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Nonviolenza. Femminile plurale. 141
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 141
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 29 Nov 2007 12:04:24 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 141 del 29 novembre 2007 In questo numero: 1. Casa internazionale delle donne: Per la verita' 2. Lea Melandri: Appropriazioni indebite 3. Maria Grazia Campari e Alidina Marchettini: Una lettera dopo la manifestazione contro la violenza sulle donne 4. Udi di Napoli: L'iniziativa delle donne 5. Marinella Correggia: Clima, sono gli uomini la vera minaccia 6. Elena Loewenthal presenta "Israele e la Shoah" di idith Zertal e "Una figlia dell'Olocausto" di Bernice Eisenstein 7. Giovanna Providenti presenta "Madre piccola" di Cristina Ali Farah 1. RIFLESSIONE: CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE: PER LA VERITA' [Dal sito www.controviolenzadonne.org riprendiamo il seguente comunicato della Casa internazionale delle donne del 25 novembre 2007, dal titolo "La Casa internazionale pretende verita'. Quando il dito indica la luna gli ipocriti guardano il dito"] La Casa internazionale delle donne si rallegra per il successo della grande manifestazione del 24 novembre, nella quale 150.000 donne hanno denunciato i livelli intollerabili della violenza maschile contro le donne: una violenza che non conosce confini tra i paesi e le culture, e che soprattutto in famiglia si compie in modi efferati. Nella lunga preparazione della manifestazione, numerose assemblee nazionali avevano costruito un percorso di grande affermazione di autonomia delle donne, della loro autodeterminazione e della radicalita' delle loro posizioni, in difesa della liberta' femminile e contrarie ad ogni strumentalizzazione. La manifestazione intendeva denunciare il disconoscimento della realta', compiuto nelle politiche securitarie: la violenza alle donne non c'entra nulla con il "pacchetto sicurezza" ma richiede piuttosto un decisivo salto di qualita' culturale e antropologico, e un impegno politico in questo senso. In particolare, si era percio' deciso di non avere palchi a conclusione del corteo, per evitare lo spettacolo dei soliti "cappelli" partitici. A piazza Navona, invece, le 150.000 donne hanno trovato ad accoglierle un "fuori programma", un palco televisivo, con donne parlamentari e ministre che in quella sede rappresentavano le istituzioni di governo e di opposizione. Aderire ad una manifestazione significa condividerne i contenuti, le pratiche, le finalita': sarebbe stato opportuno, per le politiche di professione, prendere sul serio le discriminanti poste dalle donne, ed evitare quindi ogni protagonismo mediatico. Non dunque di intolleranza, si tratta, ne' tanto meno di violenza verbale: troppi organi di dis-informazione descrivono cosi' la vivace reazione delle organizzatrici, secondo vecchi metodi maschili, ma perdono l'occasione di esplicitare il senso e la novita' di una grande affermazione di autonomia politica delle donne. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: APPROPRIAZIONI INDEBITE [Dal sito della Libera Universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 27 novembre 2007 con il titolo "Donne contro una decrepita politica maschile". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Nella sua virulenza liquidatoria di femminismi passati e presenti, fatti sparire dietro le etichette "infamanti" di "gruppi anarcoidi", "centri sociali duri", "estremismi fascistoidi", Miriam Mafai ("La Repubblica" del 25 novembre 2007) ci ha comunque chiarito che cos'e' per lei - ma c'e' motivo di credere per molti e molte - "antipolitica": tutto cio' che a livello di iniziativa pubblica, collettiva, si muove fuori dalle forme organizzate della politica, che osa contestarne i contenuti e le pratiche. Chi ha memoria degli anni '70 sa che tali furono considerati, anche dai partiti di sinistra, quei movimenti antiautoritari che pensavano si dovesse ridefinire la politica "andando alle radici dell'umano", interrogarla a partire dal suo atto fondativo, fonte prima di ogni scissione - tra donne e uomini, famiglia e