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Voci e volti della nonviolenza. 114
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 114
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 20 Nov 2007 12:08:17 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 114 del 20 novembre 2007 In questo numero: Adriano Paolella e Zelinda Carloni: Il controllo delle risorse (2002) (parte prima) MATERIALI. ADRIANO PAOLELLA E ZELINDA CARLONI: IL CONTROLLO DELLE RISORSE (2002) (PARTE PRIMA) [Da "A. rivista anarchica", anno 32, n. 283, estate 2002, riprendiamo il seguente dossier dal titolo "Il controllo delle risorse", a cura di Adriano Paolella e Zelinda Carloni, parte della serie sul tema "Globalizzazione. Idee per capire, vivere e opporsi al nuovo modello di profitto" (disponibile anche nel sito www.arivista.org)] Risorse, profitti, sviluppo Il mondo come risorsa Il modello economico corrente e' teso all'incremento della quantita' delle merci e per suo mezzo all'aumento dei profitti. L'incremento della quantita' delle merci e' raggiunto attraverso l'aumento dei consumi e l'ampliamento geografico della distribuzione delle merci. Per permettere l'aumento dei consumi si inventano prodotti non necessari, si inducono bisogni, si soddisfano desideri indotti. Per permettere l'ampliamento del bacino di utilizzatori si occupano, attraverso il controllo culturale, politico e spesso militare, interi territori in cui si introducono merci che impegnano parte della disponibilita' economica delle popolazioni interessate anche nei casi in cui essa sia molto ridotta. Il mezzo principale dell'espansione e' comunque quello di creare merci ed il modello interpreta l'intero pianeta e la popolazione che in esso risiede come la principale potenzialita' di trarre profitti. Gli oggetti, le persone, i fenomeni sono visti esclusivamente dall'ottica merceologica; perdono senso i valori ambientali, sociali, antropologici, culturali ed assumono valore esclusivamente nella capacita' di produrre profitti. Cosi' il valore di un albero non e' quello di fare ombra, di trattenere le acque, di produrre ossigeno, di mantenere il ricordo di persone e fatti, di essere punto di riferimento del territorio, di costituire segno caratterizzante di una comunita', di rappresentare il senso e la modalita' di relazione tra comunita' e ambiente, ma e' solo, ed esclusivamente, connesso alla sua capacita' di produrre profitti e quindi di essere merce. Con questa premessa tutto il pianeta diviene una risorsa. * La trasformazione della risorsa Il concetto di risorsa, nel modello economico corrente, esprime la potenzialita' degli oggetti di divenire merce e dunque di produrre profitto, ma per fare questo essi debbono essere trasformati. Una sorgente, ad esempio, ha potenzialita' di risorsa non in quanto e' utilizzata autonomamente dalla societa' locale, ma in quanto garantisce profitti in una utilizzazione piu' estesa e mediata dalla produzione, distribuzione, commercializzazione. Nella quasi totalita' dei casi l'individuazione della risorsa e' connessa ad una trasformazione delle modalita' di utilizzazione o dello spazio fisico ad essa connesso. L'oggetto sorgente, la presenza delle acque sul territorio, la capacita' di mantenere sistemi naturali e paesaggistici non hanno alcun valore e non e' data la possibilita' di essere alla sorgente se non quella di essere risorsa e quindi captata attraverso un acquedotto per servire popolazioni distanti, imbottigliata per essere venduta, utilizzata dall'agricoltura. In un ottica di ricerca di massima utilizzazione di tutti gli oggetti in forma di merci nel modello economico vigente si trasforma tutto. Tutto puo' divenire oggetto di interesse, su tutto e con tutto si puo' fare profitto. Anche nel caso che si volesse conservare la sorgente, il criterio sarebbe quello di vincolarla: diverrebbe area protetta e quindi di fatto se ne cambierebbe la percezione: diviene luogo di fruizione dell'ambiente naturale, luogo su cui fondare un'economia, seppure "sostenibile", utilizzando come risorsa la sua esclusiva presenza e la sua non trasformazione fisica. Il modello, e quindi le societa' che lo praticano, e' strutturato per trasformare le risorse: e' per questa ragione che e' difficile attuare la conservazione della natura e delle popolazioni; la conservazione non produce se non profitti marginali in quanto rallenta, da' inevitabilmente spazio a sistemi produttivi locali e leggeri, e' dunque esattamente il contrario dei sistemi di guadagno in uso. I materiali, le risorse, sono cosi' importanti all'interno dell'economia vigente che non sono contabilizzati all'interno dei bilanci dei paesi. * La quantificazione economica della risorsa Gran parte dei prelievi avviene senza un reale pagamento da parte dei concessionari, che