[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 244
- Subject: Minime. 244
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 16 Oct 2007 00:45:45 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 244 del 16 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il 18 ottobre un convegno a Viterbo 2. Raffaella Mendolia: Alcuni ambiti di iniziativa del Movimento Nonviolento (parte prima) 3. Nadia Agustoni presenta le "Lettere" di Etty Hillesum 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. IL 18 OTTOBRE UN CONVEGNO A VITERBO Giovedi' 18 ottobre a Viterbo si svolgera' il secondo convegno sul tema "Un mega-aeroporto a Viterbo? No, grazie". In difesa del diritto alla salute, in difesa dei beni ambientali e culturali, per valorizzare e non devastare le risorse e le vocazioni produttive del territorio, per una mobilita' adeguata e sostenibile, per un modello di sviluppo al servizio delle persone, per la legalita' e la democrazia, per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della biosfera. * Per informare e sensibilizzare la cittadinanza il comitato che si oppone all'aeroporto e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo ha organizzato un secondo convegno di studi il giorno giovedi' 18 ottobre a Viterbo, presso la sala Anselmi della Provincia, di fronte a Palazzo Gentili, in via Saffi, con inizio alle ore 17. Partecipano al convegno in qualita' di relatori: l'on. Giulietto Chiesa, europarlamentare, giornalista e saggista; il professor Giuseppe Nascetti, docente di Ecologia all'Universita' della Tuscia; l'on. Enrico Luciani, presidente della Commissione Trasporti della Regione Lazio. Presiede il convegno la dottoressa Antonella Litta, portavoce del comitato. * Un mega-aeroporto a Viterbo? No, grazie Difendiamo la salute dei cittadini, l'ambiente e i beni culturali e sociali di Viterbo, l'economia locale e il diritto a un lavoro valido e sicuro. Difendiamo la biosfera e i diritti di tutti. Difendiamo la democrazia. Impediamo una speculazione scandalosa e gravemente nociva. 2. STUDI. RAFFAELLA MENDOLIA: ALCUNI AMBITI DI INIZIATIVA DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente estratto dalla sua tesi di laurea su "Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento (1990-2002)" sostenuta presso la Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' degli studi di Padova nell'anno accademico 2002-2003, relatore il professor Giampietro Berti. Raffaella Mendolia fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento, ed ha a suo tempo condotto per la sua tesi di laurea una rilevante ricerca sull'accostamento alla nonviolenza in Italia. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione@nonviolenti:org, sito: www.nonviolenti.org] La presenza politica del Movimento Nonviolento nei primi trent'anni di vita (1961-1991) si e' concretizzata nella realizzazione di numerose iniziative, tra cui le campagne per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare e alle spese militari sono solo le piu' famose. Si possono distinguere diversi settori di attivita' alcuni dei quali costituiscono impegni costanti per il movimento fin dalle sue origini, come il tema dell'antimilitarismo e l'approfondimento teorico, mentre altri vengono individuati come prospettive concrete solo in un secondo momento (e' il caso del problema nucleare e della questione Nord-Sud). Per quel che riguarda l'impegno antimilitarista il movimento ha partecipato alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam e alle proteste contro l'invasione della Cecoslovacchia e piu' tardi ha attuato diverse azioni di resistenza alle basi militari, in particolare a Comiso, con l'organizzazione della Marcia Catania-Comiso e l'acquisto del terreno "Verde Vigna" per impedire l'estensione dell'aeroporto militare "Magliocco"; ha contribuito all'inaugurazione di un monumento dedicato "ai caduti di tutte le guerre", promosso