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Minime. 256
- Subject: Minime. 256
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 28 Oct 2007 00:30:27 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 256 del 28 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: Il volto della resistenza sulla morte 2. Enrico Peyretti: Politica e morte 3. Peppe Sini: Politica e vita. Una chiosa al testo che precede 4. Brunetto Salvarani: Alle donne e agli uomini di buona volonta' in dialogo 5. Diana Napoli presenta "L'enigma dell'arrivo" di Vidiadhar Surajprasad Naipaul 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL VOLTO DELLA RESISTENZA SULLA MORTE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dellÌAssociazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Vediamo un infittirsi di conflitti, un ingigantirsi della guerra come unica risoluzione delle controversie internazionali... anche se poi non risolve nulla; anzi non fa che peggiorare le cose. Si torna a parlare di una nuova "guerra fredda". Gorge W. Bush minaccia la terza guerra mondiale: "I leader mondiali fermino le ambizioni nucleari dell'Iran se vogliono evitare la terza guerra mondiale"; in risposta Putin, dalla Russia, dice che e' pronto "a sviluppare nuovi armi atomiche". Naturalmente, chi non dispone degli armamenti nucleari, ricorre agli eserciti convenzionali. Come la Turchia che vuole colpire la popolazione kurda fin dentro l'Iraq. Certo tutto questo non accade perche' nel mondo c'e' uno scontro tra "buoni" e "cattivi", quanto per ben precisi interessi economici. Come la necessita' della Turchia di tenere sotto controllo il Kurdistan iracheno e di stroncare sul nascere le velleita' indipendentiste che potrebbero avere un effetto sui kurdi in Turchia. La guerra e' diventata, cosi', una sorta di prova costituente della capacita' dell'esercizio di governo (da parte di tutti gli attuali governi: di destra, di centro, o di centrosinistra) e dell'uso di potere. Restano, drammaticamente e dolorosamente - per usare le parole di Tommaso Di Francesco, dal quotidiano "il manifesto" del 20 ottobre 2007) - "Le menzogne raccontate sull'avventura slava (che) scoloriscono nelle sabbie delle bugie mediorientali e rinsecchiscono tra le pietraie degli altopiani afgani. Non ci sara' un giorno in cui tutto sara' chiaro e saremo felici. Facciamo sgombre le nostre coscienze, facciamo luce da subito e lotta alla guerra". * La situazione che ci troviamo a vivere non e', per fortuna, riducibile solo a questo. Se guardiamo al nostro presente riandando con il pensiero ad alcuni momenti di storia delle donne e a come si sono regolate nel passato, non possiamo non sottolineare come l'impegno contro la guerra ha voluto anche dire lotta contro il patriarcato e il maschilismo. Piu' dettagliatamente, come le donne hanno rappresentato (e rappresentano) il volto della resistenza della vita sulla morte; del dar vita materno sul dar morte dei regimi e delle guerre. E' con questo spirito che, su iniziativa dell'Associazione delle Madri argentine di Plaza de Mayo, le "donne in lotta" del mondo si incontrano per scambiare esperienze, affermare la possibilita' di una pratica politica radicalmente "altra" e costruire strumenti e percorsi di pace, giustizia, liberta' e dignita' umana. Come nel secondo incontro internazionale delle "Mujeres en lucha", svoltosi dal lunedi' 22 ottobre fino a giovedi' 25 ottobre a Roma presso la Biblioteca del Senato. L'idea di realizzare l'incontro internazionale di donne in lotta di tutto il mondo nasce in seno all'Associazione delle Madres de Plaza de Mayo: le madri argentine che, dopo il golpe di Videla del 24 marzo 1976, ebbero il coraggio di sfidare la dittatura, riunendosi in quella Plaza de Mayo dove avrebbero dato vita alla storica marcia che ogni giovedi', da trent'anni a questa parte, ricorda al mondo che trentamila oppositori politici - per lo piu' ragazze e ragazzi sui vent'anni - furono sequestrati e uccisi dai militari (che, dopo averli torturati nei campi di concentramento clandestini disseminati nell'intero Paese, li fecero "scomparire" nei modi piu' spietati, spesso gettandoli in mare, vivi, con i "voli della morte"). In occasione del trentennale delle sue attivita' (la prima marcia delle Madres in Plaza de Mayo risale al 30 aprile del 1977), l'Associazione delle Madri dei desaparecidos argentini - che non hanno smesso di fare della maternita' un potere irrevocabile, capace di generare sogni, progetti, relazioni, in una straordinaria indicazione di pratica politica che va ben oltre la storia argentina - ha inteso "chiamare a raccolta" e a un confronto diretto le associazioni delle donne che oggi, nei cinque continenti, combattono in vari modi le ingiustizie, le violenze, i fondamentalismi, i regimi e le guerre, affermando con il proprio operato che una prassi politica radicalmente altra e' possibile. Uno degli obiettivi concreti e' la creazione di una rete permanente di mutuo sostegno, informazione e documentazione, una carta d'intenti da sottoporre alle piu' importanti istituzioni italiane, europee e istituzionali. Tante idee, ma pochi mezzi, e percio' il comitato organizzatore della Sima (Solidarieta' Italiana con le Madri di Plaza de Mayo) comunica un numero di conto corrente per chi voglia partecipare alle spese: Banca Etica, n. 119698 - Abi 05010 - Cab 01600 - Sima, Via Ripa di Porta Ticinese 47, 20143 Milano, tel. 0389400394, e-mail: sima.madres at fastwebenet.it 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: POLITICA E MORTE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68] Stiamo chiedendo una moratoria della pena di morte nel mondo. Chiediamola anche per la politica di morte. Fino al punto attuale del cammino umano la politica, in ultima analisi, gestisce la morte, usa la morte. L'ultima risorsa ñ di fatto, se non di diritto - dello stato nei confronti del cittadino che viola la legge, o di un altro stato che viola o insidia il suo equilibrio o i suoi interessi, e' dare la morte. E' la risorsa ultima, ma non e' esclusa neppure nei regimi piu' moderati e rispettosi dei diritti. Solo il potere criminale e il potere statale si attribuiscono questo diritto di uccidere. Le armi, esibite in genere negli stemmi, nelle feste nazionali, nei picchetti d'onore, ne sono l'emblema. La politica non e', di fatto, l'arte del convivere con un ordine e un programma, cercando il bene comune, ma e' gestire il potere statale. Il potere-mezzo diventa per lo piu' il fine. Lo stato si pone come fonte di legge, non soggetto alla legge, neppure alla legge della vita. Si arroga il monopolio della violenza (come il sale e i tabacchi, dice Freud nelle Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, 1915). Dando l'illusione di asciugare in questo modo la violenza della societa', si permette cio' che vieta ai cittadini (ancora Freud), ma cosi' lo produce. Ottiene il contrario di cio' che dice di volere. Gli stati continuano a ritenersi "sovrani", cioe' senza nulla al di sopra di se', senza legge, e non rispettano davvero il nuovo diritto internazionale sovrastatale fondato sui diritti umani, formulato dopo l'abisso del 1945, ma compresente e confliggente col vecchio diritto internazionale degli stati. Gli stati sono ancora anarchici, non rispettano il diritto delle genti, il diritto dell'umanita'. La reale regola ultima degli stati e' la forza materiale, fino alla violenza (delle armi, dell'economia, della menzogna), dunque e' la morte data dal piu' forte al piu' debole. Cio' rimane vero anche se il prezioso movimento costituzionale, negli ultimi secoli, ha stabilito (o solo auspicato?) limiti e regole al potere statale. * A questo discorso si puo' obiettare: e' triste ma inevitabile che lo stato minacci di morte e fermi con la morte chi da' o darebbe la morte ad altri. Non si e' ancora trovato un modo piu' puro di contrastare e fermare la violenza privata. L'obiezione va in parte accettata: e' vero che non vediamo ancora come possa uno stato fare del tutto a meno della polizia, e anche armata. Anche Gandhi, che ha dato inizio a svariate forme di efficace difesa senza violenza in tutto il mondo, non vede prossima questa possibilita' (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, p. 144), mentre nega allo stato il diritto di avere un esercito. Ma proprio il fatto che lo stato abbia ancora bisogno di uccidere e' l'oggetto di queste nostre considerazioni. * Dicevamo del nuovo diritto internazionale, che stabilisce obblighi degli stati. Ma, nel frattempo, il potere effettivo si e' trasferito dagli stati a poteri globali oligarchici, occulti e illimitati, fuori da ogni controllo democratico, giuridico, informativo. Mentre i movimenti e le culture altermondialiste denunciano e contrastano questa regressione storica, i ceti politici governanti negli stati per lo piu' si sottomettono all'impero mondiale illegale, fondato sulla sopraffazione e la guerra, piu' violento degli stati stessi. Quel che hanno ceduto di sovranita', gli stati lo hanno dato al super-sovrano, ancor meno legittimato di loro. Quasi senza eccezione, le classi politiche dirigenti degli stati, anche degli stati