sfruttano le risorse nella loro totalita' (solitamente beni comuni) per ottenere benefici individuali. Ma non solo non viene considerata questa rapina ai danni della comunita' dell'intero pianeta ma non sono considerati i danni che il prelievo comporta. Cosi', all'interno di questo modello, la conservazione della foresta pluviale potrebbe essere facilitata se di essa potessero valutarsi in termini economici i benefici connessi alla sua esistenza mentre diviene assai difficile attuare una conservazione in ragione di motivazioni specificamente antropologiche, di autonomia delle popolazioni, ambientali, di diversita' biologica, che nulla hanno a che vedere con la mercificazione imperante. Studi economici innovativi tentano di connettere al bilancio degli stati, ed in generale all'economia, la valutazione degli effetti che le attivita' hanno sui sistemi naturali. Dando valore economico alle risorse ed al loro consumo si ritiene di poterne ridurre lo sfruttamento mitigando all'interno del medesimo modello di mercato il peso ambientale ad esso connesso. Sebbene di grande interesse in quanto inserisce una criticita' all'interno del modello, criticita' di cui si vedono fattivamente le possibili risultanti anche senza destrutturare il modello stesso, proprio questa condizione limita la capacita' dell'azione di ricerca e proposizione. Questa tendenza innovativa, che ha un interesse proprio nella sua impostazione critica, involontariamente rafforza il modello praticato evidenziando le sue capacita' ad assorbire variabili, quali quelle non economiche, estranee alla propria disciplina. Di fatto si sostiene che il soddisfacimento delle regole di questa economia sia l'unico mezzo per realizzare scenari sociali ed ambientali. Questa economia, piuttosto che essere settore e strumento, piega e governa la societa' alle sue regole ossia la usa come oggetto per garantire i massimi profitti. * L'impronta ecologica Per comprendere quanto la ricerca di merci e l'aumento dei consumi abbia disequilibrato le condizioni del pianeta, sono stati elaborati diversi modelli atti alla valutazione. Tra questi quello che ha una maggiore capacita' sintetica e di comunicazione e' la definizione dell'impronta ecologica. Attraverso di esso si definiscono le superfici necessarie per produrre le merci consumate e quelle necessarie per recuperare gli inquinanti emessi. In tale maniera si puo' confrontare la quantita' di superfici disponibile per ogni paese o per ogni individuo di un determinato paese e quella utilizzata. Dall'applicazione dell'impronta si evidenzia che lo spazio ecologico disponibile pro capite e' di circa 1,7 ettari mentre l'impronta e' del 30% superiore (Chambers N., Simmons C., Wackernagel M., 2002). I cittadini degli Stati Uniti hanno un'impronta pro capite di 6,2 ettari e i cittadini dell'India una impronta di 0,4 ettari pro-capite (Wackernagel M., Rees W.E., 2000). In una ulteriore elaborazione definita in termini di unita' di superficie pro capite si mostra che considerando la popolazione a 5,8 mld di individui il deficit ecologico e' pari a 0,67 unita' di superficie pro capite, ovvero che i consumi complessivi e l'alterazione delle risorse e' circa del 30% in piu' di quanto disponibile (Stati Uniti +118%, Paesi Ocse +111%, Paesi non Ocse ñ0,01%) (Wwf Internazionale, 2000). Al di la' della enorme differenziazione tra paesi ricchi e paesi poveri e' evidente che si stanno consumando piu' risorse di quelle disponibili. Ovvero si stanno consumando risorse non rinnovabili, risorse quindi che facevano parte di un patrimonio ecologico del pianeta e che una volta consumate non possono ricrearsi, ovvero si stanno consumando risorse rinnovabili con tempi lunghissimi (tipico il caso delle foreste) e la mancanza delle quali comunque porta ad un peggioramento delle condizioni dell'ambiente planetario e della salute della popolazione, ovvero si stanno emettendo sostanze inquinanti che non sono riassorbite all'interno dei cicli naturali e che permangono nell'atmosfera, nelle acque, nei suoli provocando danni alla salute degli uomini e degli ecosistemi. * Su questo tema: Chambers N., Simmons C., Wackernagel M. (2002), Manuale delle impronte ecologiche, Edizioni Ambiente, Milano. Wackernagel M., Rees W.E. (2000), L'impronta ecologica. Come ridurre l'impatto dell'uomo sulla terra, Edizioni Ambiente, Milano. Wwf Internazionale (2001), Rapporto Living Planet 2000, Dossier in Attenzione n. 21, maggio. Bilanzone G., Pietrobelli M. (1999), Un'applicazione sperimentale dell'impronta ecologica, Attenzione n. 13. Bologna G., Paolella A. (1999), L'impronta ecologica. Uno strumento di verifica dei percorsi verso la sostenibilita', Dossier Attenzione n. 14. * La crescita e lo sviluppo Tutto il modello e' basato sulla continua crescita. Quando