la Giornata internazionale per il disarmo unilaterale, e sostenuto le controcelebrazioni del 4 novembre, festa delle Forze Armate. Successivamente i nonviolenti si affiancano agli altri movimenti nelle lotte contro le centrali nucleari, in particolare a Montalto di Castro; e copromuovono il referendum nazionale antinucleare del 1987. Verso la fine degli anni Ottanta, attira l'attenzione del movimento il tema del Terzo Mondo, e cio' motiva il sostegno all'iniziativa della "Campagna Nord-Sud: biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito". Per quel che riguarda invece la divulgazione della nonviolenza come mentalita', modo di vita, prassi politica, ricerca, studio e sperimentazione di forme alternative di difesa nonviolenta, il Movimento affianca al periodico ufficiale "Azione nonviolenta" la pubblicazione della collana "Quaderni di Azione nonviolenta" e cura l'edizione di diversi testi di approfondimento e diffusione del pensiero e dell'opera dei grandi maestri della nonviolenza (Mohandas Gandhi, Martin Luther King, Aldo Capitini) e di teoria della nonviolenza. In questo settore rientra anche l'organizzazione di convegni di studio su varie tematiche: "Nonviolenza e religione" (1968), "Nonviolenza contro ogni forma di fascismo"(1972), "Nonviolenza e lavoro di quartiere" (1974), "Marxismo e nonviolenza"(1975), "Energia nucleare e nuovo modello di sviluppo"(1977), "La difesa popolare nonviolenta" (1979), "Nonviolenza, istituzioni e potere dal basso"(1980), "Per un futuro non nucleare"(1981), "I verdi e il potere" (1987) "Il sud del mondo nostro creditore" (1989), "Sviluppo? Basta! A tutto c'e' un limite..." (1990). Si conclude nel 1990 la decennale Campagna di restituzione dei congedi militari, uno dei vari modi di opporsi al sistema militare attraverso i metodi nonviolenti. Questa e' stata un'iniziativa promossa dal solo Movimento Nonviolento ed e' stata riproposta ogni anno tra il 1980 e 1990 e merita un breve accenno. L'appello del Movimento Nonviolento dichiara: "Restituire il Foglio di Congedo al Presidente della Repubblica significa fare un atto di obiezione di coscienza a posteriori per chi ha svolto il servizio militare, ma puo' essere anche una riconferma della propria obiezione se attuato da chi ha scelto il servizio civile e infine una dichiarazione di noncollaborazione per chi non ha mai svolto nessun tipo di servizio" (1). Tale atto pubblico non comporta nessuna sanzione penale, lo dimostrano anche le sentenze di proscioglimento emesse a favore di un gruppo di obiettori altoatesini che nel 1986 aveva bruciato i congedi in una manifestazione di pubblica protesta. Esso ha tuttavia una forte valenza simbolica per gli obiettori. In quest'ultimo decennio l'impegno pratico del Movimento e' stato notevolmente ampliato, in particolare con il proseguimento delle campagne per l'obiezione alle spese militari e per la difesa popolare nonviolenta, intraprendendo la via dell'istituzionalizzazione. Si e' inoltre proseguito il lavoro di pubblicazione di opuscoli e libri sulla nonviolenza. Nel campo educativo e scolastico il Movimento ha favorito la diffusione della nonviolenza attraverso sistemi educativi e insegnamento di materie scolastiche e ha sostenuto la formazione di gruppi come l'Edap e il Coordinamento insegnanti nonviolenti. Cio' ha di fatto aumentato la produzione di pubblicazioni mirate per le scuole. Si sono stati anche alcuni tentativi di collaborazione con altri gruppi, soprattutto in vista di progetti importanti. Oltre a questi impegni costanti, il movimento si trova a dover affrontare situazioni contingenti, come lo scoppio della guerra, in cui e' indispensabile investire ulteriori energie per la presentazione di iniziative e documenti di dissenso. Non sempre esso e' riuscito ad affrontare la situazione partecipando in modo costruttivo. Ad esempio in occasione degli interventi per un campo di pace nel Golfo