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Minime. 331
- Subject: Minime. 331
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 11 Jan 2008 01:14:34 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 331 dell'11 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Silvia Vegetti Finzi: Chi educa 2. Oggi a Ferrara 3. Disponibile in rete il n. 5 di "Pace, conflitti e violenza", rivista della Societa' italiana di scienze psicosociali per la pace 4. Ettore Masina: Recuperare la sacralita' del corpo 5. Francesco Pullia: Un profilo di Badshah Khan 6. L'Agenda dell'antimafia 2008 7. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2008 8. Letture: Il Fondo Pesciotti nella biblioteca comunale di Soriano nel Cimino 9. Riletture: Enrica Collotti Pischel, Storia della rivoluzione cinese 10. Riletture: Antonella Fucecchi, Antonio Nanni, L'altro Milione 11. Riedizioni: Ammiano Marcellino, Storie 12. Riedizioni: Christopher Hill, La formazione della potenza inglese 13. Riedizioni: Lindsey Hughes, Pietro il Grande 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. SILVIA VEGETTI FINZI: CHI EDUCA [Da Silvia Vegetti Finzi, Marina Catenazzi, Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1994, p. XXII. Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005] Chi educa non agisce mai in modo astratto e generico ma porta con se' testimonianza del suo modo di agire, del suo modo di essere. 2. INCONTRI. OGGI A FERRARA [Da Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e diffondiamo. Elena Buccoliero, nata a Ferrara nel 1970, collabora ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del Comune e dell'Azienda sanitaria locale di Ferrara dove si occupa di adolescenti con particolare attenzione al bullismo e al consumo di sostanze psicotrope, e con iniziative rivolte sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme ad altri amici, anima la Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse pubblicazioni, tra cui il recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi, Franco Angeli, Milano 2005. Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena Buccoliero e' nel n. 836 de "La nonviolenza e' in cammino". Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007] Riprende venerdi' 11 gennaio alle 21, presso la sede dell'Aias, via Cassoli 25/i, a Ferrara, l'attivita' della Scuola della nonviolenza con Mao Valpiana, direttore della rivista "Azione Nonviolenta", sul tema "L'antimilitarismo preso sul serio". Durante l'incontro sara' possibile firmare per sostenere la legge di iniziativa popolare contro le armi nucleari in Italia. Sara' inoltre possibile rinnovare direttamente con il direttore l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". L'incontro e' il primo di un breve ciclo intitolato "Addio alle armi". Seguiranno, nei venerdi' successivi, "Difendersi dalle armi", con Massimiliano Pilati, del Movimento Nonviolento e della Rete Italiana Disarmo, e "Il diritto contro la guerra" con Cristiana Fioravanti, dell'Universita' di Ferrara. * A sessant'anni dall'entrata in vigore della nostra Costituzione il ciclo proposto porta l'attenzione sull'art. 11 della Costituzione Italiana - "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo" - che significativamente conclude i principi fondamentali posti in apertura. L'interdizione della guerra risulta inoltre chiaramente dagli sviluppi dello stesso diritto internazionale a partire dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Come scrive Antonio Papisca, tre sono gli obblighi fondamentali per gli stati: non fare la guerra, fare la pace (pace positiva), fare lo sviluppo umano. La riflessione, che la Scuola propone, parte quindi dalla funzione attuale degli eserciti, dalla loro adeguatezza rispetto ai compiti, loro attribuiti, di "difesa" e, addirittura, di stabilimento della pace e dei diritti. L'esperienza mostra quanta distanza vi sia nella realta' da tali pretese. Un esame critico