Minime. 300



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 300 dell'11 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: I regali della Befana
2. Luca Galassi: Finanziaria in divisa
3. Paul Jay intervista Malalai Joya
4. Ida Dominijanni: Il sole nero della malinconia
5. Elham Gheytanchi: Con la scusa della "sicurezza nazionale"
6. Anna Maria Merlo intervista Robert Castel
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: I REGALI DELLA BEFANA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dellvAssociazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'".
Gianni Rodari e' nato a Omegna nel 1920; maestro, antifascista, militante
comunista, giornalista, scrittore; nel 1970 riceve il Premio Andersen (il
massimo riconoscimento per la letteratura per l'infanzia); muore nel 1980.
Tra le opere di Gianni Rodari di particolar interesse dal nostro punto di
vista e' la Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, piu' volte
ristampata; nel 1990 Emme Edizioni ed Einaudi in collaborazione hanno
avviato la pubblicazione delle Opere complete di Gianni Rodari. Opere su
Gianni Rodari: cfr. almeno Marcello Argilli, Gianni Rodari. Una biografia,
Einaudi, Torino 1990; Pino Boero, Una storia, tante storie. Guida all'opera
di Gianni Rodari, Einaudi, Torino 1992; Carmine De Luca, Gianni Rodari. La
gaia scienza della fantasia, Abramo, Catanzaro 1991; Patrizia Zagni, Gianni
Rodari, La Nuova Italia, Firenze 1975]

"Si e' dimenticato di dire - dice un signore all'autore - che la Befana
porta i regali solo ai bambini buoni. Ai cattivi no".
L'ho guardato per trenta secondi , poi gli ho domandato: "Preferisce che le
stacchi un orecchio o che le mangi il naso?".
"Come dice, scusi?".
"Le domando se vuole un'ombrellata in testa o un chilo di ghiaccio nel collo
della camicia. Ma come si permette lei, piuttosto, di sostenere ancora che
esistono bambini cattivi? Si metta in ginocchio e chieda perdono".
"Che cosa vuol fare con quel martello?".
"Glielo picchio sul dito mignolo, se non giura subito che tutti i bambini
sono buoni. Soprattutto quelli che non ricevono regali, perche' sono troppo
poveri.
Allora, giura o no?".
"Giuro, giuro".
"Benissimo. Guardi, me ne vado e non le sputo nemmeno in faccia. Sono troppo
buono, io".
Citazione, di grande ironia nei confronti del presente, tratta dalle Novelle
fatte a macchina, di Gianni Rodari, del 1973, relativa alla storia della
Befana.
Cosi', non a caso, nella precedente reinvenzione della favola tradizionale,
sempre di Rodari e sempre relativa alla Befana, La freccia azzurra (1964),
vediamo i giocattoli esposti in vetrina insorgere, commossi dalle lacrime di
Francesco, il bambino povero, e decidere di raggiungere Francesco, grazie al
fiuto del cane Spicciola, che segue la "pista odorosa" lasciata dalle scarpe
rotte del bambino.
Avviene, dunque, un atto di giustizia. Anzi, nel corso della narrazione, gli
atti di giustizia si moltiplicano.
Lungo la strada i vari giocattoli vanno a rendere felici diversi bambini
poveri, che seguendo le leggi ferree dell'economia e della societa' divisa
in classi sarebbero rimasti senza regali.
La "reinvenzione" da parte di Rodari ha la funzione di prospettare una
societa' piu' giusta, nella quale non ci siano ricchi e poveri e tutti
possono essere felici, sin dall'infanzia.
Per come siamo conciati oggi (un'Italia sempre piu' povera e a rischio di
derive razziste, per citare il recentissimo rapporto del Censis: "Una
mucillagine, un insieme inconcludente di individualismo che non guarda al
futuro"), sembra davvero che l'aspettativa di un mondo piu' giusto sia
relegata unicamente nel mondo delle fiabe.
Ma le fiabe sono storie, apparentemente bugiarde, che si raccontano per dire
la verita'.
Sono passati quasi cinque anni, dal mio viaggio in Nicaragua; e delle tante
cose che mi sono portato dentro, l'immagine del gruppetto di tre bambini
"cattivi" (che non riceveranno regali dalla Befana) a Matagalpa, e' forse
quella che piu' mi tormenta, per la totale impotenza provata.
Lei, la piu' alta, con un vestitino bianco consunto, che protegge i due
fratellini; lui in mezzo, e il piu' piccolo, succhiandosi il dito, mentre ci
chiedono di regalargli qualche spicciolo.
Allora, come oggi, cerco di chiedermi quand'e' che uno gia' non pensa, gia'
non si spaventa nemmeno nel vedere questa magrezza, i capelli tosati, gli
zigomi di un'altra eta' sui loro visi di pochi anni.