Persico, di fronte all'affossamento della riforma della legge 772 sull'obiezione di coscienza, nella Marcia Perugia-Assisi del 1990, il movimento non ha potuto dare un contributo concreto, rimanendo, per sua stessa ammissione, solo testimone dei fatti. Il motivo e' da attribuire al coinvolgimento del Movimento nella Campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari (in sigla: Osm), che all'inizio degli anni Novanta versa in una situazione di stallo a causa delle discussioni interne sulla definizione della strategia e dei fini da perseguire. Al contrario la capacita' di reazione del Movimento migliora negli anni Novanta. Di fronte allo scoppio della Guerra del Golfo la reazione e' immediata e in breve tempo le sezioni realizzano fiaccolate, marce e manifestazioni di protesta in tutta Italia. Nel 1992 viene costituito un Comitato di sostegno alle forze e alle iniziative di pace nella ex-Jugoslavia a Verona che produce un seminario di approfondimento, attiva un campo di animazione per profughi a Ukra (Istria), ospita il Forum per la pace e la riconciliazione tra i popoli della ex-Jugoslavia. Intanto prosegue l'attivita' dei Volontari di pace in Medio Oriente. Sempre nel 1992 si attua un gemellaggio tra Mir, Movimento Nonviolento e Serpaj (Servicio Justicia e Pax) latino-americano. Nel biennio 1994-'95 il movimento e' impegnato dalla riflessione su nonviolenza e politica, (seminario a Firenze e campo tematico di S. Gimignano nell'estate 1994, seminario di approfondimento a Ca' Fornelletti, Valeggio sul Mincio, nell'estate 1995). Il tema viene ripreso nel 1997 con un ciclo di conferenze presso l'Istituto Sereno Regis. Aderisce alla Campagna per il Kossovo, dove nel 1995 Alberto L'Abate ottiene l'autorizzazione dall'Universita' di Firenze di trascorrere un anno per una ricerca-intervento sui rapporti tra serbi e albanesi. Nello stesso periodo si apre un nuovo settore di impegno, nella lotta alla mafia: il Movimento Nonviolento aderisce a Libera, associazione contro la mafia e opera a livello locale da tempo sul tema, in ambito sia educativo che con attivita' di denuncia. * Note 1. vedi "Azione Nonviolenta", anno XXVIII, marzo 1991, p. 17. (Parte prima - segue) 3. RIFLESSIONE. NADIA AGUSTONI PRESENTA LE "LETTERE" DI ETTY HILLESUM [Da "A. rivista anarchica", anno 37, n. 329, ottobre 2007 (disponibile anche nel sito www.arivista.org) riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Lettere per imparare a imparare. Etty Hillesum e un leggere sopra la pagina" Nadia Agustoni e' poetessa, saggista, militante per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma; Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo 'altro' e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2002; Maria Giovanna Noccelli, Oltre la ragione, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2004] "Ma forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo e che potrebbero farci capire questa realta' sconcertante" (1) (Etty Hillesum, Lettera a due sorelle dell'Aja, Amsterdam, dicembre 1942) Nel 1981 quando l'editore De Haan pubblico' il Diario di Etty Hillesum questo era stato letto da molte persone. Il Diario si salvo' quindi perche' qualcuno fu fedele a un mandato non scritto: conservare pagine che si lasciano leggere non "sulla" ma sopra la pagina, sopra l'abrasione che queste producono a un primo contatto e alla presa d'atto che e' la nostra umanita' ad essere impegnata in una lettura che non ci nasconde a noi stessi ma ci rivela. Ogni rivelazione si fa apprendimento nei giorni, diviene equilibrio per affrontare quel male radicale che e' ogni ideologia, e ancor piu' e' necessita' di rivelazione se l'ideologia e' aberrante come lo fu il nazismo. Etty Hillesum scavo' con parole di tenerezza chiarissima l'impossibilita' che pervadeva il suo tempo. Strinse quel tempo come se dovesse spogliarsene stringendolo, come se non fosse un tempo