democratici, hanno una cultura prigioniera di questo quadro, e percio' non lo mettono veramente in discussione. Queste classi politiche si perpetuano arruolando per cooptazione solo personale omogeneo, con pochi margini differenti. Con le micidiali armi di "distrazione di massa" delle menti umane, i popoli sono tenuti accuratamente nell'ignoranza riguardo ai poteri effettivi, sono addormentati con un benessere superficiale e discriminatorio, che premia gli egoismi sulla solidarieta', mette i primi contro gli ultimi, criminalizza la critica e la ribellione. Cosi' dunque le democrazie sono ridotte all'impotenza, i popoli sono resi per lo piu' incapaci di giudicare le classi politiche secondo un criterio di umanita'. La forma democratica diventa spesso la falsa giustificazione di poteri disumani. E tuttavia dobbiamo strenuamente difenderla per svegliare e esercitare le sue potenzialita' di critica e correzione. * La maternita' e' vita piu' vita. E' vita mediante la vita. La politica e' - vuole essere - vita mediante la morte. La maternita' creativa accetta anche il rischio della morte per dare la vita. La politica costrittiva per non rischiare la morte (inevitabile) nega la vita e distribuisce morte. La politica vuole - talvolta sinceramente, ma con una visione strozzata della realta' - mantenere e garantire la vita delle persone in una data societa', ma in definitiva, senza confessarlo, intende preservare la vita per mezzo della morte. Pone la morte dell'altro come garanzia della vita nostra. La politica com'e' fino ad oggi fallisce il suo scopo. Non puo' non fallirlo. Infatti ha prodotto i mezzi della distruttivita' totale, superiore ad ogni sua opera costruttiva (cfr. Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi 2003). E ha dissotterrato nelle culture umane, oggi in confronto ravvicinato, le loro versioni piu' violente. * La maternita', la generazione, supera la morte mediante la vita. La politica fa il contrario: si illude di sopprimere la morte di cui ha paura col dare altra morte. E' totale follia. E' un diluvio di dolore. Le religioni - pur coi loro difetti, errori e orrori - nel loro verso migliore e genuino sanno e indicano che noi viviamo perche' c'e' nell'esistenza una maternita'-paternita', o almeno un approdo di pace al nostro travaglio e impermanenza, e dunque la politica ha da essere fraternita' e compassione, perche' la vita sia madre di vita. In questo e' la salvezza. I piu' grandi criminali dell'umanita' hanno compiuto i loro delitti col potere politico. I piu' grandi maestri, donne e uomini, i migliori esempi famosi o ignoti di buona umanita' e di saggezza, si sono tenuti quasi completamente alla larga dal potere politico. Hanno anche fatto politica, come cura del bene di tutti, guida morale, sviluppo del potere di tutti, ma senza volere potere sugli altri. La "ragion di stato" e' altra, eterogenea, rispetto alla ragione umana, alle ragioni della vita, alla quotidiana pratica materna nelle nostre case. La violenza incorporata fino ad oggi nella politica e' frutto di una "logica vittimaria", un "sentire e pensare secondo la morte", che toglie il respiro (Roberto Mancini, Prefazione a Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Pisa University Press 2004). Muller sostiene che "la rivolta del pensiero davanti alla violenza che fa soffrire gli uomini e' l'atto fondatore della filosofia" (op. cit., p. 22), cioe' mette in moto la riflessione e l'opera per umanizzare la storia. * E' possibile una buona politica? E' possibile una politica della vita mediante la vita? Qualcosa di buono si puo' fare imbrigliando e ponendo limiti alla spinta interna che viene dalla logica politica violenta tuttora vigente e universalmente praticata perche' pensata in questo unico modo. Qualcosa si puo' fare se si accetta la pazienza della contraddizione: oggi, a questo punto della storia umana, si puo' talvolta ridurre la violenza intrinseca alla politica, ma non si vede ancora come eliminarla sistematicamente. Ma questa non e' e non deve essere rassegnazione. Quando la realta' stringe nel dilemma, puo' essere doveroso accettare un male minore per evitarne uno maggiore. Sfuggire al dilemma invocando la perfezione puo' essere tradire una responsabilita'. Altrettanto, e' tradire il fine umano rassegnarsi alla scelta imperfetta, impura. La politica e la storia non sono il luogo della intera realizzazione umana. Sono buone quando sono passi, anche impuri, ma ben orientati. Meno che mai e' lecito rassegnarsi nel nostro tempo che, col movimento e la cultura gandhiana, ha visto la nonviolenza