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Minime. 221
- Subject: Minime. 221
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 23 Sep 2007 00:48:20 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 221 del 23 settembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Con trepidazione grande 2. Diana Napoli intervista Adriano Moratto 3. Filippo Rizzi ricorda Michel de Certeau 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CON TREPIDAZIONE GRANDE [Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - durissime persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 2005; Lettere dalla mia Birmania, Sperling & Kupfer, Milano 2007] Con trepidazione grande seguiamo in questi giorni le notizie che giungono dalla Birmania, di un nuovo luminoso prorompere di iniziative nonviolente per la democrazia e i diritti umani di tutti gli esseri umani. La nostra voce e i nostri voti uniamo a quelli e quelle di tante e tanti nel chiedere il piu' vivo e tempestivo ed efficace sostegno internazionale umanitario e nonviolento in difesa della vita delle persone amiche della nonviolenza in lotta, a premere affinche' la democrazia, la pace, il rispetto dei diritti umani prevalgano, la' ed ovunque. A quante e quanti sono per le strade, a quante e quanti sono perseguitati, al popolo tutto e ad Aung San Suu Kyi, va fraterno e sororale il nostro saluto, il nostro abbraccio, la nostra gratitudine, la nostra solidarieta'. Alla comunita' internazionale, al mondo intero, la richiesta di non lasciarli soli, la richiesta di interventi positivi in forma sia di azione diplomatica coerente coi principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti umani, sia di concreti aiuti umanitari a un popolo oppresso in lotta per la vita, per la giustizia e per la liberta' con la forza della nonviolenza. 2. RIFLESSIONE. DIANA NAPOLI INTERVISTA ADRIANO MORATTO [Ringraziamo Diana Napoli e Adriano Moratto per questa intervista. Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano, e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia. Adriano Moratto, nato nel 1949, maestro muratore, aspirante contadino, attualmente e' uno dei responsabili della sede di Brescia del Movimento Nonviolento; impegnato da sempre in molte iniziative di pace e di solidarieta', e' una delle figure piu' note e autorevoli dell'impegno nonviolento in Italia] - Diana Napoli: Adriano Moratto, vecchio amico della nonviolenza bresciano. Sei entrato nel gruppo nonviolento di Brescia sin dalla sua costituzione, nel 1971? - Adriano Moratto: Si', nel 1970 era passata per Brescia una marcia antimilitarista e in quell'occasione avevamo preso dei contatti con il Movimento Nonviolento tramite Gianni Bergamaschi mi pare, ma allora io facevo il militare a Messina. Poi nel 1971 partecipai ad un campo di lavoro a Melfi, dove conobbi anche Pinna, ma a Brescia erano gia' presenti le prime iniziative per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. C'erano stati i primi obiettori bresciani, il primo fu Bedussi... * - Diana Napoli: Prima di entrare nel Movimento Nonviolento avevi frequentato altri movimenti, gruppi? come ti sei avvicinato a questo ambiente? - Adriano Moratto: Dunque, prima del Movimento Nonviolento avevo partecipato ad alcune iniziative: un campo di lavoro nell'estate '69 a Pertica Bassa dove avevo conosciuto Claudia Capra ed il gruppo di Borgo Trento, ma soprattutto una raccolta di stracci per finanziare una missione del Mato Grosso nel Natale del 1968. In questo modo iniziai a contattare una serie di persone che poi (seppur ognuno con percorsi propri, ci fu chi entro' in Lotta Continua e chi nel sindacato) si dedicarono all'impegno politico o sociale. Pero' provenivamo tutti dal mondo cattolico, tant'e' vero che, finito il militare in Sicilia nel gennaio del '71, moltissimi li ho ritrovati a San Nazaro, la parrocchia di Brescia dove si trovavano i giovani aperti alle novita' del Concilio Vaticano II: la partecipazione dei fedeli alla vita della chiesa, l'abolizione del latino, l'ecumenismo. * - Diana Napoli: Come mai tra tutti i gruppi con cui entrasti in contatto scegliesti, alla fine, di impegnarti col Movimento Nonviolento? - Adriano Moratto: Diciamo che io ero sempre stato un po' "originale", come diceva qualcuno. Non mi trovavo a mio agio nelle iniziative della parrocchia, che poi erano giocare a biliardo o al calcio-balilla (attivita' di cui non ero affatto appassionato) e non condividevo nemmeno parte di quello che veniva predicato dal pulpito nel momento in cui ne percepivo l'ipocrisia. Ricordo discussioni con il parroco che parlava di abbellire la chiesa con arredi preziosi e io che "presuntuoso" gli citavo i passi della Bibbia contro l'idolatria e gli altari lussuosi. Io leggevo la Bibbia (e non solo) di notte sotto le coperte (i miei non volevano che leggessi di notte: gia' allora ero un po' cieco...) ed ero stato colpito dal messaggio espresso nel discorso della montagna. Quello, ma anche altri passaggi della predicazione di Gesu' che noi oggi esplicitiamo come nonviolenti, esprimevano in fin dei conti sentimenti che io stesso provavo. Diciamo che il mio avvicinamento alle tematiche nonviolente e' iniziato cosi'. Gia' quando avevo dovuto scegliere il tipo di scuola superiore da frequentare avevo scartato tutte le possibilita' che mi dessero un qualche sbocco lavorativo immediato, tipo ragioneria... percorsi per diventare perito... io volevo insegnare perche' mi sembrava l'unico mestiere utile non solo a me, che aprisse spazi e prospettive di cambiamento diversi dal solo e semplice interesse personale. Diciamo che in quegli anni ero un po' isolato. Non mi convincevano e mi annoiavano le attivita' dell'oratorio, le discoteche, le feste a luce soffusa. preferivo una gita in bicicletta o una passeggiata nella nebbia ad ascoltare i rumori della sera. Poi alle superiori ho iniziato a conoscere Gandhi, King. Mi aveva molto colpito al telegiornale un piccolo necrologio letto il giorno della morte di Capitini ed avevo l'impressione, in ogni modo, che questi personaggi riverberassero sentimenti che erano gia' miei. Poi quelli erano gli anni (la fine degli anni '60) in cui si incominciava a parlare di Africa, America Latina, della fine del colonialismo e delle infamie fatte dalla "civilta' occidentale" nel Terzo Mondo. E cosi', anche convinto dopo l'esperienza del militare, dell'assurdita' e di quale spreco di energie economico-morali fossero gli eserciti, iniziai la mia storia a fianco del Movimento Nonviolento anche se allora non mi iscrissi perche' contrario alle tessere. * - Diana Napoli: Quali sono le letture che piu' ti hanno segnato in quel periodo? - Adriano Moratto: Molte letture sono state fondamentali, come don Milani con la sua capacita' di rivedere la storia in maniera diversa da come ce l'avevano sempre insegnata, o Mazzolari e l'incontro con Lanza del Vasto. Ma se dovessi pensare a letture irrinunciabili, ad un punto di partenza, io tornerei al discorso della montagna e a tanti altri passi del Vangelo, come quello di Matteo che indica la vera forma d'amore nell'amare i nemici e non solo gli amici o coloro che ci vogliono bene. Oppure, tornando all'infanzia, alcune fiabe di Tolstoj. Cosi', cosa significasse "la legge dell'amore" per me era chiaro sin da ragazzino, cosi' come il non uccidere era un assoluto. * - Diana Napoli: Quali sono le iniziative che ricordi d'aver vissuto con maggior partecipazione? - Adriano Moratto: Mah, di certo la battaglia per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, che poi io credo sia stato l'unico vero risultato "portato a casa" dal '68 (un discorso piu' ampio meriterebbero tutti i temi del movimento femminista). Devo dire pero' che negli anni '70 piu' che impegnarmi in questa o quell'altra battaglia, feci delle scelte di vita che mi condizionarono molto nella mia possibilita' di azione concreta a livello nazionale, o anche nella stessa realta' bresciana del movimento. Infatti, insieme ad altre persone decidemmo di creare una comune in cui vivere con alcune persone disabili che avevamo conosciuto durante dei campi di lavoro estivi a Viserbella di Rimini. persone ricche di attenzione e sensibilita', ma che nelle loro famiglie non trovavano spazio; per una di loro, ad esempio, i fratelli sostenevano che se si era "ammalata" doveva avere qualche peccato da espiare. Questo allora era una scelta fuori dagli schemi, nel senso che su tale questione esistevano molti pregiudizi. Poi di solito i disabili erano di fatto costretti a restare chiusi in casa senza prospettive ne' istruzione. In ogni modo questa scelta richiedeva una presenza quotidiana. Era gia' nata una figlia e ci era sembrato naturale averne altri per arricchire le nostre vite. Da qui la necessita' di lavorare con