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Minime. 300
- Subject: Minime. 300
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 11 Dec 2007 00:34:50 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 300 dell'11 dicembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: I regali della Befana 2. Luca Galassi: Finanziaria in divisa 3. Paul Jay intervista Malalai Joya 4. Ida Dominijanni: Il sole nero della malinconia 5. Elham Gheytanchi: Con la scusa della "sicurezza nazionale" 6. Anna Maria Merlo intervista Robert Castel 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: I REGALI DELLA BEFANA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dellvAssociazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Gianni Rodari e' nato a Omegna nel 1920; maestro, antifascista, militante comunista, giornalista, scrittore; nel 1970 riceve il Premio Andersen (il massimo riconoscimento per la letteratura per l'infanzia); muore nel 1980. Tra le opere di Gianni Rodari di particolar interesse dal nostro punto di vista e' la Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, piu' volte ristampata; nel 1990 Emme Edizioni ed Einaudi in collaborazione hanno avviato la pubblicazione delle Opere complete di Gianni Rodari. Opere su Gianni Rodari: cfr. almeno Marcello Argilli, Gianni Rodari. Una biografia, Einaudi, Torino 1990; Pino Boero, Una storia, tante storie. Guida all'opera di Gianni Rodari, Einaudi, Torino 1992; Carmine De Luca, Gianni Rodari. La gaia scienza della fantasia, Abramo, Catanzaro 1991; Patrizia Zagni, Gianni Rodari, La Nuova Italia, Firenze 1975] "Si e' dimenticato di dire - dice un signore all'autore - che la Befana porta i regali solo ai bambini buoni. Ai cattivi no". L'ho guardato per trenta secondi , poi gli ho domandato: "Preferisce che le stacchi un orecchio o che le mangi il naso?". "Come dice, scusi?". "Le domando se vuole un'ombrellata in testa o un chilo di ghiaccio nel collo della camicia. Ma come si permette lei, piuttosto, di sostenere ancora che esistono bambini cattivi? Si metta in ginocchio e chieda perdono". "Che cosa vuol fare con quel martello?". "Glielo picchio sul dito mignolo, se non giura subito che tutti i bambini sono buoni. Soprattutto quelli che non ricevono regali, perche' sono troppo poveri. Allora, giura o no?". "Giuro, giuro". "Benissimo. Guardi, me ne vado e non le sputo nemmeno in faccia. Sono troppo buono, io". Citazione, di grande ironia nei confronti del presente, tratta dalle Novelle fatte a macchina, di Gianni Rodari, del 1973, relativa alla storia della Befana. Cosi', non a caso, nella precedente reinvenzione della favola tradizionale, sempre di Rodari e sempre relativa alla Befana, La freccia azzurra (1964), vediamo i giocattoli esposti in vetrina insorgere, commossi dalle lacrime di Francesco, il bambino povero, e decidere di raggiungere Francesco, grazie al fiuto del cane Spicciola, che segue la "pista odorosa" lasciata dalle scarpe rotte del bambino. Avviene, dunque, un atto di giustizia. Anzi, nel corso della narrazione, gli atti di giustizia si moltiplicano. Lungo la strada i vari giocattoli vanno a rendere felici diversi bambini poveri, che seguendo le leggi ferree dell'economia e della societa' divisa in classi sarebbero rimasti senza regali. La "reinvenzione" da parte di Rodari ha la funzione di prospettare una societa' piu' giusta, nella quale non ci siano ricchi e poveri e tutti possono essere felici, sin dall'infanzia. Per come siamo conciati oggi (un'Italia sempre piu' povera e a rischio di derive razziste, per citare il recentissimo rapporto del Censis: "Una mucillagine, un insieme inconcludente di individualismo che non guarda al futuro"), sembra davvero che l'aspettativa di un mondo piu' giusto sia relegata unicamente nel mondo delle fiabe. Ma le fiabe sono storie, apparentemente bugiarde, che si raccontano per dire la verita'. Sono passati quasi cinque anni, dal mio viaggio in Nicaragua; e delle tante cose che mi sono portato dentro, l'immagine del gruppetto di tre bambini "cattivi" (che non riceveranno regali dalla Befana) a Matagalpa, e' forse quella che piu' mi tormenta, per la totale impotenza provata. Lei, la piu' alta, con un vestitino bianco consunto, che protegge i due fratellini; lui in mezzo, e il piu' piccolo, succhiandosi il dito, mentre ci chiedono di regalargli