Voci e volti della nonviolenza. 128



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 128 del 31 dicembre 2007

In questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: Dovuto a Franco Fortini
2. Franco Fortini: marxismo
3. Franco Fortini: comunismo
4. Et coetera

1. GIOBBE SANTABARBARA: DOVUTO A FRANCO FORTINI

E' stato anche seguendo e prolungando la riflessione di Franco Fortini che
il mio marxismo (antidogmatico e antitotalitario: un marxismo che non fosse
tale sarebbe gia' fascismo) e' giunto alla nonviolenza. So che altre persone
alla nonviolenza giunte hanno seguito altre vie. Per me che scrivo queste
righe la nonviolenza e' questo inveramento della stessa lotta, resa piu'
nitida e piu' autocosciente, piu' concreta e piu' coerente.
Per questo per me Fortini e' stato ed e' ancora e per sempre maestro di
fedelta' all'umanita', di tensione alla verita', di resistenza ad ogni
oppressione e menzogna: e quindi guida alla nonviolenza.
*
La nonviolenza cosi' come io la intendo e' un insieme di esperienze e
riflessioni che ereditano e rigorizzano molte diverse premesse, tragitti
anche molto lontani; non vi sono due persone amiche della nonviolenza che di
essa abbiano la medesima nozione, ciascuna persona vi aggiunge del suo: solo
creativamente ci si puo' accostare alla nonviolenza: non e' un insieme di
dogmi, non e' un canone di autori, non e' un immoto museo: e' viva vitale
esperienza, conflitto che ogni giorno si rinnova, annuncio del mondo da
farsi - e di esso sia quindi il tuo agire figura.
*
Alcune storiche esperienze sono cosi' gravide di nonviolenza che trovo
sorprendente come sovente esse abortiscano invece di giungere all'esito
teorico e pratico loro, all'inveramento che ne adempia il movimento e la
promessa.
Nella tradizione del movimento operaio, ad esempio, la nonviolenza e' cosi'
intrinseca che sembra incredibile come lungo due secoli le correnti
imitatrici dei poteri contro cui il movimento si levava, le correnti
autoritarie e fin totalitarie, abbiano potuto nelle sue organizzazioni
incistarsi e ivi radicare, ramificare ed imporre la loro sorda ad un tempo
glaciale e febbrile violenza, e quasi annientare il senso e i fini e
l'identita' stessa di quella vicenda di resistenza e di solidarieta' che
ancora attende il suo compimento nella liberazione di tutte e tutti gli
oppressi.
Nei femminismi trovo l'inveramento maggiore della nonviolenza nella storia
dell'umanita'.
Ma in tante, tante altre tradizioni di pensiero e di azione trovo lo
schiudersi e talora il dispiegarsi della nonviolenza. Dalle correnti calde e
liberatrici di grandi tradizioni di pensiero e prassi di riconoscimento e
riconoscenza, di convivenza e di cura, di affermazione della giustizia e
della misericordia, alle lotte per i diritti di liberta', al movimento del
costituzionalismo. Dai movimenti antirazzisti ed anticoloniali alla nuova
psichiatria di Franca e Franco Basaglia, dal principio responsabilita' di
Hans Jonas alla luminosa meditazione politica di Hannah Arendt, dalla
Dichiarazione universale dei diritti umani alla nuova ecologia, e ancora e
ancora.
*
Per me la lezione di di Franco Fortini e' stata una di quelle decisive
nell'approfondire quel sentire ed intendere ed interpretare e sperimentare
che apre la via alla scelta consapevole della nonviolenza in cammino.
*
E' scritto nella carta programmatica del Movimento Nonviolento: "Il
movimento nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e
di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali
direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione
integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le
ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo,
di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla
provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita
associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi
di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di
tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei
valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per
il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono
un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo
metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione
fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della
liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta
nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la
protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la
disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". Mi
sembra un buon programma.

2. FRANCO FORTINI: MARXISMO
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo, da Franco Fortini, Non
solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991 (una bella raccolta di testi brevi e
dispersi curata da Paolo Jachia, qui fine editore ma anche autore di egregi
studi - vedi ad esempio le sue belle monografie laterziane su Bachtin e De
Sanctis). Li' il testo che riportiamo e' alle pp. 145-149. Era primieramente
apparso sul "Corriere della sera" del 29 marzo 1983]

Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre
guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi,
del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li
chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora;
forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo.
Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal
Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a
Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I
cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver
avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano,
marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via.
Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo
della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli,
cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili
dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane
magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata
folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo'
volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose
dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche.
Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia
della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze
dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali
invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di
venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno
accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e'
mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come
lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe
aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono
perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per
salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di
Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata,
in Guatemala. Anche questo e' marxismo.
Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e
Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e
Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo
pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi,
riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico.
Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi
fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi
poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati:
Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard...
A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte
di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia),
parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza
sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del
Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844
oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita'
di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci
parole di incredibile attualita'. E altro ancora.
Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx;
dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli
amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il
bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia
intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici":

Non si cura
che tu gia' lo conosca; gli basta
che tu l'abbia dimenticato...
senza l'insegnamento
di chi ieri ancora non sapeva
perderebbe presto la sua forza rapido decadendo.

Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel
pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da
luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di
credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per
la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver
detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse
fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo
faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri?  Una educazione alla storia ci
faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e
sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi.
Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene
ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho
difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa
superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la
teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di
profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche
perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo.
Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla
preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata,
dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e
senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche
perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore
che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore
illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare.
Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta
delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche
l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di
istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla
critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine
d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e
concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e
lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di
interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la
ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del
produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera
societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che
esso rinvia ad una persuasione indimostrabile.
La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie
alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna
ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si
debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu'
sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa"
e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul
rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e
attimo.
Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che
si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il
passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze
produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia;
e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita'
e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato
ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute
politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche',
anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il
quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della
efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi
per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non
e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita'
marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del
socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa.
Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e'
stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri.
Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino
la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse
possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima
parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci
ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile
gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che
preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali
fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto
qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere.
Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata,
"salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile -
nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai
esistito mai.
L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo
si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento
reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46,
I, a). Anche questo e' marxismo.

3. FRANCO FORTINI: COMUNISMO
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo, da Franco Fortini, Extrema
ratio, Garzanti, Milano 1990, pp. 99-101; era stato pubblicato per la prima
volta nell'inserto settimanale satirico "Cuore" del quotidiano "L'Unita'"
del 16 gennaio 1989. Dopo la pubblicazione in Extrema ratio, questo testo e'
stato ristampato anche nell'opuscolo Una voce: comunismo, Edizioni del
Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990; in Non solo oggi, Editori
Riuniti, Roma 1991; in Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003]

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una
societa' basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e
consumo, in alternativa a societa' basate su forme di proprieta' privata
ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra
e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei
bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine e'
l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia
Garzanti).

Il combattimento per il comunismo e' gia' il comunismo. E' la possibilita'
(quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior
numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalita' - pervenga a
vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico
progresso, ma reale, e' e sara' il raggiungimento di un luogo piu' alto,
visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualita' di
ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi e'
condizione perche' ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma
presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando
ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di se' quanto piu' lacerante e reale, il conflitto e' fra
classi di individui dotati di diseguali gradi e facolta' di gestione della
propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti;
differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-liberta'
di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la
propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro
"liberta'" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana,
come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per
dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di
liberta', cioe' di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria.
Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati
solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilita' e
miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarieta' e nella
paura della morte ora nella insensatezza e non-liberta' della produzione e
dei consumi. Ne' gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che
ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in
oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo
invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta
durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone
alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilita' e
amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) e' dunque un percorso che
passa anche attraverso errori e violenze, tanto piu' avvertiti come
intollerabili quanto piu' chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli
altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca
anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini
siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come
oggi avviene, per un fine che non e' mai la loro vita. Usati, ma sempre
meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre piu' dovra' coincidere con
loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come
mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato cosi') mai potra'
concedersi buona coscienza o scarico di responsabilita' sulle spalle della
necessita' o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico
degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come
a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti
riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e
misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perche' non
dara' requie ne' a se' medesimo ne' a loro, per strappare essi e se stesso
agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale.
Dovra' evitare líerrore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia
che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo
errore, con le piu' varie manipolazioni, ha gia' prodotto, e puo' produrre,
dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui
ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato
dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento,
quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi trionfa
nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al di la'
dell'uomo, e' dunque necessario intendere un al di la' dell'uomo presente,
non un al di la' della specie. Comunismo e' rifiutare anche ogni sorta di
mutanti per preservare la capacita' di riconoscersi nei passati e nei
venturi.
Il comunismo in cammino adempie l'unita' tendenziale tanto di eguaglianza,
fraternita' e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza
etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale,
dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di liberta' e necessita', di
certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie umana
e quindi della sua infermita' radicale (anche nel senso leopardiano). Quella
umana e' una specie che si definisce dalla capacita' (o dalla speranza) di
conoscere e dirigere se stessa e di avere pieta' di se'. In essa,
identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate e' un
atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed e' allegoria e
figura di coloro che saranno.
Il comunismo e' il processo materiale che vuol rendere sensibile e
intellettuale la materialita' delle cose dette spirituali. Fino al punto di
sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini
fecero e furono sotto la sovranita' del tempo; e interpretarvi le tracce del
passaggio della specie umana sopra una terra che non lascera' traccia.

4. ET COETERA

Franco Fortini (all'anagrafe Franco Lattes, Fortini e' il cognome della
madre assunto come nom de plume) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista,
partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel
dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha
collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina"
ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha
lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante.
E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu'
isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed
intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco
Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte
complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre.
Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si
aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la
serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia
di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in
Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali
sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre
testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi
Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione
assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso
Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di
lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del
Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi
italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi
precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso
Pasolini, Einaudi; e adesso il postumo incompiuto Un giorno o l'altro,
Quodlibet, Macerata 2006. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da
Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di
interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di
Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini
in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri,
Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974;
Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo
Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988; Daniele Balicco, Non parlo a
tutti. Franco Fortini intellettuale politico, Manifestolibri, Roma 2006. Su
Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno
civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la
bibliogafia generale degli scritti di Franco Fortini e' in corso di stampa
presso le edizioni Quodlibet a cura del Centro studi Franco Fortini; una
bibliografia essenziale della critica e' nel succitato "Meridiano"
mondadoriano pubblicato nel 2003.

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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
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