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Minime. 289
- Subject: Minime. 289
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 30 Nov 2007 00:44:47 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 289 del 30 novembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Pina Nuzzo: 120.000 firme per la proposta di legge "50 e 50 ovunque si decide" 2. Oggi a Roma 3. Valeria Ando': Un invito a una presa di parola 4. Giovanna Providenti ricorda Rosa Balistreri. Con un'intervista a Lucilla Galeazzi 5. Annamaria Rivera ricorda Frantz Fanon 6. Elena Loewenthal presenta il "Dizionario del Corano" a cura di Mohammad Ali Amir-Moezzi 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. PINA NUZZO: 120.000 FIRME PER LA PROPOSTA DI LEGGE "50 E 50 OVUNQUE SI DECIDE" [Dall'Unione donne in Italia (Udi) (per contatti: udinazionale at tin.it) riceviamo e diffondiamo. Pina Nuzzo, apprezzata pittrice, e' una delle figure piu' prestigiose dell'Unione delle donne in Italia (Udi)] Carissime, vi scrivo a poche ore dall'appuntamento preso con il Senato. E stiamo ancora controllando firme e chiudendo pacchi perche' le donne che arrivano dai Centri di raccolta da tutta Italia portano a mano le ultime firme. E' un evento straordinario, non solo per l'Udi che non ha mancato anche questo appuntamento con la storia, ma per tutte le donne che hanno contribuito in modo significativo alla sua realizzazione. I ringraziamenti e i numeri in dettaglio li avrete lunedi'. Per ora un grazie cumulativo per queste splendide 120.000 firme. Ricordo a tutte che sabato 15 dicembre dalle ore 11 alle ore 15 tutti i Centri di raccolta si incontreranno per decidere insieme come proseguire nella Campagna "50 e 50". Abbiamo deciso di preparare per quel giorno una torta da tagliare con voi e con tutte quelle che oggi non possono esserci e di vedere il video che ha seguito passo passo la nostra impresa. Per favore, chi verra' mandi una e-mail o faccia una telefonata per organizzarci. Un saluto felice Pina Nuzzo 2. INCONTRI. OGGI A ROMA [Riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato dell'Udi. Per contatti: Udi - Unione Donne in Italia, via dell'Arco di Parma 15, 00186 Roma, tel. 066865884, e-mail: udinazionale at tin.it, sito: www.50e50.it, ufficio stampa: Monica Giovannoni. tel. 3384352081, e-mail: m.giovannoni at idea.coop] Con la legge di iniziativa popolare "Norme di democrazia paritaria per le assemblee elettive" l'Udi affronta alla radice il problema dell'assenza delle donne nei luoghi in cui si decide. Tutta l'iniziativa politica "50 e 50 ovunque si decide" sottolinea che le donne non accettano le quote ma vogliono una presenza paritaria di genere a cominciare dal Parlamento. "Il 29 novembre abbiamo consegnato le firme raccolte in Senato - lo afferma Pina Nuzzo, delegata nazionale Udi -. Sono ancora una volta le donne dei 122 Centri nati spontaneamente in tutta Italia, le protagoniste di questo evento che ha prodotto il risultato concreto di oltre centomila firme raccolte". La conferenza stampa di chiusura della campagna e di presentazione dei risultati raggiunti si terra' il 30 novembre alle ore 11,30 presso la sede dell'Udi nazionale, via dell'Arco di Parma 15, nonostante la pesante censura mediatica che la campagna sta subendo da parte di tutti i mezzi di informazione. A fronte del risultato raggiunto semplici e grandi sono le cose che l'Udi chiede a questo Stato: - l'applicazione di un principio fondamentale di democrazia secondo l'art. 51 della Costituzione che attende di essere applicato dal 1948. - l'equiparazione di donne e uomini nella responsabilita' della res pubblica ovunque si decide. La stagione delle quote e' politicamente conclusa, andare oltre e' l'esigenza espressa da oltre centomila donne italiane a cui e' stato chiesto di esprimere una precisa volonta' politica, volonta' di cui non si puo' non tenere conto. "Chi nomina ancora le quote - conclude Pina Nuzzo - ha solo paura di intaccare interessi consolidati. Sono venuti meno anche gli alibi di natura giuridica legati ad una lettura antica della Costituzione. Ora finalmente e' il tempo della democrazia paritaria". 3. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': UN INVITO A UNA PRESA DI PAROLA [Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: valeriando at fastwebnet.it) per questo intervento. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005] Alle tante voci che si sono succedute dopo la manifestazione del 24 ottobre a Roma, vorrei aggiungere una mia considerazione. La raggiunta "autonomia politica delle donne" di cui parla il comitato organizzatore della manifestazione, il cui testo e' riportato sull'ultimo numero di "Nonviolenza. Femminile plurale", e' certamente un fatto da registrare positivamente, specie per il forte rischio di omologazione a modelli che non ci appartengono, e per l'ingresso di donne delle nuove generazioni in questa nuova fase di protagonismo femminile che richiede un "luogo separato" per l'elaborazione autonoma di progetti e pratiche politiche. Se il separatismo era opportuno o forse necessario nella fase di preparazione e dibattito, mi domando pero' quale poteva esserne il senso al momento della manifestazione, soprattutto in considerazione del tema specifico, cioe' la violenza sulle donne. Lo sappiamo bene: la violenza sulle donne e' violenza di genere, sono uomini che violano il corpo delle donne, con percosse, stupri o addirittura uccisioni, sono uomini che feriscono l'anima delle donne, con soprusi, umiliazioni di ogni tipo, privazione della liberta', esercizio di dominio e di potere. La violenza sulle donne e' cioe' uno degli aspetti piu' biechi del patriarcato. Dico anche che e' un modo deviato di intendere il rapporto tra i sessi, un segnale di un conflitto mai risolto. Un conflitto, appunto. E in quanto tale, investe entrambi i poli confliggenti, uomini e donne. Per questo, escludere gli uomini dalla partecipazione impedisce, mi pare, di affrontare il conflitto e avviare un confronto: sono gli uomini i nostri interlocutori. Se certamente tocca agli uomini iniziare un percorso di ridefinizione del loro ruolo sessuale, percorso peraltro gia' avviato da gruppi e associazioni maschili, e' vero anche che la soluzione del conflitto e in particolare il dramma della violenza sulle donne puo' risolversi solo se uomini e donne insieme ridefiniscono gli uni di fronte alle altre i loro ruoli: solo cosi', a mio avviso, puo' attuarsi la rivoluzione culturale di rifondazione di una nuova sessualita'. Se e' giusto distinguere i carnefici dalle vittime, non mi pare invece che separare e opporre gli uni alle altre possa aiutare alla crescita e alla maturazione di entrambi: di fronte a un carnefice, quasi sempre vittima di se stesso e dei propri condizionamenti culturali, c'e' una vittima inconsapevole di se' e di fatto complice involontaria. Sappiamo anche che il problema e' culturale e non di ordine pubblico. Eppure gli interventi legislativi a tutela delle donne maltrattate, gli incentivi e gli aiuti per i centri antiviolenza sono necessari e auspicabili. Per questo se le ministre con la loro partecipazione volevano esprimere un impegno, occorreva a mio avviso avanzare altre richeste esplicite anziche' farle allontanare. Non si tratta di moderazione o di simpatia verso la politica istituzionale, ma di volonta' reale di dialogo tra di noi, ognuna con la sua differenza, la sua eta', la sua esperienza di vita e di impegno politico. Di dialogo, e' questo un mio auspicio, anche con gli uomini: dalla violenza sulle donne abbiamo bisogno di liberarci tutte e tutti, e riusciremo a farlo se lo sforzo di liberazione sara' comune. Per questo invito a una presa di parola. 