dell'istituzione militare richiede attenzione e approfondimento, un antimilitarismo preso sul serio appunto, perche' volto a superare l'incapacita' "militare" di costruire la pace. La proposta della nonviolenza e' volta all'affermazione della pace come diritto fondamentale delle persone e dei popoli, nella ricerca e sperimentazione delle forme e iniziative piu' idonee alla sua affermazione. Gli incontri sono aperti a tutti gli interessati. * La Scuola della nonviolenza e' organizzata da: Movimento Nonviolento, Associazione "Gruppo Ferrara Terzo Mondo" e Regione Emilia Romagna - Pace e Diritti Umani, in collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato e con l'associazione Aias di Ferrara. Ha il patrocinio del Comune e della Provincia di Ferrara - progetto "Ferrara citta' per la pace". 3. STRUMENTI. DISPONIBILE IN RETE IL N. 5 DI "PACE, CONFLITTI E VIOLENZA", RIVISTA DELLA SOCIETA' ITALIANA DI SCIENZE PSICOSOCIALI PER LA PACE [Dalla Societa' italiana di scienze psicosociali per la pace (per contatti: info at sispa.it) ricevamo e diffondiamo] E' uscito il nuovo numero della rivista on line della Societa' italiana di scienze psicosociali per la pace (in sigla: Sispa), "Pace, conflitti e violenza". Anche questa edizione si presenta ricca di contenuti. Il conflitto in Darfur, la finanza etica, i confini geografico/mentali nei processi di inclusione/esclusione sociale, e un'intervista a Massimo Cacciari. Troverete inoltre notizie dal mondo, approfondimenti, e come di consueto la sezione dedicata ai libri con schede e recensioni. Potete scaricare gratuitamente la nostra rivista on line dal sito www.sispa.it 4. MAESTRI E COMPAGNI. ETTORE MASINA: RECUPERARE LA SACRALITA' DEL CORPO [Dal sito di Ettore Masina (www.ettoremasina.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul mensile "Jesus" nell'agosto 2007. Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista, scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina, scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de "La nonviolenza e' in cammino"] L'amputato cammina e cammina fra le parallele, guardando ogni tanto con una specie di stupefazione la sua nuovissima gamba artificiale; il ragazzo trapiantato di cuore pedala lentamente alla cyclette; l'ometto che si porta dietro la bombola dell'ossigeno alza ritmicamente i "manubri" da due chili; e una signora dai capelli bianchissimi sorride mentre una giovane fisioterapista l'aiuta a riconoscere muscoli che non sapeva piu' di avere. Mi guardo in giro, in questa bella palestra, e vedo uno spettacolo che mi commuove. L'istituto di riabilitazione Gervasutta di Udine non e' soltanto un esempio di buona sanita' pubblica ma una dimostrazione di cio' che la scienza e la dedizione di medici e paramedici possono fare per ridare a vecchi e giovani corpi un recupero di forze perdute in seguito a terribili incidenti o a malattie sino a pochi anni fa senza scampo. La frequentazione di questo "laboratorio" che restaura speranze e sorrisi, cosi' come la notizia dell'esistenza di tanti altri (ma sempre troppo pochi!) nel mondo "sviluppato", mi propone pensieri sull'uso che facciamo (o non facciamo) dei nostri corpi, delle tragedie che nascono da comportamenti dissennati (quante giovani vittime di incidenti stradali o sul lavoro!) ma anche mi richiama alla mente un recente rapporto di Amnesty International sulla diffusione mondiale delle torture. Perche' davvero uno dei tanti crudeli paradossi del nostro tempo e' che accanto alla medicina che "ripara" i corpi, cresce e diventa sempre piu' spaventosa, piu' "raffinata" (anche per l'apporto di medici e di psicologi) la tecnologia del dolore inflitto a persone inermi in nome delle "esigenze dell'ordine pubblico" e magari della "difesa della civilta'". So bene che questa realta' ci turba, soprattutto quando ci rendiamo conto che ci sfiora (per esempio nelle storie dei tanti profughi politici presenti nelle ondate di "clandestini" che approdano