positiva crescere da etica privata a possibilita' e ricerca politica. * Il pensiero tuttora nascosto nella politica e' che l'umanita' e' fatta di belve che possono vivere e convivere senza distruggersi soltanto se costrette da una forza piu' forte, che le minaccia di morte (Bobbio, Il Terzo assente, Sonda 1989). Il pensiero nascosto nella politica e' la disperazione. Solo il pensiero della nonviolenza attiva e positiva, ancor piu' che la preziosa democrazia, smaschera il male segreto della politica, e non vi si rassegna. In questo senso la nonviolenza e' "religiosa" (senza integralismi ne' prevaricazioni di poteri religiosi sulla politica laica), perche' rivela e promuove "relazioni" vitali, che sono la struttura dell'esistenza, ma vengono negate e occultate dai poteri che gestiscono relazioni mortali. Spesso si smaschera il pensiero occultato nella politica soltanto quando la si vede nei suoi estremi logicamente conseguenti: la guerra, il dominio, l'oppressione del debole, l'economia di rapina. Ma "gli estremismi che noi rifiutiamo sono possibili solo grazie alle ortodossie che noi accettiamo (...). Per combattere la violenza degli estremismi bisogna arrivare a braccarla e stanarla nei punti precisi dove essa si ripara nel seno delle ortodossie" (Muller, op. cit., p. 25). Ma questi estremi effetti della violenza intrinseca esercitano un fascino fatale, come se fossero i veri fatti e la regola della storia, quando invece ne sono la negazione. Possiamo sfuggirvi se ci siamo impegnati a praticare la nonviolenza positiva nell'atteggiamento interiore della mente, del cuore, della volonta', cominciando dalle relazioni prossime di ogni giorno: gentilezza, ascolto, pazienza, coraggio, resistenza, servizio, difesa del debole, speranza, tolleranza positiva, perdono. Ma ci salviamo da quel fascino nero e mortale solo se speriamo e vogliamo che le regole di vita buona, valide nell'etica interpersonale, debbano valere anche nelle relazioni umane di gruppo, sociali, politiche, internazionali. * Agiscono nella politica due movimenti opposti: per vivere, per uccidere. La sciagura e' che il pensiero dominante ritiene che per vivere bisogna uccidere. Questa ambiguita' mortale e' dentro ogni essere umano, e' il peccato originale, il male radicale. Profondo, ma non fatale, non irredimibile. La citta', la "polis", nasce per darci reciprocamente sicurezza invece che minaccia. Pero' storicamente finisce col cedere al peccato e si affida al potere mortale. La politica, fino ad oggi, e' suicida perche' e' omicida. Allora, non si puo' fare politica? Ognuno deve farla, almeno come cittadino libero e responsabile, per non consegnarla nelle mani pronte degli avidi di potere, ma puo' praticarla solo sapendo e guardando senza vertigini e senza ribrezzo questo abisso spalancato nel cuore della politica fino ad oggi, per poterne domani scampare. Se non vi sprofonderemo prima. Per ridurre la violenza incardinata nella politica, bisogna vederla tutta, senza abbellimenti, e agire senza l'illusione di poterla togliere presto e completamente. La politica e' un cammino parziale e bifronte, impuro, dall'uso della morte, fino ad ora, allo sviluppo della vita insieme, oggi e domani; dalla riduzione della morte alla crescita della vita. Se saremo in tempo. Chi non accetta questa impurita' della politica, la preceda nella visione dell'intero obiettivo umano, faccia cultura, educazione, "dica la verita' al potere", ma non entri nella competizione per gestire il potere. * La morte incombe sempre, minaccia di annichilimento della vita e del suo senso. Se la vediamo come destino cieco, allora l'unica possibilita' provvisoria e' respingerla buttandola addosso ad altri, e cosi' diventando noi autori e moltiplicatori di morte. Se la vediamo come un varco che puo' contenere un appello a spendersi nel donarsi, allora non ci terrorizza piu' e puo' diventare preferibile, nel bilancio intero della vita, morire piuttosto che uccidere, diventando cosi', anche nel morire, autori di vita. Cosi' mori' Gandhi, sessant'anni fa, oggi molto vivo. Cosi' mori' Gesu' di Nazareth, che fiumi di generazioni sentono vivo. Cosi' morirono, nelle piu' umili famiglie, oscuri grandi costruttori di umanita', che oggi vivono nel nostro inesausto anelito di vita e di bene. 3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: POLITICA E VITA. UNA CHIOSA AL TESTO CHE PRECEDE C'e' un errore riduzionistico fondamentale nell'impostazione del testo che precede: ridurre in sostanza la politica alla gestione dello stato inteso come mero esercizio del potere garantito