In quale momento uno gia' non pensa e si gira a guardare da un'altra parte e
comincia a pensare ad altre cose, a parlare di altro, a scrivere altre cose.
Dicembre mi e' sempre sembrato il mese piu' triste, dove per paradosso e
nonostante le luci, i rumori e la scarsa tredicesima, la poverta' di questo
popolo si vede ancora di piu' in carne viva.
Ci sono due Nicaragua, ogni giorno piu' lontane, e pietra su pietra, per
ogni centro commerciale per pochi, per ogni attivita' illegale, per ogni
bustarella di corruzione, per ogni zona franca che si apre, questo muro di
rumore si eleva sempre piu' alto.
Questa forma costante di poverta' che dobbiamo vincere ogni giorno, questa
abitudine alla magrezza estrema, questo dicembre di poverta' che finisce con
il desiderio, ostinatamente ingenuo che girando l'angolo dell'anno alcune
cose cambieranno davvero.
Questa rabbia che da' la magrezza di piccole braccia che si allungano verso
la vetrina di un negozio di questa strada.
Questa rabbia, questa rabbia, che almeno lei non scappi, fuggendo sotto il
rumore.

2. SPESE MILITARI. LUCA GALASSI: FINANZIARIA IN DIVISA
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 6 dicembre 2007, dal titolo "Finanziaria in divisa" e il
sommario "Ventun miliardi alla Difesa, Natale ricco per le aziende
belliche".
Luca Galassi, giornalista impegnato per la pace e i diritti umani, e'
inviato di "PeaceReporter"]

Le minacce del XXI secolo, evocate con forza sempre maggiore, dopo l'11
settembre, ad ogni vertice annuale della Nato, si chiamano terrorismo e armi
di distruzione di massa. Entrambe hanno fatto della paura un elemento di
strategia politica. E per contrastare la paura si affinano e si consolidano
i sistemi di difesa. Ovvero: ci si arma. Secondo il Sipri (Istituto di studi
per la pace di Stoccolma) nel mondo le spese militari sono cresciute nel
2006 del 3,5% rispetto all'anno precedente, superando i mille miliardi di
dollari (quasi 680 milioni di euro). Nella classifica dei Paesi produttori
di armi, l'Italia e' al settimo posto, con 20 miliardi di euro. Il nostro
Paese destina al settore difesa l'1,5% del proprio prodotto interno lordo.
*
Risorse sparse
Le spese militari rappresentano una delle voci piu' onerose nel bilancio del
nostro Paese. Grazie alla Finanziaria, passata a fine estate al Senato per
un pugno di voti e in attesa della votazione alla Camera, sono previsti
stanziamenti per 23 miliardi e 352 milioni di euro (21 miliardi nel bilancio
preventivo della Difesa, 2.424 aggiunti dalla Finanziaria). L'aumento
rispetto al 2007 (la misura allora ammontava a 21 miliardi e 11 milioni) e'
dell'11,1%. Le previsioni di spesa per il comparto militare, invece di far
capo solo al ministero della Difesa, sono disseminate nelle piu' disparate
allocazioni: oltre alla Finanziaria e al bilancio della Difesa, come detto,
i contributi spaziano dal ministero per l'Economia a quello dello Sviluppo
economico. Essendo sparse in vari bilanci, le risorse rendono opaca la loro
interpretazione. Vediamo di cominciare a far luce sulla loro allocazione,
andando a verificare, punto per punto, dove e a cosa sono destinate le
risorse stanziate nella Legge Finanziaria.
L'articolo 5, comma 12, stanzia un fondo di 107 milioni di euro per il
pagamento dell'accisa (imposta) sui prodotti energetici delle Forze Armate.
All'articolo 21 del Disegno di Legge, il comma 1 recita: "Per
l'organizzazione del vertice G8 previsto per l'anno 2009 e' stanziata la
somma di euro 30 milioni per l'anno 2008". Il vertice si terra' alla
Maddalena, in Sardegna, da dove il mese scorso sono partiti 1.500 soldati
Usa, nell'ambito della dismissione della base militare, che verra'
definitivamente lasciata dalla Marina statunitense nel febbraio 2008.
L'articolo 22 integra con 30 milioni di euro il taglio del 15% della scorsa
Finanziaria per la "professionalizzazione" delle Forze Armate; stanzia
inoltre 140 milioni di euro per "garantire la capacita' operativa" delle
stesse. Venti milioni di euro vanno poi all'arsenale della Marina militare
di Taranto e 40 per il funzionamento dell'Arma dei Carabinieri.
