Nonviolenza. Femminile plurale. 144



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 144 del 13 dicembre 2007

In questo numero:
1. Nadia Angelucci: Conclusa la raccolta delle firme per la proposta di
legge "50 e 50 ovunque si decide"
2. Barbara Romagnoli: La citta' delle donne
3. Barbara Romagnoli: Centocinquantamila donne
4. Luisa Muraro: Stiamo tornando al vittimismo?
5. Lydia Polgreen: In Nigeria si cambia
6. Francesca Borrelli ricorda Magda Szabo'
7. Vanna Vannuccini ricorda Magda Szabo'
8. Riletture: Catia Dini, Al servizio del cosmo
9. Riletture: Anna Maria Donnarumma, Guardando il mondo con occhi di donna
10. Riletture: Christina Liamzon, Annette Krauss, Karl Osner, Pria, Il
potere delle escluse

1. INIZIATIVE. NADIA ANGELUCCI: CONCLUSA LA RACCOLTA DELLE FIRME PER LA
PROPOSTA DI LEGGE "50 E 50 OVUNQUE SI DECIDE"
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
articolo.
Nadia Angelucci e' giornalista di "Noi donne".
Pina Nuzzo, apprezzata pittrice, e' una delle figure piu' prestigiose
dell'Unione delle donne in Italia (Udi) ed animatrice infaticabile della
campagna "50 e 50 ovunque si decide" per la democrazia paritaria]

Atmosfera rilassata e ottimismo hanno contraddistinto l'incontro che si e'
svolto il 21 novembre presso la sede nazionale dell'Udi (Unione Donne in
Italia) per tracciare un bilancio sulla Campagna dell'Udi "50 e 50 ovunque
si decide", giunta al termine.
Pina Nuzzo nel ringraziare le tante donne che, fuori e dentro le
istituzioni, si sono impegnate a mettere insieme le firme ha fatto una prima
valutazione: "Il bilancio e' davvero esaltante. Mi preme soprattutto mettere
in risalto due elementi. Da una parte l'aspetto quantitativo che e' andato
benissimo perche' abbiamo superato le 50.000 firme e, da quello che sento,
al termine del conteggio potremmo anche arrivare ad 80.000. Dall'altra la
qualita' del rapporto che si e' stabilito con le donne sul territorio, che
non fanno parte tutte dell'Udi, e che si e' basato sul sentire profondamente
un'appartenenza a questo progetto comune. Tutto questo mi fa sentire oggi
ancora piu' responsabile perche' sento che c'e' stata una rinascita politica
delle donne".
Successiva e ultima tappa della Campagna il 29 novembre con la consegna
materiale degli scatoloni con le firme con un corteo sino al Senato. "Questo
passaggio simbolico sara' per noi un momento di festa durante il quale
finalmente ci rilasseremo. Poi il 15 di dicembre abbiamo convocato
un'assemblea di tutti i centri di raccolta delle firme perche' il futuro
dobbiamo deciderlo insieme. Questo momento di costruzione collettivo sara'
un passaggio molto significativo per la gestione della proposta di legge".
La presenza di firme di tante parlamentari e di donne impegnate nelle
istituzioni spinge a riflettere sul ruolo che queste possono e devono avere
all'interno del movimento "50e50". "Il dato che vorrei sottolineare, insieme
al ringraziamento, e' che queste donne in diverse citta' italiane e da
diverse parti politiche si sono fatte carico di questa proposta. Per il
futuro vorrei che potessimo lavorare insieme, facendo ognuna la propria
parte, in autonomia, e sapendo che possiamo essere le une sponda per le
altre".

2. INIZIATIVE. BARBARA ROMAGNOLI: LA CITTA' DELLE DONNE
[Dal sito www.carta.org riprendiamo questo intervento del 23 novembre 2007.
Barbara Romagnoli, giornalista professionista, e' nata a Roma nel 1974 e da
gennaio 2006 vive a Leiden in Olanda; si e' laureata in filosofia con una
tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e'
sempre interessata di studi di genere e femminismi, ha partecipato a
seminari e incontri sulla storia e i movimenti politici delle donne in
Italia e all'estero; ha lavorato per diversi anni alla rivista "Carta", ora
collabora come freelance con varie testate (tra cui "Liberazione", "Marea",
"Peacereporter", "Amisnet", "Aprile"). Fa parte del collettivo A/matrix con
cui condivide la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola]

Nessun palco e nessun testimonial: sabato 24 novembre saremo in tante, tutte
protagoniste. E' una scelta politica per ribadire, se ce ne fosse ancora
bisogno, che il movimento delle donne non ha bisogno di "cappelli",
benedizioni o simili per scendere in piazza e riprendere parola
pubblicamente. Infatti e' bastato un tam tam tra collettivi, associazioni e
centri antiviolenza per tessere una rete che man mano si e' ampliata,
portando dentro differenze e complessita' che hanno arricchito un percorso
che e' certamente difficile ma possibile.
Molte di noi da anni ragionano e lavorano quotidianamente sulle questioni
che riguardano la violenza maschile sulle donne, e tutte abbiamo sentito
l'urgenza di fermare qualunque tentativo di porre limiti alla liberta' e
all'autodeterminazione delle donne attraverso politiche securitarie,
razziste e familistiche. Senza dover ripetere le cifre che sono rimbalzate
ovunque in questi giorni, il nostro intento, chiaro fin dal primo appello,
e' quello di dire, senza giri di parole, che la maggior parte delle violenze
avviene in ambienti domestici e nelle relazioni di coppia, dove il rapporto
di potere tra i sessi continua ad alimentare i paradigmi della cultura
patriarcale. Ripeteremo che la violenza non ha confini e attraversa i
continenti, le religioni, le etnie e i generi. Gli aggressori sono di tutti
i colori, spesso padri, mariti, fratelli, compagni. Su tutto questo la
politica tace o gioca al ribasso, cercando di far rientrare tutto in
questioni di ordine pubblico. Non e' cosi', e non servono leggi repressive.
C'e' bisogno di cambiare le teste, modificare i linguaggi e i simboli
perche' la civilta' passa attraverso la liberta' dei corpi delle donne.