continuita' scegliendo un lavoro utile e manuale: il muratore. Cosi' sono stato "in disparte" fino all'indecente guerra nel Kossovo. Non ho saputo sopportare in silenzio la menzogna dei bombardamenti umanitari. * - Diana Napoli: Il riconoscimento dell'obiezione di coscienza come l'unico vero risultato del '68. Ma, piu' in generale, il Movimento Nonviolento cosa credi abbia "portato a casa", come dici tu, da tanti anni di battaglie? - Adriano Moratto: Ribadisco che in ogni caso il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e poi il servizio civile non sono cosa da poco, soprattutto se si considera che noi eravamo gli unici ad essere caratterizzati da un antimilitarismo radicale (noi e allora i radicali); ad esempio, alle marce antimilitariste partecipavano in tanti, Lotta continua, altri movimenti della sinistra, ma non in nome del principio che tutti gli eserciti erano neri, fascisti. In realta' la maggior parte di loro credeva nell'esercito popolare e non erano sostenitori della sua abolizione. C'era il mito del Che e anche l'esercito vietcong era visto come modello da imitare. Pero' al di la' di tutto questo il Movimento Nonviolento ha contribuito a diffondere dei temi che oggi sono all'ordine del giorno. Mettere in discussione, oltre agli armamenti, un modello di sviluppo, la questione energetica ed ambientale... sono tutte questioni sollevate, tra i primi, dai movimenti nonviolenti... * - Diana Napoli: Movimento o movimenti? - Adriano Moratto: Io mi ricordo che uno dei primi a sollevare la questione energetica fu Giannozzo Pucci e non so se fosse iscritto al Movimento Nonviolento. Il Movimento internazionale della riconciliazione (Mir) e il Movimento Nonviolento erano frammisti, contigui e solo dopo Hedi Vaccaro, crescendo la presenza cattolica nel Mir, c'e' stata una maggiore distinzione. Il Movimento Nonviolento probabilmente e' all'origine di molti dei temi che si discutono oggi. Poi molte altre realta' li hanno portati avanti, e lo giudico positivo, perche' non credo che il Movimento Nonviolento possa da solo esaurire tutto cio' che possa essere detto o fatto dalla nonviolenza. * - Diana Napoli: E oggi cosa puo' essere detto o fatto della nonviolenza? - Adriano Moratto: Prima di rispondere vorrei premettere che le mie considerazioni non sono dettate da pessimismo. Oggi probabilmente come Movimento Nonviolento (ma questo vale in generale) siamo colti da un'insufficienza di iniziative, pero' molte delle questioni che abbiamo sollevato sono all'ordine del giorno: c'e' molta gente che ne parla, ne scrive, le studia... Inoltre tante battaglie portate avanti sono il frutto di anni di "predicazione" e insegnamento delle nonviolenza che da' col tempo i suoi frutti. Prendiamo la Val di Susa: l'azione che stanno conducendo non si comprende appieno senza sapere cosa ha rappresentato la Val di Susa per la nonviolenza negli anni '70 o '80, l'attivita' di Achille Croce e del Gruppo valsusino di azione nonviolenta (Gvan). Lo stesso vale per Vicenza, dove c'e' stato il decennale lavoro di Matteo Soccio presso la locale Casa della pace. Ma anche per Brescia: le iniziative su cui la cittadinanza e' impegnata, in particolare le questioni energetiche ed ecologiche, sono portate avanti da persone che pur senza essere direttamente riconducibili al Movimento Nonviolento sono passate per la nostra sede, anni fa, e hanno solo deciso di proseguire o di sviluppare sensibilita' e conoscenza, acquisite anche grazie al Movimento Nonviolento, in nuovi settori. Da qui sono partite iniziative per un mercato di prodotti biologici, la ricerca di medicine alternative, la protesta contro le vaccinazioni infantili, la riscoperta delle danze popolari, la ricerca di energie alternative, le lotte contro gli inceneritori e l'inquinamento industriale della Caffaro e le proposte degli amici dello scarto, il riciclaggio con il progetto "Mandacaru'". Certo e' che come Movimento Nonviolento, secondo me, non siamo ancora stati in grado di gestire alcuni spazi che si sono aperti: in primo luogo il servizio civile, che apre delle prospettive che secondo me ci sfuggono. Lo stesso discorso vale per la questione della professionalizzazione dell'esercito su cui probabilmente non abbiamo lavorato molto (d'altronde con le forze che abbiamo...), e infine c'e' una questione vecchia che necessita pero' di approcci nuovi: le spese militari. Il discorso e' sempre