Nell'articolo 31 si propone l'allocazione di risorse per: 15 velivoli
addestratori Aermacchi M346; 12 elicotteri Agusta Westland EH101; sistema di
comunicazioni Sicote per i Carabinieri in funzione anti-terrorismo; progetto
Soldato futuro; partecipazione, con la Francia, alla costruzione del
satellite di comunicazioni Sicral 2. Per l'attuazione di tale piano sono
autorizzati contributi quindicennali per un totale di 1 miliardo e 50
milioni di euro.
All'articolo 31, comma 2, figurano, per la partecipazione al programma del
Caccia Eurofighter: 318 milioni di euro per il 2008, 468 per il 2009, 918
per il 2010, 1.100 per il 2011 e 1.100 per il 2012. Aggiunti a quelli gia'
previsti dalla Tabella F della Finanziaria (importi da iscrivere in bilancio
alle autorizzazioni di spesa delle leggi pluriennali), si raggiungono, per 5
anni, 4.884 milioni di euro. Al comma 3, si dispone l'erogazione di
ulteriori fondi per il programma di sviluppo delle fregate multiruolo Fremm,
in cooperazione con la Francia. Il totale e' di un miliardo e 50 milioni in
15 anni. Sempre nella Tabella F della Finanziaria vi sono fondi aggiuntivi
per le fregate Fremm di circa 800 milioni di euro.
Nell'articolo 93, per esigenze legate alla tutela dell'ordine pubblico, e'
previsto, per un piano di assunzioni, uno stanziamento di 50 milioni di euro
per il 2008, di 120 per il 2009 e di 140 per il 2010. Risorse, queste,
destinate all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di
Finanza, alla Polizia penitenziaria e al Corpo forestale.
L'articolo 95 destina 200 milioni di euro in piu' per 2008, 2009 e 2010
ciascuno per i rinnovi contrattuali e la "valorizzazione delle specifiche
funzioni svolte nella tutela dell'ordine pubblico e della difesa nazionale".
Destinatari il corpo di Polizia e le Forze Armate. Nella tabella del
ministero per l'Economia e' inoltre iscritto oltre un miliardo di euro per
il finanziamento delle missioni italiane all'estero.
In conclusione, le spese militari aumentano, a dispetto delle promesse del
governo Prodi. Che nel programma pre-elettorale si era impegnato,
"nell'ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che
consenta la riduzione delle spese per armamenti". Promesse da marinaio.

3. TESTIMONIANZE. PAUL JAY INTERVISTA MALALAI JOYA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione la trascrizione
dell'intervista rilasciata da Malalai Joya a The Real News Network nel
novembre 2007.
Zaa Nkweta, nato in Camerun, residente in Canada, e' reporter con vasta
esperienza internazionale e multimediale.
Paul Jay e' nato e cresciuto a Toronto, in Canada; autore cinematografico,
ha presentato i suoi film in 25 tra i maggiori festival e ha vinto decine di
premi; lavora anche come creatore e produttore esecutivo alla Cbc nella
trasmissione "Newsworld's flagship debat program"; ha fondato la sede del
"Canadian international documentary film festival"; e' direttore del
notiziario di "The Real News Network".
Malalai Joya e' una deputata e prestigiosa attivista per i diritti umani
afgana; un suo profilo scritto da Giuliana Sgrena e' nel n. 1313 de "La
nonviolenza e' in cammino", altri utili materiali in "Minime" n. 104,
"Nonviolenza. Femminile plurale" n. 109, "La domenica della nonviolenza" n.
122]

Presentazione di Zaa Nkweta: All'eta' di 29 anni, Malalai Joya e' il membro
piu' giovane del Parlamento afgano. E' stata eletta nel settembre 2005,
risultando seconda come numero di voti nella provincia di Farah. Si e'
guadagnata riconoscimenti internazionali per aver parlato contro la
corruzione in Afghanistan ed ha ricevuto numerose minacce di morte. Il 22
maggio 2007 e' stata sospesa dal Parlamento a causa delle sue critiche ai
signori della guerra ed al governo centrale. Il direttore del nostro
notiziario, Paul Jay, ha realizzato la seguente intervista.
*
- Paul Jay: Malalai, quando io ero in Afghanistan nel 2002, a girare un
filmato, la gente era ottimista. Direi che sentivo soprattutto due cose: la
grande gioia per la fine del regime talebano e la speranza di cambiamento.
Ma un'altra cosa che sentivo spesso era che se gli Usa e le truppe
occidentali erano seri la loro prima azione doveva essere il disarmo dei
signori della guerra. Cos'e' accaduto da allora? Perche' non penso che avrei
il coraggio di girare un filmato in Afghanistan ora, da quanto pericoloso il
paese e' diventato.