dalla possibilita' di dare la morte, ed all'imperialismo sovrastatuale onnicida. Se fosse cosi', non sarebbe politica l'intera esperienza del movimento operaio. Non sarebbe politica il femminismo, il movimento e il pensiero delle donne. Non sarebbe politica la lotta di Nelson Mandela. Non sarebbe politica la lotta di Gandhi. Non sarebbe politica la lotta di Vandana Shiva e di Rigoberta Menchu'. Non sarebbe politica il Risorgimento, non sarebbe politica la Resistenza, non sarebbe politica l'antifascismo, non sarebbe politica la lotta contro il razzismo, contro il colonialismo, contro la guerra, per la difesa della biosfera. Fosse cosi', non sarebbe politica tutta la riflessione e la prassi politica e giuridica orientata alla civilta', alla convivenza, cioe' la maggiore e miglior parte del pensiero politico e giuridico, la maggiore e miglior parte della storia e dell'esperienza politica. Fosse cosi', non avrebbe senso l'esistenza e l'opera di Socrate e di Rosa Luxemburg e di Hannah Arendt, di Gobetti e di Gramsci, di Capitini e di Dolci. Fosse cosi', non avrebbe senso la nonviolenza storicamente esistente, che e' lotta politica per obiettivi politici o non e' nulla. Fosse cosi', non sarebbe politica la politica che piu' conta. Fortunatamente la politica e' molto di piu' dell'amministrazione dello stato, e' molto di piu' dell'organizzazione della violenza dei potenti, e' molto di piu' che l'essere-per-la-morte. * E quindi politica e' anche la nostra lotta e la nostra vita. Conflitto e convivenza, riconoscimento di umanita', difesa e promozione della civilta', contrario della guerra e della morte. E contraddizione che non si estingue. 4. RIFLESSIONE. BRUNETTO SALVARANI: ALLE DONNE E AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA' IN DIALOGO [Pubblichiamo con grande ritardo, di cui ci scusiamo, questa "Lettera alle donne e agli uomini di buona volonta' in occasione della sesta giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico" del 4 ottobre 2007. Come e' noto, sulla giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico molti utilissimi materiali sono nell'ottimo sito de "Il Dialogo", www.ildialogo.org Brunetto Salvarani, teologo ed educatore, da molto tempo si occupa di dialogo ecumenico e interreligioso, avendo fondato nel 1985 la rivista di studi ebraico-cristiani "Qol"; ha diretto dal 1987 al 1995 il Centro studi religiosi della Fondazione San Carlo di Modena; saggista, scrittore e giornalista, collabora con varie testate, dirige "Cem-Mondialita'" (la rivista dei missionari saveriani di Brescia, che a Viterbo tiene il suo convegno nazionale annuale), fa parte del Comitato "Bibbia cultura scuola", che si propone di favorire la presenza del testo sacro alla tradizione ebraico-cristiana nel curriculum delle nostre istituzioni scolastiche; e' direttore della "Fondazione ex campo Fossoli", vicepresidente dell'Associazione italiana degli "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam", il "villaggio della pace" fondato in Israele da padre Bruno Hussar; e' tra i promotori dell'appello per la giornata del dialogo cristiano-islamico. Ha pubblicato vari libri presso gli editori Morcelliana, Emi, Tempi di Fraternita', Marietti, Paoline] Cari amici ed amiche, fratelli e sorelle, il 5 ottobre 2007, ultimo venerdi' del mese di Ramadan dell'anno Hijri 1428 prima della festivita' di Id Al Fitr, celebreremo la sesta giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. Ancora una volta devo confessare che allorche', all'indomani dell'11 settembre 2001, assieme ad altri amiche ed amici del dialogo lanciammo in rete l'appello all'origine di questa esperienza, i miei sentimenti spaziavano tra lo scetticismo e la fiducia. Certo, non avrei scommesso molto che sei anni dopo ci saremmo ritrovati per un altro appuntamento, e soprattutto che la nostra giornata - in sordina, leggermente, con la forza del passaparola, senza troppi clamori ne' particolari attenzioni da parte dei media - avrebbe preso piede, divenendo un punto di riferimento per il cammino del dialogo interreligioso nel nostro Paese. Era anche difficile immaginare, del resto, la vera e propria escalation che oggi tocchiamo con mano nel percepire come senso comune lo scontro fra le civilta', le accuse al dialogo (di irenismo, buonismo, ingenuita', nel migliore dei casi) e il clima di "dalli al diverso" che vede quale principale obiettivo, inevitabilmente, il musulmano... Nell'appello di quest'anno, come organizzatori della giornata scrivevamo di sentire come assai pressante la necessita' di rilanciare in Italia i temi