alle nostre coste; o per inchieste giornalistiche o giudiziarie o di organizzazioni non governative che documentano la ferocia di agenti di paesi amici del nostro) ma credo che una societa' democratica dovrebbe piu' coraggiosamente prenderne atto ed agire strumenti di "riparazione", possibili e dunque doverosi. Penso anche che un ruolo tutto speciale dovrebbero avere le comunita' cristiane. Non dimentichero' mai la sera in cui arrivarono in casa nostra due fuggiaschi da un paese governato da una crudelissima dittatura. Ci mostrarono i segni delle sevizie infertegli dalla polizia e uno di essi mormoro': "Io sono ateo ma sono stato educato religiosamente e mi ricordo che San Paolo dice che il corpo e' il tempio dello spirito. A me pare che voi cristiani italiani siate piu' attenti ai templi di marmo che a quelli di carne". 5. PROFILI. FRANCESCO PULLIA: UN PROFILO DI BADSHAH KHAN [Dal sito www.radioradicale.it riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Badshan Khan, satyagrahi musulmano in Pakistan" del 2 gennaio 2008. Francesco Pullia e' componente del Comitato nazionale dei Radicali Italiani. Badshah Khan, nato nel 1890, deceduto nel 1988, un terzo della sua vita passato in carcere sotto gli inglesi e sotto il nuovo stato pakistano; fu leader nonviolento della lotta dei pathan ed e' ricordato come "il Gandhi musulmano". Opere su Badshah Khan: Eknath Easwaran, Badshah Khan, il Gandhi musulmano, Sonda, Torino 1990; Mukulika Banerjee, The Pathan Unarmed, New Delhi, Oxford University Press, 2000] Quanto avvenuto in questi giorni in Pakistan puo' essere un'occasione per riconsiderare, a vent'anni dalla scomparsa, la figura di Abdul Ghaffar Khan, meglio conosciuto come Badshah Khan o anche come "il Gandhi musulmano" cui si deve l'avere introdotto la metodologia nonviolenta allíinterno della complessa realta' islamica. Paragonato, per operato e insegnamento, al Mahatma, cui fu legato da un rapporto indissolubile, nonostante la sua importanza e' purtroppo ancora ignorato in occidente. Per questo riteniamo utile, anche ai fini di un ulteriore apporto alla definizione del nostro satyagraha, richiamare l'attenzione sulla sua azione. * Abdul Ghaffar Khan nasce nel 1890 da una famiglia benestante di Utmanzai, villaggio ad una trentina di chilometri da Peshawar, in una regione appartenente all'odierno Pakistan. Va detto che, per ragioni strategiche, gli inglesi avevano diviso la zona della frontiera in tre aree geografiche: le "agenzie" al nord, i cosiddetti distretti "stabilizzati" tra l'Indo e le montagne, le aree "libere" lungo il confine occidentale dove i pathan (o pashtun), cui Khan apparteneva, potevano governarsi secondo la legge non scritta della pakhtunwali. Riluttanti ad ogni dominazione, i fieri pathan avevano sempre costituito un serio problema per gli inglesi. Decine di spedizioni dell'esercito coloniale erano state inviate tra quelle impervie montagne, le roccaforti erano state prese a cannonate, i villaggi incendiati. Migliaia di persone erano state imprigionate e torturate senza piegarne, pero', la resistenza. Quello dei pathan restava l'unico territorio dell'impero britannico a non essere del tutto sottomesso. Nell'estate del 1897, tanto per ricordare a troppi smemorati un po' di storia, gli inglesi si resero protagonisti di una delle piu' spietate repressioni compiute nel corso della loro dominazione, un vero e proprio massacro. Cosi' annoto' lo stesso W. Churchill: "In mezzo ai campi di riso ed alle rocce, i robusti soldati a cavallo davano la caccia al nemico in rotta. Non fu chiesto ne' concesso alcun quartiere ed ogni uomo catturato veniva trafitto o abbattuto all'istante". Carri di fave e patate vennero sottratti dai depositi, i frutteti spogliati, gli alberi abbattuti con le asce, le messi date alle fiamme, le acque dei pozzi avvelenate, i villaggi demoliti. A meta' novembre la valle di Tirah era stata resa un deserto mentre sulle alte cime dove la popolazione