quotidiano ma tutto il tempo di ogni vita. Quello che ci e' rimasto sono un diario e poche lettere che senza sfida ci sfidano, ci interrompono nel nostro accanimento a farci sovrumanamente adatti al mondo e ci lasciano invece soli in un compiersi di presente che ha domande a cui non c'e' risposta o non una sola e non sempre questa risposta e' voce ñ parola, grido ñ gridato (2). * Senza riparo Non mi soffermero' in questo scritto sul Diario, rimandando a un mio precedente testo su Hillesum uscito nella rivista "A" nel 1999 (3). Sara' un percorso di lettura attraverso alcune delle lettere che ci sono pervenute, in Italia pubblicate da Adelphi nel 1990 con il titolo Lettere 1942-1943 (4). Mentre scrivo il muro delle ideologie sembra rafforzare la sua presa sul mondo. Il caos che in parte occulta in parte rivela i meccanismi di manipolazione della mente pare farsi piu' denso. E nel distacco dalla parola posso solo trovare una parola che aiuti la mia a dirsi. A mia volta conto su questa reciprocita' ideale e forse etica con Hillesum per restituire cio' che prendo e per tentare quell'apprendimento di significato che e' senza resa di fronte alla violenza. Etty Hillesum affronto' vita e scrittura senza riparo. Intese molto presto che non c'era salvezza e che una promessa in tal senso era un buio piu' profondo, un'illusione per strapparsi al dominio degli eventi piu' tragici senza che fosse intaccato il potere della realta' di essere in quel momento una macchina che produceva dolore, sofferenza, sterminio. La realta' era il destino che i piu' forti decretarono per il popolo ebraico e per altri popoli, nonche' per avversari politici e altri gruppi definiti come "inferiori". La realta' era la sopravvivenza nel campo di Westerbork dove un'umanita' scossa si parlava non sapendo forse fino in fondo che cosa in quel parlare era necessita' o solo frase e cosa era resistenza prima ancora che pietas. Testimoni di se stessi senza sguardo amico di cui potessero dire con certezza che sarebbe rimasto a convalidare le loro vite, gli internati del campo di Westerbork si sono fermati nelle lettere di Etty Hillesum come figure irrevocabili o come umanita' che non puo' spiegarsi. Tutto questo ce li avvicina. Non si puo' fare a meno di cercare la persona piu' piccola e il gesto piu' piccolo trascritto da Etty, come per riempirsi di una consistenza che lascia un sapore di cose un po' dure e agre, ma inestinguibili: cose che ci disarmano nella stessa fame di domanda e risposta. "Ora sono seduta sulla sponda di un canale silenzioso, le gambe penzolanti dal muro di pietra, e mi chiedo se il mio cuore non diventera' cosi' sfinito e consunto da non poter piu' volare liberamente come un uccello" (5). L'Europa e' ridotta a un immenso campo di concentramento quando il 2 dicembre 1942 Etty Hillesum scrive la sua lettera a due sorelle dellAja. E' una delle due lettere che verranno pubblicate dalla resistenza olandese. L'espediente della lettera e' il modo scelto per parlare e far parlare il "campo", quell'agglomerato di baracche e fango nel Drenthe, regione dimenticata, luogo non-luogo da sempre, di cui fino a poco tempo prima la stessa Hillesum confessava di aver saputo ben poco. In quello spazio esausto, in cui decenni prima si era smarrito e trovato quel Vincent Van Gogh che li' scopri' la propria vocazione pittorica, vi e' un filo che unisce e separa in modo netto: il filo spinato che chiude il campo e lo delimita. Il margine rivela sempre cio' che sta da un lato e dall'altro e lo rivela da entrambi i lati mostrando che chi chiude e' chiuso, che cio' che e' limite qui e' limite anche dall'altra parte. "Noi dietro il filo spinato!" dice un vecchio del campo, "sono piuttosto loro a vivere dietro il filo spinato" (6) e se questo dietro il filo spinato e' chiaro quando si parla come in questo caso di olandesi ed ebrei (i portatori di cittadinanza e gli espulsi dalla