- Malalai Joya: I sentimenti del nostro popolo, quando la dominazione
talebana cesso', erano gli stessi di quando i russi se ne andarono e i
mujahideen andarono al potere. La gente era felice: adesso che questi vanno
al potere, pensavano, porteranno prima di tutto sicurezza, poi democrazia, e
diritti per le donne, perche' questi sono valori nel nostro paese. Ma
sfortunatamente questi gruppi non sono mujahideen per davvero, sono
fondamentalisti, e la fondazione dei loro sette-otto partiti era nei
programmi della Cia e dell'Isi (la centrale di spionaggio pakistana). Ecco
perche' hanno subito cominciato a lottare fra di loro per il potere. E dal
1992 al 1996, hanno ucciso 65.000 innocenti solo a Kabul, e hanno commesso
enormi violenze contro i diritti delle donne e i diritti umani in genere.
Gli stessi crimini dei talebani. Dopo la fine del loro dominio la nostra
gente era piena di speranza che qualcuno per bene salisse al governo, gente
democratica e dalla mente aperta.
*
- Paul Jay: Pero', quando leggiamo i reportage dei media sull'Afghanistan,
la storia di base che ci raccontano e' che la democrazia e' assediata da
talebani estremisti e che le truppe canadesi e americane combattono per
difendere questo governo democratico. Cosa pensi di quel che i nordamericani
sentono della questione?
- Malalai Joya: Questa e' la politica tipica degli Usa: vogliono gettare
polvere negli occhi della gente, in tutto il mondo, affinche' si dica che e'
bene avere eserciti in Afghanistan, andare in Afghanistan a liberare la
gente. Disgraziatamente, non solo le truppe non hanno portato sicurezza al
paese, ma l'hanno ulteriormente sacrificata. C'e' stato questo sondaggio, in
Afghanistan, a cui la maggior parte delle persone ha risposto "va bene"
rispetto alla presenza di eserciti stranieri, ma quel che non viene detto e'
che il sondaggio non ha coperto l'intero paese. Perche'? Perche' oggi il
governo di Karzai non ha controllo al di fuori di Kabul. Chi ha fatto il
sondaggio non ha potuto neppure andarci, nelle province piu' lontane, per
ragioni di sicurezza.
*
- Paul Jay: La gente nel sud, attorno a Kandahar e simili, ho sentito che in
maggioranza costoro probabilmente vorrebbero che le truppe straniere
lasciassero il paese. Ma a Kabul la situazione, credo, e' piu' complicata.
La gente di Kabul vorrebbe che gli eserciti se ne andassero?
- Malalai Joya: La nostra gente resta vittima comunque della situazione. Se
le truppe se ne vanno, e' possibile che la guerra civile abbia inizio in
Afghanistan. Ma se queste truppe restano in Afghanistan a fare gli interessi
degli Usa, che sono una democrazia fasulla, e la farsa della guerra al
terrorismo, e' altrettanto possibile un altro 11 settembre da qualche parte
nel mondo. E' per questo che noi diciamo: scegliamo un'altra alternativa che
minimizzi almeno le minacce di guerra civile.
*
- Paul Jay: Cosa dovrebbero dire i canadesi e gli americani ai loro governi?
Cosa pensi che vogliano gli afgani dagli stranieri?
- Malalai Joya: Tu sai che io conosco il popolo afgano. Vogliono essere
liberi. Non accettano l'occupazione. Come ho gia' avuto occasione di dire,
brevemente, in altre occasioni, chiunque conosca un po' di storia del nostro
paese capisce che non accettiamo le occupazioni. Se gli Usa e i loro alleati
continuano con un certo tipo di politiche, prima o poi si troveranno di
fronte la resistenza della nostra gente. Nelle province piu' distanti la
situazione e' sempre peggiore, in special modo riguardo alla sicurezza, che
e' cosi' importante per noi. Oggi ci troviamo tra due potenti nemici,
mujahideen e talebani. Come in un sandwich, da una parte c'e' l'Alleanza del
nord, che la pensa allo stesso modo dei talebani, e che e' andata al potere
con il sostegno degli Usa: la gente non ne puo' piu' di questi corrotti,
signori della guerra e governatorati basati sulla droga. Prendi Rashid
Dostrum, uno dei criminali denunciati anche da Human Rights Watch. Lui ha il
suo governo personale, e non obbedisce a quello di Kabul. Hanno le loro
prigioni, questi fondamentalisti, come Sayyaf o Rabbini, e la lista sarebbe
lunga, ma questa e' comunque l'Alleanza del nord che controlla
l'Afghanistan. Per questo noi diciamo che sono piu' pericolosi dei talebani.
