militarista di parte - piccola ma rumorosa, e assai vezzeggiata dai mass-media dominanti - dei cosiddetti "movimenti". La nonviolenza non puo' essere alleata di personaggi ed organizzazioni palesemente irresponsabili e violentisti. La nonviolenza o si propone in modo nitido e intransigente, o viene annichilita. Tante personalita' che vengono spacciate per "nonviolente" (e gia' questa aggettivazione e' grottesca: nessuna persona e' "nonviolenta", ma ogni persona puo' essere amica della nonviolenza - la nonviolenza e' un cammino, non uno stato; un esperimento esistenziale e politico, non un'essenza pretesamente incarnata) negli scorsi anni e ancora in questi mesi hanno compiuto atti di vilta' e di complicita' ripugnanti. Non sono loro i nostri compagni di lotta. Liste elettorali della sinistra della nonviolenza possono essere promosse solo da chi in questi anni si e' opposto alla guerra e al militarismo; solo da chi in questi anni si e' opposto alle ideologie e alle prassi del maschilismo e del patriarcato che portano al femminicidio; solo da chi in questi anni non si e' lasciato corrompere. Poiche' chi si e' prostituito una volta al potere assassino e' probabile che messo alla prova lo fara' ancora. Chi non ha ceduto e' probabile possa ancora e ancora resistere, e schiudere la via a un'alternativa che inveri la legalita' costituzionale, i diritti umani, e che almeno contrasti in modo nitido e intransigente la guerra, le stragi, il terrorismo, il razzismo, le mafie, l'ecocidio, il femminicidio. * Allo studio e al lavoro, dunque. 4. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: SOLTANTO [Da Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996, p. 126. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006] Non si puo' raggiungere la verita' con la falsita'. Soltanto con una condotta libera da ogni falsita' si puo' raggiungere la verita'. 5. MEMORIA. ANNA BRAVO: LA SHOA' E I GIUSTI IN ITALIA [Riproponiamo ancora una volta il seguente saggio di Anna Bravo originariamente pubblicato come voce "Giusti d'Italia", nel Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino 2004, 2007 ( edizione italiana curata da Alberto Cavaglion). Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Poco numerosi, relativamente ben integrati nel tessuto sociale e nelle istituzioni, concentrati nelle citta', gli ebrei italiani parlavano la stessa lingua dei loro connazionali e avevano abitudini cosi' simili da riuscire in pratica indistinguibili. Nonostante la tradizione dell'antigiudaismo cristiano e la propaganda del regime, non esisteva un diffuso antiebraismo radicale. L'occupazione tedesca, che dura venti mesi mentre nel resto dell'Europa si conta in anni, inizia quando i tedeschi sono manifestamente in difficolta' su tutti i fronti, e la popolazione ha sperimentato l'incapacita' del regime a garantire minime condizioni materiali, conosce i disastri militari dell'Italia, e' ostile alla guerra e potenzialmente solidale con le sue vittime: nell'Italia del '43-'45 chi protegge gli ebrei puo' sperare, se non nell'appoggio, in una certa benevolenza dei concittadini. Infine a Roma c'e' il Vaticano, sede del papato con la sua autorita' internazionale, e centro di una rete fitta di parrocchie e conventi con una lunga pratica di asilo ai bisognosi. Gli aspetti favorevoli allpopera dei soccorritori sono dunque molti. Eppure 8.000 ebrei/e italiani vengono deportati, a volte su delazione o per l'accanimeto di funzionari statali, piu' spesso perche' non trovano nessuno disposto a spendersi per loro. E' vero che il rischio e' grande, e che i nazisti considerano gli italiani una popolazione inferiore e traditrice contro cui infierire. Resta il fatto che ci si decide a dare aiuto solo quando e' evidente che per gli ebrei e' questione di vita o di morte, e che a agire e' una minoranza. Come in tutta Europa, si tratta di persone diverse fra loro, non riconducibili a un determinato tipo umano e sociale o a una fede religiosa o politica, e neppure alla difficilmente verificabile categoria della "personalita' altruista" o a una condizione di marginalita' sociale che favorirebbe autonomia di giudizio e scelte trasgressive. Sono differenti anche le modalita' di