Minime. 221



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 221 del 23 settembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Con trepidazione grande
2. Diana Napoli intervista Adriano Moratto
3. Filippo Rizzi ricorda Michel de Certeau
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CON TREPIDAZIONE GRANDE
[Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano
assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico
in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - durissime
persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato
conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera
dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 2005; Lettere dalla mia
Birmania, Sperling & Kupfer, Milano 2007]

Con trepidazione grande seguiamo in questi giorni le notizie che giungono
dalla Birmania, di un nuovo luminoso prorompere di iniziative nonviolente
per la democrazia e i diritti umani di tutti gli esseri umani.
La nostra voce e i nostri voti uniamo a quelli e quelle di tante e tanti nel
chiedere il piu' vivo e tempestivo ed efficace sostegno internazionale
umanitario e nonviolento in difesa della vita delle persone amiche della
nonviolenza in lotta, a premere affinche' la democrazia, la pace, il
rispetto dei diritti umani prevalgano, la' ed ovunque.
A quante e quanti sono per le strade, a quante e quanti sono perseguitati,
al popolo tutto e ad Aung San Suu Kyi, va fraterno e sororale il nostro
saluto, il nostro abbraccio, la nostra gratitudine, la nostra solidarieta'.
Alla comunita' internazionale, al mondo intero, la richiesta di non
lasciarli soli, la richiesta di interventi positivi in forma sia di azione
diplomatica coerente coi principi della Carta delle Nazioni Unite e della
Dichiarazione universale dei diritti umani, sia di concreti aiuti umanitari
a un popolo oppresso in lotta per la vita, per la giustizia e per la
liberta' con la forza della nonviolenza.

2. RIFLESSIONE. DIANA NAPOLI INTERVISTA ADRIANO MORATTO
[Ringraziamo Diana Napoli e Adriano Moratto per questa intervista.
Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano,
e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
Adriano Moratto, nato nel 1949, maestro muratore, aspirante contadino,
attualmente e' uno dei responsabili della sede di Brescia del Movimento
Nonviolento; impegnato da sempre in molte iniziative di pace e di
solidarieta', e' una delle figure piu' note e autorevoli dell'impegno
nonviolento in Italia]

- Diana Napoli: Adriano Moratto, vecchio amico della nonviolenza bresciano.
Sei entrato nel gruppo nonviolento di Brescia sin dalla sua costituzione,
nel 1971?
- Adriano Moratto: Si', nel 1970 era passata per Brescia una marcia
antimilitarista e in quell'occasione avevamo preso dei contatti con il
Movimento Nonviolento tramite Gianni Bergamaschi mi pare, ma allora io
facevo il militare a Messina. Poi nel 1971 partecipai ad un campo di lavoro
a Melfi, dove conobbi anche Pinna, ma a Brescia erano gia' presenti le prime
iniziative per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza.
C'erano stati i primi obiettori bresciani, il primo fu Bedussi...
*
- Diana Napoli: Prima di entrare nel Movimento Nonviolento avevi frequentato
altri movimenti, gruppi? come ti sei avvicinato a questo ambiente?
- Adriano Moratto: Dunque, prima del Movimento Nonviolento avevo partecipato
ad alcune iniziative: un campo di lavoro  nell'estate '69 a Pertica Bassa
dove avevo conosciuto Claudia Capra ed il gruppo di Borgo Trento, ma
soprattutto una raccolta di stracci per finanziare una missione del Mato
Grosso nel Natale del 1968. In questo modo iniziai a contattare una serie di
persone che poi (seppur ognuno con percorsi propri, ci fu chi entro' in
Lotta Continua e chi nel sindacato) si dedicarono all'impegno politico o
sociale. Pero' provenivamo tutti dal mondo cattolico, tant'e' vero che,
finito il militare in Sicilia nel gennaio del '71, moltissimi li ho
ritrovati a San Nazaro, la parrocchia di Brescia dove si trovavano i giovani
aperti alle novita' del Concilio Vaticano II: la partecipazione dei fedeli
alla vita della chiesa, l'abolizione del latino, l'ecumenismo.