qualche spicciolo. Allora, come oggi, cerco di chiedermi quand'e' che uno gia' non pensa, gia' non si spaventa nemmeno nel vedere questa magrezza, i capelli tosati, gli zigomi di un'altra eta' sui loro visi di pochi anni. In quale momento uno gia' non pensa e si gira a guardare da un'altra parte e comincia a pensare ad altre cose, a parlare di altro, a scrivere altre cose. Dicembre mi e' sempre sembrato il mese piu' triste, dove per paradosso e nonostante le luci, i rumori e la scarsa tredicesima, la poverta' di questo popolo si vede ancora di piu' in carne viva. Ci sono due Nicaragua, ogni giorno piu' lontane, e pietra su pietra, per ogni centro commerciale per pochi, per ogni attivita' illegale, per ogni bustarella di corruzione, per ogni zona franca che si apre, questo muro di rumore si eleva sempre piu' alto. Questa forma costante di poverta' che dobbiamo vincere ogni giorno, questa abitudine alla magrezza estrema, questo dicembre di poverta' che finisce con il desiderio, ostinatamente ingenuo che girando l'angolo dell'anno alcune cose cambieranno davvero. Questa rabbia che da' la magrezza di piccole braccia che si allungano verso la vetrina di un negozio di questa strada. Questa rabbia, questa rabbia, che almeno lei non scappi, fuggendo sotto il rumore. 2. SPESE MILITARI. LUCA GALASSI: FINANZIARIA IN DIVISA [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 6 dicembre 2007, dal titolo "Finanziaria in divisa" e il sommario "Ventun miliardi alla Difesa, Natale ricco per le aziende belliche". Luca Galassi, giornalista impegnato per la pace e i diritti umani, e' inviato di "PeaceReporter"] Le minacce del XXI secolo, evocate con forza sempre maggiore, dopo l'11 settembre, ad ogni vertice annuale della Nato, si chiamano terrorismo e armi di distruzione di massa. Entrambe hanno fatto della paura un elemento di strategia politica. E per contrastare la paura si affinano e si consolidano i sistemi di difesa. Ovvero: ci si arma. Secondo il Sipri (Istituto di studi per la pace di Stoccolma) nel mondo le spese militari sono cresciute nel 2006 del 3,5% rispetto all'anno precedente, superando i mille miliardi di dollari (quasi 680 milioni di euro). Nella classifica dei Paesi produttori di armi, l'Italia e' al settimo posto, con 20 miliardi di euro. Il nostro Paese destina al settore difesa l'1,5% del proprio prodotto interno lordo. * Risorse sparse Le spese militari rappresentano una delle voci piu' onerose nel bilancio del nostro Paese. Grazie alla Finanziaria, passata a fine estate al Senato per un pugno di voti e in attesa della votazione alla Camera, sono previsti stanziamenti per 23 miliardi e 352 milioni di euro (21 miliardi nel bilancio preventivo della Difesa, 2.424 aggiunti dalla Finanziaria). L'aumento rispetto al 2007 (la misura allora ammontava a 21 miliardi e 11 milioni) e' dell'11,1%. Le previsioni di spesa per il comparto militare, invece di far capo solo al ministero della Difesa, sono disseminate nelle piu' disparate allocazioni: oltre alla Finanziaria e al bilancio della Difesa, come detto, i contributi spaziano dal ministero per l'Economia a quello dello Sviluppo economico. Essendo sparse in vari bilanci, le risorse rendono opaca la loro interpretazione. Vediamo di cominciare a far luce sulla loro allocazione, andando a verificare, punto per punto, dove e a cosa sono destinate le risorse stanziate nella Legge Finanziaria. L'articolo 5, comma 12, stanzia un fondo di 107 milioni di euro per il pagamento dell'accisa (imposta) sui prodotti energetici delle Forze Armate. All'articolo 21 del Disegno di Legge, il comma 1 recita: "Per l'organizzazione del vertice G8 previsto per l'anno 2009 e' stanziata la somma di euro 30 milioni per l'anno 2008". Il vertice si terra' alla Maddalena, in Sardegna, da dove il mese scorso sono partiti 1.500 soldati Usa, nell'ambito della dismissione della base militare, che verra' definitivamente lasciata dalla Marina statunitense nel febbraio 2008. L'articolo 22 integra con 30 milioni di euro il taglio del 15% della scorsa Finanziaria per la "professionalizzazione" delle Forze Armate; stanzia inoltre 140 milioni di euro per "garantire la capacita' operativa" delle stesse. Venti milioni di euro vanno poi all'arsenale della Marina militare di Taranto e 40 per il funzionamento dell'Arma dei Carabinieri. Nell'articolo 31 