le Borse internazionali non riescono a crescere si parla di rischio di recessione, e quando uno stato ha un Pil (Prodotto interno lordo) non in progressione positiva si parla di crisi economica. Queste crescite non sono immateriali. Nonostante molte operazioni finanziarie non comportino piu' una effettiva trasformazione delle risorse, alla base del Pil e degli scambi del mercato vi sono le risorse e la loro trasformazione. La materia ha un'importanza fondamentale nella vita economica. Il prodotto mondiale lordo e' di circa 20.000 miliardi di dollari, ad ogni milione di euro di prodotto corrisponde la movimentazione di circa 1.500 tonnellate di materia, escluse aria ed acqua. La crescita del benessere e', in questo modello, connessa direttamente alla crescita della quantita' delle merci e dei servizi acquisiti e acquisibili. L'impronta ecologica della popolazione mondiale dal 1961 al 1996 e' aumentata del 50% (alla media di 1,5% annuo). Il modello praticato mostra tutti i limiti nella meccanicita' della connessione tra consumo e benessere, nella incapacita' di produrre benessere diffuso, non solo nei paesi poveri ma anche nei ricchi, nella insostenibilita' degli effetti ambientali prodotti. Ma e' stato capace di promuoversi in maniera molto efficiente. Oggi la valutazione di un paese sviluppato e' direttamente connessa alla quantita' di consumi e di merci relativa a quel paese, e la penetrazione del rapporto diretto tra merci e benessere e' cosi' capillare che il positivo giudizio rispetto a questa artefatta connessione e' esteso ad ampi settori della popolazione. Il modello fondato sulle merci, sui consumi e sulla crescita ha un'assoluta inefficacia rispetto al fine che ne motiverebbe l'esistenza (il benessere degli uomini) ma possiede una assoluta efficacia nella capacita' di autosostenersi e autogarantirsi. Il raggiungimento del benessere e' rimandato al futuro, e il mezzo per questo raggiungimento e' lo sviluppo. Lo sviluppo e' collegato alla crescita degli indicatori economici e quindi all'aumento delle merci e dei consumi. Tutto questo meccanismo, evidentemente finalizzato esclusivamente alla creazione dei profitti, diviene obiettivo sociale e culturale di intere collettivita'. In questa maniera si conferisce all'accumulo di ricchezze, strumento per acquisire le merci e il benessere ed esito della vendita delle merci, una centralita' cosi' disequilibrata da annullare qualsiasi altra variabile e qualsiasi altra ipotesi tendente al miglioramento della qualita' della vita. * I limiti della crescita Nel 1972 fu pubblicato in italiano il libro di Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J., Behrens III W.W., I limiti dello sviluppo, Mondadori Editore, Milano. Lo studio valutava la disponibilita' delle risorse in relazione alla crescita della popolazione e dei consumi e tracciava uno scenario futuro caratterizzato dalla modificazione coatta del modello in ragione della mancanza di risorse. Quel futuro ipotizzato nel '72 e' il nostro presente. Quanto previsto non si e' realizzato nelle forme ipotizzate; il petrolio non e' finito ne' la produzione e' calata, anzi. E come per il petrolio molte sono le risorse il cui uso ha subito una continua crescita nonostante siano tutti consapevoli dei limiti di disponibilita' della stessa. Gli stessi autori (senza Behrens III) nel 1992 hanno elaborato un altro studio in cui, partendo dall'affinamento del modello, definiscono scenari differenti e individuano le carenze della precedente ricerca. In questo sono inserite diverse precisazioni utili a comprendere come e perche' le risorse non si siano gia' esaurite. Questi sono i principali fattori: - la quantificazione delle risorse utilizzabili varia (scoperta di nuovi giacimenti); - i sistemi di prelievo si ottimizzano (maggiore produttivita'); - le tecniche di utilizzazione migliorano (minori consumi di risorse a parita' di prodotti); - alcuni prodotti danno origine a materie seconde (ad esempio dalla depurazione si genera compost); - alcune merci possono essere riciclate (carta, alluminio, vetro, etc); - e' aumentata una attenzione verso la produzione energetica da fonti rinnovabili (eolica, idroelettrica, biomasse, etc). Sulla considerazione della possibilita' di ottimizzare l'uso delle risorse, e quindi di garantire livelli di utilizzazione non solo uguali a quelli attuali ma anche incrementati, si e' mossa la Commissione delle Comunita' Europee attraverso il libro bianco di J. Delors, Crescita competitivita' occupazione. In questo documento si sono posti i fondamenti per la politica occupazionale e ambientale europea di tutti gli anni Novanta. In esso risultava evidente l'interesse verso il miglioramento dell'efficienza tecnologica come mezzo atto a permettere la massima utilizzazione delle