aveva trovato precario rifugio i bambini morivano di freddo. L'impero britannico aveva mostrato il proprio volto arrogante e non manco' chi, come la teosofa Annie Besant, cerco' di sensibilizzare l'opinione pubblica europea: "Dall'oscurita' ci giungono lamenti di sofferenza e rabbrividiamo di orrore per cio' che e' stato fatto in nostro nome. Quei bambini morti di fame proclamano nei gemiti la nostri condanna. Quelle donne assiderate gridano forte contro di noi. Quei cadaveri irrigiditi, quelle regioni annerite dal fuoco, quelle pianure coperte di neve e rigate di sangue si presentano all'umanita' per maledirci". Abdul Ghaffar non dimentichera' mai i visi cupi, esausti, di coloro che erano riusciti a tornare dai combattimenti. Resta profondamente turbato dall'odio, dal rancore, dallo spirito di vendetta che regnavano in quegli sguardi e gia' sente agitarsi dentro quella vocazione che si manifestera' una diecina d'anni piu' tardi. Di pace, perdono, compassione, dignita' umana, aveva sempre sentito parlare dal padre, Bethram Khan, intimamente religioso, e dal reverendo E. F. E. Wigram, missionario preside della scuola superiore della Edwardes Memorial Mission di Peshawar dove, nonostante la condanna dei rigidi e intolleranti mullah di Utmanzai, era riuscito a studiare. Sarebbe rimasto volentieri a lavorare con Wigram se non lo avesse distolto l'idea di arruolarsi nelle "guide", un corpo scelto di fanti e cavalieri pathan e sikh di stanza a Mardan considerato di grande prestigio. Alto un metro e novantadue, di corporatura robusta, non avrebbe incontrato certamente problemi a farvi parte se non fosse stato dissuaso da un grave episodio di razzismo e sopraffazione commesso da due ufficiali inglesi. Svanita anche la possibilita' di continuare gli studi in Inghilterra, si dedica a lavorare nei campi dove prende coscienza della penosa condizione di arretratezza economica e morale dei contadini. Ventiduenne, si rende conto che la prima cosa da fare e' garantire loro un minimo di istruzione. * Avvia cosi' nel 1910 una scuola ad Utmanzai destando da un lato l'interesse del riformatore sociale Haij Saheb e dall'altro viva preoccupazione sia negli inglesi che nel retrivo clero musulmano locale. L'iniziativa ha successo e con Haij Saheb da' impulso ad altri corsi di studio. Influenzato da un circolo di giovani liberali, si interessa intanto maggiormente ai periodici progressisti "Yamindar" e "Al-Hilal". Nel giro di breve tempo intensifica l'attivita' politica. In seguito ad una rivolta fallita, Haij Saheb e' costretto ad eclissarsi nei remoti territori dei mohmand, una tribu' pashtun, e il ventiquattrenne Abdul Ghaffar va alla ricerca di sostegni per il movimento. Nel 1913 partecipa ad Agra ad una conferenza di musulmani progressisti. L'anno seguente si reca a Deoband, per un altro convegno, e subito dopo visita il Bajaur, distretto montagnoso severamente controllato dagli inglesi. Superato con uno stratagemma il posto di blocco, sosta provvisoriamente nel villaggio di Zagai e da li' manda ai compagni rimasti in pianura un messaggio affinche' lo raggiungano. I giorni pero' passano senza alcun riscontro. Rimasto solo e perplesso, intraprende in una piccola moschea un chilla, una lunga astensione dal cibo e dalle parole da cui esce radicalmente mutato. Da questo istante la sua vita scorre lungo un sentiero parallelo a quello di Gandhi. Siamo nel 1914. Nell'estate di quell'anno, mentre Khan si reca nuovamente al suo villaggio intenzionato a fare riaprire le scuole fatte chiudere dagli inglesi, Gandhi lascia il Sudafrica per far ritorno, su un piroscafo, nella natia India. L'anno seguente Khan perde la moglie. Provato dal dolore, affida i figli a sua madre e si muove tra i villaggi della Frontiera sfidando gli inglesi con l'apertura di nuove scuole. Tra il 1915 e il 1918 visita cinquecento villaggi infondendo entusiasmo nella gente. E' nel corso di questo peregrinare che viene accolto come