si propone l'allocazione di risorse per: 15 velivoli addestratori Aermacchi M346; 12 elicotteri Agusta Westland EH101; sistema di comunicazioni Sicote per i Carabinieri in funzione anti-terrorismo; progetto Soldato futuro; partecipazione, con la Francia, alla costruzione del satellite di comunicazioni Sicral 2. Per l'attuazione di tale piano sono autorizzati contributi quindicennali per un totale di 1 miliardo e 50 milioni di euro. All'articolo 31, comma 2, figurano, per la partecipazione al programma del Caccia Eurofighter: 318 milioni di euro per il 2008, 468 per il 2009, 918 per il 2010, 1.100 per il 2011 e 1.100 per il 2012. Aggiunti a quelli gia' previsti dalla Tabella F della Finanziaria (importi da iscrivere in bilancio alle autorizzazioni di spesa delle leggi pluriennali), si raggiungono, per 5 anni, 4.884 milioni di euro. Al comma 3, si dispone l'erogazione di ulteriori fondi per il programma di sviluppo delle fregate multiruolo Fremm, in cooperazione con la Francia. Il totale e' di un miliardo e 50 milioni in 15 anni. Sempre nella Tabella F della Finanziaria vi sono fondi aggiuntivi per le fregate Fremm di circa 800 milioni di euro. Nell'articolo 93, per esigenze legate alla tutela dell'ordine pubblico, e' previsto, per un piano di assunzioni, uno stanziamento di 50 milioni di euro per il 2008, di 120 per il 2009 e di 140 per il 2010. Risorse, queste, destinate all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, alla Polizia penitenziaria e al Corpo forestale. L'articolo 95 destina 200 milioni di euro in piu' per 2008, 2009 e 2010 ciascuno per i rinnovi contrattuali e la "valorizzazione delle specifiche funzioni svolte nella tutela dell'ordine pubblico e della difesa nazionale". Destinatari il corpo di Polizia e le Forze Armate. Nella tabella del ministero per l'Economia e' inoltre iscritto oltre un miliardo di euro per il finanziamento delle missioni italiane all'estero. In conclusione, le spese militari aumentano, a dispetto delle promesse del governo Prodi. Che nel programma pre-elettorale si era impegnato, "nell'ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti". Promesse da marinaio. 3. TESTIMONIANZE. PAUL JAY INTERVISTA MALALAI JOYA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la trascrizione dell'intervista rilasciata da Malalai Joya a The Real News Network nel novembre 2007. Zaa Nkweta, nato in Camerun, residente in Canada, e' reporter con vasta esperienza internazionale e multimediale. Paul Jay e' nato e cresciuto a Toronto, in Canada; autore cinematografico, ha presentato i suoi film in 25 tra i maggiori festival e ha vinto decine di premi; lavora anche come creatore e produttore esecutivo alla Cbc nella trasmissione "Newsworld's flagship debat program"; ha fondato la sede del "Canadian international documentary film festival"; e' direttore del notiziario di "The Real News Network". Malalai Joya e' una deputata e prestigiosa attivista per i diritti umani afgana; un suo profilo scritto da Giuliana Sgrena e' nel n. 1313 de "La nonviolenza e' in cammino", altri utili materiali in "Minime" n. 104, "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 109, "La domenica della nonviolenza" n. 122] Presentazione di Zaa Nkweta: All'eta' di 29 anni, Malalai Joya e' il membro piu' giovane del Parlamento afgano. E' stata eletta nel settembre 2005, risultando seconda come numero di voti nella provincia di Farah. Si e' guadagnata riconoscimenti internazionali per aver parlato contro la corruzione in Afghanistan ed ha ricevuto numerose minacce di morte. Il 22 maggio 2007 e' stata sospesa dal Parlamento a causa delle sue critiche ai signori della guerra ed al governo centrale. Il direttore del nostro notiziario, Paul Jay, ha realizzato la seguente intervista. * - Paul Jay: Malalai, quando io ero in Afghanistan nel 2002, a girare un filmato, la gente era ottimista. Direi che sentivo soprattutto due cose: la grande gioia per la fine del regime talebano e la speranza di cambiamento. Ma un'altra cosa che sentivo spesso era che se gli Usa e le truppe occidentali erano seri la loro prima azione doveva essere il disarmo dei signori della guerra. Cos'e' accaduto da allora? Perche' non penso che avrei il coraggio di girare un filmato in Afghanistan ora, da quanto pericoloso il paese e' diventato. - Malalai Joya: I sentimenti del nostro