risorse e quindi come unico mezzo atto a fare aumentare i consumi e quindi la produzione. Sulla stessa linea di ottimizzazione del sistema produttivo come principale strumento per ridurre l'impatto ambientale ed aumentare l'efficienza della produzione si e' mossa la ricerca del Wuppertal Institut pubblicata con il titolo Fattore 4 all'interno della quale risulta evidente come sia possibile una riduzione dei consumi di materiali e di energia a parita' di unita' di merce. Il problema dei limiti delle risorse e' un problema qualitativo e quantitativo. L'uso sconsiderato di materiali ha gia' oggi peggiorato le condizioni del pianeta, peggiorando direttamente le condizioni di vita della popolazione e, nonostante le risorse non si siano esaurite, ha prelevato una quantita' di materiale non piu' riformabile o riformabile solo in tempi lunghissimi che era patrimonio comune e componeva il benessere delle persone. Il problema non e' dunque la fine delle risorse che diviene limite della crescita, ma la fine della crescita, perche' il consumo delle risorse ha gia' peggiorato le condizioni del pianeta. L'uso delle tecnologie e' condizione necessaria ma non e' sufficiente. L'obiettivo e' l'uso delle tecnologie appropriate socialmente ed ambientalmente e finalizzate alla riduzione dei consumi. * Su questo tema: Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J., Behrens III W.W. (1972), I limiti dello sviluppo, Mondadori Editore, Milano. Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J. (1993), Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano. Commissione delle Comunita' Europee (1994), Crescita, Competitivita', Occupazione (Il Libro bianco di Jacques Delors), Il Saggiatore, Milano. Von Weizsacker, Lovins A.B., Lovins L.H. (1998), Fattore 4, Edizioni Ambiente, Milano. Bologna G. (a cura) (2000), Italia capace di futuro, Emi, Bologna. Wuppertal Institut (1997), Futuro sostenibile, Emi, Bologna. Unep, Iucn, Wwf (1991), Prendersi cura della terra. Strategie per un vivere sostenibile, Gland, Svizzera. * La crescita della popolazione 1.000.000.000 di individui nel 1804 dopo 123 anni 2.000.000.000 di individui nel 1927 dopo 33 anni 3.000.000.000 di individui nel 1960 dopo 14 anni 4.000.000.000 di individui nel 1974 dopo 13 anni 5.000.000.000 di individui nel 1987 dopo 12 anni 6.000.000.000 di individui nel 1999 Gli scenari futuri delle Nazioni Unite prevedono il raggiungimento del nono miliardo nel 2043 con un incremento medio di un miliardo ogni 14,5 anni. Essendosi la popolazione mantenuta sotto il miliardo per la decina di millenni della sua presenza sulla terra e' evidente che qualche meccanismo ha fatto saltare l'autoregolazione della presenza della specie facendo cosi' intraprendere una crescita esponenziale. Questo meccanismo e' stato l'allontanamento delle comunita' dal controllo e dalla gestione delle risorse al quale ha significativamente contribuito l'industrializzazione delle risorse. Attraverso di esso infatti si concentrano grandi quantita' di richiesta di materie e grandi quantita' di merci il cui controllo e' al di fuori della comunita' insediata. In questo bisogna stare attenti a non connettere l'aumento delle merci, e quindi i processi di industrializzazione, con il benessere delle persone. Per millenni vi sono stati popoli felici e nel benessere senza consumi di merci e il consumo di merci non garantisce il benessere, come e' evidente dallo stato di salute degli abitanti dei paesi ricchi. E' facilmente ipotizzabile che tale allontanamento aumentera' nel prossimo futuro e questo non solo in ragione dell'aumento della popolazione in assoluto ma principalmente in ragione dell'aumento della popolazione urbana passata dal 30% del totale nel 1950, al 47% del 2000, al previsto 50% del 2007. La popolazione urbana e' quella in assoluto piu' dipendente dal mercato non avendo la possibilita' di autonomia alimentare ne' di gestione di qualsivoglia risorsa. L'aumento della popolazione urbana aumenta di fatto la concentrazione della gestione delle risorse nelle mani di pochi, l'industrializzazione della loro utilizzazione e quindi il peggioramento delle condizioni complessive ambientali e sociali. In generale, l'aumento di 500.000.000 di persone ogni 7 anni e' una manna per il mercato che attraverso di essi si garantisce comunque, al di la' del loro livello economico, la continua crescita. Se non si definisce una effettiva riduzione nel numero della popolazione e nel consumo non e' possibile ipotizzare un futuro se non all'interno di rigidi schemi produttivi che consentiranno maggiori favori ad alcuni e maggiore miseria ai molti. * Su questo tema: Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) (2002), Popolazione e cambiamenti ambientali. Lo stato della popolazione nel mondo 2001, Aidos, Roma. * Le