*
- Paul Jay: Cosa possiamo fare per aiutare te nel tuo lavoro, e le persone
come te?
- Malalai Joya: Ovviamente l'atto del Parlamento che mi espelle e'
completamente illegale, contrario alla liberta' di parola. Stanno concedendo
amnistie ai criminali, perche' sono loro stessi, si perdonano da soli. E'
facile per loro. Oggi hanno buttato fuori me, domani espelleranno il
prossimo parlamentare democratico che li contrasti. Non e' la prima volta,
per me; mi hanno sospesa sin da quando il Parlamento si e' costituito. E in
seguito, ogni volta in cui volevo parlare, mi spegnevano il microfono. Non
vogliono sentire la verita'. Mi hanno minacciata di morte. Lo stesso Sayyaf,
nel bel mezzo del Parlamento, ha dichiarato: "Diamole qualche colpo di
coltello, cosi' dopo capira' chi sono i mujahideen". Questa gente controlla
il paese. Alcuni sono deputati, altri ministri, ambasciatori, governatori,
comandanti, e controllano l'Afghanistan. E la nostra gente e' in ostaggio,
nelle loro mani. Non so che dirti, questa e' la situazione.

4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL SOLE NERO DELLA MALINCONIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre 2007.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005]

Poltiglia di massa, indifferente al futuro e ripiegata su se stessa.
Mucillagine inerte e inconcludente. Coriandoli individualisti che
galleggiano solo per appagato imborghesimento. Aspirazioni senza scopo e
senza mordente che separano e non uniscono. E su tutto, istituzioni incapaci
di riattivare processi di coesione sociale. Sono citazioni testuali dal
Rapporto Censis 2007, che stavolta non risparmia ne' i sostantivi ne' gli
aggettivi per descrivere lo stato di vulnerabilita' della societa' italiana.
E non risparmia neppure l'autocritica. De Rita ci aveva provato, negli anni
passati, a battere sul tasto dell'ottimismo: mentre altri piangevano sul
declino, lui puntava sul "silenzioso boom". Che c'e' stato e continua,
grazie anche alle astute strategie di consumo post-euro degli italiani e
malgrado sia sabotato dai salari scandalosamente bassi e dal debito
pubblico. Pero', e questo e' il punto, il silenzioso boom non fa sviluppo,
non fa legame, non fa progetto, non fa speranza. A differenza che sotto il
boom fragoroso degli anni Cinquanta, la societa' italiana non vola e non
decolla: "antropologia senza storia", e' intrappolata nell'inerzia di un
presente depresso e senza futuro che progressivamente uccide la sua - per il
Censis proverbiale - vitalita'.
L'economia non e' tutto, e questo ogni buon sociologo lo sa. Ma stavolta
anche il sociologo vacilla: "Il benessere piccoloborghese degli ultimi
decenni ha creato un monstrum alchemicum che ci rende impotenti, come di
fronte a una generale entropia". La sensazione diffusa di una deriva verso
il peggio in tutti i campi della vita individuale e collettiva, dalla
politica allo smaltimento dei rifiuti, non si spiega solo con gli indicatori
sociali. Il sociologo fa ricorso alla psicologia: le pulsioni frammentate
che vincono sulle passioni unificanti, il "masochismo ansiogeno" che trapela
dall'ansia di comparire in tv. Ma anche questo non spiega tutto. La crisi,
De Rita deve dirlo a chiare lettere citando Melanie Klein, e' di ordine
simbolico: sta nella regressione individualistica di tutti i valori di
riferimento - laici e religiosi, dalla liberta' al lavoro all'etica
pubblica - un tempo interpretati collettivamente. E si sa, citiamo invece
Julia Kristeva, che quando crolla l'ordine simbolico sale il sole nero della
malinconia.
Come sconfiggere questa malinconia? Non, dice il Censis, con i giudizi
morali, o moralistici. Non con l'invocazione dell'uomo forte. Non con i riti
fondamentalisti che resuscitano i simulacri di identita' sepolte. Ma nemmeno
resuscitando il simulacro di una politica sfinita. Qui il Rapporto si fa
spietato: "l'offerta culturale e politica che oggi tiene banco e' un'offerta
taroccata dalla logica vuota degli schieramenti". Se c'e' un antidoto alla
malinconia, sta nelle "minoranze attive" che crescono, al riparo del sole
nero, nel sottosuolo: li' c'e' ancora vita e senso. Li', puo' ancora esserci
politica. Diventare minoranza, come diceva un filosofo, e' l'unico progetto,
se la maggioranza e' diventata poltiglia.