popolo, quando la dominazione talebana cesso', erano gli stessi di quando i russi se ne andarono e i mujahideen andarono al potere. La gente era felice: adesso che questi vanno al potere, pensavano, porteranno prima di tutto sicurezza, poi democrazia, e diritti per le donne, perche' questi sono valori nel nostro paese. Ma sfortunatamente questi gruppi non sono mujahideen per davvero, sono fondamentalisti, e la fondazione dei loro sette-otto partiti era nei programmi della Cia e dell'Isi (la centrale di spionaggio pakistana). Ecco perche' hanno subito cominciato a lottare fra di loro per il potere. E dal 1992 al 1996, hanno ucciso 65.000 innocenti solo a Kabul, e hanno commesso enormi violenze contro i diritti delle donne e i diritti umani in genere. Gli stessi crimini dei talebani. Dopo la fine del loro dominio la nostra gente era piena di speranza che qualcuno per bene salisse al governo, gente democratica e dalla mente aperta. * - Paul Jay: Pero', quando leggiamo i reportage dei media sull'Afghanistan, la storia di base che ci raccontano e' che la democrazia e' assediata da talebani estremisti e che le truppe canadesi e americane combattono per difendere questo governo democratico. Cosa pensi di quel che i nordamericani sentono della questione? - Malalai Joya: Questa e' la politica tipica degli Usa: vogliono gettare polvere negli occhi della gente, in tutto il mondo, affinche' si dica che e' bene avere eserciti in Afghanistan, andare in Afghanistan a liberare la gente. Disgraziatamente, non solo le truppe non hanno portato sicurezza al paese, ma l'hanno ulteriormente sacrificata. C'e' stato questo sondaggio, in Afghanistan, a cui la maggior parte delle persone ha risposto "va bene" rispetto alla presenza di eserciti stranieri, ma quel che non viene detto e' che il sondaggio non ha coperto l'intero paese. Perche'? Perche' oggi il governo di Karzai non ha controllo al di fuori di Kabul. Chi ha fatto il sondaggio non ha potuto neppure andarci, nelle province piu' lontane, per ragioni di sicurezza. * - Paul Jay: La gente nel sud, attorno a Kandahar e simili, ho sentito che in maggioranza costoro probabilmente vorrebbero che le truppe straniere lasciassero il paese. Ma a Kabul la situazione, credo, e' piu' complicata. La gente di Kabul vorrebbe che gli eserciti se ne andassero? - Malalai Joya: La nostra gente resta vittima comunque della situazione. Se le truppe se ne vanno, e' possibile che la guerra civile abbia inizio in Afghanistan. Ma se queste truppe restano in Afghanistan a fare gli interessi degli Usa, che sono una democrazia fasulla, e la farsa della guerra al terrorismo, e' altrettanto possibile un altro 11 settembre da qualche parte nel mondo. E' per questo che noi diciamo: scegliamo un'altra alternativa che minimizzi almeno le minacce di guerra civile. * - Paul Jay: Cosa dovrebbero dire i canadesi e gli americani ai loro governi? Cosa pensi che vogliano gli afgani dagli stranieri? - Malalai Joya: Tu sai che io conosco il popolo afgano. Vogliono essere liberi. Non accettano l'occupazione. Come ho gia' avuto occasione di dire, brevemente, in altre occasioni, chiunque conosca un po' di storia del nostro paese capisce che non accettiamo le occupazioni. Se gli Usa e i loro alleati continuano con un certo tipo di politiche, prima o poi si troveranno di fronte la resistenza della nostra gente. Nelle province piu' distanti la situazione e' sempre peggiore, in special modo riguardo alla sicurezza, che e' cosi' importante per noi. Oggi ci troviamo tra due potenti nemici, mujahideen e talebani. Come in un sandwich, da una parte c'e' l'Alleanza del nord, che la pensa allo stesso modo dei talebani, e che e' andata al potere con il sostegno degli Usa: la gente non ne puo' piu' di questi corrotti, signori della guerra e governatorati basati sulla droga. Prendi Rashid Dostrum, uno dei criminali denunciati anche da Human Rights Watch. Lui ha il suo governo personale, e non obbedisce a quello di Kabul. Hanno le loro prigioni, questi fondamentalisti, come Sayyaf o Rabbini, e la lista sarebbe lunga, ma questa e' comunque l'Alleanza del nord che controlla l'Afghanistan. Per questo noi diciamo che sono piu' pericolosi dei talebani. * - Paul Jay: Cosa possiamo fare per aiutare te nel tuo lavoro, e le persone come te? - Malalai Joya: Ovviamente l'atto del Parlamento che