cittadinanza), piu' arduo e' vedere i fili che attraversano il campo stesso, le persone una ad una, le coscienze e gli smarrimenti di ognuno: "ma anche nel campo stesso, intorno e fra le baracche, si snodano questi fili del ventesimo secolo,,. Di tanto in tanto si incontrano persone con graffi sul viso e sulle mani" (7). L'espulsione dalla cittadinanza e' il preludio all'espulsione dall'umanita'. A questa cancellazione la Hillesum fa una resistenza di tipo nuovo. Si alza sopra il coro delle lamentazioni e pare suggerire, in verita' afferma, che i duri fatti e gli eventi che loro stanno affrontando e affronteranno con la deportazione non vanno abbandonati al proprio destino, ma ospitati nella coscienza profonda perche' divengano un crescere e un comprendere forti. Solo in questo modo potra' accadere che la loro generazione sia "una generazione vitale" (8), solo questo dara' significato alla sofferenza, solo una coscienza attenta restituira' la vita tolta. * Sguardo e solitudine Lo sguardo di Etty Hillesum e' solitudine. C'e' questa solitudine di vedere e di non avere che il disarmarsi davanti all'impossibilita'. Dovrei usare parole come orrore, abominio, aberrazione, ma non e' il carico delle parole a fare una tragedia o a farcela comprendere, e' il modo in cui le trascriviamo, il modo in cui ci impegniamo con loro. Impegnarsi ha nel suo etimo il "pegno", dare in pegno qualcosa, una parte di noi da' di se' qualcosa che deve essere riscattato. Il riscatto non e' una mera questione di riprendersi cio' che e' dato, ma di renderlo a tutti, di lasciare che ognuno possa farne un personalissimo percorso che sia nello stesso tempo un cammino di vicinanza. Anche le parole chiedono un riscatto, hanno un margine, un qui e un la' che dicono una cosa e quello che ne sta fuori o oltre. E' quell'oltre che noi dobbiamo cercare di riprenderci. Il campo di Westerbork fu creato nel 1939 dal Dipartimento di Giustizia olandese per "ospitare" i profughi che arrivavano dalla Germania nazista. Uomini e donne dalla vita spersa, sperduti anche nella voce, inascoltati dal mondo, invisibili perche' resi afoni nel loro spiegarsi, mai bene accetto dal perbenismo che ogni epoca usa per rendersi cieca. La cecita' e' l'altro lato del vedere. In verita' quella societa' ha visto completamente quelli che sottrae allo sguardo, ha pero' deciso di non domandarsi che fine faranno quei profughi e cos'e' la loro fuga e il loro trovarsi fuori posto cosi' visibile da dover essere occultato. Le domande premono e la risposta e' disumanizzare il profugo perche' se ci si impegnasse con lui/lei, questo impegno potrebbe rivelarci a noi stessi in molti modi dei quali alcuni non piacevoli. Potremmo scoprire che per noi quell'impegno-pegno e' nell'accezione piu' deteriore una forma di usura: do' ma in cambio avro' gli interessi. La nostra stessa societa' e' in un frangente in cui si giocano sulla ridefinizione del concetto di cittadinanza istanze molto diverse e alcune di queste sono mero calcolo politico da parte di tutti gli schieramenti. Inoltre abbiamo i nostri campi che sigle postmoderne (Cpt, ecc.) tentano di occultare. Abbiamo i nostri "ebrei buoni" e quelli "cattivi" o meglio "non meritevoli" tra cui evidentemente si annovera quell'oltre cinquanta per cento di migranti donne su cui poche parole, quando non nessuna, si spendono. Se una seria riflessione fosse in atto su questo, non ci sarebbe tanto silenzio su quella che Gayatri C. Spivak definisce come la donna piu' povera e sfruttata del Terzo Mondo ovvero il soggetto subalterno per eccellenza (9). Se potessimo osservare da un qualche luogo al riparo il nostro sguardo sugli altri / sulle altre, come sfuggire alla conclusione che selezioniamo con gli occhi il vedere? Come non sapere quindi che cio' che e' estromesso dal margine e cio' che sta sul margine, in bilico, sono comunque quello che tocchiamo e nessun filo spinato puo' impedire