azione. C'e' chi si appoggia a forze partigiane, chi fa riferimento alle reti di resistenza civile che lavorano per mettere in salvo in Svizzera antifascisti e prigionieri alleati, chi e' in contatto con la Delasem, l'organizzazione ebraica di soccorso ai perseguitati; altri si servono dei rapporti fra parrocchie e fra conventi, altri ancora usano la loro posizione nelle catene ufficiali di comando, come quei capi militari e alti funzionari delle zone occupate dall'Italia - Croazia, sud della Francia, Grecia - che in varia misura e con varie motivazioni ostacolano gli arresti di ebrei del luogo. Alla base di moltissime iniziative ci sono networks di tipo familiare, amicale, di comunita', di vicinato, quasi sempre piccoli o piccolissimi, spesso costituiti di un individuo con una minima rete di aiutanti; a volte c'e' una sola persona. Per lo piu' si comincia offrendo occasionalmente cibo, contatti o ospitalita', per poi passare a un sostegno piu' continuativo e impegnativo, e si arriva all'illegalita' gradualmente e senza averlo programmato, ma in tempi rapidi e conoscendone i pericoli. * Di questa minoranza i Giusti italiani (325 al gennaio 2003) costituiscono uno spaccato, non un campione - in quegli anni, per esempio, l'aiuto offerto da una famiglia veniva accreditato al padrone di casa, anche se l'iniziativa era stata della moglie, figlia o sorella; il riconoscimento dipende da molte variabili, compreso il caso. Ma le vicende dei Giusti sono indicatori preziosi delle dinamiche sociali e delle vie attraverso cui si diventa salvatori. Nella situazione italiana, i network informali hanno un ruolo di spicco, e per buone ragioni. L'8 settembre 1943 il paese esce da vent'anni di un regime che ha frantumato l'opposizione e avviato la fascistizzazione delle strutture sociali. I partiti antifascisti mancano di radicamento, mezzi, a volte di consapevolezza. Diversamente che in altri paesi europei, le associazioni professionali, culturali o di altro tipo e i grandi nomi dell'intellettualita' non si attivano in alcun modo. I sentimenti civici, storicamente deboli, sono sbriciolati; la coesione sociale e' scarsa, le istituzioni statali svuotate. Al contrario, i legami personali, familiari e comunitari, tradizionalmente piu' solidi, reggono, ed ecco perche' riescono a realizzare le iniziative piu' efficaci (ma anche meno visibili alle categorie della politica). * Almeno in un caso e' documentato il coinvolgimento di un'intera comunita'. A Nonantola, un paese dell'Emilia-Romagna, nell'estate '42 sono accolti una novantina di ragazzi ebrei di vari paesi europei, che il presidente nazionale della Delasem Vittorio Valobra e' riuscito a trasferire dalla Jugoslavia. Sistemati a villa Sacerdoti alla periferia di Nonantola, i piccoli profughi vivono abbastanza tranquillamente e trovano amici fra gli abitanti. Rapporti preziosi, perche' dopo l'8 settembre 1943, quando i tedeschi occupano il paese, i ragazzi saranno nascosti, oltre che nei locali del Seminario e nell'asilo delle suore, presso famiglie del posto. Nel frattempo si prepara la loro fuga verso la Svizzera. I due Giusti di Nonantola, il dottor Giuseppe Morreali e don Arrigo Beccari, riescono a far preparare carte d'identita' false intestate al comune di Larino, in provincia di Campobasso, dove si spera sia impossibile fare controlli. Tutto avviene all'interno della comunita', e solo per facilitare il passaggio in Svizzera Beccari e Morreali cercano contatti con il neonato movimento partigiano del centro-nord. * Fra quanti decidono e operano da soli o quasi - il gruppo forse piu' eterogeneo - alcuni hanno una storia di impegno politico. Cosi' il medico piemontese Carlo Angela, che era stato tra i fondatori del partito Democrazia sociale nel 1921, e che per il suo antifascismo aveva scontato vessazioni e ostacoli nella carriera. Nel 1943, Angela dirige la clinica psichiatrica Villa Turina Amione di San Maurizio Canavese, un paese delle valli torinesi. Ha moglie e due figli appena adolescenti, e' di poca salute, e' lui stesso sotto sorveglianza; il paese e' stato piu' volte rastrellato, fascisti e tedeschi entrano a loro piacere nella clinica, fra i dipendenti non mancano i collaborazionisti. Eppure Angela