mi espelle e' completamente illegale, contrario alla liberta' di parola. Stanno concedendo amnistie ai criminali, perche' sono loro stessi, si perdonano da soli. E' facile per loro. Oggi hanno buttato fuori me, domani espelleranno il prossimo parlamentare democratico che li contrasti. Non e' la prima volta, per me; mi hanno sospesa sin da quando il Parlamento si e' costituito. E in seguito, ogni volta in cui volevo parlare, mi spegnevano il microfono. Non vogliono sentire la verita'. Mi hanno minacciata di morte. Lo stesso Sayyaf, nel bel mezzo del Parlamento, ha dichiarato: "Diamole qualche colpo di coltello, cosi' dopo capira' chi sono i mujahideen". Questa gente controlla il paese. Alcuni sono deputati, altri ministri, ambasciatori, governatori, comandanti, e controllano l'Afghanistan. E la nostra gente e' in ostaggio, nelle loro mani. Non so che dirti, questa e' la situazione. 4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL SOLE NERO DELLA MALINCONIA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre 2007. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] Poltiglia di massa, indifferente al futuro e ripiegata su se stessa. Mucillagine inerte e inconcludente. Coriandoli individualisti che galleggiano solo per appagato imborghesimento. Aspirazioni senza scopo e senza mordente che separano e non uniscono. E su tutto, istituzioni incapaci di riattivare processi di coesione sociale. Sono citazioni testuali dal Rapporto Censis 2007, che stavolta non risparmia ne' i sostantivi ne' gli aggettivi per descrivere lo stato di vulnerabilita' della societa' italiana. E non risparmia neppure l'autocritica. De Rita ci aveva provato, negli anni passati, a battere sul tasto dell'ottimismo: mentre altri piangevano sul declino, lui puntava sul "silenzioso boom". Che c'e' stato e continua, grazie anche alle astute strategie di consumo post-euro degli italiani e malgrado sia sabotato dai salari scandalosamente bassi e dal debito pubblico. Pero', e questo e' il punto, il silenzioso boom non fa sviluppo, non fa legame, non fa progetto, non fa speranza. A differenza che sotto il boom fragoroso degli anni Cinquanta, la societa' italiana non vola e non decolla: "antropologia senza storia", e' intrappolata nell'inerzia di un presente depresso e senza futuro che progressivamente uccide la sua - per il Censis proverbiale - vitalita'. L'economia non e' tutto, e questo ogni buon sociologo lo sa. Ma stavolta anche il sociologo vacilla: "Il benessere piccoloborghese degli ultimi decenni ha creato un monstrum alchemicum che ci rende impotenti, come di fronte a una generale entropia". La sensazione diffusa di una deriva verso il peggio in tutti i campi della vita individuale e collettiva, dalla politica allo smaltimento dei rifiuti, non si spiega solo con gli indicatori sociali. Il sociologo fa ricorso alla psicologia: le pulsioni frammentate che vincono sulle passioni unificanti, il "masochismo ansiogeno" che trapela dall'ansia di comparire in tv. Ma anche questo non spiega tutto. La crisi, De Rita deve dirlo a chiare lettere citando Melanie Klein, e' di ordine simbolico: sta nella regressione individualistica di tutti i valori di riferimento - laici e religiosi, dalla liberta' al lavoro all'etica pubblica - un tempo interpretati collettivamente. E si sa, citiamo invece Julia Kristeva, che quando crolla l'ordine simbolico sale il sole nero della malinconia. Come sconfiggere questa malinconia? Non, dice il Censis, con i giudizi morali, o moralistici. Non con l'invocazione dell'uomo forte. Non con i riti fondamentalisti che resuscitano i simulacri di identita' sepolte. Ma nemmeno resuscitando il simulacro di una politica sfinita. Qui il Rapporto si fa spietato: "l'offerta culturale e politica che oggi tiene banco e' un'offerta taroccata dalla logica vuota degli schieramenti". Se c'e' un antidoto alla malinconia, sta nelle "minoranze attive" che crescono, al riparo del sole nero, nel sottosuolo: li' c'e' ancora vita e senso. Li', puo' ancora esserci politica. Diventare minoranza, come diceva un filosofo, e' l'unico progetto, se la maggioranza e' diventata poltiglia. E' l'antipolitica che parla per bocca di un sociologo impolitico? O e' solo uno sguardo non professionalmente politico che puo' cogliere come la politica professionale muore, e dove c'e' ancora politica sorgiva? Stona, di fronte a una diagnosi tanto allarmante sullo spirito del tempo, il silenzio o la pochezza dei commenti dei politici deputati. Quelli che oggi si riuniscono alla Fiera di Roma, tentando di ridare senso alla parola "sinistra", speriamo meditino questa diagnosi. Qualcosa s'e' rotto nel profondo della societa' italiana. L'entropia non domanda aggiunte ma tagli. Il sole dell'avvenire non basta a sconfiggere il sole nero. I simboli contrattati a tavolino non stuccano le crepe dell'ordine simbolico. Il passaggio e' stretto, ma e' solo nei passaggi stretti che qualcosa puo' venire al mondo. 