Badshah Khan, khan dei khan, re dei khan. Nel marzo 1919 il parlamento approva il Rowlatt Act con il quale vengono trasformate in legge permanente le disposizioni restrittive dell'emergenza bellica. Per gli indiani e' peggio di un affronto. Gandhi proclama un hartal, un giorno di completo digiuno e di preghiera. Ad Utmanzai Badshah Khan esorta a resistere alla tirannia inglese. E' arrestato e condannato senza processo a sei mesi di prigione. I ferri ai piedi sono cosi' stretti che le caviglie vengono corrose fino all'osso e sfregiate per sempre. Il villaggio viene circondato dall'esercito e gli abitanti, sotto la minaccia dei fucili, vengono ammassati nel recinto della scuola di Khan, senza alcuna clemenza per donne, anziani, bambini. Mentre la gente prega i soldati puntano i fucili contro le prime file. Con inaudita violenza depredano, poi, quanto riescono a trovare. Qualsiasi cosa possa essere trasportata viene caricata e portata via mentre un commissario inglese apostrofa gli abitanti. Settanta sono prelevati e arrestati. Tra questi anche il padre di Badshah Khan. Rilasciato, Khan fonda nel 1920 la Anjuman-Islah-Afaghina, un'organizzazione mirante ad incoraggiare il progresso economico, sociale ed educativo nella Frontiera e, soprattutto, rivolta ai pashtun. Nello stesso anno partecipa alla storica sessione di Negpur del Congresso nazionale indiano in cui, per la prima volta, viene adottato il metodo nonviolento di lotta per un completo autogoverno. E' in questa occasione che Badshah Khan fa la conoscenza diretta di Gandhi e prova subito forte attrazione per la sua straordinaria persona. Tornato ad Utmanzai promuove, nonostante l'immancabile divieto inglese, la fondazione di una scuola superiore e ancora una volta finisce in galera e viene condannato a tre anni di lavoro forzato. Dopo due mesi di isolamento, puo' incontrare il fratello, da poco rientrato dall'Inghilterra, che gli sottopone un foglio con alcune proposte del commissario capo per commutare la sentenza: puo' essere libero e aprire le scuole ma non deve girare per i villaggi della Frontiera. Badshah non accetta e fa a pezzi il foglio. La settimana successiva viene trasferito in un carcere per detenuti comuni, in un'altra cella di isolamento e con il compito di macinare diciotto chili di grano al giorno. Da questo luogo di detenzione, descritto come un inferno di corruzione, e' condotto in un'altra prigione, stavolta per detenuti politici, a quasi cinquecento chilometri a sud di Peshawar. Nel 1923, mentre e' ancora in carcere, apprende la notizia della morte della madre. Un colpo durissimo. Scarcerato nel 1924, scopre che la sua prigionia e la sua sofferenza sono servite a far fiorire le scuole. Nel 1926 perde il padre e, durante un pellegrinaggio votivo alla Mecca, la seconda moglie, sposata sei anni prima. Costituita la Pakhtun Jirga Lega giovanile, lancia un nuovo programma di riforme veicolato da un'apposita rivista in lingua pathan. E' un successo immediato. Il giornale, tra l'altro, mette seriamente in discussione il purdah, cioe' il sistema tradizionale che impedisce alle donne musulmane una piena partecipazione alla vita sociale. Ma il grande impulso alla lotta di liberazione giunge nel 1929 dalla creazione dei Khudai Khidmatgar, i "servi di Dio", il primo esercito nonviolento professionale della storia. E' cosi' che proprio tra i pashtun, notoriamente temuti per il loro carattere iroso e vendicativo, si diffonde il verbo della nonviolenza. In pochi mesi i giovani volontari sono gia' cinquecento. Con le loro camicie rosse, si recano nei villaggi per aprire scuole, sostenere progetti di lavoro, mantenere ordine nelle assemblee pubbliche. * Il 31 dicembre dello stesso anno a Lahore si svolge una sessione decisiva del Congresso. L'India e' chiamata a recidere il giogo inglese. Gandhi lo avrebbe dimostrato al mondo intero. Il 12 marzo 1930 il Mahatma lascia il suo ashram sul fiume Sabarmati per iniziare una marcia