lo stesso: se noi liberassimo tutte le risorse oggi sprecate per gli armamenti e le guerre si aprirebbero possibilita' infinite per altre iniziative. Solo che dalla fine della campagna di obiezione alle spese militari non siamo piu' riusciti a trovare una proposta concreta che raccogliesse le forze disperse. Ci sono tante proposte, ma nessuna che abbia una concretezza in grado di mobilitare persone e risorse. * - Diana Napoli: Dunque da questo punto di vista tu condividi il titolo del congresso di quest'anno, che rimette al centro, proprio gia' solo nel tema, la questione dell'esercito e implicitamente tutti i temi ad esso collegati? - Adriano Moratto: Si', da questo punto di vista si'. Pero', come ho gia' detto, non sono pessimista, questa probabilmente e' una fase e molte attivita' non si vedono, non hanno visibilita', sono frammentate, ma esiste una coscienza rispetto a molte questioni un tempo assolutamente ignorate. Se leggiamo Tolstoj o Gandhi ci accorgiamo che sono di un'attualita' incredibile. In fondo sono passati solo cento anni. Gandhi, notando come l'impero britannico si reggesse consumando risorse del resto del mondo, poneva gia' in un'ottica globale il problema del consumo, del modello di sviluppo, cosi' come cio' che noi oggi chiamiamo impronta ecologica... eppure negli anni '70 questi discorsi non li faceva nessuno. Sara' stato forse perche' avere come metodo di persuasione il digiuno ci ha reso piu' attenti allo spreco e ai limiti delle risorse. Oggi, invece... Ovviamente nulla e' conquistato per sempre, men che meno nelle coscienze. * - Diana Napoli: Iniziative che danno i loro frutti dopo anni, diffusione di idee... quanto e' importante il legame tra nonviolenza e educazione? - Adriano Moratto: Moltissimo. A partire dai rapporti interpersonali, dall'esempio. Un conto e' la teoria, altro e' la pratica, ma la nonviolenza e' l'unica proposta in grado di spezzare i meccanismi di ripicca o vendetta a spirale che sono poi quelli che crescono la violenza. Anche perche' io credo che ognuno di noi preso di per se' sia migliore di quel che si giustifica gregariamente quando e' nel gruppo. Dentro di me so che sto sbagliando, ma la situazione esterna mi giustifica. Ho subito un torto: ho l'obbligo di vendicarmi di fronte agli altri della mia cerchia. Ho subito un sopruso, ne compio uno anch'io (occhio per occhio e il mondo resta cieco). Quindi e' evidente che il luogo primo della violenza e' quello relazionale. Detto in maniera piu' semplice, come diceva il buon Lanza del Vasto, poiche' la cosa meglio distribuita al mondo sono le liti, ognuno di noi ha molteplici occasioni di fare esperimenti con la nonviolenza. La nonviolenza dice: "io non controllo mai i fini, ma i mezzi", e con questa operazione sposta l'attenzione sul "come" si fa, non al fine ultimo astratto, ma all'atto concreto e immediato. Per questo e' in grado di scombinare meccanismi consolidati, le faide a oltranza. Per questo motivo la nonviolenza e' anche assunzione di responsabilita': perche' rifiuta di assecondare, giustificare la "logica corrente", ma cerca di ribaltarla mettendone a nudo le contraddizioni. Non puoi parlare di poverta' da una reggia, non puoi parlare di pace se fabbrichi cannoni o se sei un generale, o forse anche un cappellano militare. E poi, alla fine, questa educazione diventa una visione sulle cose, un abito mentale: nel senso che quando uno entra in una certa logica legge attraverso di essa tutta la storia, legge il presente e pensa al futuro. * - Diana Napoli: A proposito di futuro, su tutt'altro versante, come vedi il futuro del Movimento Nonviolento? Immagini un comitato di coordinamento tra dieci anni? - Adriano Moratto: L'eta' media si e' allungata in Italia; fino a 80 anni saremo dunque operativi (scherzo). * - Diana Napoli: E coloro che non avranno 80 anni? Qualcuno ha lamentato la carenza di giovani nel Movimento Nonviolento. A cosa credi sia dovuta, se e' tale? - Adriano Moratto: Nel Movimento Nonviolento non ci sono moltissimi giovani, ma le ragioni sono molte. Un po' riguarda il fatto che il discorso dell'obiezione di coscienza invitava alla partecipazione, mobilitava, toccava direttamente i giovani... oggi e' piu' difficile trovare qualcuno che si impegni, ma non e' estraneo a cio' il martellamento sul tema della precarieta', per cui ognuno e' preso dall'esigenza di trovare una stabilita' lavorativa; questo