E' l'antipolitica che parla per bocca di un sociologo impolitico? O e' solo
uno sguardo non professionalmente politico che puo' cogliere come la
politica professionale muore, e dove c'e' ancora politica sorgiva? Stona, di
fronte a una diagnosi tanto allarmante sullo spirito del tempo, il silenzio
o la pochezza dei commenti dei politici deputati. Quelli che oggi si
riuniscono alla Fiera di Roma, tentando di ridare senso alla parola
"sinistra", speriamo meditino questa diagnosi. Qualcosa s'e' rotto nel
profondo della societa' italiana. L'entropia non domanda aggiunte ma tagli.
Il sole dell'avvenire non basta a sconfiggere il sole nero. I simboli
contrattati a tavolino non stuccano le crepe dell'ordine simbolico. Il
passaggio e' stretto, ma e' solo nei passaggi stretti che qualcosa puo'
venire al mondo.

5. MONDO. ELHAM GHEYTANCHI: CON LA SCUSA DELLA "SICUREZZA NAZIONALE"
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo
apparso sull'"Huffington Post" del 6 dicembre 2007.
Elham Gheytanchi, iraniana, vive in America, e' docente di sociologia al
Santa Monica College in California ed acuta studiosa della societa'
iraniana]

Nel 1988, l'anno in cui lasciai l'Iran, migliaia di prigionieri politici
venivano torturati e uccisi nella famigerata prigione di Evin. I prigionieri
venivano torturati da funzionari del Ministero dell'intelligence, per
ottenere da loro confessioni e "pentimenti". Nessuno osava protestare
perche' il paese era ancora in guerra con l'Iraq, ed ogni dissenso veniva
interpretato come collaborazione con il nemico.
Quelli furono giorni bui. La pratica della fustigazione gradualmente divenne
un rituale pubblico per punire i criminali, definiti tali dalla legge
islamica. Il paese non e' piu' in guerra e i movimenti sociali di base sono
nonviolenti. Sebbene gli attivisti per i diritti umani siano sotto
pressione, e i sindacalisti in galera, nessuno di essi ha ricevuto condanne
alla fustigazione.
Cio' e' rimasto vero sino a che di recente Delaram Ali, attivista per i
diritti delle donne, ha ricevuto una consistente condanna: due anni e mezzo
di prigione e dieci frustate. Delaram Ali fu arrestata con altre attiviste
durante una manifestazione contro le leggi discriminatorie verso le donne,
nel giugno 2006. E' stata pesantemente picchiata dalla polizia, e la sua
mano e' stata spezzata. Con l'aiuto della Premio Nobel Shirin Ebadi, la
giovane denuncio' i maltrattamenti al capo della polizia di Teheran. Non
solo la sua denuncia non e' stata accettata, ma la ragazza e' stata piu'
tardi accusata di aver "messi in pericolo la sicurezza nazionale".
Le minacce alla sicurezza nazionale sono diventate abbondanti durante il
governo del signor Ahmadinejad. Queste cosiddette minacce vengono da fonti
inusuali, che includono le attiviste per i diritti delle donne, ma non si
limitano ad esse. La legge iraniana proibisce alla donne di diventare
presidenti o giudici. La legge stabilisce anche che le donne devono avere il
permesso dei loro mariti per uscire dal paese. La testimonianza di una donna
e' considerata valida a meta' rispetto a quella di un uomo, e le donne non
possono ottenere un divorzio di propria volonta'.
La diseguaglianza di genere incorporata nella Costituzione e nelle
istituzioni in Iran ha condotto le attiviste a creare la Campagna per un
milione di firme. Il suo sito web e' stato chiuso sei volte. Durante la
Campagna, che ha raggiunto il suo primo anniversario, le attiviste girano il
paese (16 province lo scorso anno) per raccogliere firme a sostegno del
cambiamento delle leggi discriminatorie. Trovandosi di fronte a
dimostrazioni pacifiche per l'eguaglianza, e ad una campagna che chiede un
cambiamento legale tramite mezzi legali, le autorita' iraniane hanno
risposto con l'ostilita' piu' cruda. Le attiviste vengono arrestate mentre
raccolgono le firme. Ronak Safarzadeh e Hana Abdi, attive per la Campagna
nella provincia del Kordestan, sono state arrestate e sono ancora in stato
di detenzione a Sanandaj, senza accuse e senza processo, nelle mani degli
agenti dei servizi segreti. Il 18 novembre 2007 e' stata arrestata Maryam
Hosseinkhah, e il primo dicembre Jelve Javaheri, attiviste a Teheran.