*
- Diana Napoli: Come mai tra tutti i gruppi con cui entrasti in contatto
scegliesti, alla fine, di impegnarti col Movimento Nonviolento?
- Adriano Moratto: Diciamo che io ero sempre stato un po' "originale", come
diceva qualcuno.
Non mi trovavo a mio agio nelle iniziative della parrocchia, che poi erano
giocare a biliardo o al calcio-balilla (attivita' di cui non ero affatto
appassionato) e non condividevo nemmeno parte di quello che veniva predicato
dal pulpito nel momento in cui ne percepivo l'ipocrisia. Ricordo discussioni
con il parroco che parlava di abbellire la chiesa con arredi preziosi e io
che "presuntuoso" gli citavo i passi della Bibbia contro l'idolatria e gli
altari lussuosi.
Io leggevo la Bibbia (e non solo) di notte sotto le coperte (i miei non
volevano che leggessi di notte: gia' allora ero un po' cieco...) ed ero
stato colpito dal messaggio espresso nel discorso della montagna. Quello, ma
anche altri passaggi della predicazione di Gesu' che noi oggi esplicitiamo
come nonviolenti, esprimevano in fin dei conti sentimenti che io stesso
provavo. Diciamo che il mio avvicinamento alle tematiche nonviolente e'
iniziato cosi'.
Gia' quando avevo dovuto scegliere il tipo di scuola superiore da
frequentare avevo scartato tutte le possibilita' che mi dessero un qualche
sbocco lavorativo immediato, tipo ragioneria... percorsi per diventare
perito... io volevo insegnare perche' mi sembrava l'unico mestiere utile non
solo a me, che aprisse spazi e prospettive di cambiamento diversi dal solo e
semplice interesse personale.
Diciamo che in quegli anni ero un po' isolato. Non mi convincevano e mi
annoiavano le attivita' dell'oratorio, le discoteche, le feste a luce
soffusa. preferivo una gita in bicicletta o una passeggiata nella nebbia ad
ascoltare i rumori della sera.
Poi alle superiori ho iniziato a conoscere Gandhi, King. Mi aveva molto
colpito al telegiornale un piccolo necrologio letto il giorno della morte di
Capitini ed avevo l'impressione, in ogni modo, che questi personaggi
riverberassero sentimenti che erano gia' miei.
Poi quelli erano gli anni (la fine degli anni '60) in cui si incominciava a
parlare di Africa, America Latina, della fine del colonialismo e delle
infamie fatte dalla "civilta' occidentale" nel Terzo Mondo. E cosi', anche
convinto dopo l'esperienza del militare, dell'assurdita' e di quale spreco
di energie economico-morali fossero gli eserciti, iniziai la mia storia a
fianco del Movimento Nonviolento anche se allora non mi iscrissi perche'
contrario alle tessere.
*
- Diana Napoli: Quali sono le letture che piu' ti hanno segnato in quel
periodo?
- Adriano Moratto: Molte letture sono state fondamentali, come don Milani
con la sua capacita' di rivedere la storia in maniera diversa da come ce
l'avevano sempre insegnata, o Mazzolari e l'incontro con Lanza del Vasto. Ma
se dovessi pensare a letture irrinunciabili, ad un punto di partenza, io
tornerei al discorso della montagna e a tanti altri passi del Vangelo, come
quello di Matteo che indica la vera forma d'amore nell'amare i nemici e non
solo gli amici o coloro che ci vogliono bene. Oppure, tornando all'infanzia,
alcune fiabe di Tolstoj. Cosi', cosa significasse "la legge dell'amore" per
me era chiaro sin da ragazzino, cosi' come il non uccidere era un assoluto.