risorse La globalizzazione internazionalizza i beni ambientali. I "beni comuni" (acqua, terra, mare ecc.) e i prodotti che ne derivano naturalmente sono commercializzati: cresce a dismisura il commercio delle risorse e il profitto che ne deriva conferisce agli investitori internazionali poteri crescenti in ogni parte del globo. Mentre i governi nazionali non sono in grado di gestire il problema, che trascende i loro confini, le strutture economiche hanno trovato il canale della internazionalizzazione del profitto e organizzato il sistema del saccheggio delle risorse. A titolo esemplificativo si percorrono alcuni dati utili a definire il livello di saccheggio in corso. * La risorsa foresta Ogni anno vengono abbattuti 14 milioni di ettari di foreste tropicali pari a 3 volte la superficie del Costarica. Il 42% delle foreste vengono distrutte per produrre legno e cellulosa (dal 1980 il settore cartiero e' cresciuto del 700%) quasi completamente assorbito dai paesi occidentali. Il taglio e l'utilizzazione del legno dei paesi tropicali e' frequentemente connesso a filiere produttive controllate da soggetti occidentali che praticano modalita' produttive spesso illegali. La cartiera Indah Kiat a Sumatra, ad esempio, e' finanziata da investitori scandinavi, spagnoli e canadesi; essa distrugge ogni anno 200 Kmq di foresta pluviale vergine, negli ultimi dodici anni una superficie pari al territorio del Lussemburgo. Nel 1993 e' stata multata per essersi appropriata illegalmente di almeno 3000 ettari di foreste appartenenti al popolo indigeno Sakai, averle rase al suolo e aver lasciato i Sakai senza cibo ne' mezzi di sostentamento. Anche l'agenzia italiana per il credito all'esportazione, Sace, ha dato garanzie per ulteriori finanziamenti a tale cartiera. Il valore globale dei prodotti forestali commercializzati a livello mondiale e' continuato a crescere negli ultimi decenni, passando da 47 miliardi di dollari nel '70 a 139 miliardi nel '98. Particolarmente rapida e' stata la crescita del commercio di prodotti forestali semilavorati, come compensato, pasta di legno e carta. E la tendenza e' in continua crescita. Rispetto agli anni Sessanta il commercio di pasta di legno e di carta e' piu' che quintuplicato in volume. I prodotti del settore cartario rappresentano circa il 45% del valore totale dell'esportazione dei prodotti forestali. Solo il 10% della carta finisce in prodotti di lunga durata, come i libri. Il restante 90% viene impiegato una sola volta e quindi gettato. Nel 1997 pressoche' la meta' della carta prodotta e' stata utilizzata per imballaggi. Il legname utilizzato per la produzione della carta rappresenta quasi un quinto del raccolto mondiale di legno vergine. Circa il 54% del legno impiegato per la fabbricazione della carta proviene da foreste secondarie, circa il 17% da foreste primarie, principalmente quelle delle regioni boreali di Russia e Canada. All'uso per la produzione della carta si aggiunge quello agricolo. Ogni anno decine di migliaia di ettari di foreste vengono abbattute per fare posto a coltivazioni ed a pascoli. Anche in questo caso il motore principale di tale azione e' l'esportazione della risorsa verso i paesi ricchi consumatori di carni, a cui si affiancano gli interessi dei latifondisti che ampliano le loro proprieta' o indirizzano su questi terreni forestati le aspettative dei senza terra. Anche le estrazioni minerarie e di combustibili hanno un'influenza sulla salute delle foreste, oltreche' sullo stato delle montagne, delle acque ecc. Spesso accade che interi territori vengano devastati per estrarne scarsissime quantita' di prodotto "prezioso". Ad esempio, ogni chilogrammo di oro prodotto negli Stati Uniti comporta una produzione di 3 milioni di chilogrammi di detriti di roccia. Spesso i siti di estrazione primaria sono all'interno di foreste o aree vergini. L'estrazione mineraria, lo sviluppo energetico e le attivita' ad essi connesse rappresentano - dopo il taglio degli alberi - la piu' grave minaccia al sistema forestale, e riguardano circa il 40% delle foreste oggi in pericolo. Queste attivita' hanno spesso anche effetti drammatici per le popolazioni indigene: non solo le operazioni estrattive distruggono la foresta di cui le popolazioni vivono, ma i prodotti tossici utilizzati nel corso dell'estrazione e delle lavorazioni in loco avvelenano i fiumi. * La risorsa acqua Nonostante nel pianeta si utilizzi solo il 7% dell'acqua dolce disponibile il sistema idrico planetario e' gravemente alterato. Cio' dipende dal fatto che l'acqua non e' omogeneamente distribuita ne' geograficamente (vi sono luoghi in cui vi e' molto meno acqua e luoghi in cui vi e' molto piu' acqua di quella necessaria) ne' temporalmente (vi sono periodi in cui vi e' piu' acqua e periodi in cui vi e' molto meno acqua del necessario). Al dato globale di abbondanza si riscontra una situazione locale molto problematica. Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', nel 2000 un miliardo e 100 milioni di persone non disponevano di sufficienti risorse di acqua potabile. Queste persone si potrebbero definire come "deprivate del diritto fondamentale all'acqua". Nella maggior parte dei casi la scarsita' d'acqua e' un fenomeno che si manifesta quando la siccita' e la diversione delle risorse idriche per l'agricoltura e l'industria limitano la quantita' di acqua disponibile per rispondere ai bisogni primari della popolazione. Il 70% dei consumi di acqua mondiale e' per l'agricoltura ed e' per gran parte connesso alla volonta' di aumentare la produzione attraverso l'irrigazione (il 40% del cibo globale e' prodotto con il 17% dei terreni coltivati, tutti irrigui e per gran parte situati nei paesi ricchi). L'assenza di fonti disponibili e accessibili di acqua potabile e di servizi igienici e' strettamente collegata all'elevato tasso di malattie e di mortalita'. In alcune regioni (India, per esempio) lo sfruttamento eccessivo dell'acqua di falda sta aggravando le disuguaglianze sociali legate al reddito. Via via che le falde freatiche si abbassano, i coltivatori devono scavare pozzi piu' profondi e comprare pompe piu' potenti per portare l'acqua in superficie: e i piu' poveri non possono permetterselo, cosicche' spesso lasciano le loro terre agli agricoltori piu' abbienti e diventano braccianti di questi. Finora e' stata la scarsita' di terre a determinare il modello del commercio dei cereali: ora anche la scarsita' di risorse idriche sta diventando un fattore decisivo. Per un paese con gravi carenze di acqua importare una tonnellata di frumento significa importare 1000 tonnellate di acqua. Nel 1997, l'acqua necessaria per produrre cereali e altri prodotti agricoli in nord Africa e Medio Oriente e' stata circa pari al flusso annuale del Nilo. E' evidente come questo induca una dipendenza sempre piu' stretta di questi paesi dall'importazione da paesi terzi. A livello mondiale, circa il 70% delle acque deviate dai fiumi o pompate dal sottosuolo viene utilizzato per l'irrigazione, il 20% per l'industria e il 10% per usi residenziali. Mille tonnellate d'acqua possono essere utilizzate in agricoltura per produrre una tonnellata di frumento, che vale 200 dollari, oppure possono essere usate per scopi industriali per un valore produttivo di 14.000 dollari. E' evidente che la tentazione del guadagno industriale ha quasi sempre la meglio, e nel tempo potrebbe averne sempre di piu'. Ma non sara' facile imparare a digerire uno spinterogeno. A causa dei prelievi d'acqua molti grandi fiumi si prosciugano prima di raggiungere il mare, e alcuni sono spariti del tutto. Nel sud-est degli Stati Uniti il fiume Colorado solo raramente riesce a raggiungere il golfo di California; l'Amu Dar'ja, immissario del lago d'Aral, viene completamente prosciugato dai coltivatori di cotone uzbeki e turkmeni molto prima di raggiungere il lago, le cui acque sono in forte ritiro fino a farne temere la scomparsa. L'immenso Fiume Giallo e' andato in secca per la prima volta - in tremila anni di storia della Cina - nel 1972 e non ha raggiunto il mare per circa quindici giorni. In seguito la situazione e' verticalmente peggiorata e, a fronte dei progetti che prevedono l'ulteriore utilizzo delle sue acque per scopi agricoli, industriali e urbani, e' possibile che il Fiume Giallo diventi un fiume interno, che non raggiunge mai il mare. Situazioni simili si hanno per il Nilo e per il Gange. La battaglia per accaparrarsi le residue acque di questi fiumi potrebbe diventare intensissima nei prossimi anni, a fronte della prospettiva di incremento demografico dei paesi che insistono su questi bacini. I fenomeni di deforestazione vanno a contribuire all'aggravamento della siccita', anche nei periodi di maggiori precipitazioni, perche' favoriscono i processi di inaridimento del terreno e quindi una difficolta' maggiore per la captazione delle acque. Questi stessi fenomeni hanno facilitato il propagarsi dei terribili incendi che nel 1997-'98 hanno colpito Indonesia e Brasile. Infine si deve considerare anche il degrado della qualita' delle acque. A livello globale meno del 10% della massa totale dei rifiuti (scarichi industriali, residui di produzione agricola e rifiuti umani) viene trattato prima di essere scaricato nei fiumi; gli stessi fiumi la cui acqua viene utilizzata per bere, per l'irrigazione e per l'industria. In tutti i continenti le acque sotterranee sono a rischio di contaminazione. * Che cosa e chi spinge al consumo di risorse Quanto consuma il cittadino italiano nella vita: Consumi alimentari 100.000,00 Consumi non alimentari 400.000,00 Abitazione 90.000,00 Trasporti/auto 70.000,00 Totale consumi 500.000,00 In Italia si consuma ogni anno: Importo di merci 430.000.000.000,00 Come e' diviso l'importo per diverse fasi: Ditte produttrici 40% Pubblicita' 5% Grossisti 10% Dettaglio 35% Trasporti 10% Come e' diviso l'importo tra i diversi soggetti (1) Imprenditori (2) 70%, di cui 10% speso in merci e 90% accumulato (investimenti e proprieta') Manodopera 30% (3), di cui 80% speso in merci e 20% risparmi (4) * Note 1. Nel mondo 200 aziende gestiscono il 40% del totale di questo importo. 