I cambiamenti che la Campagna per un milione di firme chiede non hanno a che
fare con persone armate o militanti di organizzazioni illegali. Non ci sono
organizzazioni clandestine, milizie, cellule nascoste, per cui sarebbero
necessarie delle ammissioni di responsabilita'. In effetti, queste attiviste
sono per lo piu' ventenni, insistono sull'essere trasparenti, rendono conto
all'opinione pubblica di cio' che fanno, e si dichiarano assai preoccupate
di un'ingiustificata aggressione militare all'Iran. Esse sanno anche che
quando s'innalza il fervore patriottico, diventa piu' facile per il regime
reprimere qualsiasi dissenso.
Le madri di queste giovani attiviste imprigionate o condannate, e altre
angosciate dalla prospettiva della guerra, si sono unite per formare le
Madri della pace. Ricordando i giorni sanguinosi della rivoluzione e la
repressione che e' seguita alla guerra con l'Iraq, queste madri obiettano
alle punizioni inflitte alle loro figlie e ai loro figli per le loro
attivita' sociali. Il sistema sta applicando le pene precedentemente
previste per l'opposizione organizzata e militante a gruppi nonviolenti.
Le autorita' iraniane dovrebbero capire che il ritorno ai vecchi metodi di
repressione condurra' a maggiori sanzioni e a condanne internazionali per la
violazione dei diritti umani in Iran. Cio' che le autorita' politiche
iraniane hanno di fronte e' un crescente movimento popolare. Un movimento
nonviolento in grado di andare oltre gli ostacoli e che non credo
soccombera'.

6. RIFLESSIONE. ANNA MARIA MERLO INTERVISTA ROBERT CASTEL
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo dicembre 2007 riprendiamo la
seguente intervista dal titolo "Castel: 'Banlieues, ghetti sempre piu'
violenti'", e il sommario "Il problema esiste al di la' della Francia: in
Europa e' in crescita una popolazione ai margini non piu' collegata al resto
della societa', persone assimilate a feccia, represse militarmente".
Anna Maria Merlo e' corrispondente da Parigi del quotidiano "Il manifesto" e
acuta osservatrice delle vicende politiche, sociali e culturali francesi.
Robert Castel, sociologo, storico del lavoro, e' direttore dell'Ecole des
Hautes Etudes en Sciences sociales di Parigi. Tra le opere di Robert Castel:
Lo psicanalismo, Einaudi, Torino 1975; L'ordine psichiatrico. L'epoca d'oro
dell'alienismo, Feltrinelli, Milano 1979; Verso una societa' relazionale. Il
fenomeno "Psy" in Francia, Feltrinelli, Milano 1982; L'insicurezza sociale.
Che significa essere protetti?, Einaudi, Torino 2004]

Una calma precaria, dovuta soprattutto alla forte presenza di poliziotti,
regna nel Val d'Oise, il dipartimento a cui si e' estesa la rivolta durata
due notti dopo la morte di due ragazzini in uno scontro con un'auto della
polizia, a Villiers-le-Bel. Sulle prospettive, il significato e le
caratteristiche di questa nuova esplosione delle periferie difficili, due
anni dopo la fiammata del 2005 abbiamo interpellato il sociologo Robert
Castel. Specialista della storia del mondo del lavoro (e' autore, tra
l'altro, de Les Metamorphoses de la question salariale, Gallimard, e de
L'insecurite' sociale, Seuil), Castel ha appena pubblicato da Seuil un
saggio sulle banlieues, La discrimination negative (recensito dal
"Manifesto" il 12 ottobre 2007).
*
- Anna Maria Merlo: Dopo il 2005, nel 2006 l'agitazione e' continuata, piu'
o meno nell'indifferenza generale (45.588 auto bruciate nel 2005, comprese
le tre settimane di esplosione, 44.157 nel 2006). Le due notti di violenza
di Villiers-le-Bel sono solo un nuovo capitolo o e' cambiato qualcosa?
- Robert Castel: C'e' una sorta di stato endemico dei problemi nelle
banlieues, che ogni tanto esplodono. Il fenomeno e' iniziato nei primi anni
'80 ed e' andato avanti ad un ritmo piu' o meno intenso. Ogni tanto ecco
l'esplosione, sempre scatenata nella sua dinamica da un'identica occasione:
uno scontro con la polizia. Quindi endemicita' e ripetitivita'. Al tempo
stesso va rilevata una radicalizzazione: l'ultimo episodio a Villiers-le-Bel
e' stato meno esteso del 2005, ma piu' violento. Il che indica la
radicalizzazione di una frangia relativamente limitata dei giovani di
banlieue, sempre piu' in opposizione totale, per non dire vero e proprio
odio, alla polizia prima di tutto ma anche rispetto ai simboli della cultura
e dello stato.
*
- Anna Maria Merlo: E' cambiato qualcosa nell'atteggiamento del governo dal
2005?