accoglie a Villa Turina varie famiglie ebree, scrive falsi certificati medici, fronteggia le ispezioni e gli interrogatori dei fascisti, nel febbraio '44 e' preso in ostaggio e si salva fortunosamente. Nel caso di Renzo Segre e Nella Morelli, ospitati per 20 mesi facendo passare lui per malato, lei per sua assistente, arriva a presentarsi al temutissimo presidio fascista torinese per farsi garante della loro identita' fittizia. Sostenuto soltanto da un piccolissimo nucleo di dipendenti della clinica, il settantenne Angela opera con piu' efficacia delle forze della resistenza e del clero locale. * 34 anni, figlia di commercianti milanesi, corista alla Scala, Liuba Bandini non ha invece un curriculum politico e ha imparato a detestare i totalitarismi attraverso l'esperienza dell'ex marito Giorgio Scerbanenco, profugo dall'Ucraina. Anche lei agisce di propria iniziativa e sostanzialmente da sola, nascondendo nella sua casa milanese i coniugi Alberto e Marisa Campelung dal primo dicembre 1943 alla primavera 1945; l'unico sostegno le viene dalla sorella Ines, che abita nello stesso stabile e custodisce i bagagli della coppia. Il 14 marzo, avvertiti che i tedeschi sono sulle loro tracce, i Campelung devono fuggire, e Liuba viene pesantememente minacciata dalla polizia SS. Non solo tiene testa all'interrogatorio, lei donna sola e madre di un bimbo di 4 anni, ma per quanto sorvegliata riesce in seguito a far arrivare qualche aiuto ai suoi ex ospiti. * Per quanto riguarda l'opera di preti e religiosi/e, non esiste alcuna specifica direttiva del papa che la solleciti, e l'impegno nasce per altre vie. Alcuni si attivano su richiesta e in accordo con la Delasem, come don Francesco Repetto, giovane segretario del cardinale di Genova Pietro Boetto, cui poco dopo l'8 settembre Valobra aveva chiesto di distribuire sussidi agli ebrei della zona e agli stranieri rifugiati. Dato che molti sono presto costretti a nascondersi, Repetto si trova a procurare viveri, documenti falsi, asilo presso conventi e privati, guide per la fuga in Svizzera. Intanto lavora per mobilitare una quantita' di religiosi nella diocesi genovese e per sensibilizzare sacerdoti e vescovi dell'Italia settentrionale. Scoperto nel luglio '44, sara' sostituito da un altro futuro Giusto, don Carlo Salvi. Molti religiosi/e agiscono pero' indipendentemente dai canali delle Curie: in Piemonte, il domenicano padre Girotti, che sara' deportato nell'estate '44 e ucciso a Dachau, ospita nel suo monastero molti ebrei, pare senza chiedere e dire nulla ai superiori gerarchici. A Assisi, dove non ci sono rappresentanti della Delasem, e' invece la chiesa a prendere l'iniziativa. Nella cittadina era gia' in piedi un comitato per l'assistenza ai profughi promosso dal vescovo Nicolini e affidato a don Aldo Brunacci - un organismo perfettamente legale, che colmava il vuoto lasciato dalla crisi delle istituzioni e che si giovava delle tante strutture di accoglienza. Quando dopo l'8 settemebre cominciano ad arrivare ebrei italiani e profughi di altri paesi che non parlano la lingua e hanno bisogno di tutto, il comitato passa a operare segretamente. Don Brunacci persuade alcuni impiegati comunali a procurare documenti in bianco e un tipografo a creare timbri ufficiali di comuni delle zone occupate dagli alleati o distrutti dai bombardamenti. Nel frattempo si rivolge alle suore di Assisi e del circondario perche' ospitino nelle loro foresterie le persone senza mezzi, facendole passare per pellegrini stranieri. Partecipa al lavoro di assistenza anche padre Rufino Nicacci, superiore del convento di San Damiano, che fra l'altro sistema molti rifugiati presso il monastero delle Clarisse di San Quirico, assicurando loro viveri e conforto. Don Brunacci dira' in seguito che Nicolini gli aveva confidato di aver ricevuto una lettera del segretario di stato vaticano Maglione con l'invito a soccorrere antifascisti e ebrei, e che a ogni vescovo ne era stata mandata una simile. Ma di nessuna si e' mai trovata traccia. Probabilmente Brunacci aveva visto una lettera nelle mani del vescovo, che gli aveva lasciato credere che si trattasse della richiesta papale, e si era convinto che fosse cosi' perche' lo desiderava e