alla mente di percepire anche questo? Di quali confessionali abbiamo bisogno per annetterci le nostre bugie e forse domani scoprire piccole verita'? * Le piccole verita' "Non e' rimasta molta brughiera dentro al recinto di filo spinato, le baracche diventano sempre piu' numerose. Ne e' rimasto un pezzetto in un estremo angolo del campo, ed e' li' che sono seduta ora, al sole, sotto uno splendido cielo azzurro e fra alcuni bassi cespugli" (10). Le piccole verita' spesso partono dai piccoli dati sensibili che il corpo puo' captare. Le situazioni piu' estreme a volte fanno scoprire una semplicita' che, nella complessita' degli avvenimenti, potremmo ritenere di inseguire vanamente. Eppure la parola coglie sempre la vita. Anche quando e' il pensiero ad essere detto cio' accade perche' esso ha preso consistenza, si e' tramutato in uno spazio di vita. E' in questi sprazzi delle lettere che Etty Hillesum si spoglia, mette a nudo la carne dolente con il mostrare la semplicita' delle cose, quel diventare/divenire comunque dell'esistenza. L'insensatezza che qualcuno potrebbe avvertire in questo comunque che scrivo in corsivo, si fa angoscia trattenuta in un altro paragrafo della stessa lettera a Han Wegerif (di cui sopra) scritta nel giugno del 1943 a poche settimane dalla deportazione e mentre una deportazione e' in atto: "Il cielo e' pieno di uccelli, i lupini violetti stanno la', cosi' principeschi, cosi' pacifici, su quella cassa sono sedute a chiacchierare due vecchiette... sotto i nostri occhi accade una strage, e' tutto cosi' incomprensibile" (11). L'angoscia e' anche nella pacatezza del racconto, fatto sempre ad Han Wegerif ma in un'altra lettera, circa alcune delle mansioni svolte da Hillesum e da altri nel campo di Westerbork. Nessun metro puo' rendere l'ampiezza dello strazio del dover vestire bambini, aiutare madri, vecchi e consolare ragazzi messi da un momento all'altro di fronte alla realta' della deportazione col suo carico di buio: "sappiamo bene che abbandoniamo le persone indifese e malate del campo alla fame, al caldo e al freddo, alla vulnerabilita' e alla distruzione... Che avviene qui, che misteri sono questi, in quale meccanismo funesto siamo impigliati?" (12). Non posso non pensare che tutto questo ha potuto accadere per l'indifferenza del mondo. Intere societa' civili hanno ritenuto compatibile un certo modo di trattare alcune particolari persone, spinto fino alla reclusione, alla deportazione nonche' all'imposizione di un marchio, con i loro principi di moralita'. Fino a che l'ingiustizia tocca altri/e, non ne siamo se non in pochi/e, scossi. E' piu' che un modo di cancellare: e' il modo in cui i privilegiati fondano il loro privilegio. E' solo con l'esclusione parziale o totale di alcuni/e che si attua per altri un di piu', che e' un avere dei privilegi. E' in nome di questi privilegi che occhi e orecchie si chiudono. Anche lo sdegno morale sembra troppo, come una concessione, fatta pur sempre a degli inferiori. Le piccole verita' sono dati sensibili ma, anche se puo' non piacerci, sono un cuneo che apre un qualcosa di duro, di indigesto, quello che non si ammette perche' pare ovvio. Quell'ovvio prende il nome di discriminazione, razzismo, sessismo, classismo, ecc. come se fossero dati naturali e non il risultato di una costruzione imposta. La facilita' con cui liquidiamo le questioni spinose, ammantando di grandi verita' cio' che e' invece pregiudizio e che come tale se analizzato non reggerebbe, dice il punto esatto in cui siamo. Il lato peggiore di questa costruzione imposta lo vediamo in chi e' connivente e rimprovera chi usa la propria voce per chiedere diritti, uguaglianza e opportunita' di vita. * Indescrivibili C'e' un libro, di cui non si sa bene da dove venga ne' chi scriva o trascriva e che in certi momenti sembra opera di un pazzo o di un folle di Dio, che si chiama Il Libro di Mirdad (13). Pare