*
- Diana Napoli: Quali sono le iniziative che ricordi d'aver vissuto con
maggior partecipazione?
- Adriano Moratto: Mah, di certo la battaglia per il riconoscimento
dell'obiezione di coscienza, che poi io credo sia stato l'unico vero
risultato "portato a casa" dal '68 (un discorso piu' ampio meriterebbero
tutti i temi del movimento femminista).
Devo dire pero' che negli anni '70 piu' che impegnarmi in questa o
quell'altra battaglia, feci delle scelte di vita che mi condizionarono molto
nella mia possibilita' di azione concreta a livello nazionale, o anche nella
stessa realta' bresciana del movimento. Infatti, insieme ad altre persone
decidemmo di creare una comune in cui vivere con alcune persone disabili che
avevamo conosciuto durante dei campi di lavoro estivi a Viserbella di
Rimini. persone ricche di attenzione e sensibilita', ma che nelle loro
famiglie non trovavano spazio; per una di loro, ad esempio, i fratelli
sostenevano che se si era "ammalata" doveva avere qualche peccato da
espiare. Questo allora era una scelta fuori dagli schemi, nel senso che su
tale questione esistevano molti pregiudizi. Poi di solito i disabili erano
di fatto costretti a restare chiusi in casa senza prospettive ne'
istruzione. In ogni modo questa scelta richiedeva una presenza quotidiana.
Era gia' nata una figlia e ci era sembrato naturale averne altri per
arricchire le nostre vite. Da qui la necessita' di lavorare con continuita'
scegliendo un lavoro utile e manuale: il muratore. Cosi' sono stato "in
disparte" fino all'indecente guerra nel Kossovo. Non ho saputo sopportare in
silenzio la menzogna dei bombardamenti umanitari.
*
- Diana Napoli: Il riconoscimento dell'obiezione di coscienza come l'unico
vero risultato del '68. Ma, piu' in generale, il Movimento Nonviolento cosa
credi abbia "portato a casa", come dici tu, da tanti anni di battaglie?
- Adriano Moratto: Ribadisco che in ogni caso il riconoscimento
dell'obiezione di coscienza e poi il servizio civile non sono cosa da poco,
soprattutto se si considera che noi eravamo gli unici ad essere
caratterizzati da un antimilitarismo radicale (noi e allora i radicali); ad
esempio, alle marce antimilitariste partecipavano in tanti, Lotta continua,
altri movimenti della sinistra, ma non in nome del principio che tutti gli
eserciti erano neri, fascisti. In realta' la maggior parte di loro credeva
nell'esercito popolare e non erano sostenitori della sua abolizione. C'era
il mito del Che e anche l'esercito vietcong era visto come modello da
imitare.
Pero' al di la' di tutto questo il Movimento Nonviolento ha contribuito a
diffondere dei temi che oggi sono all'ordine del giorno.
Mettere in discussione, oltre agli armamenti, un modello di sviluppo, la
questione energetica ed ambientale... sono tutte questioni sollevate, tra i
primi, dai movimenti nonviolenti...
*
- Diana Napoli: Movimento o movimenti?
- Adriano Moratto: Io mi ricordo che uno dei primi a sollevare la questione
energetica fu Giannozzo Pucci e non so se fosse iscritto al Movimento
Nonviolento. Il Movimento internazionale della riconciliazione (Mir) e il
Movimento Nonviolento erano frammisti, contigui e solo dopo Hedi Vaccaro,
crescendo la presenza cattolica nel Mir, c'e' stata una maggiore
distinzione. Il Movimento Nonviolento probabilmente e' all'origine di molti
dei temi che si discutono oggi. Poi molte altre realta' li hanno portati
avanti, e lo giudico positivo, perche' non credo che il Movimento
Nonviolento possa da solo esaurire tutto cio' che possa essere detto o fatto
dalla nonviolenza.
*
- Diana Napoli: E oggi cosa puo' essere detto o fatto della nonviolenza?