lo trovava naturale; e forse a sua volta ne aveva fatto cenno ad altri preti, a suore e monaci per guadagnarne l'appoggio. Certo, come molti altri italiani/e, don Brunacci e padre Nicacci agiscono spinti dalla pietas cristiana; ma nessun sentimento affiorerebbe in assenza di quell'immedesimazione con i perseguitati che puo' nascere dall'incontro con la loro sofferenza e il loro bisogno di protezione, e che e' il tratto piu' diffuso fra i soccorritori, indipendentemente dalla loro religione e religiosita'. * Segue lo stesso impulso il padovano Giorgio Perlasca, il piu' noto e il piu' singolare fra i salvatori italiani. Fascista, volontario nellle guerre d'Etiopia e di Spagna, ma ostile alle leggi antiebraiche del '38 e all'alleanza con la Germania, di mestiere commerciante di carni, Perlasca si trova a Budapest nell'inverno '44, al momento in cui stanno precipitando deportazioni e massacri. Si offre di collaborare con l'ambasciata spagnola, che di concerto con quelle di altri paesi neutrali, ospita gruppi di ebrei in edifici extraterritoriali e li fornisce di lettere di protezione; alla partenza del titolare d'ambasciata decide di rimanere per continuare l'opera, spacciandosi per il nuovo incaricato d'affari spagnolo. Fatta eccezione per un microgruppo di aiutanti, Perlasca e' solo, con pochi mezzi, e il suo bluff lo rende vulnerabilissmo; eppure moltiplica le lettere di protezione, riempie le case, accorre per fronteggiare le aggressioni di SS e bande naziste, tratta con i capi della polizia e delle Croci frecciate alternando lusinghe, minacce, promesse di impunita', corruzione. Alla fine, circa 5.000 persone saranno salve, un risultato reso possibile dalle doti personali del protagonista, ma, imprevedibilmente, anche dal suo passato: al momento del congedo dalla guerra di Spagna, Perlasca ha infatti ricevuto dalle autorita' franchiste un documento che lo legittima a rivolgersi in caso di necessita' a qualsiasi sede diplomatica spagnola. Nell'Ungheria del 44, che dopo il rovesciamento italiano delle alleanze e' un paese nemico, ha bisogno di una nuova identita' come cittadino spagnolo per salvarsi e tornare in Italia, e la ottiene. Diventera' invece un paradossale esempio di Giusto, che salva gli ebrei nonostante sia (sia stato) fascista, e nello stesso tempo perche' e' (e' stato) un fascista e ha combattuto al fianco dei fascisti spagnoli. 6. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: LA COMPASSIONE NELLA RESISTENZA [Nuovamente riproponiamo e nuovamente ringraziamo Anna Bravo per averci messo a disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano "La repubblica" del 24 aprile 2006] Sono passati tre anni dalla pubblicazione del Sangue dei vinti di Giampaolo Pansa, un libro doloroso da leggere (e sicuramente anche da scrivere), che ha stimolato reazioni le piu' varie. Si e' parlato del tasso aggiuntivo di violenza tipico delle guerre civili, del mondo di allora, delle stragi fasciste e naziste. Ma quasi mai si e' puntato a una nuova sacralizzazione della resistenza simile a quella che negli anni sessanta e settanta aveva ribaltato il clima di processo ai partigiani del decennio precedente; e alle generalizzazioni in negativo non si e' risposto con generalizzazione di segno contrario, come avviene con i temi piu' esposti all'uso pubblico della storia. Merito di molti fattori, a cominciare dalla caduta di tabu' politici e storiografici innescata dalla fine della guerra fredda. Eppure mi sembra resti qualcosa di incompiuto, che non si scioglie discutendo sul numero delle vittime o ribadendo il (non sempre) diverso rapporto di partigiani e fascisti con l'idea della morte. Il fatto e' che Il sangue dei vinti ha comportato, inevitabilmente, una tale concentrazione sul versante cruento della resistenza da frantumare l'interezza dell'esperienza partigiana. Con il rischio di ridare legittimita' alla vecchia divisione dei ruoli che assegnava alle sinistre, in particolare ai comunisti, l'organizzazione e la violenza, ai cattolici la spontaneita' e la pietas - in versione aggiornata, resistenza in armi versus resistenza senza armi, tutte e due avvilite dalle semplificazioni. Nei primi anni novanta, per esempio, Rocco Buttiglione