di ventiquattro giorni fino al villaggio costiero di Dandi. Qui, la mattina del 6 aprile, raccoglie una manciata di sale infrangendo la legge che ne assegna al monopolio governativo la produzione e la vendita. E' la miccia della ribellione. Il 23 aprile Badshah Khan indice un raduno di massa a Utmanzai per spronare alla resistenza civile. Quindi si dirige verso Peshawar ma viene arrestato a Naki. La notizia si propaga rapidamente e nella Frontiera si diffonde la lotta nonviolenta. Mentre, insieme a quattro suoi collaboratori, viene condannato a tre anni di carcere, a Kissa Khan la folla protesta in modo rigorosamente nonviolento contro gli arresti. La polizia spara e due carri armati investono la gente ad alta velocita'. La folla accetta di disperdersi se gli inglesi consentano almeno di raccogliere i morti e i feriti e i soldati si allontanino. La risposta e' un'altra carica. Quando cadono feriti coloro che si trovano in prima fila, quelli che stanno dietro si fanno avanti a petto nudo, esponendosi al fuoco. I manifestanti restano fermi a fronteggiare i militari. Solo il plotone dei tiratori scelti garhwali si rifiuta di sparare. Diciassette di loro vengono deferiti alla corte marziale e condannati. Le spedizione dei militari inglesi si conclude anche questa volta con un massacro. Trecento morti e un numero impressionante di feriti. I Khudai Khidmatgar sono messi fuorilegge e nell'intera Frontiera e' imposta la legge marziale. "Gli inglesi - scrivera' piu' tardi Badshah Khan - temevano piu' un pathan nonviolento che uno violento. Tutti i loro orrori avevano un solo scopo: spingere i pathan alla violenza". Non ci riusciranno. Il popolo rimane indifferente alle provocazioni. In molti muoiono sereni per testimoniare il proprio ideale. Alla fine del 1930 lord Irwin invita Gandhi a Delhi per trattare una tregua e alla Frontiera vengono date concessioni a lungo termine. I pathan raggiungono la parita' politica con il resto dell'India inglese. Rilasciato nel marzo 1931, Khan viene accolto come il Gandhi della Frontiera, paragone che ad uno come lui, fondamentalmente umile e con una venerazione particolare per il Mahatma, sembra eccessivo: "Non aggiungete il nome di Gandhi al mio. Non merito la gloria che avete riversato su di me. La gloria deve andare al metodo nonviolento che ha cambiato la natura della nostra gente". Per lo stesso motivo non ama essere chiamato neanche Badshah. Si ritiene un servitore, non un re. Ma per il popolo lui e' Badshah e basta. Intanto il leader nonviolento ha cessato di mangiare carne e veste con tessuti fatti in casa. Rinuncia alla propria terra lasciandone la proprieta' ai tre figli. Riprende a viaggiare tra i villaggi rischiando per ben due volte di essere assassinato dal momento che i suoi principi cozzano non solo con gli interessi degli inglesi ma anche con quelli dei mullah conservatori e dei ricchi proprietari. "Abbiamo tre obiettivi da raggiungere - ripete ovunque - liberare il Paese, nutrire l'affamato, vestire l'ignudo". Gli inglesi gli intimano di fermarsi. Gandhi, da parte sua, protesta e chiede di poter visitare anch'egli la Frontiera. L'autorizzazione gli viene, pero', negata. Il governo vieta i raduni a meno di sei chilometri da ogni strada e fa pedinare Badshah mentre la stampa inglese distorce o censura ogni genere di notizia che riguardi lui o il territorio dove conduce la lotta. Nonostante tutto, Khan non si arrende e continua il suo cammino. Il 24 dicembre 1931 e' arrestato insieme al fratello maggiore e ai tre figli. Nel giro di poche settimane tutti i leader indiani finiscono in prigione. Un'ondata di violenza governativa si abbatte sulla Frontiera contro le camicie rosse dei Khudai Khidmatgar. Sparatorie, pestaggi, fustigazioni pubbliche, confisca di beni si susseguono su larga scala. Soltanto a Peshawar finiscono in galera trentacinquemila persone. Khan e' condotto lontano, nel Bihar, nell'India nordorientale, e tenuto per tre anni