- Adriano Moratto: Prima di rispondere vorrei premettere che le mie
considerazioni non sono dettate da pessimismo. Oggi probabilmente come
Movimento Nonviolento (ma questo vale in generale) siamo colti da
un'insufficienza di iniziative, pero' molte delle questioni che abbiamo
sollevato sono all'ordine del giorno: c'e' molta gente che ne parla, ne
scrive, le studia... Inoltre tante battaglie portate avanti sono il frutto
di anni di "predicazione" e insegnamento delle nonviolenza che da' col tempo
i suoi frutti. Prendiamo la Val di Susa: l'azione che stanno conducendo non
si comprende appieno senza sapere cosa ha rappresentato la Val di Susa per
la nonviolenza negli anni '70 o '80, l'attivita' di Achille Croce e del
Gruppo valsusino di azione nonviolenta (Gvan). Lo stesso vale per Vicenza,
dove c'e' stato il decennale lavoro di Matteo Soccio presso la locale Casa
della pace. Ma anche per Brescia: le iniziative su cui la cittadinanza e'
impegnata, in particolare le questioni energetiche ed ecologiche, sono
portate avanti da persone che pur senza essere direttamente riconducibili al
Movimento Nonviolento sono passate per la nostra sede, anni fa, e hanno solo
deciso di proseguire o di sviluppare sensibilita' e conoscenza, acquisite
anche grazie al Movimento Nonviolento, in nuovi settori. Da qui sono partite
iniziative per un mercato di prodotti biologici, la ricerca di medicine
alternative, la protesta contro le vaccinazioni infantili, la riscoperta
delle danze popolari, la ricerca di energie alternative, le lotte contro gli
inceneritori e l'inquinamento industriale della Caffaro e le proposte degli
amici dello scarto, il riciclaggio con il progetto "Mandacaru'".
Certo e' che come Movimento Nonviolento, secondo me, non siamo ancora stati
in grado di gestire alcuni spazi che si sono aperti: in primo luogo il
servizio civile, che apre delle prospettive che secondo me ci sfuggono. Lo
stesso discorso vale per la questione della professionalizzazione
dell'esercito su cui probabilmente non abbiamo lavorato molto (d'altronde
con le forze che abbiamo...), e infine c'e' una questione vecchia che
necessita pero' di approcci nuovi: le spese militari. Il discorso e' sempre
lo stesso: se noi liberassimo tutte le risorse oggi sprecate per gli
armamenti e le guerre si aprirebbero possibilita' infinite per altre
iniziative. Solo che dalla fine della campagna di obiezione alle spese
militari non siamo piu' riusciti a trovare una proposta concreta che
raccogliesse le forze disperse. Ci sono tante proposte, ma nessuna che abbia
una concretezza in grado di mobilitare persone e risorse.
*
- Diana Napoli: Dunque da questo punto di vista tu condividi il titolo del
congresso di quest'anno, che rimette al centro, proprio gia' solo nel tema,
la questione dell'esercito e implicitamente tutti i temi ad esso collegati?
- Adriano Moratto: Si', da questo punto di vista si'.
Pero', come ho gia' detto, non sono pessimista, questa probabilmente e' una
fase e molte attivita' non si vedono, non hanno visibilita', sono
frammentate, ma esiste una coscienza rispetto a molte questioni un tempo
assolutamente ignorate.
Se leggiamo Tolstoj o Gandhi ci accorgiamo che sono di un'attualita'
incredibile. In fondo sono passati solo cento anni. Gandhi, notando come
l'impero britannico si reggesse consumando risorse del resto del mondo,
poneva gia' in un'ottica globale il problema del consumo, del modello di
sviluppo, cosi' come cio' che noi oggi chiamiamo impronta ecologica...
eppure negli anni '70 questi discorsi non li faceva nessuno. Sara' stato
forse perche' avere come metodo di persuasione il digiuno ci ha reso piu'
attenti allo spreco e ai limiti delle risorse.