aveva avanzato un'immagine di resistenza centrata sulla tutela di regole elementari di umanita' e sulla salvaguardia di beni essenziali, rivendicandola in esclusiva al mondo cattolico: di qui la dicotomia fra uno stereotipo di combattente politicizzato che trama nell'ombra preparando la rivoluzione, e il vescovo defensor pacis, nuovo modello di resistente votato a proteggere tutti i perseguitati senza distinzioni. Non solo i vescovi, per la verita': ci sono donne che nascondono gli sbandati dell'8 settembre, e che nei giorni della liberazione aiutano isolati militari tedeschi, perche' un nemico vinto e in fuga smette di essere un vero nemico. * Puo' allora essere utile tornare a quell'interezza, se mai usando lo "scandalo" del Sangue dei vinti per svincolarsi dalle timidezze residue che ogni studioso sperimenta se ama il suo tema, quale che sia. In parte lo si e' fatto, ciascuno secondo le proprie inclinazioni. A me oggi sembra interessante cercare un sostrato comune alle molte resistenze, che non si identifichi solo nell'antifascismo (o in un umanitarismo indimostrato), come e' avvenuto per decenni. E' vero che il ritiro del consenso al regime e' diffuso; ma sono diffuse anche ragioni ed emozioni complesse e poco visibili alle categorie della politica, dal maternage alla stanchezza della guerra all'orgoglio individuale o di comunita' - penso a molti episodi di protezione degli ebrei, a ribellioni improvvise, all'antifascismo "esistenziale", che cosi' come nasce dall'aver patito l'oppressione in prima persona, puo' svanire a democrazia conquistata. Leggere ogni gesto in chiave politica e' stato una sorta di imperialismo retrospettivo. Per questo credo sia ancora una buona pratica rubare criteri e categorie da altre discipline o da altre esperienze. E vedo il bottino migliore nel concetto di riduzione del danno, che si forma nell'ambito della lotta alla droga, ma non coltiva l'ambizione di estirparla dalla societa', e punta invece a prolungare le singole vite; che prende atto dell'esistenza del male senza lo spirito della crociata, che sa capitalizzare i risultati parziali e provvisori. Un concetto prezioso per la sua focalizzazione sulla sofferenza e per la sua versatilita', che puo' aiutare a rompere la contrapposizione fra sangue e morte da un lato, salvezza e angelismo dall'altro. Beninteso senza diluire le differenze tra le varie forme di lotta, che spesso sono radicali. Sul piano generale, ogni movimento di resistenza si muove nella logica della riduzione del danno: i partigiani combattono sul proprio territorio, ed e' loro interesse (e speranza) preservare persone e beni; ma la priorita' e' colpire il nemico, il che puo' portare a esiti drammatici. Ne racconta un esempio estremo Todorov in Una tragedia vissuta (Garzanti), una vicenda di rappresaglie e controrappresaglie nella Francia occupata che finisce per travolgere tutti i protagonisti. * Ci sono invece casi in cui iniziative a prima vista separate nei fini e nei mezzi si rivelano apparentate da quella logica. Che si sia ancora lontani da una sintesi complessiva importa poco, anche facendo storia bisogna capitalizzare i piccoli passi. Un primo filo comune sta nelle persone. Nelia Benissone Costa, una partigiana intervistata da Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina per La resistenza taciuta (Bollati Boringhieri), operava in armi ed era specializzata in sequestri di fascisti e tedeschi da scambiare con partigiani e ostaggi; nello stesso tempo lavorava con i Gruppi di difesa della donna, l'organizzazione piu' attiva nel sostenere le proteste contro la penuria di viveri e gli sfollamenti forzati, nell'assistere i partigiani e le popolazioni, nel prendersi cura del dolore che avvolgeva le vite. E Nelia non e' stata certo la sola. Una seconda linea di incontro viene dalle stesse azioni in armi. Il fatto piu' noto e' la difesa partigiana degli impianti industriali, ma se ne contano molti altri. Nelle campagne, quando i fascisti imponevano l'ammasso del bestiame, succedeva che i partigiani ingaggiassero una scaramuccia per farlo fallire - e nel '43-'45 la requisizione di una mucca poteva minacciare la sopravvivenza di una famiglia. Nel biellese, la firma del "contratto