problema anni fa non c'era: io per alcuni anni mi licenziavo a maggio per poi trovare un altro lavoro a settembre dato che per i lavori manuali non c'era nessuna difficolta' a trovarne e mi sono tolto anche un sacco di sfizi: tipo fare la comparsa al Teatro Grande o vagabondare in autostop, o sopravvivere con i frutti raccolti nei campi. La precarieta' e' stata una delle propagande migliori che hanno fatto per togliere dalla testa "i grilli" a molti ragazzi... * - Diana Napoli: Solo propaganda? - Adriano Moratto: Si', ma voglio dire che alla fine quel che conta e' la percezione che se ne ha e che porta a puntare tutto di se' solo sulla ricerca della stabilita'. penso che i giovani debbano riscoprire l'unita' degli obiettivi, gli strumenti per soluzioni collettive. All'inizio della rivoluzione industriale gli operai si sono inventati le associazioni di mutuo soccorso, le cooperative di consumo. La divisione fa sempre il gioco di chi sta al potere. Non e' facile, non sara' semplice, ma non vedo alternative. * - Diana Napoli: Pero' ci sono molte altre realta' frequentate da giovani sempre e ugualmente precari. A Brescia per esempio il centro sociale e' un luogo di identificazione perche' propone, che si sia o meno d'accordo, un mondo con caratteristiche diverse da quello attuale ben precise, una storia e una filosofia di cui si e' (a torto o a ragione) appropriato, che parla. Il Movimento Nonviolento non ha, forse, da questo punto di vista, tirato le fila, presentato la sua storia. Non si tratta di mettere paletti, di dividere o di dire questo e' mio. Ma di proporre e trasmettere un'eredita', lunga e consistente, che mi pare, a volte, come sospesa, in attesa ancora di essere consegnata. Dov'e' la linea di pensiero che si tramanda di generazione in generazione? - Adriano Moratto: Probabilmente questo e' vero, c'e' un deficit di comunicazione, ma non credo sia cosi' grande. Ci sono i campi d'addestramento alla nonviolenza, ci sono iniziative di diffusione anche nelle scuole... si tratta di un mondo che non sempre si vede, ma che esiste e che trasmette valori e ispirazioni della nonviolenza. Quello che conta e' il risultato, e non apparire in quanto Movimento Nonviolento. Poi a me piace ricordare il verso del poeta quando dice che "dal letame nascono i fiori": ovvero il mistero dei percorsi che producono il progredire della societa'. Torna il discorso sui mezzi e i fini. Pero' al di la' di questo c'e' anche una altro aspetto e cioe' che la nonviolenza non ha un capro espiatorio su cui aggregare il dissenso, il risentimento, la paura e l'insicurezza. Per quello che non funziona non puoi dare la colpa al tuo nemico, e' colpa, o meglio responsabilita', tua: questo non e' un messaggio facile, soprattutto nella societa' attuale che propone la ricerca del benessere individuale, martellando con la pubblicita' i comodi consumi del libero mercato fino a penetrarti l'inconscio. Puoi, ad esempio, riempire la sede di Brescia: si puo' aprire un bar. Verrebbe gente come in molti centri sociali, ma come si potrebbero passare messaggi di antimilitarismo, sobrieta', condivisione e nonviolenza in una realta' che ha come centro di aggregazione il bar? Ci vorrebbe la presenza di gente preparata e motivata che parli e proponga a chi viene percorsi, scelte di vita alternative, assunzione di responsabilita', rinunce consapevoli e convinte: esperienze di vite vissute, Tolstoj, Thoreau, Gandhi, King, Capitini, Lanza del Vasto, Nobilini, Achille Croce. Non solo mettere, ma mettersi in discussione: e' scomodo se non sei persuaso. Non so quanti sarebbero disposti a "convertirsi". Ma la nonviolenza e' anche questo: non solo accusare, ma capire le ragioni dell'altro. Da qui occorre ripartire. Posso ricordare con il Vangelo che la messe e' molta e gli operai sono sempre pochi. I cristiani ancora aspettano dopo duemila anni e gli ebrei da prima di loro. Laicamente il Movimento Nonviolento sa che non ci sono miracoli e che l'eternita' e' fatta di infinite stagioni e di infiniti esperimenti alla ricerca per tutti della verita'. 