3. INIZIATIVE. BARBARA ROMAGNOLI: CENTOCINQUANTAMILA DONNE
[Dal sito www.carta.org riprendiamo per ampi stralci questo intervento del
26 novembre 2007]

Si', e' vero, siamo incorreggibili, birichine, scalmanate e sciagurate.
Siamo certamente pazze, nel voler scendere in piazza da sole e nel
continuare a ripetere che la politica e' anche ñ soprattutto ñ quella che
fanno i movimenti e che si costruisce dal basso. A quanto pare siamo pure in
tante: sabato abbiamo attraversato Roma in centocinquantamila, arrivate da
tutta Italia. Siamo altresi' testarde e, quando serve, di poche parole. E se
abbiamo detto "no", e' "no".
Lo avevamo detto a proposito del palco, di presenze che volessero mettere
sigle e cappelli ad un'iniziativa plurale e indipendente, apartitica ma non
apolitica. L'ultima stupidaggine e' sentirsi dire che siamo un altro simbolo
dell'antipolitica. Abbiamo invece lanciato un inequivocabile segnale
politico, nel dire chiaro e netto che per combattere la violenza maschile
sulle donne non servono leggi o norme di impronta razzista e familista, o
retoriche sulla sicurezza. Serve un ripensamento culturale di fondo, e se
azioni istituzionali ci devono essere, che abbiano come interlocutrici
privilegiate le migliaia di donne scese in piazza a Roma.
Tutto questo era chiaro dall'inizio, quindi abbiamo reagito al tentativo di
appropriazione della piazza da parte di media e di politiche...
La7, in particolare, ha tentato di trasformare la nostra manifestazione in
una vetrina di presenze istituzionali estranee allo spirito e ai contenuti
chiaramente espressi nella convocazione del corteo. Il nostro percorso non
si fermera' qui, intendiamo continuare a prendere parola con la stessa
radicalita' con cui siamo scese in piazza. Ma lo faremo con i nostri tempi,
senza inseguire l'agenda e le provocazioni dei media.

4. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: STIAMO TORNANDO AL VITTIMISMO?
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo l'introduzione all'incontro "Stiamo tornando al vittimismo?"
svoltosi al Circolo della Rosa di Milano sabato primo dicembre 2007.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]