societa', natura e storia, barbarie e civilta', norma e devianza. Il separatismo dei gruppi femministi fu allora tutt'altro che "sterile", come vorrebbe far credere Mafai: nasceva, insieme a una autonomia di pensiero sconosciuta a chi, come le donne, aveva dovuto far propria forzatamente la visione del mondo dettata da altri, l'idea che tutto cio' che era stato considerato fino allora "impolitico", naturalizzato e reso per cio' stesso immodificabile - corpo, sessualita', persona -, apparteneva da sempre alla polis, incuneato al suo interno come speranza di cambiamento e, al medesimo tempo, minaccia perenne di instabilita'. Oggi, di fronte alla ripresa di un movimento di donne piu' articolato per eta', collocazione sociale, nazionalita', professione, orientamento sessuale, appartenenza ideologica, il rapporto con le istituzioni politiche si fa piu' incalzante, carico emotivamente del peso di una lunga storia di delusioni, conflitti mai risolti, reso ancora piu' radicale dalla messa a tema del sessismo, trasversale per quanto riguarda la denuncia del dominio maschile, ma non certo indifferente rispetto alle questioni di giustizia sociale, democrazia, modelli di sviluppo, ambiente, laicita', migrazione. E' vero, come alcuni giornali hanno notato, che il femminismo che si e' espresso per le strade di Roma sabato 24 novembre e' piu' "politicizzato", se confrontato con quello degli anni '70, anche nel senso che si da' tradizionalmente alla parola "politica". Lo e' nel dibattito tra i collettivi romani, e di alcune altre citta', che ha preceduto e dato avvio alla manifestazione, nei comunicati stampa delle organizzatrici - la' dove si sottolinea l'uso che viene fatto della violenza contro le donne per politiche sicuritarie e repressive, la volonta' di salvaguardare l'autonomia del movimento rispetto al rischio di appropriazioni indebite di qualsiasi colore politico. Ma lo e' anche per la composizione eterogenea dei gruppi che hanno dato la loro adesione, condividendo un tema essenziale della manifestazione - una violenza maschile "che comincia in famiglia e non ha confini" -, ma chiedendo che si tenesse conto delle loro diverse pratiche politiche. Da piu' parti si chiedeva da tempo una parola pubblica che assumesse il rapporto di potere tra i sessi con tutto il peso che ha avuto e ha tuttora nella sfera privata e pubblica, nelle forme di civilta' che si sono espresse nella storia, costruzioni di un protagonista unico. Questa "parola" si e' manifestata in un modo piu' diretto ed esteso di quanto potevamo immaginare, come si puo' vedere scorrendo sul sito www.controviolenzadonne.org i comunicati di adesione di consigli comunali, provinciali, regionali, gruppi sindacali, partiti, parlamentari, non meno numerosi e ampiamente motivati di quelli delle associazioni femministe. Parole come "patriarcato", "dominio maschile", "violenza domestica", sono entrate nei luoghi che hanno parlato finora soltanto al neutro, cancellando l'"invisibilita'" del separatismo maschile nella sfera pubblica, e mediatica in particolare. Ma questo accomunamento, necessario se si vuole che la manifestazione sia solo l'inizio di una forza collettiva capace di produrre cambiamenti effettivi, dovra' sopportare l'urto di conflitti, tra donne prima di tutto, e poi tra uomini e donne, associazioni e partiti, soggetti istituzionali e non istituzionali della politica. Le polemiche, queste davvero sterili, con cui ogni forma di dissenso e di contestazione viene riportata dai media, sono la cancellazione del conflitto, l'appiattimento dentro schemi oppositivi - estremismo e moderazione, tolleranza e intolleranza, veterofemminismo e composta modernita' femminile. Questo significa anche che non si puo' far finta che l'informazione non sia a sua volta ispirata da interessi economici e politici, preferenze ideologiche, segnata nel suo linguaggio, nei suoi valori, nella sua idea di democraticita', da un senso comune maschile, gerarchico, competitivo, patriarcale e misogino, da cui non sono esenti per determinismo biologico le donne. Il "parapiglia" di Piazza Navona, contrabbandato come violenza e intolleranza, estremismo fascistoide