3. MEMORIA. FILIPPO RIZZI RICORDA MICHEL DE CERTEAU [Dal quotidiano "Avvenire" del 7 gennaio 2006 riprendiamo il seguente articolo dal titolo "Il gesuita scomodo" e il sommario "Vent'anni fa moriva Michel de Certeau, grande studioso della mistica e della societa' moderna. Le sua figura fa ancora discutere. Allievo di de Lubac, amico di Ricoeur e Lacan, studio' a fondo la 'possessione' e la psicoanalisi. Salmann: 'Intui' la continuita' del passato con certe forme del postmoderno'. Morra: 'Ma molti non lo capirono'". Filippo Rizzi scrive sul quotidiano "Avvenire". Michel de Certeau (1925-1986), pensatore francese dai vastissimi interessi di ricerca. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente scheda: "Michel de Certeau (Chambery, 1925 - Parigi, 1986), gesuita francese, la sua opera spazia su una molteplicita' di ambiti diversi quali la storia, la psicoanalisi, la filosofia e le scienze sociali. Michel de Certeau nacque nel 1925 a Chambery in Savoia (Francia). De Certeau ebbe una formazione di tipo eclettico, dopo aver ottenuto la laurea in filosofia con un percorso di studi itinerante tra diverse universita' di Grenoble, Lione e Parigi, segui' una prima formazione religiosa presso il seminario di Lione, dove, nel 1950 entro' nell'ordine dei Gesuiti e fu ordinato nel 1956; avrebbe voluto essere inviato missionario in Cina. Lo stesso anno della sua ordinazione, de Certeau divenne uno dei fondatori della rivista "Christus" a cui resto' legato per gran parte della vita. Nel 1960 ottenne il dottorato presso la Sorbona dopo aver discusso una tesi su un gesuita contemporaneo di Ignazio di Loyola, Pierre Favre. De Certeau fu influenzato da Sigmund Freud e fu uno dei membri fondatori della Ecole Freudienne di Jacques Lacan, un gruppo che servo' da punto focale della scuola psicanalitica francese. Nel maggio 1968 un articolo che conteneva la frase "En mai dernier, on a pris la parole comme on a pris la Bastille en 1789" ("Nello scorso maggio, si e' presa della parola come nel 1789 si prese la Bastiglia", poi pubblicato nel libro La prise de parole, tradotto in Italiano nel 2007) lo porto' all'attenzione della sfera pubblica e divenne un intellettuale noto anche al di fuori dello stretto ambito accademico. De Certeau insegno' in varie universita' di diversi paesi, quali Ginevra, San Diego e Parigi. Durante il periodo 1970-'80 pubblico' svariate opere (libri, saggi, articoli su diverse riviste specializzate) che denotano i suoi molteplici interessi sostenuti da una singolare padronanza delle metodologie proprie delle singole discipline, quali la storiografia, la mistica, la fenomenologia, e la psicanalisi. Ad oggi, il piu' noto ed influente lavoro di de Certeau nel mondo anglosassone (in particolare gli Stati Uniti) e' The Practice of Everyday Life (trad. inglese dell'originale francese del 1974: LInvention du Quotidien. Vol. 1, Arts de Faire; trad. italiana del 2001: L'invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro). Ne L'invenzione del quotidiano l'autore combina i suoi poliedrici interessi intellettuali per sviluppare una teoria dell'attivita' di produzione-consumo inerente alla vita di tutti i giorni. Secondo de Certeau, la vita di tutti i giorni (everyday life) e' distinta da altre pratiche giornaliere, perche' ripetitiva ed inconscia. In questo contesto lo studio di de Certeau non e' legato ne' allo studio della "cultura popolare", ne' alle pratiche quotidiane di resistenza al potere. Egli indaga e descrive in che modo gli individui navighino inconsciamente attraverso le cose della vita quotidiana, dal camminare nella citta' alla pratica della lettura. L'aspetto forse piu' influente de L'invenzione del quotidiano e' legato alla distinzione operata da de Certeau tra i concetti di strategia e tattica. Egli collega le "strategie" alle istituzioni, mentre le "tattiche" sono invece utilizzate dagli individui per creare degli spazi propri negli ambienti definiti dalle "strategie". Nel capitolo "Camminando nella citta'", egli descrive la citta' come un concetto, generato dall'interazione strategica di governi, corporazioni e altri enti istituzionali, che producono mappe per pianificare le citta' come un tutt'uno, con una percezione a volo d'uccello della citta'. Per contrasto invece, un pedone che procede a livello stradale, si sposta in modi tattici, mai pienamente determinati dalla pianificazione definita dalle istituzioni, operando scorciatoie o vagando senza meta in opposizione al layout utilitario delle griglie stradali. Questo esempio illustra l'asserzione di de Certeau che la vita di ogni giorno agisce come un processo di bracconaggio su un territorio "altro", che ricombina regole e prodotti che