scritto per distruggere le poche certezze che qualcuno puo' ritenere di avere sulla divinita'. Se la nostra spiritualita' e' un cadere verticale, essere toccati nel vivo dall'indescrivibilita' di Dio o se preferiamo del divino, significa riconoscere che quell'indescrivibilita' e' anche nostra. "Quando Dio l'Indescrivibile espresse voi, espresse Se Stesso in voi. Quindi anche voi siete indescrivibili" (14). Dunque e' la nostra indescrivibilita' il perno delle nostre stesse domande. Ed e' sempre quest'ultima che porta con se' l'ansia di categorizzazioni, quel voler definire gli altri che e' la chiave per la loro collocazione e la loro governabilita'. Etty Hillesum quando si domanda in cosa tutti loro siano impigliati si porta dietro la nostra stessa richiesta di risposta, che arriva, ma solo come non risposta. Nel fondo di questa non risposta c'e' la nostra umanita', tutto il nostro essere allo sbaraglio, esposti non tanto alla vita o alla morte, ma ai nostri simili/dissimili. La nostra unicita' indescrivibile che e' la nostra universalita'. Purtroppo non trovo parola migliore di questa. Parlarne e' comunque ricordare che Etty Hillesum e' parte integrante della tradizione umanista con cui, ci piaccia o no, tutti abbiamo un debito. L'ascolto e' l'altra grande questione che l'indescrivibilita' dell'umano porta con se'. Apprendere un altro ascoltare e' educarsi non soltanto a una prassi di civilta', ma in senso profondo e' esprimere la nostra responsabilita' verso ognuno. L'ascolto autentico uccide la vilta', impedisce che le nostre scorie di pregiudizio si accumulino, ci lascia protesi e attenti verso il "chi?". Il chi con punto di domanda dell'altro/a. "Nell'amore non c'e' ne' piu' ne' meno" (15). Cosa sono il piu' e il meno se non segni di una rinuncia in anticipo, che si da' subito nelle parole, a quello che ci compiaciamo di chiamare sentimento? Uso di proposito questa termine antiquato per mettere in rilievo che ci vergogniamo del sentimento perche' preferiamo il sentimentalismo ammantato di ruvidezze e durezze altrettanto finte e ormai tanto usuali da essere usurate, logore. Uso "sentimento" per dire che anche il sentire non basta, non piu'. Se viviamo imprigionati nel piu' e nel meno, piu' che a frasi compiute dovremo (totalmente?) affidarci ai calcolatori elettronici, allo standard sociale che ci descrive in una tabella del Pil nazionale o cose simili. Oppure potremmo deciderci a un silenzio pieno di significato o a una igiene alfabetica che ci imponga di non parlare se non in casi estremi: vedere le parole disfarsi di se stesse? Comprendere con Etty che possiamo essere noi semplici? * Imparare ad imparare Il Diario e poi le Lettere della Hillesum (16) sono testi per apprendere la concretezza di una condizione umana altrimenti illeggibile. Possiamo leggerli come testimonianza singolare e/o come un estratto di storia che si fa plurale, si fa densa nel suo esplodere sulla pagina in cui nomi propri e nomi di luoghi ci narrano la riduzione a nuda vita (17). La nuda vita di chi non avendo piu' nulla verra' sterminato. Se nel parlare di interculturalita' portassimo nelle scuole questi due libri come libri di testo e li facessimo leggere ad allievi di ogni classe sociale, genere e provenienza, potremmo tentare di spiegare che l'inspiegabile e' quantomeno sempre evitabile? Che il non evitare queste tragedie e' voluto? Che l'educazione a una "norma", cosi' come quella alla mera "tolleranza", creano "l'inferiore"? Che solo un imparare insieme ad imparare di nuovo puo' toglierci dalle secche dell'odio, odio che in ultima analisi e' incapacita'? Lasciando il punto di domanda tengo aperta la porta a una critica propositiva che in Italia in particolare sui temi del razzismo ha visto un grande lavoro da parte di Paola Tabet e di alcune altre persone che da molti anni si adoperano nella scuola e tra i ragazzi per smuovere i pregiudizi. Ci sono brani