4. MEMORIA. GIOVANNA PROVIDENTI RICORDA ROSA BALISTRERI. CON UN'INTERVISTA A LUCILLA GALEAZZI [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Rosa Balistreri. La cantante che faceva comizi con la chitarra" e il sommario "Interprete e cantautrice folk siciliana che negli anni Sessanta e Settanta ha dato voce ai poveri e agli indifesi. Una figura storica da recuperare, una sonorita' e passionalita' femminile da riascoltare". Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza] Quando nel 1966 Dario Fo portava sulle scene lo spettacolo di canzoni popolari, dal titolo "Ci ragiono e canto", tra le cantanti alternatesi sul palco ve ne era una che non assomigliava a nessun'altra: Rosa Balistreri, una popolana quarantenne dal volto segnato da duro lavoro e molte sofferenze e gli occhi limpidi e sicuri di chi porta fino in fondo le battaglie che la vita le pone. "Ho imparato a leggere a 32 anni. Dall'eta' di sedici anni vivo da sola. Ho fatto molti mestieri faticosi per dare da mangiare a mia figlia. Conosco il mondo e le sue ingiustizie meglio di qualunque laureato. E sono certa che prima o poi anche i poveri, gli indifesi, gli onesti avranno un po' di pace terrena". Cosi' si presentava Rosa ad un giornalista che l'intervistava nel 1973 in seguito alla mancata partecipazione al festival di Sanremo, dove la sua canzone dal titolo "Terra che non senti" era stata esclusa all'ultimo minuto. Il fragore suscitato intorno al caso ha fatto si' che Rosa fosse considerata da molti la vera vincitrice del festival e potesse affermare con risolutezza che non si sarebbe lasciata spaventare dai nemici politici che avevano cercato di eliminarla: "Si puo' fare politica e protestare in mille modi, io canto. Ma non sono una cantanteÖ sono diversa, diciamo che sono un'attivista che fa comizi con la chitarra". Un piccolo ostacolo come un'esclusione a un festival non avrebbe fatto altro che rendere il suo impegno politico ancora piu' determinato: "Li ho messi tutti nel sacco. Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l'opinione pubblica sara' piu' sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l'emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi... Finora ho cantato nelle piazze, nei teatri, nelle universita', ma sempre per poche migliaia di persone. Adesso ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l'abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie. Era questo il mio scopo quando ho accettato di cantare a Sanremo. Anche se nessuno mi ha visto in televisione, tutti gli italiani che leggono i giornali sanno chi sono, cosa sono stata, tutti conoscono le mie idee, alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su cio' che canto" ("Qui Giovani" del 22 marzo '73 in www.rosabalistreri.it). Rosa Balistreri nata a Licata, in provincia di Agrigento, il 21 marzo del 1927, nei primi anni Cinquanta emigra a Firenze insieme al fratello e alla madre con i quali dapprima apre un negozio di frutta e verdura. Nei primi anni Sessanta incontra un pittore siciliano che si innamora di lei e la introduce nel mondo completamente nuovo della cultura. A casa di lui incontra il poeta Ignazio Buttitta che cosi' avrebbe ricordato nel 1984: "Rosa canto' il lamento della morte di Turiddu Carnivali che e' un mio poemetto. Io quella sera non la dimentichero' mai. La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venissero dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l'impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre, perche' Rosa Balistreri e' un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza volto" (da: www.csssstrinakria.org/balistreri.htm centro studi storici siciliani). Dal 1966, dopo la partecipazione a "Ci ragiono e canto", Rosa inizia a incidere dischi. Nel 1971 si trasferisce a Palermo, dove frequenta personaggi come il pittore Guttuso e Buttitta, che scrive per lei numerose liriche andatesi ad aggiungere al suo vastissimo repertorio: dai canti appresi durante l'infanzia a canti popolari di varia provenienza. Ascoltandola cantare si rimane impressionati dalla carica umana, dal timbro forte ed