del dialogo interreligioso, in particolare quello con l'islam, che vediamo sempre piu' minacciato e ricacciato indietro, alla luce anche delle recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti studiosi e amici del dialogo come gli esperti di islam Stefano Allievi e Paolo Branca (entrambi firmatari del nostro appello): "In questi anni si sono moltiplicate le giornate istituzionali di dialogo: in realta' i mezzi di comunicazione di massa non cessano di suonare la marcia funebre della guerra e dell'odio fra le nazioni, i popoli, le religioni, le culture diffondendo razzismo e violenza. La differenza, come sempre, la puo' fare l'iniziativa dal basso, quella che rompe gli schemi delle persone intruppate nelle rispettive appartenenze, quella che mette a contatto donne e uomini delle varie religioni o senza religione che si incontrano per dire che non ne possono piu' di odio e di religioni al servizio dei potenti di turno, che spingono i propri aderenti a combattere contro altre donne e uomini di fede diversa". Mentre mi piace ricordare che, nella terza assemblea ecumenica europea di inizio settembre a Sibiu, in Romania, i delegati italiani hanno approvato una mozione che invitava gli estensori del messaggio finale a valutare la possibilita' di estendere tale esperienza su scala europea. Un dato rilevante, al di la' del fatto che nel testo conclusivo, in realta', la cosa non compaia, pagando verosimilmente la scarsa attenzione rivolta nel complesso al tema del dialogo interreligioso. Se la giornata ha saputo attraversare indenne questi anni affannosi, densi di slogan beceri e trovate politiche di dubbio gusto su cui il tacere e' bello, e' perche', in realta', al dialogo non esiste alternativa. Il problema, piuttosto, riguarda, da un lato, la sua effettiva praticabilita', in un contesto di reiterate strumentalizzazioni e di un ascolto reciproco ancora raro; e, dall'altro, i suoi contenuti, quelli di un termine che rischia il depotenziamento a causa sia del suo abuso sia della sua banalizzazione. Ecco allora che, opportunamente, il comitato organizzatore, di anno in anno allargatosi fino a comprendere molte riviste e associazioni ecclesiali, ha proposto per il 5 ottobre 2007, quale auspicio, il motto "Costruire speranza e convivialita'". Con l'obiettivo di riempire di contenuti concreti, soprattutto sul piano educativo e politico, le decine di eventi previsti (fra cui l'originale proposta dell'iniziativa "Moschea aperta", avviata da alcuni intraprendenti giovani musulmani, che vede oltre venti luoghi di culto islamici disponibili ad aprire le porte a tutti quello stesso giorno, in segno di accoglienza e trasparenza). In che direzione? Provero' a riflettervi brevemente, suggerendo alcune piste che potrebbero risultare utili in vista della realizzazione della giornata. * Il primo criterio per un dialogo interreligioso fruttuoso e', infatti, il favorire la maturazione di un atteggiamento positivo verso le altre fedi. Questo e' il filo rosso del Vaticano II, ma anche del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, e della Charta Oecumenica sottoscritta da tutte le chiese europee: "L'educazione e la formazione al dialogo interreligioso, o a una vita di amicizia e di simpatia con persone di altre religioni - scrive il saveriano padre Franco Sottocornola, forte di una lunga esperienza diretta in Giappone - deve anzitutto cercare di creare questo atteggiamento generale col quale noi sottolineiamo quello che e' positivo, buono, bello nell'altra religione piuttosto che i suoi aspetti negativi, e poniamo l'accento su tutto quello che unisce o favorisce la collaborazione e l'amicizia, piuttosto che su cio' che divide". Si tratta, in vista di tale acquisizione, di avviare un percorso che potra' rivelarsi anche lungo e complesso: inutile farsi troppe illusioni (ma anche fasciarsi la testa prima di averci provato seriamente, beninteso!). Ecco dunque alcune indicazioni di metodo che favorirebbero tale incontro, rendendolo meno drammatico. Prima di tutto, il dialogo interreligioso dovra' maturare nel quadro di un riconoscimento che chi dialoga non sono le religioni (entita' astratte) bensi' donne e uomini in carne ed ossa, con storie, vissuti, sofferenze, speranze, peculiari e irripetibili. Non sembri una considerazione banale, o scontata: quanti errori sono stati compiuti, e continuano a farsi, a causa di una lettura tutta ideologica e metafisica dell'altro! Gli esempi si sprecherebbero... In primis, andrebbero percio' costruite delle occasioni di incontro, in ambienti che favoriscano il contatto