- Robert Castel: Dopo il 2005 sono state fatte molte dichiarazioni che
sembravano manifestare una presa di coscienza della gravita' del problema,
anche se poi sul piano concreto e' stato fatto poco o nulla. Oggi, anche il
governo si radicalizza. L'atteggiamento di Sarkozy e' lo specchio della
radicalizzazione dei giovani. Sarkozy dice che l'unico problema e' mantenere
l'ordine contro le bande di teppisti e che non si tratta di un problema
sociale. Certo, c'e' anche un problema di ordine, ma vedere solo questo e
ridurre la rivolta a un affare di polizia e' piu' che unilaterale.
*
- Anna Maria Merlo: Esplosioni violente hanno luogo anche in altri paesi. E'
un problema europeo? Stiamo seguendo la strada degli Usa?
- Robert Castel: Il problema esiste al di la' della Francia, anche se ci
sono specificita' francesi, come il fatto che i protagonisti siano la
seconda o terza generazione di origine immigrata, hanno la cittadinanza
francese e vengono discriminati. Si puo' ipotizzare che nei paesi
occidentali si stia allargando la frangia di una popolazione ai margini, non
piu' collegata con l'insieme della societa'. In Germania e' in corso da
tempo un dibattito analogo, su una nuova sotto-classe simile al
sottoproletariato del XIX secolo - anche se non e' la stessa cosa - che pone
la questione dell'insediamento, ai margini degli stati europei, di persone
che non sono propriamente al di fuori ma piuttosto spinte fuori dalla
societa' e che non vengono piu' trattate come cittadini, ma assimilate a
teppisti, alla feccia. Subiscono, per simmetria, un trattamento repressivo,
poliziesco, al limite militare. A Villiers-le-Bel la polizia ha fatto
ricorso agli elicotteri, si parla di introdurre i droni per controllare la
banlieue, come se fossimo in guerra e queste persone fossero degli invasori.
Una risposta che va al di la' dello specifico esercizio di polizia, di
repressione del crimine. E' quasi uno stato d'assedio. Ho sempre pensato che
negli Usa ci fossero specificita' diverse dall'Europa. Pensavo che le cites
in Francia non fossero paragonabili ai ghetti neri Usa o a quelli del
Sudafrica durante l'apartheid. Ma adesso bisogna dire che siamo di fronte a
un processo che va in questo senso. Non possiamo parlare precisamente di
ghetti in Francia, ma e' in corso un processo di ghettizzazione, di
separazione di una parte della popolazione, che non e' ancora concluso.
*
- Anna Maria Merlo: Quest'anno l'opposizione e la protesta degli studenti e'
molto politica. Nelle banlieues la politica non c'entra?
- Robert Castel: Gli studenti sono un'altra cosa. Hanno obiettivi politici.
In banlieue le rivolte hanno un significato politico nel senso che portano
sulla scena pubblica questioni sociali e politiche importanti. Ma nella loro
forma di espressione - e anche nel modo in cui pensano se stessi - questi
giovani non sono nella sfera politica. E' piuttosto un movimento spontaneo,
anche se hanno fatto "progressi", si fa per dire, nell'organizzazione:
funzionano per bande, guerriglia. Il 2005, come quel che accade oggi,
rinviano pittosto alle manifestazioni di quello che nella societa'
preindustriale era chiamata l'espressione di "emozioni popolari", scatenate
da avvenimenti come l'aumento del prezzo del pane, cioe' agitazioni
spontanee di gente disorganizzata. Nel passato, il passaggio alla politica
e' avvenuto quando frazioni della popolazione si sono organizzate in
partiti, sindacati, per entrare nella politica ufficiale. Per il
proletariato e' stato nel XIX secolo. Ma nelle banlieues non siamo a questo
stadio.
*
- Anna Maria Merlo: E' la fine di un mondo?
- Robert Castel: Rischia di essere la fine della societa' salariale, cioe'
di un modello che sembrava in via di realizzazione e che, anche se non
voleva dire la fine delle ineguaglianze sociali, permetteva all'insieme
della popolazione in paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna,
di avere risorse e una protezione di base che assicurava l'indipendenza
economica e sociale, un lavoro stabile. Un modello che, se non e' stato
ancora completamente distrutto, non e' piu' in espansione, anzi si sta
degradando. Un fenomeno che riguarda tutta l'Europa. Per questo credo che la
posizione di Sarkozy - "lavorare di piu' per guadagnare di piu'" - sia
percepita come un'ulteriore provocazione. Cosa puo' significare la' dove la
disoccupazione e' al 40%, domina il precariato e l'immigrato subisce
discriminazioni nell'accesso al lavoro?

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 300 dell'11 dicembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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