originale della sua voce e dal tono fortemente drammatico con cui, interpretando le canzoni popolari siciliane, riusciva a esprimere il senso di poverta' e orgoglio del popolo. Dopo la sua morte, avvenuta a Palermo nel 1990, e' rimasta dimenticata, ma negli ultimi anni l'editore Francesco Giunta sta raccogliendo la sua vastissima produzione sparsa in molte registrazioni di concerti e in dischi delle piu' svariate case discografiche. Grazie al suo interessamento, lo scorso settembre Palermo ha voluto dedicare a Rosa Balistreri un concerto in cui tre importanti cantanti della canzone popolare come Lucilla Galeazzi, Clara Murtas e Fausta Vetere hanno ridato vita al suo repertorio insieme al gruppo musicale "I pirati a Palermu oggi", formato da giovani intorno ai venticinque anni. * Lucilla Galeazzi cantante folk italiana, che lo scorso anno con il suo cd "Amore e acciaio" ha riscosso uno straordinario successo di critica, ottenendo tutti i riconoscimenti possibili per una cantante popolare, tra cui la targa Tenco come miglior disco della canzone popolare, ha gentilmente risposto ad alcune nostre domande. * - Giovanna Providenti: Perche' oggi rivalutare una cantante come Rosa Balistreri? - Lucilla Galeazzi: Perche' se lo merita, e' stata una grande cantante che ha dato vita a un repertorio cosi' bello e vasto, lasciando una importante eredita' per tutta la cultura musicale e popolare. E poi perche' oggi i ragazzi e le ragazze siciliane riascoltando le canzoni cantate da lei possono ispirarsi a questo grande repertorio per ripercorrere la propria quotidianita', e anche rivalutare tutta una musicalita' e utilizzo di strumenti che altrimenti rischiano di essere dimenticati. * - Giovanna Providenti: Le sue canzoni sono ancora attuali? - Lucilla Galeazzi: L'attualita' e' che queste canzoni non si sono invecchiate di un giorno e che la sua mirabile capacita' di espressione lirica e la carnosita' della sua voce, sempre nutrita da grande passionalita', suscita ancora oggi delle emozioni profonde che entrano ad un livello diverso da quello verbale: facendoci direttamente provare emozioni forti, come ad esempio lo sdegno. L'interprete popolare e' anche compositore, e lei aveva questa grande capacita' di reinventare canzoni anche antiche facendo smuovere gli animi di chi l'ascoltava. * - Giovanna Providenti: Tu come l'hai conosciuta? - Lucilla Galeazzi: Io non l'ho conosciuta personalmente, ma ho assistito ammirata ad alcuni suoi concerti negli anni Settanta, certo allora non avrei mai immaginato che io stessa avrei insegnato ai miei allievi l'importanza dell'eredita' di Rosa Balistreri per tutta la cultura popolare, che da Rosa in poi si e' molto arricchita. Le stesse canzoni dal momento in cui sono state interpretate da lei hanno acquistato una nuova energia entrando nella storia con una voce femminile coraggiosa e potente come la sua. Fausta Vetere (la cantante della Nuova compagnia di canto popolare), che ha avuto la fortuna di cantare con lei a dei concerti, raccontava di essere impressionata dal coraggio che aveva nel parlare in pubblico e dire le cose per come stavano, denunciare apertamente. Un giorno le aveva chiesto se non avesse paura della mafia e lei aveva risposto: "perche', cosa mi possono fare con tutto quello che ho sofferto gia' io nella vita!". * - Giovanna Providenti: Lei affermava infatti di essere un'attivista piu' che una cantante... - Lucilla Galeazzi: Si', ma fare politica attraverso la canzone popolare non e' solo qualcosa di esplicito e legato ai fatti del momento, ed e' nel "come" non solo nel "cosa". Lei portava avanti la voce del popolo, cantava le canzoni che appartengono a tutti, che sono "comuni" fin dalla loro radice e non e' possibile apporre alcun tipo di copyright. La proprieta' della cultura l'ha inventata la cultura borghese, invece la canzone popolare appartiene ad una cultura del popolo reale e ne racconta le sofferenze vere. Attraverso