senza processo e senza la possibilita' di ricevere lettere o leggere giornali. Rilasciato, insieme al fratello, nell'agosto 1934, e' ospitato da Gandhi nell'ashram di Wardha. Nell'ottobre dello stesso anno Gandhi e Khan si recano a Bombay per la sessione autunnale del Congresso. Accolto con calore, Khan rifiuta di accettarne la presidenza. Il 7 dicembre e' arrestato per avere pronunciato frasi "sediziose". Condannato a due anni di carcere duro, viene mandato nella prigione centrale di Sabarmati e messo in isolamento e senza letto. Passa da novanta a sessantasette chili. Rilasciato nel luglio 1936, si reca immediatamente da Gandhi per promuovere insieme a lui un programma comune di azione sociale. Con il Mahatma si oppone alla richiesta di Jinnah di costituire uno stato islamico separato, il futuro Pakistan. Ma, nonostante tutto, e' costretto ad accettare nel 1947 il corso degli eventi. Il suo sogno di un'unita' tra indu' e musulmani, come quello di Gandhi, s'infrange nella brusca realta'. * Il 15 giugno 1948, a meno di un anno dalla proclamazione dell'indipendenza dell'India e della nascita di uno stato dai confini incerti e instabili come il Pakistan e a cinque mesi dall'assassinio del Mahatma ad opera di un nazionalista indu' che temeva fosse filo-musulmano, Badshah viene, per ironia della sorte, arrestato proprio dal governo pakistano con l'accusa di essere filo-indu'. Invano chiede per la sua gente della Frontiera un governo pathan, formato da pathan. Come durante la dominazione inglese, anche nel nuovo stato musulmano il leader e' destinato a vivere dietro le sbarre. La sua condanna viene prolungata due volte, sicche' trascorre ben sette anni in prigione prima di essere rilasciato per essere ancora incarcerato l'anno successivo. Dei primi trent'anni di esistenza del Pakistan, Khan ne passa quindici in galera e sette in esilio. Piu' volte arrestato per la sua fedelta' ai principi della nonviolenza e ad una visione politica riformatrice, si spegne nel 1988 a Peshawar in piena attivita' nonostante l'eta' avanzata di novantotto anni. Oltre quarantacinquemila persone e migliaia di automezzi accompagneranno il suo feretro dal Pakistan a Jalalabad, in Afghanistan. La sua vicenda, come ha scritto Eknath Easwaran, suo biografo, reca in se' "i germi di una verita' piu' profonda di cui il nostro mondo esplosivo, dal futuro incerto, ha molto bisogno". 6. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2008 Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo: l'Agenda dell'antimafia 2008, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2007, euro 10. A cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, edita dal Centro Impastato con Addiopizzo, Cesvop, Comune di Gela, Consorzio Ulisse. L'agenda puo' essere richiesta al Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 7. STRUMENTI DI LAVORO. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2008 Dal 1994 ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di "antologia della nonviolenza" che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Uno strumento di lavoro che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it Il costo di una copia di "Giorni nonviolenti" 2008 e' di 10 euro, sconti progressivi per l'acquisto di un numero di copie maggiore. 8. LETTURE. IL FONDO PESCIOTTI NELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI SORIANO NEL CIMINO Il Fondo Pesciotti nella biblioteca comunale di Soriano nel Cimino, Edizioni Sette Citta', Viterbo 2007, pp. 366, euro 30. Donati alla biblioteca comunale di Soriano nel Cimino (in provincia di Viterbo) da Teresa Blasi Pesciotti dall'ottobre 2006, un anno dopo la scomparsa di Carlo, gli oltre tremila volumi del fondo Pesciotti sono accuratamente schedati nel presente testo, che e' non solo uno strumento di consultazione e di lavoro, ma anche una testimonianza di cultura, e quindi di impegno civile, di preziosa profonda umanita'. Carlo Pesciotti, nato a Viterbo