Oggi, invece... Ovviamente nulla e' conquistato per sempre, men che meno
nelle coscienze.
*
- Diana Napoli: Iniziative che danno i loro frutti dopo anni, diffusione di
idee... quanto e' importante il legame tra nonviolenza e educazione?
- Adriano Moratto: Moltissimo. A partire dai rapporti interpersonali,
dall'esempio. Un conto e' la teoria, altro e' la pratica, ma la nonviolenza
e' l'unica proposta in grado di spezzare i meccanismi di ripicca o vendetta
a spirale che sono poi quelli che crescono la violenza. Anche perche' io
credo che ognuno di noi preso di per se' sia migliore di quel che si
giustifica gregariamente quando e' nel gruppo. Dentro di me so che sto
sbagliando, ma la situazione esterna mi giustifica. Ho subito un torto: ho
l'obbligo di vendicarmi di fronte agli altri della mia cerchia. Ho subito un
sopruso, ne compio uno anch'io (occhio per occhio e il mondo resta cieco).
Quindi e' evidente che il luogo primo della violenza e' quello relazionale.
Detto in maniera piu' semplice, come diceva il buon Lanza del Vasto, poiche'
la cosa meglio distribuita al mondo sono le liti, ognuno di noi ha
molteplici occasioni di fare esperimenti con la nonviolenza.
La nonviolenza dice: "io non controllo mai i fini, ma i mezzi", e con questa
operazione sposta l'attenzione sul "come" si fa, non al fine ultimo
astratto, ma all'atto concreto e immediato. Per questo e' in grado di
scombinare meccanismi consolidati, le faide a oltranza. Per questo motivo la
nonviolenza e' anche assunzione di responsabilita': perche' rifiuta di
assecondare, giustificare la "logica corrente", ma cerca di ribaltarla
mettendone a nudo le contraddizioni. Non puoi parlare di poverta' da una
reggia, non puoi parlare di pace se fabbrichi cannoni o se sei un generale,
o forse anche un cappellano militare.
E poi, alla fine, questa educazione diventa una visione sulle cose, un abito
mentale: nel senso che quando uno entra in una certa logica legge attraverso
di essa tutta la storia, legge il presente e pensa al futuro.
*
- Diana Napoli: A proposito di futuro, su tutt'altro versante, come vedi il
futuro del Movimento Nonviolento? Immagini un comitato di coordinamento tra
dieci anni?
- Adriano Moratto: L'eta' media si e' allungata in Italia; fino a 80 anni
saremo dunque operativi (scherzo).
*
- Diana Napoli: E coloro che non avranno 80 anni? Qualcuno ha lamentato la
carenza di giovani nel Movimento Nonviolento. A cosa credi sia dovuta, se e'
tale?
- Adriano Moratto: Nel Movimento Nonviolento non ci sono moltissimi giovani,
ma le ragioni sono molte.
Un po' riguarda il fatto che il discorso dell'obiezione di coscienza
invitava alla partecipazione, mobilitava, toccava direttamente i giovani...
oggi e' piu' difficile trovare qualcuno che si impegni, ma non e' estraneo a
cio' il martellamento sul tema della precarieta', per cui ognuno e' preso
dall'esigenza di trovare una stabilita' lavorativa; questo problema anni fa
non c'era: io per alcuni anni mi licenziavo a maggio per poi trovare un
altro lavoro a settembre dato che per i lavori manuali non c'era nessuna
difficolta' a trovarne e mi sono tolto anche un sacco di sfizi: tipo fare la
comparsa al Teatro Grande o vagabondare in autostop, o sopravvivere con i
frutti raccolti nei campi.
La precarieta' e' stata una delle propagande migliori che hanno fatto per
togliere dalla testa "i grilli" a molti ragazzi...
*
- Diana Napoli: Solo propaganda?