Il titolo, a parte il fatto che ha un punto di domanda, non vuole essere un
giudizio sulla manifestazione di sabato scorso (24 novembre), e' stato
pensato e deciso prima. E' nato, nella conversazione alla ricerca di un tema
per la discussione, per effetto della campagna di stampa che ha preceduto e
accompagnato la manifestazione (soprattutto preceduto), una campagna che ha
teso a una rappresentazione enfatica e a mio giudizio anche un po'
ripetitiva di una condizione umana femminile che e' quella della violenza
patita e dei maltrattamenti. Ora, questa campagna di stampa aveva un'enfasi
su questo aspetto delle cose - quell'enfasi tipica di chi sente che sta
dalla parte del giusto, di dire la cosa giusta, bella e vera - e non aveva
il contrappeso di un'interrogazione di uomini e di donne sulla societa'
degli uomini, o sulla parte che hanno in tutto questo gli uomini sia come
societa', qualita' di rapporti, sia come sessualita'. Un interrogarsi che
sembrava logico. Se e' cosi' terribile questo tipo di cose, e cosi' diffuso,
cosi' esteso, sembrerebbe ovvio che ci si dica "ma allora chi siamo noi
uomini, siamo dei mostri, cosa abbiamo dentro, come puo' essere che ci
capiti questo dopo che siamo stati messi al mondo da un donna, trattati
convenientemente e amati, cos'e' che abbiamo che ci porta o porta una parte
di noi non piccola a certe nefandezze?" e via e via... Questa interrogazione
non c'e' stata, e tutto sembrava essere di nuovo a carico delle donne, la
faccenda messa sulle spalle delle donne, sia pure non per attaccarle: come
vittime. Questa e' la ragione che ha portato al titolo. Senza pregiudizio
per quanto riguarda la manifestazione che e' la cosa da cui partiremo qui.
Io volevo dire in due parole qual e' il problema della questione del
vittimismo, dell'enfasi portata sulle donne che sono vittime della
prevaricazione, della violenza, del maltrattamento. Dov'e' il problema? Ho
ragionato su queste cose con Lia ma anche con quelle del sito della
Libreria: se ne e' parlato facendo la selezione dei pezzi per il sito
giovedi' scorso. Dico l'idea che me ne sono fatta, ma naturalmente e' il
problema che ci poniamo qui, io porto solo degli elementi di una
introduzione, non una impostazione della faccenda. Io vedo che in quel modo
di parlare della violenza sulle donne c'e' come un piano inclinato che
tende - nelle condizioni che dicevo - a immiserire la politica della donne e
a vanificare guadagni gia' ottenuti. A portare indietro verso una condizione
umana femminile secondo la rappresentazione miserabilistica. Piu' o meno
intenzionalmente. Quindi eliminando dal paesaggio, non dicendo o riducendo
questo guadagno di presenza e di protagonismo di donne nella societa' di
oggi, portar via, erodere, corrodere, questo tipo di guadagno. D'altra
parte - e questo e' il problema - reagire a questo piano inclinato non e'
cosi' semplice come puo' sembrare. Per esempio, e' arrivato al sito un
testo, che abbiamo accettato, di una donna di Roma che diceva "il tema mi
interessa moltissimo, vi do' questo contributo, che apparira' su una
rivista, 'Noi Donne', di gennaio prossimo". Li' si vede bene qual e' il
rischio. Lei esalta la forza simbolica che si sprigiona dalla donna
cosciente di se', consapevole, protagonista, che non si lascia mettere i
piedi in testa, che sa affermarsi, che sa il proprio desiderio, che e'
fedele al proprio desiderio ecc. e cita come modello la protagonista -
Modesta si chiama, ma il nome e' ironico - dell'Arte della gioia di Goliarda
Sapienza. Questo testo che comincia con una forma che trovavo entusiasmante
e accettabile, in una maniera impercettibile finiva quasi per avvicinarsi a
quella cosa terribile, terribile, che puo' venire in mente... - ma proprio
ci si arriva vicinissime e non bisogna sottovalutare il pericolo - di chi
dice delle donne che sono vittime di violenza e di sopraffazione maschile:
"Se l'e' cercata". Con la psicanalisi (da strapazzo) si arriva pure a dire
"lo voleva anche", si arriva perfino a questa perversione di
interpretazione. E' un piano inclinato che non ha soluzione di continuita',
secondo me. Cioe' si comincia a dire "una donna deve sapere" e via dicendo,
e si arriva a quella cosa la', ed e' difficile sapere in che punto fermarsi.
Si arriva cioe' vicino al disprezzo per le vittime. Il disprezzo per le
vittime - qui mi ispiro a quello che insegna Simone Weil - e' "naturale".
Metteteci pure le virgolette, ma il disprezzo per le vittime e' naturale.
Possiamo dire che e' la nostra societa', io non lo so. Se non sono bambine e
bambini - nel qual caso invece ci nasce dentro una terribile indignazione -
quando le vittime, i perdenti, le perdenti, le persone schiacciate sono
persone adulte, in un certo senso fanno orrore, a me fanno anche un po'
paura, e facilmente si arriva al disprezzo. C'e' in un libro interessante,
Non piu' schiave - che vi raccomando anche di leggere, perche' e' una
testimonianza coraggiosissima di lotta contro la prostituzione schiavistica
di una suora, Rita Giaretta, che lavora a Caserta, un libro scritto dal vivo
di una lotta di lei stessa e di queste donne che si sono tolte dalla strada
dello sfruttamento schiavistico, immaginate le difficolta'... - una enfasi
che mi dava fastidio. L'attribuivo al linguaggio religioso: in effetti il
linguaggio religioso cristiano e' pieno di enfasi quando ci sono queste
bravissime persone che parlano dei poveri, degli esclusi, degli
emarginati... Questa enfasi adesso ho capito che probabilmente e' lo sforzo
di vincere il disprezzo: nello sforzo si fa una specie di ipercorrettismo e
allora si cominciano a dispiegare formule retoriche straordinarie.
Ecco, questo e' il problema che io vedo.
Un ultimo pensiero. Si e' detto che la lotta delle donne e' importante che
non vada a cadere sul piano inclinato del vittimismo, pero' delle vittime ci
sono. Ci sono, esistono realmente, sono anche vicine a noi, sono anche tra
noi, donne che hanno patito o che patiscono la sopraffazione e la violenza
spesso proprio a causa che vogliono bene a qualcuno o hanno voluto bene a
qualcuno o hanno cercato di voler bene, cioe' per la ragione piu' nobile che
ci possa essere, e che si sono trovate incastrate dentro la mente e i
comportamenti e le patologie, e anche dentro una cultura, diciamolo pure.
Allora, ragioniamo contro il vittimismo, ma alle vittime dobbiamo giustizia.
E intendo giustizia nel senso grande della parola, che vuol dire anche onore
e dignita'.
Volevo infine ricordare che su questo percorso noi disponiamo gia' con
frutti piuttosto evidenti, positivi e validi, del lavoro che e' ormai di
dieci e piu' anni delle case delle donne maltrattate - qui c'e' Marisa
Guarneri e altre - in Italia, in Europa e in altri paesi. Le case delle
donne maltrattate hanno ottenuto finora piu' di un risultato, ma il grande
risultato che io qui registro e' che finalmente quello che le donne che li'
lavoravano sapevano dal primo giorno e' diventato senso comune. Sappiamo che
la piu' parte della violenza patita da donne avviene tra le mura di casa, o
comunque ad opera di uomini che sono vicini, con legami; la violenza
occasionale, per strada, che e' quella che riempie i giornali, esiste, ma la
piu' parte e' invece quell'altra forma di violenza, quella che cova nelle
situazioni familiari. L'altro merito che io riconosco alle donne che hanno
lavorato in quelle situazioni, oltre al coraggio personale, e' che loro
hanno saputo passo passo trasformare il rapporto di aiuto che c'era
inizialmente in una relazione - piu' o meno, non posso valutare - politica,
di pratica politica. E questo e' fondamentale, importante perche'
naturalmente la politica delle donne non consiste nell'aiutare, nel
risolvere con leggi ecc. Il lavoro politico delle donne ha come primo
fondamentale traguardo la presa di coscienza della donna interessata: che
sia lei a prendere la parola, che si esprima una libera soggettivita'
femminile la' dove c'era violenza, mutismo, silenzio, vergogna e mura che
chiudevano.
Detto questo, si riparte per la riflessione dalla manifestazione che e'
stata fatta alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne,
perche' noi riflettiamo alla luce della manifestazione di sabato scorso. Non
ignoriamo che c'e' stata una grande manifestazione che aveva un certo tipo
di discorso, di slogan, che ha avuto un certo tipo di svolgimento e che e'
stata commentata variamente come sapete.