nel 1921 e scomparso nel 2005, laureatosi in lettere con Natalino Sapegno, corrispondente di Cecchi, Citati, Contini, Saba (alla cui poesia dedico' la sua tesi di laurea), Soldati, Tecchi, Timpanaro (cui lo lego' una profonda amicizia), fu docente di profonda dedizione al compito di educare al vero e al giusto (e quindi a quel bello che e' buono - come sapevano i greci), intellettuale schivo e appassionato, e militante rigoroso della sinistra migliore - socialista e libertaria; fu nella cerchia dei giovani intellettuali antifascisti che si riunivano attorno ad Achille Battaglia, fu poi consigliere comunale, promotore del sindacato scuola della Cgil, amico e compagno di lotte di Achille Poleggi, curatore del lascito letterario del fratello Pietro; fu suscitatore allo studio e allo lotta, al rigore intellettuale e morale, all'impegno per il bene comune: con la parola che educa ed illumina, con l'azione che schiude ed edifica e invera, con l'esempio personale - senza di cui ogni esortazione e' nulla. Il volume ha una presentazione di Gabriella Evangelistella (che della biblioteca comunale di Soriano ha fatto un monumento e un laboratorio, una viva palestra di impegno culturale e civile, un luogo prezioso e felice di riconoscimento di umanita'), e una introduzione di Aurelio Rizzacasa. Per richieste alla casa editrice: e-mail: info at settecitta.eu, sito: www.settecitta.eu 9. RILETTURE. ENRICA COLLOTTI PISCHEL: STORIA DELLA RIVOLUZIONE CINESE Enrica Collotti Pischel, Storia della rivoluzione cinese, Editori Riuniti, Roma 1972, 1982, 2005, pp. 454, euro 20. Uno dei libri maggiori dell'illustre, indimenticabile studiosa della Cina e dell'Asia orientale, scomparsa nel 2003. 10. RILETTURE. ANTONELLA FUCECCHI, ANTONIO NANNI: L'ALTRO MILIONE Antonella Fucecchi, Antonio Nanni, L'altro Milione. Marco Polo e Ibn Battuta sulle rotte della Cina, Emi, Bologna 2000, pp. 176, euro 10,33. Uno strumento di lavoro per le scuole medie, una proposta didattica interculturale, un avvio ad ulteriori ricerche e riflessioni: il volume e' un confronto tra la descrizione della Cina nel periodo della dominazione mongola nel Milione di Marco Polo (1254-1324) e nella Rihla di Ibn Battuta (1304-1368), un incontro tra varie culture e visioni ed interpretazioni (la Cina, la cultura mongola, lo sguardo europeo e cristiano, lo sguardo arabo e musulmano, le civilta' di quella pluralita' e complessita' che chiamiamo Medioevo, e noi oggi - cosi' lontani, cosi' vicini...). Per richieste alla casa editrice: Emi, via di Corticella 179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552, e-mail: sermis at emi.it, stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it 11. RIEDIZIONE. AMMIANO MARCELLINO: STORIE Ammiano Marcellino, Storie, Mondadori, Milano 2001-2002, 2007, 2 voll. per complessive pp. CCXX + 1794, euro 12,90 + 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Con testo critico, traduzione e commento a cura di Giovanni Viansino. Una davvero pregevole edizione dei diciotto libri superstiti dell'opera dello storico del IV secolo d. C. 12. RIEDIZIONI. CHRISTOPHER HILL: LA FORMAZIONE DELLA POTENZA INGLESE Christopher Hill, La formazione della potenza inglese dal 1530 al 1780, Einaudi, Torino 1977, "Il giornale", Milano 2007, pp. X + 340, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una bella monografia di sintesi del grande storico marxista che ha dato contributi fondamentali alla conoscenza del Seicento inglese. 13. RIEDIZIONI. LINDSEY HUGHES: PIETRO IL GRANDE Lindsey Hughes, Pietro il Grande, Einaudi, Torino 2003, "Il giornale", Milano 2007, pp. XXIV + 342, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Un'accurata biografia scritta dalla nota studiosa inglese, gia' autrice di Russia in the Age of Peter the Great. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 331 dell'11 gennaio 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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