- Adriano Moratto: Si', ma voglio dire che alla fine quel che conta e' la
percezione che se ne ha e che porta a puntare tutto di se' solo sulla
ricerca della stabilita'. penso che i giovani debbano riscoprire l'unita'
degli obiettivi, gli strumenti per soluzioni collettive. All'inizio della
rivoluzione industriale gli operai si sono inventati le associazioni di
mutuo soccorso, le cooperative di consumo. La divisione fa sempre il gioco
di chi sta al potere. Non e' facile, non sara' semplice, ma non vedo
alternative.
*
- Diana Napoli: Pero' ci sono molte altre realta' frequentate da giovani
sempre e ugualmente precari. A Brescia per esempio il centro sociale e' un
luogo di identificazione perche' propone, che si sia o meno d'accordo, un
mondo con caratteristiche diverse da quello attuale ben precise, una storia
e una filosofia di cui si e' (a torto o a ragione) appropriato, che parla.
Il Movimento Nonviolento non ha, forse, da questo punto di vista, tirato le
fila, presentato la sua storia. Non si tratta di mettere paletti, di
dividere o di dire questo e' mio. Ma di proporre e trasmettere un'eredita',
lunga e consistente, che mi pare, a volte, come sospesa, in attesa ancora di
essere consegnata. Dov'e' la linea di pensiero che si tramanda di
generazione in generazione?
- Adriano Moratto: Probabilmente questo e' vero, c'e' un deficit di
comunicazione, ma non credo sia cosi' grande. Ci sono i campi
d'addestramento alla nonviolenza, ci sono iniziative di diffusione anche
nelle scuole... si tratta di un mondo che non sempre si vede, ma che esiste
e che trasmette valori e ispirazioni della nonviolenza. Quello che conta e'
il risultato, e non apparire in quanto Movimento Nonviolento.  Poi a me
piace ricordare il verso del poeta quando dice che "dal letame nascono i
fiori": ovvero il mistero dei percorsi che producono il progredire della
societa'. Torna il discorso sui mezzi e i fini.
Pero' al di la' di questo c'e' anche una altro aspetto e cioe' che la
nonviolenza non ha un capro espiatorio su cui aggregare il dissenso, il
risentimento, la paura e l'insicurezza.
Per quello che non funziona non puoi dare la colpa al tuo nemico, e' colpa,
o meglio responsabilita', tua: questo non e' un messaggio facile,
soprattutto nella societa' attuale che propone la ricerca del benessere
individuale, martellando con la pubblicita' i comodi consumi del libero
mercato fino a penetrarti l'inconscio.
Puoi, ad esempio, riempire la sede di Brescia: si puo' aprire un bar.
Verrebbe gente come in molti centri sociali, ma come si potrebbero passare
messaggi di antimilitarismo, sobrieta', condivisione e nonviolenza in una
realta' che ha come centro di aggregazione il bar? Ci vorrebbe la presenza
di gente preparata e motivata che parli e proponga a chi viene percorsi,
scelte di vita alternative, assunzione di responsabilita', rinunce
consapevoli e convinte: esperienze di vite vissute, Tolstoj, Thoreau,
Gandhi, King, Capitini, Lanza del Vasto, Nobilini, Achille Croce. Non solo
mettere, ma mettersi in discussione: e' scomodo se non sei persuaso. Non so
quanti sarebbero disposti a "convertirsi".
Ma la nonviolenza e' anche questo: non solo accusare, ma capire le ragioni
dell'altro. Da qui occorre ripartire.
Posso ricordare con il Vangelo che la messe e' molta e gli operai sono
sempre pochi. I cristiani ancora aspettano dopo duemila anni e gli ebrei da
prima di loro. Laicamente il Movimento Nonviolento sa che non ci sono
miracoli e che l'eternita' e' fatta di infinite stagioni e di infiniti
esperimenti alla ricerca per tutti della verita'.