le canzoni passa la voce del popolo, testimonianza di un modo di pensare ed essere cultura orale. La cultura popolare e' oggettivamente alternativa perche' e' di tutti. L'espressivita' della condizione proletaria non e' nelle parole, ma nel tono e in questo lei era una vera maestra. A me Rosa piace come canta e cosa canta, cose che non vanno mai distinte, anche la ninna nanna e' contestataria: la ninna nanna non la canta certo la donna borghese che puo' permettersi la balia, ma la mamma proletaria che l'indomani deve svegliarsi alle quattro di mattina per andare a lavorare, e si sente disperata perche' il bambino non vuole dormire. Ecco allora che Rosa aveva la capacita' di trasmettere la disperazione, di renderti compartecipe del lamento di questa donna: e anche questo e' fare politica. 5. MEMORIA. ANNAMARIA RIVERA RICORDA FRANTZ FANON [Dal quotidiano "Liberazione" del 28 settembre 2007, col titolo "Fanon, quelle tesi profetiche sul razzismo versione democratica" e il sommario "Da oggi a Roma due giorni di seminari dedicati allo psichiatra martinicano scomparso nel 1961 in occasione dell'uscita dei due volumi degli 'Scritti politici' sulle rivoluzioni africane e algerina. Pubblichiamo lo stralcio di una relazione". Annamaria Rivera, antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005. Frantz Fanon, psichiatra, pensatore, militante rivoluzionario anticolonialis ta, nato nel 1925 in Martinica, studi in Francia, eroico combattente nella guerra contro il nazismo, psichiatra in Algeria, figura simbolo della rivoluzione algerina e della lotta degli oppressi, colpito da leucemia muore nel 1961 in un ospedale degli Stati Uniti. Misconosciuto perche' sovente ridotto alo stereotipo con cui e' piu' noto - quello del teorico della violenza liberatrice dei colonizzati (stereotipo cui molto ha concorso la nota prefazione di Sartre a I dannati della terra), e' una figura ineludibile, da cui molto si apprende. E' a nostro avviso semplicemente indispensabile leggere le sue opere, conoscere la sua vicenda, la sua traiettoria esistenziale, di intellettuale europeo e del terzo mondo, di medico psichiatra, di militante rivoluzionario, di pensatore, di uomo che ha amato l'umanita' e ha lottato per la liberazione. Tra le opere di Frantz Fanon: Il negro e l'altro, Il Saggiatore, Milano 1965, 1972; Sociologia della rivoluzione algerina, Einaudi, Torino 1963; I dannati della terra, Einaudi, Torino 1962, 1976; Pour la revolution africaine, Maspero, Paris 1964; Opere scelte, 2 voll., Einaudi, Torino, 1971, 1976. Tra le opere su Frantz Fanon: Renate Zahar (Renate Siebert), Il pensiero di Frantz Fanon, Feltrinelli, Milano 1970; Pietro Clemente, Frantz Fanon tra esistenzialismo e rivoluzione, Laterza, Bari 1971; Alessandro Aruffo, Giovanni Pirelli, Fanon, Erre Emme, Roma 1994] Come ricordava Sartre nel 1961, nella Prefazione a I dannati della terra, gli otto anni della ferocissima guerra d'Algeria erano costati la vita, fino ad allora, a piu' di un milione di algerini. Il terrorismo coloniale, le atrocita', i massacri, le deportazioni compiute dai francesi finiranno in qualche misura per "contaminare" la stessa resistenza. Quei lati oscuri della lotta per la liberazione, e' lo stesso Fanon a segnalarli in alcune pagine degli Scritti politici: "La liberta' merita che si entri in questo terribile circolo del terrorismo e del controterrorismo?", si chiede. "Questa sproporzione non esprime forse l'impossibilita' di sfuggire all'oppressione?". I lati oscuri, come si sa, finiranno per allungare la propria ombra ben oltre l'arco temporale della rivoluzione e quell'ombra si prolunghera' per decenni, fino agli eventi piu' recenti della storia algerina. Certo, dobbiamo ben guardarci da quell'insidioso revisionismo che conduce alla riabilitazione del colonialismo, e che in Francia ha ispirato il tentativo di valorizzare nell'insegnamento pubblico il contributo positivo della "missione