della montagna" nell'industria tessile, con le sue clausole di riequilibrio economico e di potere, e' stata incoraggiata dai partigiani. A volte si concordava una tregua per dare respiro alle popolazioni. Sono alcuni assaggi di un fenomeno che richiederebbe uno scavo su larga scala. * Mi chiedo perche' temi come questi siano rimasti quasi sempre fuori dal dibattito. E mi rispondo cosi': forse a qualcuno sarebbe sembrato di accampare attenuanti per una responsabilita' che si stentava a attribuire ai propri compagni. Forse semplicemente non ci si e' pensato, e non e' una dimenticanza "innocente": solo in parte superata, la pluridecennale inclinazione guerriera e monosessuale della storiografia ha reso difficile riconoscere al belligerante anche il registro della mediazione, della cura, della rinuncia allo scontro per evitare ripercussioni intollerabili. E si' che la figura del "guerriero compassionevole", teso a conservare anziche' a distruggere, capace di una pieta' dolorosa e affettuosa verso persone, animali, piccole cose, verso tutto cio' che e' esposto, indifeso, alla guerra, e' un topos narrativo potente e insieme una presenza concreta - ne tratta l'ormai classico Donne e guerra di Jean Bethke Elshtain (Il Mulino). Gli aspetti piu' singolari mi sembrano quelli connessi alla riparazione del danno sul piano simbolico. Qui spiccano gli sforzi dei Gruppi di difesa per organizzare le onoranze funebri delle vittime dei tedeschi, impresa decisiva per l'autostima di una collettivita'; spiccano quei Cln che si fanno un punto d'onore di far trovare agli alleati citta' gia' normalizzate. Ma quello spirito si puo' esprimere in occasioni e attraverso soggetti imprevisti, fino a fondersi con una bellicosita' all'apparenza fine a se stessa. * Avevo un amico, un giovane operaio di famiglia contadina, si chiamava Giovanni Rocca, nome di battaglia Primo. Dopo aver combattuto con i partigiani jugoslavi, era tornato al suo paese nel Monferrato, e nel giro di un anno era diventato comandante di una imponente divisione garibaldina. Quando doveva trattare con il comando tedesco per uno scambio di prigionieri o per una richiesta della popolazione, Primo si presentava in modo ancora piu' pittoresco del solito (e il suo solito era gia' spettacolare); indossava un giubbotto di pelle, pantaloni corti, stivali, il suo berretto con una grande stella rossa. E si caricava di armi di tutti i tipi. Ho sentito le persone piu' disparate ricordarlo con compiacimento mentre passava il ponte sul fiume Tanaro per andare a discutere "da pari a pari" con gli occupanti, un ragazzo basso e tarchiato senza divisa ne' gradi, e alla sponda opposta ufficiali perfetti nelle loro uniformi. Quella esibizione di mascolinita' superarmata curava una ferita simbolica piu' diffusa di quanto pensi chi nega in blocco la tesi della morte della patria. Se si connette l'idea di nazione con l'onore militare, l'8 settembre colpisce non solo i fascisti, i monarchici, gli alfieri della rispettabilita' pubblica, ma tanti altri che si sentono legati al destino dell'esercito e delle istituzioni, e che non potendo o non osando opporsi agli occupanti, vivono l'umiliazione di sentirsi alla loro merce'. Primo amava le armi, amava la messa in scena (lo dico senza alcun significato negativo: la marcia del sale di Gandhi e' stata un grande pezzo di teatro politico). In piu', con il suo talento di eroe popolare, sapeva che vedere l'accumulo sul suo corpo delle armi piu' micidiali rincuorava persino il borghese piccolo piccolo chiuso dietro le finestre di casa, che con ogni probabilita' temeva la sua leggendaria durezza e diffidava delle grandi trasformazioni promesse dalla resistenza. Ma nella mortificazione e nello smarrimento, la visione della violenza "amica" funzionava da riscatto. Solo, non era il riscatto ordinato, duraturo, pienamente politico, che avevano in mente i partiti antifascisti. Se ripensare a un libro sulla violenza partigiana creasse piu' spazio per storie partigiane di riduzione del danno, sarebbe un felice paradosso. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 343 del 23 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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