o ingenuita' di alcune "oche", ha, al contrario, molto da insegnare. Si e' ripetuto, con una evidenza esemplare, direi quasi didattica, quello che abbiamo sotto gli occhi da anni e che in questo caso era stato previsto, prevenuto dalle organizzatrici: si era detto no al palco, per evitare quella specie di "erezione" conclusiva che fissa leaderismo, rappresentanze autorevoli, gerarchie note, appropriazioni indebite. Le piazze si sono riempite senza palco negli anni '70 e non sono mai state per questo meno parlanti e prive di risonanza. Poteva accadere lo stesso a Piazza Navona, quando a parlare erano gli striscioni, le riprese del corteo, i filmati. Eppure a qualcuno quello spazio affollatissimo e' parso vuoto: alle ministre, alle parlamentari presenti e alla televisione, che, pur sapendo di provocare la comprensibile rabbia di chi aveva organizzato il corteo, non hanno esitato a ricostruire uno di quei salotti mediatici fatti per consacrare volti gia' noti, egemonia di partiti e di governi, su tutto cio' che si muove fuori dai canali istituzionali. E' un modo, che purtroppo non ci e' nuovo, per spegnere le forze vive di un Paese, le uniche, a questo punto, da cui si puo' ancora sperare che possa venire un limite sia al populismo che al decrepito cerimoniale della politica maschile. 3. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI E ALIDINA MARCHETTINI: UNA LETTERA DOPO LA MANIFESTAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE [Dal sito della Libera Universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente "Lettera dopo la manifestazione contro la violenza sulle donne". Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista, impegnata nei movimenti per la pace e i diritti. Alidina Marchettini e' presidente dell'Associazione Rosa Luxemburg] Abbiamo partecipato alla manifestazione del 24 novembre seguendo il corteo in parte dietro lo striscione milanese di "Usciamo dal silenzio", in parte precedendolo verso Piazza Navona. Questo e' quanto ci risulta per avervi direttamente assistito. In via Cavour la ministra Turco e' entrata nel corteo, applaudita da alcune donne, mentre da altre veniva intonato lo slogan "La violenza non e' normale, le politiche a lavorare". Piuttosto disincentivante per la ministra, ma anche piuttosto calzante: in effetti, chi ha scelto di svolgere il ruolo di legislatore dovrebbe operare per la soluzione dei problemi attraverso leggi giuste, non ignorare o mistificare attraverso leggi sbagliate e poi manifestare con le contestatrici. Contro chi manifestava la ministra, forse contro se stessa? Giungendo in Piazza Navona prima del corteo abbiamo visto la postazione televisiva (collocata su di un gazebo sopraelevato a mo' di palco) destinata a giornalisti e ministre per il consueto spot di politica mediatica, in cui sembra consistere il mestiere sia di giornalista sia di "rappresentante del popolo" ai giorni nostri. L'impressione che se ne riceveva era chiaramente quella che, nel silenzio obbligato delle vere protagoniste e occultando la loro intenzione politica, un paio di ministre potessero parlare anche in questa occasione, appropriandosi della manifestazione e mistificando le ragioni di tante. Un comportamento arrogante contro il quale alcune giovani organizzatrici hanno protestato, incollando alla base del gazebo alcuni manifesti portati in corteo, mentre altre salivano i gradini del palchetto gridando "fuori, fuori". Tutta qui la "inaudita violenza" della quale siamo state testimoni. In realta' una semplice autodifesa delle ragioni delle manifestanti. Molto aggressivo, invece, il comportamento dei mistificatori che hanno voluto obliterare il significato dell'evento strumentalizzandolo a fini personali ed usando in tal modo un potere oligarchico assai distante dalle ragioni della democrazia. La considerazione con la quale abbiamo concluso la giornata di sabato e' stata che il dissenso da noi espresso verso il carattere separatista della manifestazione era forse stato frettoloso poiche' non teneva adeguato conto dell'autentico stato di assedio cui sono normalmente sottoposte le iniziative pubbliche romane da parte degli esponenti del "palazzo". Se tanto hanno potuto le donne, presenti in dosi omeopatiche, meglio non pensare quanto avrebbero potuto gli uomini. 