2. Produttori, grossisti, imprese di pubblicita', di trasporto, negozianti, etc. Il costo dei materiali di fatto e' divisibile tra imprenditori, che ne gestiscono il prelievo e la trasformazione, e la manodopera che lavora per essi. 3. Nel mondo circa il 20% di tale 30% e' distribuito tra 2 miliardi di persone. 4. Gestiti da imprenditori (banche, istituti, assicurazioni, etc). L'elaborazione dei dati e' del tutto indicativa. La fonte dei dati dei consumi pro-capite in Italia e': Istat (2001), I consumi delle famiglie anno 1999, Roma. * Le risorse minerarie I combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) forniscono oltre il 90% dell'energia nella maggior parte dei paesi industrializzati e il 75% dell'energia su scala mondiale. Il 30% e' petrolio, il combustibile fossile piu' "conveniente" e piu' diffuso. Nel 2000 sono stati utilizzati 3.200 milioni di tonnellate di petrolio con una crescita media nei consumi per tutti gli anni Novanta dello 0,8% annuo (Usa nel 1999 crescita del 2%). Nei principali ambiti estrattivi si sono organizzati dei veri monopoli: ad esempio in Arabia Saudita vi e' una sola societa' che gestisce il 95% dei prelievi, la Saudi Aramco, la compagnia che produce la maggiore quantita' di barili al giorno 9.000.000 bb/g saldamente controllata dagli Stati Uniti d'America. Il sistema energetico, cosi' come e' organizzato oggi, lascia completamente fuori circa due miliardi di persone che non hanno combustibili ed elettricita', e serve in maniera inadeguata altri due miliardi di persone che non possono permettersi la maggior parte dei comfort derivanti dal consumo di energia del modello occidentale. Ma anche in questa situazione, in cui i consumi energetici sono cosi' malamente distribuiti e senza ipotizzarne una eventuale e disastrosa estensione (disastrosa per via, per esempio, delle emissioni, gia' a livello di guardia), l'affidamento all'impoverimento di risorse non rinnovabili fa si' che si sia costruito un modello il cui andamento non e' sostenibile nemmeno per un altro secolo. Se si dovessero soddisfare le crescenti necessita' della Cina (ed e' possibile che questa lo esigera' presto), dell'India e degli altri paesi in via di sviluppo nello stesso modo in cui vengono soddisfatte oggi quelle dei paesi industrializzati, sarebbe necessario triplicare la produzione petrolifera mondiale, anche in assenza di aumenti dei consumi nei paesi industrializzati. Questo, ovviamente, comporterebbe che le risorse durerebbero tre volte meno. Ma oltre ai danni all'ecosistema planetario la ricerca e lo sfruttamento del petrolio, come di tutte le risorse minerarie, comporta la destrutturazione dell'ambiente naturale e sociale in cui le attivita' di prelievo si svolgono. La sconvolgente entita' dei profitti che si ottengono su questi materiali e la possibilita' di concentrarne i ricavi sconvolge le comunita', ne annulla i caratteri produttivi e insediativi, li sottomette a enormi interessi non gestiti localmente. I paesi industrializzati sono grandi consumatori di minerali: utilizzano piu' del 90% delle importazioni di bauxite, circa il 100% delle importazioni di nichel, l'80% dello zinco, il 70% del rame, del ferro, del piombo e del manganese. I paesi in via di sviluppo possiedono gran parte delle risorse minerarie del mondo e si tengono gran parte dei guasti ambientali. Per ciascuna delle risorse minerarie di interesse dei paesi industrializzati sussistono delle condizioni specifiche di conflittualita'. Un esempio tra i molti il settore della gioielleria. Cresciuto negli ultimi 15 anni del 250%, e' per gran parte fondato sul commercio dei diamanti alla cui estrazione lavorano decine di migliaia di poveri sottopagati. Per comprendere l'entita' della forza destrutturante dello sfruttamento delle risorse: l'area dell'Angola dove si raccolgono ufficialmente circa 600 milioni di dollari l'anno di diamanti e' una delle piu' povere del mondo ed e' teatro di un conflitto trentennale. * Altre risorse naturali Gli oceani forniscono piu' della meta' dei beni e dei servizi necessari all'equilibrio del pianeta. Piu' della meta' delle minacce che mettono in pericolo la loro sopravvivenza sono addebitabili all'uomo. Con il loro volume e la loro