gia' esistono nella cultura in un modo influenzato, ma mai completamente determinato, da quelle regole e quei prodotti. In Italia, venne tradotta la sua opera Fabula mistica. La spiritualita' religiosa tra il XVI e il XVII secolo nel 1987, testo erudito e molto denso sulla formazione del linguaggio mistico nel '500-'600, che ebbe influenza significativa ma limitata agli ambienti accademici. Solo dopo la diffusione del pensiero sull'alterita' a valle della pubblicazione di Mai senza l'altro da parte della comunita' di Bose nel 1993, recentemente diverse opere sono state tradotte. Manca ad oggi in lingua italiana una biografia che presenti la figura dell'autore, il suo itinerario, il suo pensiero, viceversa ne sono apparse in lingua francese (cfr. F. Dosse, Michel de Certeau: Le marcheur blesse') e in lingua inglese (cfr. Jeremy Ahearne, Ian Buchanan ed altri). Tra gli studiosi italiani che hanno studiato l'opera di Michel de Certeau possiamo citare Carlo Ossola (College de France e membro dell'Accademia dei Lincei), Stella Morra (Pontificia Universita' Gregoriana), Paola Di Cori (Universita' di Urbino) e Silvano Facioni (Universita' della Calabria). Tra le opere di michel de Certeau in lingua italiana: Politica e mistica, trad. A. Loaldi, Jaca Book, 1975; Fabula mistica. La spiritualita' religiosa tra il XVI e il XVII secolo, trad. R. Albertini, Il Mulino, 1987; con Francesco Borioni, Il colera del 1836 ad Ancona, Il Lavoro Editoriale, 1988; Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (secoli XVI e XVII), curato da C. Ossola, Olschki, 1988; Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza, curato da E. Bianchi, Qiqajon, 1993; L'invenzione del quotidiano, trad. M. Baccianini, Edizioni Lavoro, 2001; La lanterna del diavolo. Cinema e possessione, trad. M. E. Craveri, Medusa Edizioni, 2002; La scrittura dell'altro, curato da S. Borutti, Cortina Raffaello, 2005; Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione, trad. G. Brivio, Bollati Boringhieri, 2006; La scrittura della storia, trad. A. Jeronimidis, Jaca Book, 2006; La debolezza di credere. Fratture e transiti del cristianesimo, trad. S. Morra, Citta' Aperta, 2006; La presa della parola e altri scritti politici, trad. R. Capovin, Meltemi, 2007. In lingua francese: La Culture au Pluriel, Union Generale d'Editions, 1974; L'Ecriture de l'Histoire, Editions Gallimard, 1975; La Fable Mystique. vol. 1, XVIe-XVIIe Siecle, Editions Gallimard, 1982; La Faiblesse de Croire, curato da Luce Giard, Seuil, 1987; L'Invention du Quotidien. Vol. 1, Arts de Faire, Union generale d'editions, 1974; (con Dominique Julia e Jacques Revel), Une Politique de la Langue: La Revolution Francaise et les Patois, l'enquete de Gregoire, Gallimard, 1975; La Possession de Loudun, Gallimard, 1970. In lingua inglese: The Capture of Speech and Other Political Writings, trad. Tom Conley, University of Minnesota Press, 1998; The Certeau Reader, curato da Graham Ward, Blackwell Publishers, 1999; Culture in the Plural, trad. Tom Conley. University of Minnesota Press. 1998; Heterologies: Discourse on the Other, trad. Brain Massumi, University of Minnesota Press, 1986; The Mystic Fable: The Sixteenth and Seventeenth Centuries, trad. Michael B. Smith, University of Chicago Press, 1995; The Practice of Everyday Life, trad. Steven Rendall, University of California Press, 1984; (con Luce Giard e Pierre Mayol), The Practice of Everyday Life. vol. 2, Living and Cooking, trad. Timothy J. Tomasik, University of Minnesota Press, 1998; The Possession at Loudun, University of Chicago Press, 2000; The Writing of History, trad. Tom Conley, Columbia University Press, 1988. Opere su Michel de Certeau: Jeremy Ahearne, Michel De Certeau: Interpretation and Its Other. Stanford University Press, 1996; Ian Buchanan, Michel de Certeau: Cultural Theorist, Sage Press, 2000; Christian Delacroix, Michel de Certeau: Les chemins d'histoire, Complex, 2002; Francois Dosse, Michel de Certeau: Le marcheur blesse', Decouverte, 2002; Stella Morra, Pas sans toi. Testo parola e memoria verso una dinamica della esperienza ecclesiale negli scritti di Michel de Certau, Pontificia Universita' Gregoriana, 2004; Monica Quirico, La differenza della fede. Singolarita' e storicita' della forma cristiana nella ricerca di Michel de Certeau, Effata', 2005] Uno storico della spiritualita', un teologo, un sociologo, uno psicoanalista discepolo di Lacan, di Freud e di Foucault ma soprattutto, come disse Michelle Perrot "un gesuita diventato bracconiere di tutti i saperi", capace soprattutto di tradurre il linguaggio dei mistici del '600 nelle fratture e nella cultura del postmoderno, uno studioso in grado di spiegare a un mondo non credente e post-cristiano concetti come "assenza e perdita di Dio"; in una parola, di descrivere all'uomo contemporaneo il suo "Mai senza l'Altro". Tutto questo e' stato Michel de Certeau (1925-1986) che, proprio in questi giorni, il 9 gennaio di vent'anni fa si spegneva a Parigi, stroncato da un tumore all'eta' di 60 anni. Michel de Certeau rappresento' soprattutto il gesuita "anomalo e di frontiera", e forse proprio per questo fu definito dal suo confratello, il cardinale Jean Danielou "un gesuita inquietante", in dialogo con il mondo accademico laico, con intellettuali del calibro di Jacques Derrida, Paul Ricoeur e Jacques Lacan. Sara' l'interprete in chiave moderna di nuovi studi sulla spiritualita' religiosa del dopo-Concilio di Trento, in particolare sui suoi confratelli gesuiti, i mistici Pierre Favre, Louis Lallemant e soprattutto di quello che diventera' il suo alter ego, Jean Joseph Surin. "La mistica per lui - spiega il benedettino Elmar Salmann, docente alla Pontificia Universita' Gregoriana - e' una rielaborazione dell'assenza di Dio. Vive sulla sua pelle cio' che descrive e trascrive sulla storia del Seicento". E pietra miliare della ricerca di Certeau sara', non a caso, lo studio di Surin e della famosa Possesion de Loudun del 1638. "Il mistico ed esorcista Surin, l'antagonista dei demoni che abitano quel convento, ha in direzione spirituale la badessa, si carica di tutte le ferite affettive e psichiche di questa donna, impazzisce - sottolinea Salmann -. L'intuizione di De Certeau e' stata quella di dimostrare che la depressione e il senso di malinconia vissuto da Surin erano del tutto simili a quelli dell'uomo postmoderno di oggi". Vero momento di svolta della sua speculazione di studioso e di intellettuale di frontiera sara' il maggio del 1968, la contestazione studentesca. Si sentira' da quel momento "lo straniero in casa", l'"emarginato" dalle istituzioni e dalla gerarchia cattolica, e dal suo stesso ordine, la Compagnia di Gesu'; ma anche l'uomo che rimane "colpito", incuriosito, "alterato" da quegli eventi, che intuisce che per il cristianesimo e' necessaria una "rottura rifondatrice". "Sono gli anni in cui scrive Christianisme eclate' - osserva la studiosa Stella Morra, docente alla Pontificia Universita' Gregoriana -. Non viene capito da molti confratelli gesuiti. Sono gli anni della rottura di un sodalizio di amicizia e di stima con il suo maestro di sempre Henri de Lubac, a cui continuera' a scrivere lunghe lettere fino alla morte, senza ottenere risposta". L'eredita' che lascia e' quella del teologo che rida' una cittadinanza piena ai mistici. "De Certeau e' stato anche un grande teologo - annota la Morra -, fa sua la grande intuizione che viene dal Concilio Vaticano II che rida' una voce ufficiale alla teologia mistica e riabilita quel percorso per arrivare a Dio, visto con sospetto dalla Chiesa tridentina". Ma forse l'approccio piu' genuino per capire oggi, a vent'anni dalla morte, Michel de Certeau sta nel tornare con la mente ai suoi funerali, avvenuti a Parigi nella chiesa di Saint Ignace, in rue de Sevres, il 13 gennaio 1986. "La cosa che sorprese di piu' di quella celebrazione - riflette lo studioso Salmann - era che ai suoi funerali era presente tutta la Francia accademica e non credente che si inchinava di fronte a questo figlio di sant'Ignazio 'molto originale'. E la cosa che colpi' di piu' fu lo svolgimento della funzione: si ascoltarono i versetti sulla "follia di Cristo" di san Paolo, un frammento degli stupendi Cantiques spirituels di Jean Joseph Surin, e come inno d'addio, la voce di Edith Piaf che canta: Non, rien de rien, non, je ne regrette rien... Penso che in tutta questa narrazione finale delle esequie si puo' capire meglio che in ogni altra cosa, la sensibilita' di questo spirito, un 'barcaiolo' che naviga a vista tra le sponde del sapere e del non sapere, tra fede e non fede". 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 221 del 23 settembre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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