3. MEMORIA. FILIPPO RIZZI RICORDA MICHEL DE CERTEAU
[Dal quotidiano "Avvenire" del 7 gennaio 2006 riprendiamo il seguente
articolo dal titolo "Il gesuita scomodo" e il sommario "Vent'anni fa moriva
Michel de Certeau, grande studioso della mistica e della societa' moderna.
Le sua figura fa ancora discutere. Allievo di de Lubac, amico di Ricoeur e
Lacan, studio' a fondo la 'possessione' e la psicoanalisi. Salmann: 'Intui'
la continuita' del passato con certe forme del postmoderno'. Morra: 'Ma
molti non lo capirono'".
Filippo Rizzi scrive sul quotidiano "Avvenire".
Michel de Certeau (1925-1986), pensatore francese dai vastissimi interessi
di ricerca. Dalla Wikipedia, edizione italiana, riprendiamo la seguente
scheda: "Michel de Certeau (Chambery, 1925 - Parigi, 1986), gesuita
francese, la sua opera spazia su una molteplicita' di ambiti diversi quali
la storia, la psicoanalisi, la filosofia e le scienze sociali. Michel de
Certeau nacque nel 1925 a Chambery in Savoia (Francia). De Certeau ebbe una
formazione di tipo eclettico, dopo aver ottenuto la laurea in filosofia con
un percorso di studi itinerante tra diverse universita' di Grenoble, Lione e
Parigi, segui' una prima formazione religiosa presso il seminario di Lione,
dove, nel 1950 entro' nell'ordine dei Gesuiti e fu ordinato nel 1956;
avrebbe voluto essere inviato missionario in Cina. Lo stesso anno della sua
ordinazione, de Certeau divenne uno dei fondatori della rivista "Christus" a
cui resto' legato per gran parte della vita. Nel 1960 ottenne il dottorato
presso la Sorbona dopo aver discusso una tesi su un gesuita contemporaneo di
Ignazio di Loyola, Pierre Favre. De Certeau fu influenzato da Sigmund Freud
e fu uno dei membri fondatori della Ecole Freudienne di Jacques Lacan, un
gruppo che servo' da punto focale della scuola psicanalitica francese. Nel
maggio 1968 un articolo che conteneva la frase "En mai dernier, on a pris la
parole comme on a pris la Bastille en 1789" ("Nello scorso maggio, si e'
presa della parola come nel 1789 si prese la Bastiglia", poi pubblicato nel
libro La prise de parole, tradotto in Italiano nel 2007) lo porto'
all'attenzione della sfera pubblica e divenne un intellettuale noto anche al
di fuori dello stretto ambito accademico. De Certeau insegno' in varie
universita' di diversi paesi, quali Ginevra, San Diego e Parigi. Durante il
periodo 1970-'80 pubblico' svariate opere (libri, saggi, articoli su diverse
riviste specializzate) che denotano i suoi molteplici interessi sostenuti da
una singolare padronanza delle metodologie proprie delle singole discipline,
quali la storiografia, la mistica, la fenomenologia, e la psicanalisi. Ad
oggi, il piu' noto ed influente lavoro di de Certeau nel mondo anglosassone
(in particolare gli Stati Uniti) e' The Practice of Everyday Life (trad.
inglese dell'originale francese del 1974: LInvention du Quotidien. Vol. 1,
Arts de Faire; trad. italiana del 2001: L'invenzione del quotidiano,
Edizioni Lavoro). Ne L'invenzione del quotidiano l'autore combina i suoi
poliedrici interessi intellettuali per sviluppare una teoria dell'attivita'
di produzione-consumo inerente alla vita di tutti i giorni. Secondo de
Certeau, la vita di tutti i giorni (everyday life) e' distinta da altre
pratiche giornaliere, perche' ripetitiva ed inconscia. In questo contesto lo
studio di de Certeau non e' legato ne' allo studio della "cultura popolare",
ne' alle pratiche quotidiane di resistenza al potere. Egli indaga e descrive
in che modo gli individui navighino inconsciamente attraverso le cose della
vita quotidiana, dal camminare nella citta' alla pratica della lettura.