densita' assorbono, immagazzinano e trasportano grandi quantita' di calore, acqua e sostanze nutritive. Possono assorbire calore ben 1000 volte di piu' che non l'atmosfera. Attraverso la fotosintesi e l'evaporazione, i sistemi e le specie marine aiutano a regolare il clima, mantengono vivibile l'ambiente, convertono l'energia solare in cibo e contribuiscono a limitare le catastrofi naturali. Il valore economico di questi servizi "gratuiti" supera di gran lunga quello delle industrie che hanno fatto degli oceani la fonte della loro ricchezza. Il valore di tutti i beni e servizi provenienti dal mare e' stimato in 21.000 miliardi di dollari all'anno (1999); il 70% in piu' rispetto agli ecosistemi terrestri. Dal 1950 la pesca e' quintuplicata; la disponibilita' pro capite e' aumentata da 8 a 15 chili nel '96; 200 milioni di persone dipendono dalla pesca per la sopravvivenza; l'83%, in valore, del pesce viene importato dai paesi industrializzati. L'industria della pesca non fa eccezione al processo di globalizzazione dei mercati. Dal 1970 al '98 le esportazioni di pesce sono cresciute di circa cinque volte; le nazioni industrializzate dominano il consumo globale di pesce, con l'80% delle importazioni in termini di valore. I paesi in via di sviluppo contribuiscono per circa la meta' di tutte le esportazioni ittiche. Ma l'aumento costante della pesca, insieme all'inquinamento e alla distruzione degli habitat, stanno mettendo a repentaglio gli stock ittici mondiali: la Fao stima che 11 delle 15 maggiori aree di pesca e il 70% delle principali specie ittiche sono sovrasfruttate o sfruttate al limite del biologico. Gia' nel 1998 il pescato totale e' fortemente diminuito (7,5%), in parte per effetto di condizioni meteorologiche eccezionali, ma anche per effetto delle forme di pesca selvaggia che sono alimentate dalla richiesta. In un oceano impoverito il livello di pesca viene in parte mantenuto pescando specie sempre piu' piccole, l'azione delle reti procura un pescato involontario di grandi quantita' di pesci non selezionati che vengono restituiti all'acqua morti o moribondi. Ogni anno la pesca involontaria ammonta a circa 20 milioni di tonnellate, un quarto del pescato totale. Ma nel terzo mondo questa spinta all'esportazione, che e' piu' redditizia, rende la vita dei pescatori autonomi sempre piu' dura e i prezzi del prodotto per uso interno crescono al di la' delle possibilita' delle popolazioni locali. In Senegal, ad esempio, molte specie tradizionalmente consumate da tutta la popolazione vengono oggi esportate o acquistate solo dai benestanti. Si tratta di una tendenza con implicazioni gravi per la sicurezza alimentare, poiche' per circa un miliardo di persone - soprattutto in Asia - il pesce e' la fonte primaria di proteine. A parita' di sforzo in molte zone la quantita' del pescato si e' ridotta dell'80% rispetto a dieci-quindici anni fa. Cio' comporta che vi sia maggiore attivita', piu' costi e quindi meno benefici locali. Un patrimoni distrutto a vantaggio di pochi commercianti. * Gli accordi con le comunita' locali Il prelievo di risorse minerarie avviene anche in zone abitate. In questo caso le compagnie che hanno le concessioni provvedono a definire accordi con le comunita' insediate. E' il caso dell'Accordo di "mutua cooperazione" definito tra l'Agip e l'organizzazione degli Huaorani, popolazione indigena dell'Ecuador. L'accordo impegna gli indigeni a non opporsi alla costruzione ed al funzionamento di un impianto che produrra' circa 30.000 barili di petrolio al giorno mentre l'Agip si impegna a fornire un quintale di zucchero, burro e sale per la colazione dei bambini della scuola "ma solo una volta e unicamente nei mesi di maggio, agosto e novembre dell'anno 2001", 15 piatti, 15 tazze, 15 cucchiai, una pentola e due secchi; fornira' per le attivita' sportive un fischietto per l'arbitro, un cronometro e due palloni, una lavagna, una bandiera dell'Ecuador; paghera' 40 dollari al mese per sei insegnanti ma solo da maggio a dicembre; finanziera' la costruzione di un'aula scolastica che non deve costare piu' di 3.500 dollari; dotera' ogni comunita' (sono sei) di un armadio farmaceutico piu' un massimo di 200 dollari di medicine; formera' dei "promotori della salute" che riceveranno 25 dollari al mese ma solo per il 2001; inoltre ha rifatto le tubature dell'acqua potabile di una delle comunita' (costo 2.500 dollari). Un buon accordo per sfruttare le risorse comuni, distruggere parti di foresta, inquinare, ignorare gli effetti che tale attivita' avra' sugli abitanti dell'area. Un buon accordo per l'Agip. (Parte prima - segue) ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 114 del 20 novembre 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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