5. MONDO. ELHAM GHEYTANCHI: CON LA SCUSA DELLA "SICUREZZA NAZIONALE" [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso sull'"Huffington Post" del 6 dicembre 2007. Elham Gheytanchi, iraniana, vive in America, e' docente di sociologia al Santa Monica College in California ed acuta studiosa della societa' iraniana] Nel 1988, l'anno in cui lasciai l'Iran, migliaia di prigionieri politici venivano torturati e uccisi nella famigerata prigione di Evin. I prigionieri venivano torturati da funzionari del Ministero dell'intelligence, per ottenere da loro confessioni e "pentimenti". Nessuno osava protestare perche' il paese era ancora in guerra con l'Iraq, ed ogni dissenso veniva interpretato come collaborazione con il nemico. Quelli furono giorni bui. La pratica della fustigazione gradualmente divenne un rituale pubblico per punire i criminali, definiti tali dalla legge islamica. Il paese non e' piu' in guerra e i movimenti sociali di base sono nonviolenti. Sebbene gli attivisti per i diritti umani siano sotto pressione, e i sindacalisti in galera, nessuno di essi ha ricevuto condanne alla fustigazione. Cio' e' rimasto vero sino a che di recente Delaram Ali, attivista per i diritti delle donne, ha ricevuto una consistente condanna: due anni e mezzo di prigione e dieci frustate. Delaram Ali fu arrestata con altre attiviste durante una manifestazione contro le leggi discriminatorie verso le donne, nel giugno 2006. E' stata pesantemente picchiata dalla polizia, e la sua mano e' stata spezzata. Con l'aiuto della Premio Nobel Shirin Ebadi, la giovane denuncio' i maltrattamenti al capo della polizia di Teheran. Non solo la sua denuncia non e' stata accettata, ma la ragazza e' stata piu' tardi accusata di aver "messi in pericolo la sicurezza nazionale". Le minacce alla sicurezza nazionale sono diventate abbondanti durante il governo del signor Ahmadinejad. Queste cosiddette minacce vengono da fonti inusuali, che includono le attiviste per i diritti delle donne, ma non si limitano ad esse. La legge iraniana proibisce alla donne di diventare presidenti o giudici. La legge stabilisce anche che le donne devono avere il permesso dei loro mariti per uscire dal paese. La testimonianza di una donna e' considerata valida a meta' rispetto a quella di un uomo, e le donne non possono ottenere un divorzio di propria volonta'. La diseguaglianza di genere incorporata nella Costituzione e nelle istituzioni in Iran ha condotto le attiviste a creare la Campagna per un milione di firme. Il suo sito web e' stato chiuso sei volte. Durante la Campagna, che ha raggiunto il suo primo anniversario, le attiviste girano il paese (16 province lo scorso anno) per raccogliere firme a sostegno del cambiamento delle leggi discriminatorie. Trovandosi di fronte a dimostrazioni pacifiche per l'eguaglianza, e ad una campagna che chiede un cambiamento legale tramite mezzi legali, le autorita' iraniane hanno risposto con l'ostilita' piu' cruda. Le attiviste vengono arrestate mentre raccolgono le firme. Ronak Safarzadeh e Hana Abdi, attive per la Campagna nella provincia del Kordestan, sono state arrestate e sono ancora in stato di detenzione a Sanandaj, senza accuse e senza processo, nelle mani degli agenti dei servizi segreti. Il 18 novembre 2007 e' stata arrestata Maryam Hosseinkhah, e il primo dicembre Jelve Javaheri, attiviste a Teheran. I cambiamenti che la Campagna per un milione di firme chiede non hanno a che fare con persone armate o militanti di organizzazioni illegali. Non ci sono organizzazioni clandestine, milizie, cellule nascoste, per cui sarebbero necessarie delle ammissioni di responsabilita'. In effetti, queste attiviste sono per lo piu' ventenni, insistono sull'essere trasparenti, rendono