5. MONDO. LYDIA POLGREEN: IN NIGERIA SI CAMBIA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo
apparso sul "New York Times" del primo dicembre 2007.
Lydia Polgreen, giornalista, e' corrispondente del  "New York Times"]

Kano, Nigeria. Solo l'anno scorso, la polizia morale sciamava in queste
strade, nelle uniformi blu scuro e con i berretti neri, brandendo manganelli
contro chi evitava le preghiere e trascinando i fornicatori nei tribunali
islamici ad affrontare sentenze quali l'esecuzione pubblica per lapidazione.
Ma in questi giorni, i temuti poliziotti conosciuti come gli "Hisbah" sono
poco piu' di stimati vigili urbani. Sono stati largamente confinati nei loro
alloggi e sono stati assegnati loro compiti inconsueti, come dirigere il
traffico e aiutare gli spettatori delle partite di calcio a trovar posto
nelle tribune.
La "rivoluzione islamica" che pareva destinata a trasformare la Nigeria del
nord in anni recenti sembra essere venuta ed andata: o almeno, e' andata in
una direzione che pochi si sarebbero aspettati. Quando le regioni a
maggioranza musulmana come Kano adottarono la legge islamica dopo la caduta
del regime militare nel 1999, chierici radicali arrivarono in massa dalla
penisola araba, a predicare una versione draconiana del fondamentalismo, e
diedero ai giudici religiosi il potere di sentenziare punizioni crudeli
quali l'amputazione per i ladri. Kano divenne un centro di sentimenti
antiamericani in uno dei paesi africani piu' affidabili per gli Usa.
Ma da allora, molto del furore si e' spento, e la pratica della legge
islamica o sharia, che era andata avanti per secoli nella sfera privata
prima di estendersi alle leggi pubbliche, si e' assestata in un una
mediazione tipicamente nigeriana tra i dettati della fede e le caotiche
realta' della vita moderna in una nazione impoverita. "La sharia deve essere
pratica", mi dice Bala Abdullahi, impiegato statale, "Noi siamo un paese in
via di sviluppo, percio' c'e' una sorta di moderazione reciproca tra le idee
dell'occidente e i valori islamici tradizionali. Tentiamo di tenerli
bilanciati, cosi' non c'e' contraddizione".
Il governo federale ha ceduto sugli Hisbah lo scorso anno, emanando un bando
nazionale contro le milizie religiose ed etniche, e la polizia laica
controllata dallo stato ha poco interesse a far osservare le misure piu'
restrittive della sharia. Anche le violenze tra musulmani e cristiani si
stanno affievolendo nel nord. Ma anche prima di cio', le temute mutilazioni
e le condanne capitali si sono raramente materializzate. Le fustigazioni
pubbliche sono abbastanza comuni, e in Zamfara, la prima regione nigeriana
ad adottare la sharia come base per il codice penale, almeno un uomo ha
avuto la mano amputata nel 2000 per aver rubato una mucca, ma le altre
condanne alla mutilazione sono state eseguite di rado. Nonostante le
numerose sentenze alla lapidazione in una pubblica piazza per adulterio,
note a livello internazionale come quella di Amina Lawal (una donna di
Katsina che aveva dato alla luce una bambina fuori dal vincolo matrimoniale,
cosa che il tribunale religioso nel 2002 aveva addotto come evidenza di
crimine), non una sola lapidazione e' stata effettivamente eseguita. La
prigionia di Amina Lawal termino' l'anno seguente, ed oggi la donna e'
attiva nella politica locale e vive liberamente con la figlia Wasila nella
propria citta' natale.
Il cambiamento ha poco a che fare con le attitudini religiose; la Nigeria
del nord resta una delle regioni musulmane piu' pie dell'Africa, come e'
stato sin da quando le carovane di cammelli attraversando il Sahara
portarono qui l'Islam secoli or sono. A Kano, la principale citta' dello
stato federale omonimo, migliaia di uomini si riversano dagli stretti vicoli
alle vie principali durante il venerdi' pomeriggio, per partecipare alla
preghiera piu' importante della settimana, e praticamente tutte le donne
sono velate. Il mutamento riflette il fatto che le leggi religiose non
trasformano la societa'. Invero, alcuni dei politici piu' zelanti nel
promuovere la sharia oggi si trovano sotto inchiesta per essersi appropriati
indebitamente di milioni di dollari. Molti dei promotori iniziali della
sharia si sentono gabbati dai politici che hanno fatto strada su quest'onda
ma non hanno vissuto secondo i suoi principi, arricchendo se stessi e non
portando miglioramenti alle vite delle persone ordinarie.
"I politici vedono la sharia come accesso al potere politico", dice Abba
Adam Koki, un religioso conservatore che ha criticato le applicazioni
governative locali della sharia, "Sono stati bugiardi. Noi siamo stati
delusi, e non abbiamo avuto quel che speravamo". Di fronte alle reazioni
della cittadinanza ed alle critiche dei gruppi per i diritti umani in casa e
all'estero, i governi degli stati federati nigeriani che avevano abbracciato
la sharia a tutta velocita' e ne avevano reso operativi i dettami piu'
rigidi, ora stanno abbandonando l'enfasi sulle punizioni e le proibizioni