effettivo. Occorrera' poi una buona conoscenza reciproca degli interlocutori coinvolti: conoscenza intellettuale, dei testi e dei documenti ufficiali delle chiese e delle religioni (imparare le religioni), certo, ma anche umana, a partire da un atteggiamento sincero di ascolto delle narrazioni altrui (imparare dalle religioni). Operare assieme in qualche settore specifico, ad esempio, affrontando problemi sociali o discriminazioni palesi, potrebbe poi rendere piu' convincente un rapporto interreligioso. Valorizzare esperienze e testimonianze vissute, quindi, soprattutto agli occhi dei piu' giovani - giustamente refrattari alle eccessive teorizzazioni - facilitera' senz'altro il cammino: con l'approccio diretto, quando sia possibile, e la visita ai diversi luoghi delle comunita'. Un'ultima considerazione riguarda la necessita' di investire maggiormente nella preparazione e formazione di giovani che si accingano a svolgere un ruolo di guida e di stimolatori sul tema del dialogo nelle diverse comunita'. Ecco allora l'importanza di ricentrare i curricula degli studi teologici facendo attenzione al dialogo interreligioso e alla conoscenza delle religioni altre, ma anche la pastorale delle parrocchie, la vita delle chiese e delle comunita', i programmi dei movimenti, e cosi' via. L'obiettivo e' quello di uscire dal falso presupposto secondo cui il dialogo interreligioso sarebbe un'attivita' riservata agli specialisti, e, parlo da cattolico, assumere come impegno serio l'invito dell'enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Missio, per cui "tutti i fedeli e le comunita' cristiane sono chiamati a praticare il dialogo interreligioso" (n. 57). Anche perche' oggi non possiamo piu' negare che "senza dialogo, le religioni si aggrovigliano in se stesse oppure dormono agli ormeggi... o si aprono l'una all'altra, o degenerano" (R. Panikkar). * La grande sfida che ci attende oggi e' di evitare una lettura delle differenze esistenti, anche profonde, come uno scontro tra il bene e il male, di rifuggire l'identificazione tra un islam astratto e l'incarnazione del male, di rifiutare la demonizzazione dell'altro. Per riuscire in tale impresa, ciascuno dovra' fare appello alla ragione di cui tutti sono muniti e che, nel suo fecondo intrecciarsi con i dati della rivelazione, ci puo' finalmente ricondurre sulle vie della pace e della fratellanza umana. Abbiamo bisogno di guardare alle nostre differenze non come ad idoli da adorare ma come arricchimento reciproco verso una vita piena di amore, quell'amore che per cristiani e musulmani caratterizza l'essenza stessa di Dio. Se uno dei nomi di Dio della tradizione islamica e' Al-Wadud, L'amorevole, sappiamo dalla Bibbia che "da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (1 Gv 13, 35). Non dimentichiamolo, il prossimo 5 ottobre, una giornata di speranza e convivialita'. Con i piu' fraterni auguri di shalom - salaam - pace Brunetto Salvarani Carpi, 4 ottobre 2007 5. LIBRI. DIANA NAPOLI PRESENTA "L'ENIGMA DELL'ARRIVO" DI VIDIADHAR SURAJPRASAD NAIPAUL [Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it, sito: www.storiedellastoria.it) per questo intervento. Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano, insegna nei licei, e' stata volontaria in servizio civile presso il Centro per la nonviolenza di Brescia. Vidiadhar Surajprasad Naipaul (Trinidad, 1932), scrittore inglese di origine indiana, Premio Nobel per la letteratura nel 2001, autore di libri indimenticabili. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente scheda: "Sir Vidiadhar Surajprasad Naipaul, noto anche come V. S. Naipaul (Chaguanas, 17 agosto 1932) e' uno scrittore britannico. Nasce a Chaguanas, un piccolo villaggio dell'isola caraibica di Trinidad nel 1932 da genitori indiani di casta braminica. Suo nonno, originario dell'India nord-orientale, era emigrato a Trinidad nel secolo precedente per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Suo padre Seepersad era giornalista del 'Trinidad Guardian' e autore di novelle. V. S. Naipaul si trasferisce in Inghilterra nel 1950 dove frequenta l'universita' di Oxford. Inizia a collaborare saltuariamente a diversi giornali e pubblica i suoi primi romanzi nel 1954. La sua vita e' segnata dai numerosi viaggi che compie: inizia a viaggiare nel 1960. Nel 1990 la regina Elisabetta gli assegna il titolo di Knight Bachelor (cavaliere), tre anni dopo, nel 1993 e' il primo beneficiario del premio David Cohen British Literature Prize, nel 1999 ha ricevuto il Premio Grinzane Cavour. Riceve il Premio Nobel per la Letteratura