del Diario di Etty Hillesum in cui e' evidentissima la sopraffazione quotidiana che gli ebrei subivano sotto l'occupazione nazista. E' su questa sopraffazione, tanto comune da apparire a chi e' meno attento "naturale" (le cose che si ripetono appaiono sempre, dopo un po', "naturali"), che vorrei soffermarmi un attimo. "Il disgusto si impara e, fatto fondamentale per un discorso sulla responsabilita' anche individuale, lo si insegna, di proposito o senza consapevolezza precisa. Il disgusto inoltre si produce per condizionamento sociale" (18). Le risposte che razzismo, sessismo e omofobia danno hanno la caratteristica di ridurre l'atro/a a animale (19). Il meccanismo di spogliare di ogni caratteristica positiva i gruppi definiti diversi e' finalizzato alla loro esclusione sociale e se il caso lo consente anche alla loro uccisione. Nel nostro mondo attuale il femminicidio in molti paesi dell'Asia e' una nuda realta'. Non se ne parla per una complicita' atavica tra poteri maschili (si chiamino fondamentalismi religiosi o ragione di Stato) e lo stesso e' per la cancellazione dei popoli Rom e Sinti in quanto popoli senza Stato e cosi' e' per il rigurgito di omo/lesbofobia cui stiamo assistendo. "... ci vorra' un bel pezzo di vita per digerire ogni cosa" (20). Ammesso si possa digerire un genocidio, ci rimangono, sospese e vive, le domande e le non risposte con cui conviviamo. Escono ed entrano in noi con forza, ma e' il loro interrogarci che ci chiama a un compito non facile: essere nuovi ogni giorno. Nuovi vuol dire meno incapaci. Se, come dicevo, l'odio e' incapacita', imparare da capo e' un momento in cui il nostro se' sospeso puo' rifondarsi o almeno puo' iniziare a pensarsi in un altro modo, meno vincolato e vincolante, fuori dai cori e dalle tribu', ma partecipe di un cammino comune. Con Paul Celan: "Riunito e' tutto cio' che vedemmo,/ a prender congedo da te e da me:/ il mare che scaglio' notti alla nostra spiaggia,/ la sabbia, che con noi l'attraverso' in volo,/ l'erica rugginosa lassu',/ tra cui ci accadde il mondo" (21). * Note 1. Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, 2001, p. 45. 2. Preferisco in questo testo soffermarmi sulle lettere avendo gia' precedentemente scritto del Diario. 3. Rimando al mio precedente saggio su Etty Hillesum apparso sulla rivista "A", n. 257 dell'ottobre 1999, pp. 40-43 e pubblicato poi sul sito www.ellexelle.com 4. D'ora in poi indichero' con ibidem le citazioni dalle Lettere 1942-1943 di Etty Hillesum. 5. Ibidem, p. 19, nota non datata, Amsterdam, forse luglio 1942. 6. Ibidem, pp. 39-40, Lettera a due sorelle dell'Aja, dicembre 1942. 7. Ibidem, p. 40, Lettera a due sorelle dell'Aja, dicembre 1942. 8. Ibidem, pag. 45, Lettera a due sorelle dellíAja, dicembre 1942. 9. Rimando al testo di Gayatri C. Spivak, Critica della ragione postcoloniale, Edizione Meltemi (2004). 10. Ibidem, pag. 64, Lettera a Han Wegerif, 8 giugno 1943. 11. Ivi, p. 65. 12. Ivi, p. 65. 13. Mikhail Naimy, Il Libro di Mirdad, Edizioni Mediterranee, 1992. 14. Il Libro di Mirdad, p. 100. 15. Il Libro di Mirdad, p. 90. 16. Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, 1981. 17. Prendo il termine a prestito da Giorgio Agamben. 18. Paola Tabet e Silvana Di Bella, Io non sono razzista ma... Strumenti per disimparare il razzismo, Anicia. 1998, p. 27. 19. Paola Tabet fa riferimento nel suo testo, contenuto nel libro di cui sopra, all'essere ridotti a animale soprattutto quando sono in atto dinamiche razziste. 20. Ibidem, p. 31, Lettera a Han Wegerif, 29 novembre 1942. 21. Paul Celan, Di soglia in soglia, Einaudi, 1996. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 244 del 16 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Coi piedi per terra. 39
- Next by Date: Voci e volti della nonviolenza. 105
- Previous by thread: Coi piedi per terra. 39
- Next by thread: Voci e volti della nonviolenza. 105
- Indice: