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Nonviolenza. Femminile plurale. 129
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 129
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 4 Oct 2007 11:25:31 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 129 del 4 ottobre 2007 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Lettera ai padri 2. Raffaella Mendolia: Il pensiero di Aldo Capitini (parte prima) 3. Oggi a Padova 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LETTERA AI PADRI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] La violenza di genere uccide e ferisce donne e ragazze e bambine che sono le vostre figlie, le vostre sorelle, le vostre madri. Ferisce anche voi: che ne siate consci o meno. Molti di voi sono cresciuti con l'idea che essere aggressivi, insensibili, "duri", sia essere "veri uomini", e solo questo vi sta derubando di molte delle capacita' che conducono ad essere uomini "interi", completamente umani. Non avete bisogno di qualcuno che vi dica cos'e' un "vero uomo": non ne esistono di falsi nella specie umana. Avete bisogno di relazioni vere, e di pace vera nelle vostre famiglie e nei vostri gruppi, quali essi siano. Se non sceglierete di essere parte della soluzione alla violenza, continuerete ad essere parte del problema: il vostro silenzio vi rendera' complici. La violenza ha strette connessioni con il potere e con l'oppressione. La violenza di genere concerne il mantenere il dominio degli uomini sulle donne, ma molte altre forme di oppressione sono modellate su questa: eterosessuali/omosessuali, adulti/giovani, nativi/migranti. Sfidare e contrastare la violenza di genere e' uno dei modi piu' importanti, per uomini e donne, di cominciare a smantellare l'oppressione nel suo complesso, inclusa quella specifica che essi/esse possono soffrire. Parlate ai vostri figli, ai vostri nipoti, ai vostri fratelli minori. Hanno bisogno di voi per crescere. I ragazzi ricevono naturalmente influenze anche dall'esterno della propria casa: dagli amici, dai vicini, dalla televisione, da internet, dalla musica, dai film. Tutti questi attori, ed altri, mandano loro messaggi su cosa significhi "essere un uomo" o "diventare un uomo", e troppo di frequente il messaggio consiste nell'essere spietati, nell'avere il controllo sulle altre persone, nell'essere i piu' "tosti" e cosi' via. Ma i ragazzi guardano soprattutto voi, i loro padri e zii e fratelli maggiori, e vedono che tipo di relazioni avete con le donne nella vostra vita, e tendono a trarre suggerimenti da esse. Percio' dovete insegnare loro, e dovete farlo spesso, che non c'e' posto per la violenza in una relazione. Non e' mai troppo presto per parlare ad un bambino di come si puo' esprimere in modo nonviolento rabbia o frustrazione, di insegnargli che il corpo altrui e' un limite, che merita rispetto e attenzione quanto il suo. Potete mostrargli come: quando e' furioso puo' farsi una corsa in giardino, uscire dalla stanza e prendersi il tempo per riflettere, fare a pezzetti un foglio di carta straccia, parlarne con voi, mettere su' il suo cd preferito e scatenarsi in una danza... E fategli sapere che puo' sempre contare su di voi, quando gli sembra che le cose siano difficili, brutte, incontrollabili. Tentate di dargli degli esempi su come agire quando percepisce che una situazione potrebbe diventare violenta. Non e' mai troppo presto per ascoltarlo. Fate attenzione a come vostro figlio, o vostro nipote, e i suoi amici, parlano di bambine o ragazze. Chiedetegli se ha notato comportamenti di violenza e abuso, se e' preoccupato che qualcuno venga ferito o maltrattato fra i suoi amici ed amiche. Un ragazzino non verra' mai da voi a chiedervi consiglio su come trattare le donne, ma questo non significa che non ne abbia bisogno. Percio' quando guardate la tv assieme a lui, o ascoltate musica insieme, o leggete insieme, e vedete o sentite qualcosa che incita e approva la violenza contro le donne, che le insulta e le disprezza, esprimete il vostro dissenso. I ragazzi possono apprendere il rispetto per gli altri semplicemente osservando come voi trattate le altre persone: mentre state guidando l'auto, o quando parlate alla commessa del negozio o al cameriere al bar, e come vi rivolgete ai membri della vostra famiglia quando siete tutti seduti insieme a tavola. I bambini osservano, e tendono ad imitarvi nel bene e nel male, percio' riflettete voi stessi su come gestite emozioni quali la rabbia e l'angoscia, su cosa mostrate ai vostri figli e nipoti e fratelli. Fate in modo che possano ammirarvi perche' siete uomini interi: onesti, rispettosi, leali, capaci di ascolto, sensibili, forti delle relazioni d'amore e amicizia con le donne della vostra vita, coraggiosi al punto di decidere che essere un uomo, o diventare uomo, non ha nulla a che fare con la violenza. 2. RIFLESSIONE. RAFFAELLA MENDOLIA: IL PENSIERO DI ALDO CAPITINI (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente estratto dalla sua tesi di laurea su "Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento (1990-2002)" sostenuta presso la Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' degli studi di Padova nell'anno accademico 2002-2003, relatore il professor Giampietro Berti. Raffaella Mendolia fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento, ed ha a suo tempo condotto per la sua tesi di laurea una rilevante ricerca sull'accostamento alla nonviolenza in Italia. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione@nonviolenti:org, sito: www.nonviolenti.org] Un'analisi del pensiero capitiniano si rivela un'impresa complessa. Avvicinandosi alla sua immensa produzione letteraria si scorge immediatamente una stretta correlazione tra i vari campi di studio che affronta durante la sua vita: letteratura, filosofia, pedagogia, religione, e politica. E' quasi impossibile parlare di uno di questi senza considerare gli altri. Cio' nonostante e' forse d'aiuto prendere in esame dapprima il rapporto che nel pensiero capitiniano si instaura tra religione e politica. Rocco Altieri ne La rivoluzione nonviolenta sostiene la tesi, gia' presentata da Norberto Bobbio, secondo cui il carattere peculiare dell'opera capitiniana risiede nella fusione di religione e politica, attraverso l'aggiunta religiosa che opera la tramutazione della politica e della realta' (1). Effettivamente l'interesse per la vita religiosa sta al centro dell'elaborazione teorica capitiniana tanto che la totalita' della sua produzione letteraria e la sua vita di uomo e di pensatore si svolgono nell'approfondimento e nella realizzazione dei suoi valori religiosi. Allo stesso tempo egli costruisce la sua concezione politica: la lotta contro la dittatura fascista si accompagna all'attivita' per una riforma religiosa. In Attraverso due terzi di secolo Capitini spiega: "Il mio proposito dal 1931 da 'profeta' e 'apostolo' religioso, che l'Italia si liberasse dal fascismo attraverso la noncollaborazione nonviolenta, proposito reso sempre piu' difficile dalla stretta collazione col fascismo della Chiesa romana, della Monarchia e dell'esercito, del Gentile e della maggioranza degli intellettuali, diventava non previsione ma lezione". Dopo la conciliazione tra Stato fascista e Chiesa cattolica del 1929, Capitini inizia a elaborare una proposta di riforma religiosa, convinto che la chiesa di Roma con la gerarchia, i dogmi, il culto, la separazione tra clero e popolo, non avesse piu' niente dello spirito evangelico. Inoltre ad essa imputa la compromissione con il potere politico che, attraverso l'invito all'obbedienza delle masse contadine allo stato fascista, ha permesso il radicarsi di un regime tanto violento e distruttivo. Parallelamente forma gruppi di antifascisti clandestini: tra il 1933 e il 1943, assieme a Calogero, organizza e collega gli antifascisti e fonda il movimento liberalsocialista, mantenendo sempre una connotazione religiosa che, quando l'opposizione si trasforma in Resistenza armata, ne giustifica l'allontanamento. Afferma Capitini: "Se vado a vedere quale era il motivo centrale del liberalsocialismo, lo trovo in questo: l'antiistituzionalismo applicato alla religione, alla socialita', alla liberta'" (2). L'autore umbro non solo si opponeva al fascismo distruttore della democrazia, ma ad ogni istituzione religiosa, politica e sociale: chiesa, stato, partiti politici. Ma proprio perche' religioso, il rifiuto di Capitini non e' mai fine a se stesso, e', al contrario, la premessa ad una proposta positiva: cosi' prepara il progetto di riforma religiosa per superare l'istituzione chiesa; propugna una democrazia diretta concretata nei centri sociali, per integrare le istituzioni statali; preferisce il movimento alla forma partito. Il suo obiettivo costante consiste nella trasformazione radicale della realta', nella affermazione di una nuova "socialita'", ma "non ci puo' essere una vera rivoluzione senza una conversione personale, senza un lavoro su se stessi, senza un cambiamento dei propri stili di vita, senza acquisire una capacita' di gestire i conflitti in modo nonviolento" (3). Ecco che la teoria politico-religiosa si lega ad un altro settore di attivita': l'educazione. Capitini sa che la sopravvivenza di ogni teoria e' determinata dall'individuazione di un efficace sistema di trasmissione nel tempo, tanto piu' quando essa si prefigge un cambiamento profondo della societa', ed e' per questo che dedica molte energie all'educazione aperta. La formazione dei giovani alla criticita' e alla pace era lo strumento per lo svecchiamento culturale della societa' italiana del dopoguerra, e dava loro la possibilita' di essere protagonisti del proprio futuro. Anche l'educazione degli adulti e' importante, Capitini e' uno dei pionieri dell'educazione permanente, la quale vede la prima forma di attuazione nei COS (Centro di orientamento sociale) e nei corsi pomeridiani per lavoratori da lui organizzati presso le universita' di Cagliari e Perugia. Intorno al concetto di rivoluzione gravitano percio' tutti gli sforzi dell'autore umbro, egli sente l'urgenza di una rivoluzione nonviolenta che sia movimento permanente, che nasca dal basso, che cambi le coscienze e trasformi le strutture, per avverare la liberazione dell'umanita' dai mali che la affliggono. * 1. La nonviolenza Capitini si distingue per essere stato l'unico intellettuale europeo a cogliere pienamente, fin dagli inizi degli anni Trenta, il valore della nonviolenza gandhiana e a volerla adottare, senza mai scoraggiarsi per la sua solitudine, sia nella lotta alla dittatura, sia dopo la Liberazione nella costruzione della societa' democratica (4). S. Francesco, Buddha, Cristo, Gandhi sono i suoi riferimenti religiosi. In particolare da Gandhi apprende il metodo nonviolento, chiamato Satyagraha. La "novita'" introdotta da Gandhi sta nella concezione della religione come lotta non soltanto per redimere gli individui ma anche per mutare la societa'. Tuttavia si puo' sostenere che, anche rispetto all'autore indiano, Capitini si pone in un atteggiamento di integrazione e superamento (5). Egli stesso spiega, in Attraverso due terzi di secolo (1968), il significato che ha avuto l'incontro con il pensiero dell'indiano: "... presa da Gandhi l'idea del metodo nonviolento impostato sulla noncollaborazione, potevo avere una guida per dir di no al fascismo (quando Giovanni Gentile mi chiese la tessera fascista per conservarmi nel posto della Normale), e soprattutto un modo per realizzare concretamente quel certo francescanesimo a cui tenevo da fanciullo, col vantaggio che San Francesco era prima dell'Illuminismo, mentre Gandhi veniva dopo il Settecento, con la serissima applicazione dei principi della liberta', fratellanza, uguaglianza (piu' che non abbiano fatto i borghesi che li avevano annunciati), e del valore fondamentale della ragione critica e della coscienza anche in religione...". Capitini fornisce una definizione di nonviolenza ne La nonviolenza oggi: "La nonviolenza e' la scelta di un modo di pensare ed agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani" (6). Nonviolenza e' anche "apertura all'esistenza, alla liberta' e allo sviluppo di ogni essere" (7). La sua prova piu' concreta e' l'atto di non uccidere. Ma questo non e' che il momento iniziale della nonviolenza (la parte diremmo "negativa"). Nel suo svolgimento "positivo" essa e' attenta alla liberta' e allo sviluppo di tutti, non e' soltanto contro l'atto violento ma e' altrettanto contro le situazioni di violenza, contro l'ordine sociale esistente che in tante sue leggi e istituzioni condensa "una violenza di secoli cristallizzata in potere e privilegi decorati ora di una apparente legittimita'". L'aspirazione morale di unita' e amore con tutti si fa azione politica, fino ad assumere il compito di promuovere una trasformazione delle strutture. Afferma Capitini: "E' un errore credere che la nonviolenza sia pace, ordine, lavoro e sonno tranquilli, matrimoni e figli in grande abbondanza, nulla di spezzato nelle case, nessuna ammaccatura nel proprio corpo. La nonviolenza non e' l'antitesi letterale e simmetrica della guerra: qui tutto infranto, li' tutto intatto. La nonviolenza e' guerra anch'essa, o per dir meglio, lotta, una lotta continua contro le situazioni circostanti, le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il proprio animo e il subcosciente, contro i propri sogni che sono pieni, insieme, di paura e di violenza disperata" (8). "La nonviolenza non e' appoggio all'ingiustizia, e' il punto della tensione piu' profonda del sovvertimento di una societa' inadeguata" (9). La nonviolenza e' per Capitini una nuova forma di rivoluzione, che spezza la ciclicita' violenta della storia, secondo cui il sovvertimento dell'ordine costituito, se stabilito con la violenza, comporta alla lunga nuovi poteri ma anche nuove oppressioni e ingiustizie. Per evitare di riprendere i modi e le strutture del sistema tradizionale fondato sulla violenza, e' indispensabile condurre la lotta con animo e mezzi non discordanti dal fine. La coerenza tra fine e mezzi si pone quindi non soltanto come un'esigenza della morale, ma come un'esigenza della validita' dell'azione politica (10). I mezzi e i fini vengono abitualmente separati dalla logica politica, ma essi devono essere riconciliati nel campo della risoluzione costruttiva del conflitto. I sostenitori della violenza, del fine che giustifica i mezzi, restano senza parole quando i mezzi non sortiscono l'effetto desiderato. Nell'azione diretta gli uomini hanno, infatti, il controllo solo sui mezzi, non sui fini, che appartengono a un futuro aleatorio e indefinito. * La nonviolenza gandhiana si palesa come il metodo adatto a realizzare la coincidenza tra mezzi e fini, ma assume in Capitini una particolare valenza educativa: egli ricerca una serie di tecniche di lotta funzionali alla trasformazione della societa' ma al tempo stesso capaci di tramutare l'animo dell'individuo che ad esse ricorre. La loro sistemazione organica e' indispensabile soprattutto perche' la nonviolenza si presenta non solo come teoria ma anche come pratica rivoluzionaria da applicare in un contesto sociale reale. Cosi' se il metodo e' unico, il Satyagraha gandhiano, le tecniche sono molteplici. Essenziale alla pratica nonviolenta e' l'esistenza di un metodo che possa essere appreso da tutti, che viene mutuato da Capitini direttamente dagli insegnamenti di Gandhi. Secondo il teorico perugino, il metodo nonviolento e' il contributo massimo che Gandhi ha lasciato (11). In particolare, sottolinea il fatto che esso stabilisce la parita' tra i membri della societa': essi, una volta raggiunta la meta, verranno tutti a godere della stessa liberta' e per questo devono avere la possibilita' di contribuire alla suo realizzazione in egual modo (12). Tale metodo e' chiamato Satyagraha, che significa "forza che e' generata da Verita' e Amore". In questo termine si legano strettamente le tre principali caratteristiche della prassi gandhiana: verita', nonviolenza, sofferenza. La verita' e' l'ordinamento morale del mondo. Essa e' irraggiungibile pienamente dall'uomo, che e' limitato, ma produce in lui una tensione continua. La nonviolenza e' lo strumento che ci avvicina alla verita' e deve essere usata nel rapporto con gli altri. La sofferenza personale si accompagna a questi due elementi perche' dimostra la sincerita' e serieta' della propria lotta per il Bene, che non vuole schiacciare l'avversario ma persuaderlo a superare insieme il male (13). Nell'assumere il metodo gandhiano, Capitini enfatizza la centralita' del conflitto. Il conflitto permette di riconoscere l'altro da se', avviando insieme all'avversario un percorso di conoscenza, di purificazione e di liberazione per entrambi. Il conflitto non e' un gioco a somma zero, dove c'e' un vincitore e un vinto, per la nonviolenza in ogni confronto ci sono solo vincitori. Ne Le tecniche della nonviolenza, Capitini distingue tecniche individuali e tecniche collettive. Tra le prime cita l'atto del tu (l'approccio amorevole del singolo a tutti gli altri esseri), la zoofilia, il vegetarianesimo, il superamento della vendetta e del rancore, le preghiere e gli atti di culto, la persuasione, il dialogo, l'esempio, il digiuno, la croce, il rispetto dei morti. L'atto del tu e' apertura a ogni individuo, e' superamento della sua considerazione come mezzo per raggiungere i propri scopi, e' orientamento quasi religioso alla realta' di tutti. L'altro non e' solo un essere umano, ma puo' essere l'animale, l'albero, la pietra. Ecco allora l'imperativo di non recare offesa o danno a nessun essere vivente, aumentando la simpatia con ogni essere subumano, e il rifiuto di cibarsi di carne. Anche le altre tecniche riguardano una presa di coscienza particolare da parte del singolo che gli consente di saper accettare le offese del proprio nemico e lo predispone ad instaurare con esso un rapporto di parita', da questa base egli potra' cercare il dialogo e la soluzione pacifica dei conflitti. * A meta' tra tecniche individuali e collettive l'autore pone l'obiezione di coscienza al servizio militare, il servizio civile e la noncollaborazione. Se infatti oggi esse sono considerate manifestazioni collettive si deve ricordare che sono saldamente ancorate ad una presa di posizione individuale. La noncollaborazione viene definita da Capitini come un atto che "esclude semplicemente di dare il proprio aiuto all'attuazione di una cosa che non si accetta, fermo restando il rapporto di affetto con la persona che realizza la cosa inaccettabile" (14). In questo modo l'individuo da' il suo contributo affinche' l'altro riconosca il proprio errore. In questo ambito si inserisce un ulteriore elemento: la pubblicita' dell'atto di protesta. Essa ha il duplice scopo di informare il destinatario ma anche di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, che in questo modo puo' partecipare all'evento e influenzare la sua riuscita. L'obiezione di coscienza e' un'altra forma di noncollaborazione, legata all'obbligo di portare le armi, di preparare la guerra e di farla. Essa si fonda da un lato sul non riconoscimento ad alcuno della facolta' di imporre ad un soggetto un'azione che contrasti con la propria coscienza, dall'altro sull'affermazione dell'amore verso il prossimo, che supera il potere dello stato. L'individuo fa questa scelta non per utilitarismo ma per motivi umanitari: spesso gli obiettori hanno richiesto di poter soccorrere i feriti in battaglia o di eseguire altri compiti rischiosi. * Come tecniche propriamente collettive vengono identificate, invece: la comunita', le marce, lo sciopero, il boicottaggio, il sabotaggio, la disobbedienza civile, a lungo usate dal movimento gandhiano; ad esse si aggiungono quelle piu' recentemente sperimentate dalla Resistenza antinazista scandinava e dal movimento per i diritti civili di Martin Luther King: sit-in, jail-in, freedom rides, stand-in, affratellamento, e altre (15). Esse subordinano la loro efficacia all'associazione di molti individui. Consideriamo con maggiore attenzione la marcia: essa e' tipicamente una manifestazione dal basso, nonviolenta, in cui tutti i partecipanti hanno lo stesso valore, e incarnano i loro ideali di fronte alla moltitudine indifferente andando a cercare il confronto per le strade e le piazze. Essa ha bisogno di essere indirizzata per evitare disordini o degenerazioni violente, a questo servono il capomarcia e i capofila, inoltre sara' utile aumentare l'unita' tra i partecipanti mantenendo il silenzio o cantando in coro. Anche lo sciopero e' una forma di noncollaborazione che si svolge sul luogo di lavoro e non prevede alcuna forma di violenza. Esistono vari tipi di sciopero, dallo sciopero a rovescio di Danilo Dolci, in cui i disoccupati siciliani manifestarono l'urgenza di trovare un impiego lavorando volontariamente e senza essere pagati sulle strade di Partinico; lo sciopero a singhiozzo, lo sciopero bianco, ecc. Se lo sciopero e' noncollaborare mediante il proprio lavoro, il boicottaggio fonda la noncollaborazione su motivi economici, rifiutando di acquistare certi beni o evitando certi posti o di utilizzare certi mezzi. Il sabotaggio invece si distingue per il fatto che porta la nonviolenza nell'ambito dell'illegalita' e comporta un'azione distruttiva su cose o servizi per impedirne il funzionamento. Esso fa parte delle tecniche nonviolente solo se non comporta nessun danno alle persone, neanche indirettamente. Anche nel caso delle tecniche collettive la pubblicita' delle iniziative e' fondamentale, anzi qui ancora di piu', perche' si collega alla formazione dell'opinione pubblica. La lotta nonviolenta cerca di risvegliare i sentimenti migliori che indubbiamente sono in ogni uomo, ed ha percio' bisogno, per riuscire, di essere ampiamente conosciuta, nei suoi metodi e nei suoi fini (16). La disobbedienza civile e' un attacco alle leggi dello Stato ritenute ingiuste, come le altre tecniche deve essere preparata attentamente e portata avanti da un gruppo appositamente addestrato e deciso. La creativita' del metodo nonviolento infine si manifesta nell'ideazione di inedite forme di lotta da parte del Movimento per i diritti civili dei neri in America. Il sit-in si riferisce all'occupazione di luoghi sedendosi a terra fino ad essere portati via con la forza (lo effettuarono migliaia di studenti negli anni Sessanta, principalmente in ristoranti o autobus vietati ai neri); lo jail-in consiste invece nel rifiuto di uscire di