nel 2001. Opere di V. S: Naipaul: a) narrativa: The Mystic Masseur (1957); The Suffrage of Elvira (1958); Miguel Street (1959); A House for Mr Biswas (1961), Mr. Stone and the Knight's Companion (1963); A Flag on the Island (1967); The Mimic Men (1967); The Loss of Eldorado (1969); In a Free State (1971); Guerillas (1975); A Bend in the River (1979); Finding the Centre (1984); The Enigma of Arrival (1987); A Way in the World (1994); Half a Life (2001); Magic Seeds (2004). b) saggistica: The Middle Passage (1962); An Area of Darkness (1964); The Overcrowded Barracoon and Other Articles (1972); India: A Wounded Civilization (1977); A Congo Diary (1980); The Return of Eva Peron (1980); Among the Believers: An Islamic Journey (1981); Finding the Centre (1984); A Turn in the South (1989); India: A Million Mutinies Now (1990); Homeless by Choice (1992); Bombay(1994); Beyond Belief: Islamic Excursions among the Converted Peoples (1998); Between Father and Son: Family Letters (1999); c) alcune traduzioni in italiano: Alla curva del fiume (Rizzoli, 1982, Mondadori, 1995); Un'area di tenebra (Adelphi, 1999); Una bandiera sull'isola (Rizzoli, 1984); Una casa per il signor Biswas (Mondadori, 1964); Una civilta' ferita: l'India (Adelphi, 1997); I coccodrilli di Yamoussoukro (Adelphi, 2004); Elezioni a Elvira (Mondadori, 1990); L'enigma dell'arrivo: un romanzo in cinque parti (Mondadori, 1988); Fedeli a oltranza: un viaggio tra i popoli convertiti all'Islam (Adelphi, 2001); Guerrillas (Mondadori, 1991); In uno Stato libero (Adelphi, 1996); India: un milione di rivolte (Mondadori, 1991); Leggere e scrivere: una testimonianza (Adelphi, 2002); Il massaggio mistico (Mondadori, 1966); La meta' di una vita (Mondadori, 1993); Miguel street (Mondadori, 1991); Mr. Stone (Mondadori, 1990); Nel Sud (Mondadori, 1989); Tra i credenti: un viaggio nell'Islam (Rizzoli, 1983); Una via nel mondo: una sequenza (Adelphi, 1995)"] Sollecito una riedizione di uno dei libri piu' belli di V. S. Naipaul, L'enigma dell'arrivo. Naipaul, in una piccola casa all'interno di quella che un tempo era stata una tenuta e che mostrava oramai solo i segni piu' estremi di disfacimento di un mondo che non esisteva piu' se non nelle rare e schizofreniche uscite del vecchio proprietario dilettante di poesie, scioglie l'enigma dell'arrivo. Che e' l'arrivo in Gran Bretagna e l'altra faccia della medaglia della partenza, la sua partenza dall'isola in cui era nato: lui, indiano, a Trindad e Tobago. Partenza che non aveva avuto mai compimento, mai arrivata e che si trascinava nei suoi viaggi come residuo ultimo di una religione di casta (quella che ciascuno ha e il cui fardello si porta appresso). In questo luogo poco abitato, sospeso tra una gloria che non c'era piu' e un futuro incuneatosi a forza nella terra, modificandone il paesaggio brutalmente, Naipaul era solito passeggiare ogni pomeriggio incontrando una umanita' insolita e la cui comprensione, il cui ascolto e' la via per riconciliarsi con se', col mondo e soprattutto con quel passato che conteneva tutte le umiliazioni subite, il breve soggiorno a New York utile solo per riscoprirsi la sera nell'albergo a mangiare di nascosto con le mani pollo incartato, le librerie coi nomi sconosciuti, la Gran Bretagna che non manifestava mai il "materiale per la scrittura" cosi' promesso dai libri, il romanzo che non nasceva... Tutto cio' diventa parola e scrittura, perche' tra tutte le caratteristiche che si attribuiscono alla parola, anche quelle piu' magiche della filosofia benjaminiana, ne esiste una tipica della scrittura di Naipaul: il suo potere esploratore, come un percorso di una fenomenologia. E Naipaul, che pure aveva gia' scritto e viaggiato per lavoro, e' costretto a tornare a Trinidad per un lutto familiare, celebrando cosi' finalmente la cerimonia degli addii, ritornando senza enigmi da sciogliere in Inghilterra, scrivendo di getto del giardino di Jack, dei vicini dall'esistenza precaria, del giardiniere, del padrone della villa, di tutto quel luogo che aveva ospitato la sua inquietudine per un passato che non passava mai e che invece si era rivelato il luogo della sua seconda nascita. E quello che la riflessione e la sofferenza non avevano potuto, lo compie la parola, schiudendo, dal racconto che inizia proprio col giardino di Jack e la sua vita invano ostinata, la quiete che nemmeno l'affetto era riuscito a portare. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 256 del 28 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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