civilizzatrice" francese. Ma credo che a noi, critici verso tutti i nazionalismi, non sia concesso d'essere indulgenti verso i lati in ombra delle guerre di liberazione. E' proprio Fanon a mettere in discussione severamente anche i nazionalismi degli oppressi: la sua critica radicale della stessa negritude, il rifiuto d'ogni concezione passatista - "necrofila", come scrive Robert J. C. Young - della cultura autoctona segnala il superamento d'ogni retorica nazionalista e d'ogni illusione culturalista. A tal proposito sono illuminanti le poche, dense pagine di "Razzismo e cultura", nelle quali Fanon propone un'idea di cultura "aperta, attraversata da linee di forza spontanee, generose, feconde". E avverte che effetto e interesse del regime coloniale non e' tanto la distruzione della cultura autoctona quanto "la sua agonia prolungata", la sua reificazione, la sua riduzione ad oggetto d'esotismo. Agli attuali interessati denigratori del relativismo culturale e difensori dell'universalismo - un universalismo astratto e particolare, che va divenendo sempre piu' maschera del dominio - basterebbe opporre una frase icastica di Fanon: "l'universalita' risiede in questa decisione di accettare la reciproca relativita' di culture diverse, una volta abolito irreversibilmente il dominio coloniale". Sono pagine anticipatrici che precorrono di alcuni decenni sia i ripensamenti e gli aggiustamenti degli antropologi in chiave anticulturalista, a partire da Edmund Leach, sia le riflessioni sulle metamorfosi del razzismo contemporaneo, in particolare sul passaggio dal razzismo biologico al razzismo culturale. Fanon vi afferma che il razzismo non e' che "un modulo della gerarchizzazione sistematica perseguita in modo implacabile", uno degli elementi dei sistemi di sfruttamento e oppressione. Volendo adattare al presente questo importante enunciato, dovremmo aggiungere che, proprio per questo, il razzismo e' un fenomeno a geometria variabile, che si appunta su bersagli via via diversi secondo le contingenze storiche (oggi in Italia il suo bersaglio principale sono migranti e rom dei paesi dell'Est, piu' che i discendenti dei colonizzati). In un altro passaggio chiave, Fanon mette in luce come il razzismo, man mano che mutano i rapporti di produzione, tenda a mimetizzarsi, a mascherarsi, a farsi implicito o "democratico". Potremmo assumere tali e quali le sue parole per descrivere il fenomeno dei giorni nostri che qualcuno, in Italia, ha definito "razzismo democratico" e altri, in Francia, "razzismo rispettabile". Alludo a quelle forme di razzismo che maturano in ambienti e sono espresse da soggetti che si reputano e sono reputati democratici: in Italia la sua fenomenologia assume espressioni che vanno dalle periodiche campagne di stampa xenofobiche, lanciate da questo o quel quotidiano democratico, prendendo a pretesto episodi di cronaca nera, al "Patto per le citta' sicure", nel quale la sicurezza e' una forma eufemistizzata di pulizia etnica ai danni di rom, senzacasa, lavavetri e altri "scarti sociali". Una strategia ricorrente del razzismo rispettabile strumentalizza il tema dell'uguaglianza fra i sessi. Impermeabile ai dati empirici piu' inoppugnabili, attribuisce alla componente maschile dell'immigrazione, sopratutto musulmana, il monopolio della violenza sessista e alla sua componente femminile la prerogativa della sottomissione e dell'oppressione di genere. E' cio' che puo' definirsi razzializzazione del sessismo, cioe' la tendenza a fare del sessismo un fenomeno esogeno ed esotico, imputabile quasi esclusivamente agli altri - i discendenti dei colonizzati, i migranti - il che vale ad assolverne la societa' maggioritaria. Non serve a scalfire questa retorica l'argomento incontrovertibile che la violenza sessista e' trasversale alle classi e agli ambienti sociali, alle provenienze e alle nazionalita', poiche', come ogni superstizione, anche questa si autoconvalida e si autoalimenta. E' una superstizione diffusa perfino in alcuni ambienti femministi, gli stessi che, in nome della laicita' e della liberta' delle donne, si sono compiaciuti della legge francese che ha proibito il "velo" e altri "segni religiosi ostentatori" nella scuola pubblica. Et pour cause: anche se non sempre esplicita, l'idea che ispira quegli ambienti e' che liberazione delle donne s'identifichi con l'estensione e l'applicazione conseguente del modello occidentale-liberale, insidiato dall'irruzione nelle nostre societa' della barbarie del mondo non occidentale. Sull'articolazione del razzismo col sessismo e, in particolare, sulla razzializzazione del sessismo nonche' sui dispositivi disciplinari di produzione del corpo sessuato e razzializzato, l'opera di Fanon e' disseminata di frammenti d'analisi e indicazioni teoriche. Si pensi alla descrizione di come l'amministrazione coloniale francese in Algeria articolo' il tema della missione civilizzatrice con l'argomento della necessita' di liberare le donne algerine dall'oppressione patriarcale. Dai lager nazisti alle immagini oscene di Abu Ghraib, sappiamo che lo svelamento, il denudamento del corpo dell'altro/a e' uno dei dispositivi attraverso i quali si realizza la sua umiliazione e de-umanizzazione. Nel citatissimo articolo sul velo, contenuto ne L'anno V, Fanon racconta della cerimonia che si svolse ad Algeri il 13 maggio del 1958, quando delle donne algerine furono costrette a montare su un palco per bruciare pubblicamente i loro veli. Il potere coloniale intendeva mostrare cosi' di voler emancipare le indigene, in realta' applicava la strategia del divide et impera. Molte di quelle donne sarebbero poi tornate ad indossare il velo e si sarebbero unite alla resistenza. Quell'articolo e' illuminante non solo perche' analizza finemente il gioco di velarsi/svelarsi delle donne algerine; e neppure solo perche' ci permette di rintracciare le matrici colonialiste dell'attuale polemica contro il velo, ma anche perche' ci suggerisce spunti teorici che conviene raccogliere. Fanon non esalta affatto il costume dell'haik, ne' altri costumi tradizionali, e ancor meno l'ordine patriarcale che governa le relazioni di genere nell'Algeria dell'epoca (siamo negli anni Cinquanta). Anzi, pone sempre l'accento su quanto la guerra di liberazione e la partecipazione delle donne abbiano sconvolto la famiglia patriarcale. Con quest'esempio - e con quelli della diffusione della radio, dell'accoglimento della lingua francese e della medicina occidentale, prima rifiutate - egli intende avvalorare un'idea che percorre tutte le sue opere: la modernita' occidentale - coloniale - non puo' essere imposta; la modernizzazione non puo' che essere un processo di rielaborazione e di traduzione nei propri codici, una dinamica non astratta, ma calata nella concretezza dei processi di liberazione. I teorizzatori, gli artefici e i sostenitori "democratici" delle guerre imperialiste attuali, condotte in nome dell'imperativo di recare civilta' e modernita' laddove dominano barbarie e arretratezza, farebbero bene a leggere Fanon. Non saranno loro a togliere il burqa dalle teste delle donne afgane, ne' sconfiggeranno i talebani poiche', in quella situazione, perfino il burqa e i talebani finiranno per essere sentiti preferibili all'orrore del dominio neocoloniale e delle guerre d'occupazione. 6. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA Il "DIZIONARIO DEL CORANO" A CURA DI MOHAMMAD ALI AMIR-MOEZZI [Dal supplemento "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 24 novembre 2007, col titolo "Il Corano parla ad alta voce". Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Mohammad Ali Amir-Moezzi, docente universitario e saggista, islamologo ed iranologo, docente di teologia, filosofia ed esegesi islamica; e' docente e direttore di ricerca presso la Sorbona e presso l'Ecole Pratique de Hautes Etudes di Parigi ed altre importantissime istituzioni culturali; e' membro della Societe' Asiatique, della Societe' Ernest Renan, dell'Association of Arabic Philosophy and Sciences; fa parte dei comitati di riedazione delle riviste sceitnifiche "Journal Asiatique", "Studia Islamica", "Studia Iranica", "Arabica", "Journal of the History of Sufism"; curatore delle collane editoriali "Sciences Religieuses" (Albin Michel - Ephe), "Textes et Traditions" (Vrin); fa parte dell'Institute for Advanced Studies dell'Universita' ebraica di Gerusalemme; e' curatore internazionale della collana "Islamica" di Mondadori. Tra le opere di Mohammad Ali Amir-Moezzi: (a cura di), Dizionario del Corano, Mondadori, Milano 2007] Ridurre il fenomeno religioso a un insieme, per quanto ampio, di references, e' impresa davvero ardua. Non necessariamente per ragioni "devozionali" o in nome di una comune soggezione ai misteri della fede, e di ogni fede: e' proprio un motivo strutturale quello che rende piu' semplice costruire un insieme di voci intorno alla geografia o alla letteratura. Perche' la materia religiosa e' decisamente piu' sfuggente e "invasiva" nella storia, nella geografia e nel pensiero. Fatta questa premessa, va aggiunto che il Dizionario del Corano a cura di Mohammad Ali Amir-Moezzi con cui s'inaugura la collana Mondadori Doc (pp. 989, euro 28) vince la sfida. Il volume, nonostante il formato quasi tascabile e la grafica molto maneggevole, e' il frutto di un lavoro d'equipe molto qualificato nonche', per l'edizione italiana, di una curatela affidata a Ida Zilio-Grandi. La sfida di questo volume e' vinta due volte, come spiega il suo autore nella prefazione all'edizione originale, perche' "tutti gli autori (delle voci) condividono lo stesso rigore fondato sull'erudizione, lo stesso rispetto dell'oggetto studiato, la stessa preoccupazione per la chiarezza e la coerenza... durante il nostro intero lavoro, alcuni tra i nostri amici piu' stretti ci hanno messo in guardia sul carattere delicato della nostra iniziativa: un'operazione - temevano - destinata al grande pubblico e che affronta il testo coranico da un punto di vista strettamente filologico e storico non avrebbe mancato di urtare la sensibilita' di alcuni musulmani. Non abbiamo voluto dar credito a questo timore". Il dizionario affronta l'universo coranico nella vastita' delle sue voci con l'obiettivo di "salvaguardare una gloriosa cultura che oggi attraversa una delle peggiori crisi spirituali della sua storia, dovuta principalmente alla strumentalizzazione politica del fatto religioso". Induce subito a una riflessione che puo' essere un modo per incontrarsi non nell'assimilazione bensi' nella dialettica. Mentre per ebraismo e Islam il proprio testo sacro e' l'oggetto della lettura, sommessa o ad alta voce che sia (Miqra, il nome ebraico della Bibbia, e Quran, Corano, sono parole analoghe), per la cristianita' il libro sacro e' anzitutto "Scrittura". Questo dizionario offre piu' di 400 voci mai lapidarie ma sempre narrative e dotate di bibliografia, in prospettiva storico- filologica, utile per esplorare il concetto di "Paradiso" e orientarsi fra "Versetti chiari e versetti ambigui" nonche' comprendere che cosa siano, fuor di furori, i "versetti satanici". Anche la voce sulle "Donne", che spazia dai diritti matrimoniali all'abbigliamento raccomandato, e' assai illuminante. Perche' un altro pregio di questo volume e' la sua leggibilita': queste voci sono infatti utili come condensati di nozioni ma prima ancora costituiscono un approccio sempre argomentato alla materia, al contesto in questione. Ogni voce ha insomma una sua dignita' culturale, ed e' anche per questo che il Dizionario del Corano vince l'ardua sfida di condensare in un insieme di riferimenti l'universo religioso e storico dell'Islam. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 289 del 30 novembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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