4. RIFLESSIONE. UDI DI NAPOLI: L'INIZIATIVA DELLE DONNE [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente comunicato dell'Unione Donne in Italia di Napoli, li' apparso col titolo "Salvaguardia contro le violenze: iniziativa delle donne"] La manifestazione nazionale contro la violenza sessuata di sabato 24 novembre e' stata un momento importante e necessario: ha avvicinato e messo in relazione iniziative, istanze e percorsi che le donne in tutto il paese, nel silenzio e nelle inerzie pubbliche, hanno continuato a sostenere e rendere concrete. Abbiamo condiviso la scelta separatista delle organizzatici, che peraltro risponde a quanto ognuna puo' verificare, e cioe' che la salvaguardia contro le violenze e' praticata per iniziativa delle donne. Abbiamo condiviso la scelta di nominare in modo netto e ineludibile il reato che uccide ed annienta un numero incalcolabile di donne e, spesso, di bambine e bambini. Le donne vengono uccise e private della loro autodeterminazione perche' donne, la violenza che si perpetra verso il nostro genere e' uno strumento di controllo dal quale nessun paese e nessun regime prende le distanze per attuare un vero contrasto. Noi abbiamo denunciato questa visione e ci riconosciamo nella volonta' espressa, anche nel nostro paese, da tante, e tra tanti ostacoli fisici e ideologici, di costruire finalmente condizioni dove la liberta' femminile sia un valore condiviso e vissuto. La manifestazione e' stata l'espressione corale di un'aspirazione a tradurre in modo sempre piu' politico e visibile questa urgenza. Anche per questo eravamo li', e ci saremo sempre quando in piena liberta', e sempre piu' libere da vecchie ideologie, le donne saranno insieme a pronunciare le loro parole. Abbiamo condiviso la scelta della data, il 24, per porre visibilmente in primo piano il protagonismo femminile, per segnare la liberta' dalle scadenze istituzionali del 25, celebrative e rituali spesso vuote di reali impegni economici e politici per il contrasto alla violenza sessuata. Abbiamo chiesto anche noi che la manifestazione non fosse occasione per nessuno di strumentalizzazioni e mediazioni di conflitti esterni al movimento delle donne. In particolare abbiamo denunciato la volonta' di usare la manifestazione per agire un conflitto tutto interno al potere maschile sul pacchetto sicurezza. Il pacchetto sicurezza non riguarda le donne, come tutte le leggi varate a sostegno di un ordine dato che esclude le donne e le ricaccia nella paura di muoversi, ribellarsi ai ricatti sessuali sul lavoro e alla minaccia nelle case. La violenza contro le donne e' un'altra cosa, a confronto di tutte quelle che gli uomini esprimono in abiti altri che usano per risolvere le controversie, e si esprime in una vera e propria guerra e in quella si sostanzia. In Italia in questi anni, a Napoli con grande forza, si sono espresse denunce radicali e libere su quella che senza mezzi termini si definisce come la connivenza istituzionale con il sistema dello stupro fisico e culturale e la stampa e le comunicazioni hanno in modo pesante giocato un ruolo nel mantenimento della "violenza fisiologica". Quanto e' stato ottenuto da noi, e' stato frutto di azioni autofinanziate, fortemente ostacolate e marginalizzate nel gioco degli equilibri politici. In questo contesto ci e' parsa non solo inopportuna, ma anche fuorviante la presenza di donne nella loro veste istituzionale. Tutte possono riconoscere e denunciare la violenza, di piu' quella del ricatto e della nomina "sessuale", che tutte subiamo quotidianamente. Tutte possono esserci a patto di saper agire conflitti che aprano contraddizioni nel potere maschile e nessuna puo' rivendicare risultati, fuori dal movimento che li ha prodotti "nonostante il potere". Sono ragioni che noi sempre affermiamo e discutiamo con quelle che con noi hanno pratiche di lotta, e con loro non smetteremo mai di discutere per condividere ed esprimere le nostre ragioni. Noi rifiutiamo modi ed espressioni che non tendano ad includere e a rendere sempre piu' forti i momenti di lotta che richiedono tante energie a chi "mai ha lasciato perdere" contro la violenza. Noi rifiutiamo, fortemente denunciamo e severamente, di piu', consideriamo improponibile l'immagine che i media, anche per bocca di donne "autorevoli", o peggio col loro silenzio, hanno voluto dare della manifestazione. Denunciamo, ancora una volta, il silenzio imposto alle protagoniste di quello che per noi e' stato un momento bello ed importante, solo inizio di una stagione politica. Leggiamo in questa operazione diversiva dei mezzi di comunicazione, l'ennesima prova della dequalificazione dei media in Italia, alla quale non contribuiremo rispondendo in alcun modo alle accuse, enfatizzate per nascondere il valore, che consideriamo prevedibili e scontate. 5. RIFLESSIONE. MARINELLA CORREGGIA: CLIMA, SONO GLI UOMINI LA VERA MINACCIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2007, col titolo "Clima, sono gli uomini la vera minaccia". Marinella Correggia e' nata a Rocca d'Arazzo in provincia di Asti; scrittrice e giornalista free lance particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace, dei diritti umani, della solidarieta', della nonviolenza; e' stata in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Serbia, Bosnia, Bangladesh, Nepal, India, Vietnam, Sri Lanka e Burundi; si e' occupata di campagne animaliste e vegetariane, di assistenza a prigionieri politici e condannati a morte, di commercio equo e di azioni contro la guerra; si e' dedicata allo studio delle disuguaglianze e del "sottosviluppo"; ha scritto molto articoli e dossier sui modelli agroalimentari nel mondo e sull'uso delle risorse; ha fatto parte del comitato progetti di Ctm (Commercio Equo e Solidale); e' stata il focal point per l'Italia delle rete "Global Unger Alliance"; collabora con diverse testate tra cui "il manifesto", e' autrice di numerosi libri, e' attivista della campagna europea contro l'impatto climatico e ambientale dell'aviazione. Tra le opere di Marinella Correggia: Ago e scalpello: artigiani e materie del mondo, Ctm, 1997; Altroartigianato in Centroamerica, Sonda, 1997; Altroartigianato in Asia, Sonda, 1998; Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, 2000; Addio alle carni, Lav, 2001; Cucina vegetariana dal Sud del mondo, Sonda, 2002; Si ferma una bomba in volo? L'utopia pacifista a Baghdad, Terre di mezzo, 2003; Diventare come balsami. Per ridurre la sofferenza del mondo: azioni etiche ed ecologiche nella vita quotidiana, Sonda, 2004; Vita sobria. Scritti tolstoiani e consigli pratici, Qualevita, 2004; Il balcone dell'indipendenza. Un infinito minimo, Nuovi Equilibri, 2006; (a cura di), Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla societa' dei consumi, Altra Economia, 2006; Week Ender 2. Alla scoperta dell'Italia in un fine settimana di turismo responsabile, Terre di Mezzo, 2007. La rivoluzione dei dettagli, Feltrinelli, Milano 2007] Il governo svedese ha presentato alla Commissione per lo Sviluppo sostenibile dell'Onu la ricerca A study on gender equality as a prerequisite for sustainable development (L'eguaglianza di genere come prerequisito per lo sviluppo sostenibile) realizzata per lo Sweden's Environment Advisory Council da Gerd Jonhsson-Latham, sulle responsabilita' rispettive delle due meta' del cielo rispetto all'emergenza delle emergenze: i cambiamenti climatici. Lo studio conclude che in media - ovviamente, in media - gli uomini hanno un impatto molto maggiore delle donne e che sara' il cambiamento dei loro comportamenti a essere cruciale. L'autrice dello studio ha analizzato nei dettagli le abitudini di vita di uomini e donne, sia nei paesi ricchi che nei paesi poveri, per determinare quale dei due generi sia piu' nocivo per l'ambiente. Sono gli uomini a percorrere le maggiori distanze in automobile, a mangiare piu' carne (il tipo di alimento che ha un maggiore impatto in termini di emissioni di gas serra), a ricorrere di piu' ai servizi dei ristoranti e ai cibi pronti, a possedere e usare la maggior parte degli yacht ecc. Le donne, soprattutto, nei calcoli di persone/chilometro, viaggiano meno in auto, aereo, yacht e moto, ricorrendo