conto all'opinione pubblica di cio' che fanno, e si dichiarano assai preoccupate di un'ingiustificata aggressione militare all'Iran. Esse sanno anche che quando s'innalza il fervore patriottico, diventa piu' facile per il regime reprimere qualsiasi dissenso. Le madri di queste giovani attiviste imprigionate o condannate, e altre angosciate dalla prospettiva della guerra, si sono unite per formare le Madri della pace. Ricordando i giorni sanguinosi della rivoluzione e la repressione che e' seguita alla guerra con l'Iraq, queste madri obiettano alle punizioni inflitte alle loro figlie e ai loro figli per le loro attivita' sociali. Il sistema sta applicando le pene precedentemente previste per l'opposizione organizzata e militante a gruppi nonviolenti. Le autorita' iraniane dovrebbero capire che il ritorno ai vecchi metodi di repressione condurra' a maggiori sanzioni e a condanne internazionali per la violazione dei diritti umani in Iran. Cio' che le autorita' politiche iraniane hanno di fronte e' un crescente movimento popolare. Un movimento nonviolento in grado di andare oltre gli ostacoli e che non credo soccombera'. 6. RIFLESSIONE. ANNA MARIA MERLO INTERVISTA ROBERT CASTEL [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo dicembre 2007 riprendiamo la seguente intervista dal titolo "Castel: 'Banlieues, ghetti sempre piu' violenti'", e il sommario "Il problema esiste al di la' della Francia: in Europa e' in crescita una popolazione ai margini non piu' collegata al resto della societa', persone assimilate a feccia, represse militarmente". Anna Maria Merlo e' corrispondente da Parigi del quotidiano "Il manifesto" e acuta osservatrice delle vicende politiche, sociali e culturali francesi. Robert Castel, sociologo, storico del lavoro, e' direttore dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences sociales di Parigi. Tra le opere di Robert Castel: Lo psicanalismo, Einaudi, Torino 1975; L'ordine psichiatrico. L'epoca d'oro dell'alienismo, Feltrinelli, Milano 1979; Verso una societa' relazionale. Il fenomeno "Psy" in Francia, Feltrinelli, Milano 1982; L'insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Einaudi, Torino 2004] Una calma precaria, dovuta soprattutto alla forte presenza di poliziotti, regna nel Val d'Oise, il dipartimento a cui si e' estesa la rivolta durata due notti dopo la morte di due ragazzini in uno scontro con un'auto della polizia, a Villiers-le-Bel. Sulle prospettive, il significato e le caratteristiche di questa nuova esplosione delle periferie difficili, due anni dopo la fiammata del 2005 abbiamo interpellato il sociologo Robert Castel. Specialista della storia del mondo del lavoro (e' autore, tra l'altro, de Les Metamorphoses de la question salariale, Gallimard, e de L'insecurite' sociale, Seuil), Castel ha appena pubblicato da Seuil un saggio sulle banlieues, La discrimination negative (recensito dal "Manifesto" il 12 ottobre 2007). * - Anna Maria Merlo: Dopo il 2005, nel 2006 l'agitazione e' continuata, piu' o meno nell'indifferenza generale (45.588 auto bruciate nel 2005, comprese le tre settimane di esplosione, 44.157 nel 2006). Le due notti di violenza di Villiers-le-Bel sono solo un nuovo capitolo o e' cambiato qualcosa? - Robert Castel: C'e' una sorta di stato endemico dei problemi nelle banlieues, che ogni tanto esplodono. Il fenomeno e' iniziato nei primi anni '80 ed e' andato avanti ad un ritmo piu' o meno intenso. Ogni tanto ecco l'esplosione, sempre scatenata nella sua dinamica da un'identica occasione: uno scontro con la polizia. Quindi endemicita' e ripetitivita'. Al tempo stesso va rilevata una radicalizzazione: l'ultimo episodio a Villiers-le-Bel e' stato meno esteso del 2005, ma piu' violento. Il che indica la radicalizzazione di una frangia relativamente limitata dei giovani di banlieue, sempre piu' in opposizione totale, per non dire vero e proprio odio, alla polizia prima di tutto ma anche rispetto ai simboli della cultura e dello stato. * - Anna Maria Merlo: E' cambiato qualcosa nell'atteggiamento del governo dal 2005? - Robert Castel: Dopo il 2005 sono state fatte molte dichiarazioni che sembravano manifestare una presa di coscienza della gravita' del problema, anche se poi sul piano concreto e' stato fatto poco o nulla. Oggi, anche il governo si radicalizza. L'atteggiamento di Sarkozy e' lo specchio