prigione, e serve per sottolineare l'ingiustizia dell'arresto; sempre per contraddire le leggi di separazione razziale, viene esercitato il freedom-rides, ovvero lo spostamento anche da uno stato all'altro di bianchi e neri, attraverso mezzi di trasporto proibiti. La manifestazione serviva a far applicare la legge per cui il divieto ai neri andava eccepito per i collegamenti tra stati. Oltre a una vasta serie di comportamenti simbolici, vengono sperimentate in America altre tecniche, come i picchetti e le veglie, mentre l'affratellamento viene attuato specialmente in Paesi occupati da una potenza straniera: si attua attraverso l'avvicinamento di poliziotti e oppositori per convincerli con il dialogo della giustezza della propria causa. Tali esperienze hanno raggiunto risultati spesso sorprendenti. Le ultime forme di lotta nonviolenta menzionate da Capitini sono il pedinamento ossessivo dei funzionari che applicano regole ingiuste, e l'intromissione o ostruzione nonviolenta che impedisce a determinate persone lo svolgimento delle proprie attivita' mediante la presenza fisica del manifestante. Le tecniche descritte da Capitini raccolgono gli insegnamenti delle esperienze nonviolente vissute nei secoli, tuttavia non si tratta di una rassegna esaustiva, perche' la nonviolenza e' creativa ed esiste sempre la possibilita' di ideare nuove forme di lotta, adatte alle diverse situazioni in cui si opera, a patto che si mantenga lo stesso spirito. La loro sistemazione organica non e' solo una base fondamentale per la pratica diretta della lotta nonviolenta, ma ha anche una forte valenza educativa, mettendo in risalto che nessuna di queste puo' essere improvvisata o applicata con leggerezza. Essa al contrario richiede convinzione personale, coraggio e tenacia, doti che sono possibili solo con una profonda fede nello spirito della nonviolenza. * Note 1. Vedi R. Altieri, La rivoluzione nonviolenta, Biblioteca Franco Seratini, Pisa 2003 (II ediz.), p. 9, e A. Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 16. 2. A. Capitini, Complessita' del liberalsocialismo, in P. Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001, p. 44. 3. R. Altieri, La rivoluzione nonviolenta, cit., p. 9. 4. R. Altieri, La rivoluzione nonviolenta, cit., p. 7. 5. P. Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001, pp. 70-71. 6. A. Capitini, La nonviolenza oggi, Edizioni di Comunita', Milano 1962, pp. 29-43. 7. A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano 1969, p. 12. 8. A. Capitini, Il problema religioso attuale, Guanda, Modena 1948, pp. 57-58. 9. A. Capitini, Il problema religioso attuale, cit., pp. 60-61. 10. G. Cacioppo (a cura di), Il messaggio di Aldo Capitini, Antologia degli scritti, Lacaita, Manduria 1977, pp. 212-213. 11. A. Capitini, le tecniche della nonviolenza, cit., p. 14. 12. G. Pontara, l'etica di Gandhi alla luce del suo rifiuto alla violenza, "Rivista di filosofia", luglio 1962. 13. A. Capitini, le tecniche della nonviolenza, cit., pp. 20-21. 14. A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., p. 71. 15. A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., pp. 45-124. 16. A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., p. 113. (Parte prima - segue) 3. INCONTRI. OGGI A PADOVA [Attraverso Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) riceviamo e diffondiamo. Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza] Oggi, 4 ottobre 2007, a Padova, nella Sala Paladin (Palazzo Moroni), alle ore 20,30, si svolge il Cconvegno promosso dal Comune di Padova e dall'Universita' degli Studi di Padova sul tema "Nonviolenza e religioni in tempi di guerra e in tempi di pace". Partecipano: Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Giovanna Providenti, esperta di studi sulla pace e di genere; Giangiorgio Pasqualotto, esperto di buddismo, professore di storia della filosofia ed estetica dell'Universita' di Padova; Paolo Doni, vicario generale della Diocesi di Padova, docente di teologia nel Seminario Maggiore di Padova; Piero Stefani, biblista ed ebraista, professore di filosofia della religione dell'Universita' di Ferrara; Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo islamico presso le Universita' di Trieste e Urbino. Coordina Vincenzo Pace, professore di sociologia delle religioni dell'Universita' di Padova. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 129 del 4 ottobre 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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