di piu' ai mezzi pubblici, e questo non e' certo un elemento trascurabile perche' i trasporti sono la fonte di emissioni che cresce piu' in fretta. In Svezia, osserva Jonhsson-Latham, le donne posseggono 1,7 milioni dei 7 milioni di automobili del paese. Inoltre gli uomini hanno modelli e abitudini di guida piu' energivori. Il 60% delle emissioni automobilistiche e' concentrato nel 10% di quegli automobilisti che utilizzano di piu' le strade, e sono gli uomini a coprire i tre quarti dei chilometri percorsi in auto in Svezia. Gli spostamenti aerei, poi, mostrano la disparita' fra i generi con molta evidenza: sono gli uomini a utilizzare molto di piu' l'aereo. Anche sul lato dell'oggettistica elettronica, certo non indolore quanto a consumi di materiali e impatto ambientale, sono gli uomini a fare la parte del leone, negli acquisti e nell'uso. Dunque, conclude lo studio svedese, certo dagli accenti femministi, le donne vivono in modo molto piu' ecologico e dunque anche socialmente sostenibile degli uomini; se lo standard dei consumi fosse quello femminile, l'intensita' dei cambiamenti climatici sarebbe inferiore. C'e' anche da dire che le donne hanno meno occupazioni esterne degli uomini e meno bisogno di spostarsi. Ma non dovrebbero appunto ridursi anche gli spostamenti per lavoro, se davvero si deve combattere il caos climatico? Lo studio, come prevedibile, ha suscitato diverse proteste, del tipo: "Le donne consumano piu' vestiti, piu' pellicce, piu' prodotti di igiene e cosmesi". E' vero e lo studio non lo ignora. In Svezia ad esempio, le donne spendono quattro volte piu' degli uomini in beni di consumo, e il rapporto sale a 20 quanto ai prodotti di igiene. Ma, oltre al fatto che una parte di queste spese e' imputabile al ruolo materno delle donne e dunque non si traduce in maggiori consumi femminili individuali, queste abitudini hanno un impatto inferiore sul clima; anche se possono averne uno grande rispetto a inquinamenti locali. E' dunque giustificata la richiesta da parte di numerosi gruppi di attiviste affinche' i negoziati in corso sul clima considerino gli aspetti di genere, sia in positivo che in negativo. Le donne, come hanno fatto notare i ricercatori della London School of Economics analizzando disastri naturali in 141 paesi, soffrono di piu' nelle catastrofi che stanno aumentando a causa del caos climatico; d'altra parte le loro conoscenze e i contributi sono fondamentali nella sopravvivenza di intere comunita' in situazioni di emergenza. 6. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA "ISRAELE E LA SHOAH" DI IDITH ZERTAL E "UNA FIGLIA DELL'OLOCAUSTO" DI BERNICE EISENSTEIN [Dal supplemento "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 13 ottobre 2007, col titolo "Essere figli della Shoah". Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Idith Zertal, storica, e' docente all'Universita' ebraica di Gerusalemme. Opere di Idith Zertal: Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia, Einaudi, Torino 2007. Bernice Eisenstein e nata nel 1949 a Toronto, dove vive; i suoi disegni sono apparsi in vari giornali canadesi. Opere di Bernice Eisenstein: Sono figlia dell'Olocausto, Guanda, Milano 2007] A ben guardare, la tesi di fondo che Idith Zertal enuncia nel suo libro appena uscito in italiano, Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia (traduzione di P. Arlorio per Einaudi, pp. XV + 253, euro 17,60) e', malgrado lo scalpore annunciato, piuttosto lineare. La Shoah e', ci spiega la studiosa, un elemento fondante della coscienza nazionale entro lo Stato ebraico. Imprescindibile e determinante in quanto tale. Che cio' non abbia nulla di scandaloso ma sia, pur nel contesto assurdo di una storia inconcepibile ma vera e accaduta come quella, un postulato addirittura necessario, e' quasi un'ovvieta'. Proviamo a capovolgere la prospettiva cercando cosi' di uscire dal vicolo cieco della "particolarita'" ebraica, di una esperienza storica cioe', volente o nolente fuori dai canoni: se fosse capitato a un altro popolo, ci sarebbe di che stupire qualora una catastrofe di tal genere plasmasse la coscienza, fondasse il tempo che ne segue? La Shoah ha talmente mutato la storia del popolo ebraico; l'ha anzi nel vero senso della parola "stravolta" con la sua invasione di morte e di sterminio, costringendoci tutti a misurarci con quell'estraneita' assoluta che e' il tentativo - parzialmente riuscito - d'annientamento. Allora, perche' mai stupirsi o addirittura gridare allo scandalo se questa catastrofe senza precedenti e' entrata nella coscienza d'Israele, guidando scelte, strategie politiche, convinzioni collettive? Tutto si comprende meglio passando dalla sfera pubblica a quella del privato, e proiettando queste impressioni sui grandi numeri. Che cosa la Shoah significhi per il popolo ebraico oggi, per chi e' sopravvissuto allora e per chi e' nato dopo, ce lo spiega molto bene una "graphic novel", cioe' un romanzo illustrato, di cui e' autrice Bernice Eisenstein, Una figlia dell'Olocausto (traduzione di Alba Bariffi per Guanda, pp. 189, euro 17), come dice il titolo stesso. Bernice e' canadese perche' quella terra promessa d'Oltreoceano fu il punto d'arrivo dei suoi genitori dopo i campi nazisti, in cerca di qualcosa che assomigliasse a una nuova vita. Bernice fa la disegnatrice, le illustrazioni del libro infatti sono sue e sono davvero molto belle. Con un tratto di penna, oltre che di matita, mai ingombrante e sempre intenso, lei ci racconta qui una storia personale come tante, tantissime altre, fatta di parole e soprattutto di silenzi intorno a quel passato. Questo romanzo e' in sostanza l'autobiografia di una donna, e con lei di tanti di noi, che nasce nel 1949 e che aveva "sempre creduto che se fossi riuscita a trovare il nocciolo del dolore dei miei, avrei potuto attribuire un posto al mio stesso lutto, per loro. Ma come avevo fatto a immaginare che tutto cio' che l'Olocausto aveva sterminato nella loro vita potesse essere sostituito, come se il mio bisogno di capire potesse in qualche modo compensare tanto dispiacere? Non riusciro' mai a conoscere la verita' dell'esperienza dei miei genitori". 7. LIBRI. GIOVANNA PROVIDENTI PRESENTA "MADRE PICCOLA" DI CRISTINA ALI FARAH [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Se la letteratura e' migrante" e il sommario "Madre piccola, di Cristina Ali Farah, e' una preziosissima opera di letteratura italiana che sperimenta linguaggi diversi". Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza. Ubah Cristina Ali Farah e' nata a Verona nel 1973 da padre somalo e da madre italiana. E' vissuta a Mogadiscio (Somalia) dal 1976 al 1991, quando e' stata costretta a fuggire a causa della guerra civile scoppiata nel paese. Si e' trasferita per alcuni anni a Pecs, in Ungheria, e in seguito a Verona. Dal 1997 vive stabilmente a Roma dove, nel 2001, si e' laureata in lettere presso l'Universita' La Sapienza. Sin dal 1999 si occupa di educazione interculturale, con percorsi rivolti a studenti di ogni ordine, agli insegnanti e alle donne migranti. In questo ambito ha collaborato con numerose associazioni e Ong come il Cies, Candelaria, Kel'lam, il Forum per l'Intercultura della Caritas, l'Associazione Prezzemolo. Attraverso il Circolo Gianni Bosio si e' occupata della raccolta di storie orali di donne migranti residenti a Roma ed e' responsabile dell'organizzazione di numerosi eventi letterari, tra cui la rassegna "Voci Afroitaliane" e "Lettere migranti". Ha preso parte al ciclo di incontri "Scritture migranti" tenutosi nei mesi di novembre e dicembre 2004 in Campidoglio, di cui sono stati pubblicati gli atti, a cura di Armando Gnisci e Alessandro Portelli. E' presidentessa dell'Associazione Migra e redattrice del periodico "Caffe'". Collabora, inoltre, con numerose riviste e testate come "Repubblica", "Malepeggio", "l'Europeo", "Nigrizia", "Carta", "Magiordomus", "Accattone", "Liberazione". Nel dicembre 2005 ha presentato il suo lavoro alla Brown University di Providence (Usa), in occasione delle giornate dedicate a "Migrazioni cinema letteratura nell'Italia contemporanea" e alla Columbia University di New York durante il corso "Italians tales" di Paolo Valesio, chair del dipartimento di italianistica. In questa occasione Giovanna Bellesia e Victoria Offredi Poletto, dello Smith