per un approccio piu' soffice che sottolinea altri aspetti della legge
islamica: come la carita', i diritti delle donne e il dovere dei musulmani
di tenere pulito il loro ambiente.
"La sharia non ha a che fare solo con il taglio delle mani", dice Muzammil
Sani Hanga, membro della Commissione sulla sharia di Kano, ed esperto
giuridico che ha contribuito a stendere il codice islamico di stato, "E' un
intero modo di vivere". Sono nati nuovi programmi che incoraggiano i
genitori a mandare le figlie alle scuole elementari pubbliche, scuole miste
che offrono insegnamenti islamici, alfabetizzazione e matematica, in accordo
con il principio islamico che chiede l'istruzione delle ragazze. In molte di
queste classi le bambine sono assai piu' numerose dei bambini, e l'Agenzia
per lo sviluppo internazionale statunitense e' cosi' impressionata dal
potenziale di questi programmi che circa un terzo delle scuole che finanzia
in Nigeria sono allo stesso tempo islamiche e laiche (secondo quel che
dicono i funzionari dell'Agenzia).
Le esortazioni islamiche alla pulizia vengono usate dal governo per
incoraggiare il riciclaggio della plastica. Un governatore, citando il
dovere islamico di curarsi degli indigenti, ha di recente istituito un
sussidio mensile per i mendicanti disabili. "Il nostro approccio e' una
sharia umana, non una sharia punitiva", sostiene Bala A. Muhammad, direttore
a Kano del programma statale "A Daidaita Sahu", che in lingua Hausa
significa "serrate le fila". E' un riferimento alle linee formate dai
musulmani in preghiera, ed una metafora per l'ordine richiesto nella vita
quotidiana dal Corano. Centinaia di riscio' gialli motorizzati sono stati
messi a disposizione delle donne per spostarsi, poiche' alle donne e' stato
proibito di usare i taxi-motocicletta che si usano qui. "Come donna
musulmana voglio essere modesta", dice Amina Abubkar, una delle clienti dei
riscio', mentre sale sul mezzo e tira la tendina che preservera' la sua
privacy, "Questo modo di muoversi e' confortevole e piu' sicuro".
E' evidente che elementi di conservatorismo resistono in alcune zone. In
ottobre, un tribunale islamico a Kaduna ha emanato un bando su una piece
satirica di Shehu Sani, attivista per i diritti umani, che trattava di un
politico corrotto e manipolatore. Ma il mutamento sta aiutando a diminuire
le tensioni tra musulmani e cristiani in un paese in cui i conflitti settari
hanno ucciso migliaia di persone nell'ultimo decennio. "La cosa ha causato
un cumulo di dolore", dice il reverendo Foster O. Ekeleme, pastore metodista
a Kano, che guida una congregazione composta per lo piu' da Ibo nella
Nigeria del sudest, "Chiese cristiane sono state bruciate. Cristiani sono
stati uccisi. Moltissime persone sono state costrette a divenire profughi.
Ma ora la situazione si sta calmando". Il reverendo ha appena ricevuto la
visita di un consigliere del governatore di Kano, un cattolico Ibo, Chris
Azuka, che e' stato incaricato di migliorare le relazioni tra le fedi nella
regione. "L'idea della sharia e' promuovere giustizia sociale, non creare
conflitti religiosi e violenza", dice Akuza.
I musulmani del nord e i cristiani del sud sono convissuti a lungo, per
quanto non facilmente, in quella che e' la Nigeria moderna. Due secoli
orsono, i governanti Hausa del nord iniziarono una jihad per convertire gli
abitanti del sud all'Islam e sebbene riuscissero a raggiungere solo il
centro del paese, le traumatiche conseguente di quel periodo vengono
avvertite ancor oggi. Piu' di recente, l'elite Hausa ha dominato l'esercito,
mentre gli Yoruba e gli Ibo hanno dominato la vita commerciale ed
intellettuale. Secondo i dati delle ong umanitarie internazionali, dalle
11.000 alle 15.000 persone sono state uccise in conflitti etnici e settari
in Nigeria dal ritorno della democrazia nel 1999.
Nello stato di Jigawa, la violenza religiosa e' esplosa nel settembre 2006,
nel bel mezzo delle tensioni politiche che precedevano le elezioni del 2007.
Una donna musulmana dichiaro' che una cristiana aveva insultato il Profeta
Muhammad e masse di giovani musulmani assalirono le chiese cristiane nella
capitale, Dutse, bruciandone molte sino alle fondamenta. In una delle
chiese, Nadi Dangana, la moglie del pastore, si salvo' a stento saltando un
muro, prima che i giovani abbattessero la cancellata. "Abbiamo salvato le
nostre vite", racconta, "ma tutto cio' che possedevamo e' andato perduto".
La chiesa venne ridotta in cenere, il suo altare e la sua croce a frammenti.
Al suo posto vi e' ora una sorta di santuario all'aperto, coperto solo da
resti anneriti di tetto.
In queste giorni le tensioni si sono raffreddate, ribadisce Garba Shehu, ex
musulmano di Dutse ora convertito al cristianesimo evangelico. Quando il
governatore firmo' la legge che istituiva il sussidio per i mendicanti,
invito' tre membri del clero cristiano a pregare assieme a tre membri del
clero musulmano. "Ringraziamo Dio perche' non vediamo gli stessi screzi di
prima", dice ancora Shehu, "Siamo liberi di praticare la nostra fede senza
paura".

6. MEMORIA. FRANCESCA BORRELLI RICORDA MAGDA SZABO'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 novembre 2007, col titolo "Addio a
Magda Szabo', autrice di grandi personaggi" e il sommario "La grande
scrittrice ungherese e' morta ieri a Debrecen. Aveva novant'anni e doveva la
sua notorieta' all'estero a Hermann Hesse, che per primo la fece tradurre,
alla fine degli anni '50, quando era ancora al bando".
Francesca Borrelli si e' laureata in lettere moderne con indirizzo in
critica letteraria, con tesi sulle Strutture concettuali e iconiche
nell'opera di Carlo Emilio Gadda; dall'87 redattrice culturale del
quotidiano "Il manifesto", di cui ha diretto, nella precedente veste
grafica, il supplemento libri. Attualmente e' inviata per la sezione
cultura; ha collaborato a diverse riviste letterarie con recensioni e
interviste; nel secondo semestre del 1997 ha tenuto diversi seminari nelle
universita' statunitensi di Yale, Berkely, Browne, Harvard; ha pubblicato
molti saggi, ed ha tra l'altro curato i volumi di AA. VV., Un tocco di
classico, Sellerio, Palermo, 1987; e AA. VV., Pensare l'inconscio. La
rivoluzione psicoanalitica tra ermeneutica e scienza,  Manifestolibri, Roma
2001.
Magda Szabo' (Debrecen, 1917-2007), e' una delle piu' grandi scrittrici
ungheresi; autrice di numerosi romanzi, drammi, raccolte di versi. Tra le
opere di Magda Szabo': L'altra Ester, Feltrinelli, Milano 1964; Lolo', il
principe delle fate, Anfora, 2005; La porta, Einaudi, 2005, 2007; La ballata
di Iza, Einaudi, 2006; Abigail, Anfora, 2007]

Un mondo fatto di fisionomie, oggetti, valori desueti eppure non troppo
remoti perde con Magda Szabo' la possibilita' di affidarsi a una voce
narrante in grado di resuscitarne le attrattive, di evocarne i costumi, di
restituirne le atmosfere. Solo l'appartenenza a una lingua poco tradotta,
quella ungherese, e l'isolamento in un universo mortificato dal
totalitarismo ha potuto fare si' che una scrittrice di cosi' notevole
statura, in grado di disegnare personaggi tra i piu' coerenti che la
letteratura contemporanea abbia messo in scena, arrivasse alla notorieta'
tanto tardi e con cosi' pochi dei suoi titoli tradotti in Italia.
E' di ieri la notizia che Magda Szabo' e' morta nella sua casa di Debrecen,
la citta' dove era nata novant'anni fa da una famiglia dell'alta borghesia
protestante. Nella sua lunga esistenza aveva attraversato tappe tra le piu'
fondamentali e dolorose della storia recente: venuta al mondo mentre
l'impero asburgico stava crollando, compiva due anni quando i soviet di Bela
Kun tentavano il loro breve esperimento rivoluzionario, per poi farsi
sopraffare dalla reazione del nazionalista Miklos Horthy. Poi arrivo' la
stagione in cui Budapest fu occupata dai rumeni, e l'anno dopo - con la pace
di Trianon - il territorio dell'Ungheria venne ridotto di un terzo. La crisi
politica porto' alla rovina anche l'economia, ma i ricordi peggiori di Magda
Szabo' non erano affatto ancorati alla sua infanzia: con quel rancore che e'
cosi' tipico degli intellettuali dell'est, la scrittrice ungherese
raccontava degli anni '50 come fossero un incubo congelato nel tempo e dal
quale non aveva ancora consumato le distanze necessarie a storicizzarlo. Per
quanto giustificato, il suo risentimento la rendeva schiava di catene
mentali che sembravano sciogliersi solo tra le pagine dei suoi romanzi,
grazie alla presa di distanza che le era necessaria a disegnare i profili
dei suoi personaggi indimenticabili.
Chi ha letto La porta (Einaudi, 2006) non potra' togliersi facilmente dalla
testa la figura imperiosa di Emerenc, una donna che fece effettivamente
parte della vita di Magda Szabo', accompagnandola negli anni prima come
domestica, poi come amica e dunque come protagonista di uno dei suoi libri
meglio riusciti. Piu' simile a una valchiria che a una cameriera, la figura
di Emerenc imprigiona il lettore attirandolo in una trama la cui
essenzialita' e' funzionale a consegnare risalto al protagonismo di lei, che
si muove tra le pagine con la prepotenza della prima attrice, esibendo la
sua operosita', godendo della fiducia di tutti pur non fidandosi di nessuno,
guardando con disprezzo la sua datrice di lavoro affannata nelle beghe della
scrittura, e parlando indifferentemente con umani, animali e stracci per
pulire i pavimenti, mansione alla quale si dedica con le energie necessarie
a tenere lontani i ricordi dei suoi affetti brutalizzati da una fortuna
avversa, quegli affetti che hanno convertito la sua vulnerabilita' in una
ruvidezza apparentemente impenetrabile.
Un giorno, Magda Szabo' - che credeva nella forza del destino - ando' a
trovare una indovina e da lei venne a sapere che le sue doti sarebbero state
premiate dal successo: lo raccontava per introdurre nei suoi ricordi il
ruolo provvidenziale di Herman Hesse. Fu proprio lui, infatti, a raccogliere
dalle mani di una amica comune il primo romanzo di Magda Szabo' che varcava
clandestinamente le frontiere: si intitolava L'affresco e aveva per
protagonista una giovane donna destinata a diventare pittrice, in fuga dai
rigori della sua famiglia protestante. Pubblicato in Germania nel '59, il
libro fece rapidamente emigrare la notorieta' di Magda Szabo' all'estero,
mentre in Ungheria l'editrice Corvina non osava proporre altro che i suoi
libri per ragazzi (uno dei quali e' da due anni nel catalogo delle edizioni
Anfora con il titolo Lolo' il Principe delle Fate).
Nel decennio precedente le era andata anche peggio: non soltanto le sue
raccolte di poesie, i suoi drammi e la sua narrativa erano al bando, ma lei
stessa perse il lavoro che svolgeva al Ministero della pubblica istruzione.
Passo' cosi' un decennio di silenzio, poi agli inizi degli anni '60 le prime
avvisaglie di una qualche fortuna, e da noi la traduzione per Feltrinelli di
un romanzo intitolato L'altra Ester e mai piu' ristampato, in cui una
attrice teatrale ripercorre la sua vita a partire dall'infanzia, e lo fa
affidandosi alla sua memoria basculante tra passato remoto e presente.
Nell'Ungheria degli anni '60 e' anche ambientato il secondo dei romanzi di
Magda Szabo' tradotti da Einaudi, La ballata di Iza, stupefacente per la
tensione che riesce a sprigionare mentre affianca due mondi separati da una
generazione appena, i cui valori sono tuttavia gia' intraducibili l'uno
all'altro. Da una parte gli interni della casa di provincia nella quale si
avvia il romanzo, con la vecchia Etelka intenta a consumare le prime ore
della sua vedovanza; dall'altra parte il mondo della figlia che la accoglie
nella sua casa di Budapest, dove la modernita' dovrebbe offrire conforti
ovviamente inadeguati a compensare gli affetti perduti. E tra loro il
personaggio di Antal, ex marito di Iza e suocero di Etelka, nonche'
incarnazione vicaria di tutto cio' che Magda Szabo' sembra avere inseguito
come un sogno perduto.

7. MEMORIA. VANNA VANNUCCINI RICORDA MAGDA SZABO'
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del
21 novembre 2007 col titolo "Il rigore di Magda Szabo" e il sommario "Era
nata in una famiglia di scrittori e di professori a Dobrecen, una citta'
universitaria: era sempre stata una perfezionista".
Vanna Vannuccini, tra le fondatrici di "Effe", una delle prime riviste
femministe italiane; inviata speciale de "la Repubblica", e' stata per molti
anni corrispondente dalla Germania, da anni e' corrispondente dall'Iran. Tra
le Opere di Vanna Vannuccini: Donne e terrore, Rowohlt 1979; Quarant'anni in
faccia, Rizzoli, Milano 1982; (con Francesca Predazzi), Piccolo viaggio
nell'anima tedesca, Feltrinelli, Milano 2004, 2005; di prossima
pubblicazione: Rosa e' il colore della Persia. Il sogno perduto di una
democrazia islamica, Feltrinelli, Milano 2006]

Il destino, aveva detto. Scrivere era stato per lei un destino. La
letteratura il suo pane quotidiano, leggere scrivere e insegnare le tre
attivita' della sua vita. Dopotutto era nata in una famiglia di scrittori e
di professori, in una citta' universitaria, Dobrecen, famosa per aver dato i
natali ad autori famosi. E il destino si e' compiuto anche nell'ora della
morte.
Magda Szabo si e' spenta a novant'anni con un libro in mano, seduta sulla
poltrona sulla quale passava i pomeriggi, nella casa di Budapest, a leggere
e pensare. "Alla scrivania mi siedo solo quando ho gia' tutta la storia in
testa", mi disse. "Solo che di tanto in tanto succede che il protagonista in
mezzo al racconto cambi idea e voglia qualcos'altro". Cosi' anche il piano
nella sua testa doveva cambiare. Una perfezionista era sempre stata, come le
protagoniste dei suoi romanzi: Iza (ne La Ballata di Iza) una donna bella
intelligente e generosa il cui tratto dominante e' il rigore. Oppure Emerenc
(ne La Porta), la donna di servizio alta e ossuta con una capacita' di
lavoro sovrumana e una dedizione totale agli altri ma allo stesso tempo un
acuto senso d'indipendenza. "L'eccesso di rigore tradisce in fondo una
freddezza del cuore di cui solo tardi ci rendiamo conto".
Dobrecen era la citta' che l'aveva plasmata, una citta' dell'Ungheria
orientale diversa dalle altre citta' ungheresi, una sorta di Vaticano del
calvinismo come e piu' che Ginevra. Li' era nata nel 1917, ancora in
un'Ungheria feudale, poi spezzettata dal Trattato del Trianon, a cui erano
seguiti il fascismo e quarant'anni di comunismo. Infine l'ingresso
nell'Unione europea. "Potersi esprimere in liberta' e' una grande conquista,
anche se e' costata all'Ungheria uno sconvolgimento economico che ha reso
difficile la vita a tanti". A Dobrecen, a soli 15 anni, aveva scoperto il
suo talento letterario mentre ancora studiava "in un rigoroso collegio
calvinista per ragazze". Aveva studiato tedesco e inglese, poi
all'universita' aveva preso una laurea in latino e ungherese.
Di tutti gli scrittori ungheresi la sua riconoscenza andava soprattutto a
Kazynsky Ferenc: "dobbiamo a lui se la nostra lingua e' risuscitata dalla
morte". I sommovimenti storici avevano fatto si' che in Ungheria non
esistesse una lingua letteraria, "capace di dar voce alle sofferenze della
nazione". "Gli intellettuali parlavano latino, l'aristocrazia inglese, i
borghesi tedesco, le dame dell'alta societa' francese o tedesco. Solo i
contadini parlavano ancora ungherese, la lingua dei magiari che nel IX
secolo si erano installati tra il Don, il Danubio e il mar Nero".
Perche' scrive? le chiesi. Non era, ammetto una domanda originale. Lei
rispose con un'altra domanda: perche' cantano gli uccelli?

8. RILETTURE. CATIA DINI: AL SERVIZIO DEL COSMO
Catia Dini, Al servizio del cosmo. Esperienze di autogestione nei villaggi
indiani secondo lo spirito di Gandhi, Emi, Bologna 1998, pp. 208, lire
20.000. Una acuta studiosa impegnata nella cooperazione internazionale
presenta molte straordinarie esperienze di organizzazione economica e
sociale nonviolenta nell'India rurale; un libro che vivamente raccomandiamo.
Per richieste alla casa editrice: Emi, via di Corticella 179/4, 40128
Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552, e-mail: sermis at emi.it,
stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it

9. RILETTURE. ANNA MARIA DONNARUMMA: GUARDANDO IL MONDO CON OCCHI DI DONNA
Anna Maria Donnarumma, Guardando il mondo con occhi di donna. Dalla
dichiarazione dei diritti umani 1948 alla IV conferenza mondiale delle donne
1995. Una ricostruzione storico-giuridica, Emi, Bologna 1998, pp. 352, lire
30.000. Muovendo dall'esperienza della IV conferenza mondiale delle donne di
Pechino del 1995, e ricostruendo il percorso del riconoscimento giuridico
dei diritti umani delle donne a partire dalla Dichiarazione universale dei
diritti umani del 1948, questo libro offre una raccolta di materiali e di
riferimenti ancora assai utile. Per richieste alla casa editrice: Emi, via
di Corticella 179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax: 051327552, e-mail:
sermis at emi.it, stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito: www.emi.it

10. RILETTURE. CHRISTINA LIAMZON, ANNETTE KRAUSS, KARL OSNER, PRIA: IL
POTERE DELLE ESCLUSE
Christina Liamzon, Annette Krauss, Karl Osner, Pria, Il potere delle
escluse. Assunzione di responsabilita' delle donne per un altro sviluppo,
Emi, Bologna 1999, pp. 160, euro 8,26. Il libro, un'analisi di esperienze
concrete che e' anche una proposta di metodo e di azione, si articola in tre
densi capitoli (arricchiti ciascuno da allegati documentari di grande
interesse): il primo di Christina Liamzon sul concetto di empowerment; il
secondo di Annette Krauss e Karl Osner sull'esperienza dell'Associazione
delle donne auto-occupate (Sewa) in India; il terzo a cura della Societa'
per la ricerca partecipata in Asia (Pria) sull'esperienza dell'ong indiana
Aikya. Con una presentazione di Alberto Castagnola. Per richieste alla casa
editrice: Emi, via di Corticella 179/4, 40128 Bologna, tel. 051326027, fax:
051327552, e-mail: sermis at emi.it, stampa at emi.it, ordini at emi.it, sito:
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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 144 del 13 dicembre 2007

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