della radicalizzazione dei giovani. Sarkozy dice che l'unico problema e' mantenere l'ordine contro le bande di teppisti e che non si tratta di un problema sociale. Certo, c'e' anche un problema di ordine, ma vedere solo questo e ridurre la rivolta a un affare di polizia e' piu' che unilaterale. * - Anna Maria Merlo: Esplosioni violente hanno luogo anche in altri paesi. E' un problema europeo? Stiamo seguendo la strada degli Usa? - Robert Castel: Il problema esiste al di la' della Francia, anche se ci sono specificita' francesi, come il fatto che i protagonisti siano la seconda o terza generazione di origine immigrata, hanno la cittadinanza francese e vengono discriminati. Si puo' ipotizzare che nei paesi occidentali si stia allargando la frangia di una popolazione ai margini, non piu' collegata con l'insieme della societa'. In Germania e' in corso da tempo un dibattito analogo, su una nuova sotto-classe simile al sottoproletariato del XIX secolo - anche se non e' la stessa cosa - che pone la questione dell'insediamento, ai margini degli stati europei, di persone che non sono propriamente al di fuori ma piuttosto spinte fuori dalla societa' e che non vengono piu' trattate come cittadini, ma assimilate a teppisti, alla feccia. Subiscono, per simmetria, un trattamento repressivo, poliziesco, al limite militare. A Villiers-le-Bel la polizia ha fatto ricorso agli elicotteri, si parla di introdurre i droni per controllare la banlieue, come se fossimo in guerra e queste persone fossero degli invasori. Una risposta che va al di la' dello specifico esercizio di polizia, di repressione del crimine. E' quasi uno stato d'assedio. Ho sempre pensato che negli Usa ci fossero specificita' diverse dall'Europa. Pensavo che le cites in Francia non fossero paragonabili ai ghetti neri Usa o a quelli del Sudafrica durante l'apartheid. Ma adesso bisogna dire che siamo di fronte a un processo che va in questo senso. Non possiamo parlare precisamente di ghetti in Francia, ma e' in corso un processo di ghettizzazione, di separazione di una parte della popolazione, che non e' ancora concluso. * - Anna Maria Merlo: Quest'anno l'opposizione e la protesta degli studenti e' molto politica. Nelle banlieues la politica non c'entra? - Robert Castel: Gli studenti sono un'altra cosa. Hanno obiettivi politici. In banlieue le rivolte hanno un significato politico nel senso che portano sulla scena pubblica questioni sociali e politiche importanti. Ma nella loro forma di espressione - e anche nel modo in cui pensano se stessi - questi giovani non sono nella sfera politica. E' piuttosto un movimento spontaneo, anche se hanno fatto "progressi", si fa per dire, nell'organizzazione: funzionano per bande, guerriglia. Il 2005, come quel che accade oggi, rinviano pittosto alle manifestazioni di quello che nella societa' preindustriale era chiamata l'espressione di "emozioni popolari", scatenate da avvenimenti come l'aumento del prezzo del pane, cioe' agitazioni spontanee di gente disorganizzata. Nel passato, il passaggio alla politica e' avvenuto quando frazioni della popolazione si sono organizzate in partiti, sindacati, per entrare nella politica ufficiale. Per il proletariato e' stato nel XIX secolo. Ma nelle banlieues non siamo a questo stadio. * - Anna Maria Merlo: E' la fine di un mondo? - Robert Castel: Rischia di essere la fine della societa' salariale, cioe' di un modello che sembrava in via di realizzazione e che, anche se non voleva dire la fine delle ineguaglianze sociali, permetteva all'insieme della popolazione in paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, di avere risorse e una protezione di base che assicurava l'indipendenza economica e sociale, un lavoro stabile. Un modello che, se non e' stato ancora completamente distrutto, non e' piu' in espansione, anzi si sta degradando. Un fenomeno che riguarda tutta l'Europa. Per questo credo che la posizione di Sarkozy - "lavorare di piu' per guadagnare di piu'" - sia percepita come un'ulteriore provocazione. Cosa puo' significare la' dove la disoccupazione e' al 40%, domina il precariato e l'immigrato subisce discriminazioni nell'accesso al lavoro? 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 300 dell'11 dicembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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