College, hanno tradotto i racconti "Interamente" (El Ghibli, dicembre 2003), "RapdiPunt" (Italiani per vocazione, Cadmo 2005) e "Madre piccola", che usciranno nel prossimo numero della rivista di traduzione letteraria "Methamorphoses". In Italia suoi racconti e poesie sono stati pubblicati in diverse antologie e riviste come "Nuovi Argomenti", "Quaderni del 900", "Pagine", "Sagarana", "El Ghibli", "Caffe'" e "Crocevia". E' inserita inoltre nelle antologie Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, Firenze 2006) curata da Mia Lecomte, e A New Map: The poetry of Migrant Writers in Italy curata da Mia Lecomte e Luigi Bonaffini (Los Angeles, Green Integer 2007). Nel 2006 ha vinto il "Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre" indetto dal Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile di Torino insieme a Regione Piemonte e Fiera Internazionale del Libro di Torino. Nel febbraio 2007 esce il suo primo romanzo, edito da Frassinelli. Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 luglio 2007 riprendiamo la seguente breve scheda: "Nata a Verona nel 1973 da padre somalo e da madre italiana, Cristina Ubax Ali Farah ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a Mogadisco, frequentando le scuole italiane. Nel 1991 e' stata costretta a fuggire a causa della guerra civile esplosa nel paese. Ad aprile e' uscito per Frassinelli il suo romanzo d'esordio Madre Piccola, un'opera corale sullo sfondo della diaspora somala a seguito della deposizione di Siad Barre. Di capitolo in capitolo tre voci - due donne e un uomo - si avvicendano, raccontando con linguaggi differenti il tempo della separazione"] Il romanzo di Cristina Ali Farah, Madre piccola, ambientato tra Mogadiscio e l'Italia, e' la storia di tre personaggi (due donne e un uomo) di straordinaria intensita' e interesse: soggetti plurali, che appartengono sia al continente africano che a quello europeo, e che raccontandosi in prima persona ci restituiscono una visione autentica della realta' in cui ognuno di noi vive. Anche per questo non sarebbe giusto limitarsi a considerare Madre piccola un esempio di letteratura migrante o della diaspora, perche' il libro di Cristina Ali Farah e' questo ma e' anche molto altro: una preziosissima opera di letteratura italiana che sperimenta, all'interno dello stesso libro, linguaggi diversi, appartenenti sia al mondo dell'oralita' che a uno stile piu' ricercato e letterario. "La lingua in cui scrivo non e' mai casuale", ha precisato la stessa autrice nella presentazione che si e' tenuta a Roma presso il Centro Baobab, all'interno di una iniziativa che si propone "di avvicinare il pubblico alla letteratura e alle culture del Sud del mondo, cosi' cariche di saggezza e mistero". L'autrice (che, come una delle protagoniste del romanzo, e' di padre somalo e madre italiana ed ha abitato a Mogadiscio negli anni della sua infanzia e giovinezza, corrispondenti a quelli della nascita della nuova nazione somala) ha raccontato come e' nata l'idea del libro: mentre per lavoro si trovava ad intervistare donne emigranti in Italia, dovendone riportare le voci per iscritto, ha capito che solo una lingua frutto di studio accurato, contaminata di oralita' e arricchita di versi somali, avrebbe potuto aiutarla nel difficile compito di raccontare la ricchezza contenuta nel linguaggio verbale e non verbale delle sue interlocutrici, riuscendo a riportare, grazie anche un atteggiamento di "modestia disarmante" - come le riconosce il personaggio di Barni nel suo lungo e affascinante monologo -, "il tutto cosi' fittamente intrecciato da apparire persino superficiale". "La lingua che uso va in Somalia e torna in Italia, divenendo simbolo dell'accoglienza", ha detto ancora Cristina Ali Farah. E noi possiamo aggiungere: simbolo della opportunita' che abbiamo tutti noi di accogliere e di arricchirci della molteplicita' di sguardi presenti nelle varie parti del mondo e di farci contaminare dalla poesia dell'altro. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 141 del 29 novembre 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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