L'aspetto forse piu' influente de L'invenzione del quotidiano e' legato alla
distinzione operata da de Certeau tra i concetti di strategia e tattica.
Egli collega le "strategie" alle istituzioni, mentre le "tattiche" sono
invece utilizzate dagli individui per creare degli spazi propri negli
ambienti definiti dalle "strategie". Nel capitolo "Camminando nella citta'",
egli descrive la citta' come un concetto, generato dall'interazione
strategica di governi, corporazioni e altri enti istituzionali, che
producono mappe per pianificare le citta' come un tutt'uno, con una
percezione a volo d'uccello della citta'. Per contrasto invece, un pedone
che procede a livello stradale, si sposta in modi tattici, mai pienamente
determinati dalla pianificazione definita dalle istituzioni, operando
scorciatoie o vagando senza meta in opposizione al layout utilitario delle
griglie stradali. Questo esempio illustra l'asserzione di de Certeau che la
vita di ogni giorno agisce come un processo di bracconaggio su un territorio
"altro", che ricombina regole e prodotti che gia' esistono nella cultura in
un modo influenzato, ma mai completamente determinato, da quelle regole e
quei prodotti. In Italia, venne tradotta la sua opera Fabula mistica. La
spiritualita' religiosa tra il XVI e il XVII secolo nel 1987, testo erudito
e molto denso sulla formazione del linguaggio mistico nel '500-'600, che
ebbe influenza significativa ma limitata agli ambienti accademici. Solo dopo
la diffusione del pensiero sull'alterita' a valle della pubblicazione di Mai
senza l'altro da parte della comunita' di Bose nel 1993, recentemente
diverse opere sono state tradotte. Manca ad oggi in lingua italiana una
biografia che presenti la figura dell'autore, il suo itinerario, il suo
pensiero, viceversa ne sono apparse in lingua francese (cfr. F. Dosse,
Michel de Certeau: Le marcheur blesse') e in lingua inglese (cfr. Jeremy
Ahearne, Ian Buchanan ed altri). Tra gli studiosi italiani che hanno
studiato l'opera di Michel de Certeau possiamo citare Carlo Ossola (College
de France e membro dell'Accademia dei Lincei), Stella Morra (Pontificia
Universita' Gregoriana), Paola Di Cori (Universita' di Urbino) e Silvano
Facioni (Universita' della Calabria). Tra le opere di michel de Certeau in
lingua italiana: Politica e mistica, trad. A. Loaldi, Jaca Book, 1975;
Fabula mistica. La spiritualita' religiosa tra il XVI e il XVII secolo,
trad. R. Albertini, Il Mulino, 1987; con Francesco Borioni, Il colera del
1836 ad Ancona, Il Lavoro Editoriale, 1988; Il parlare angelico. Figure per
una poetica della lingua (secoli XVI e XVII), curato da C. Ossola, Olschki,
1988; Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza, curato da E. Bianchi,
Qiqajon, 1993; L'invenzione del quotidiano, trad. M. Baccianini, Edizioni
Lavoro, 2001; La lanterna del diavolo. Cinema e possessione, trad. M. E.
Craveri, Medusa Edizioni, 2002; La scrittura dell'altro, curato da S.
Borutti, Cortina Raffaello, 2005; Storia e psicoanalisi. Tra scienza e
finzione, trad. G. Brivio, Bollati Boringhieri, 2006; La scrittura della
storia, trad. A. Jeronimidis, Jaca Book, 2006; La debolezza di credere.
Fratture e transiti del cristianesimo, trad. S. Morra, Citta' Aperta, 2006;
La presa della parola e altri scritti politici, trad. R. Capovin, Meltemi,
2007. In lingua francese: La Culture au Pluriel, Union Generale d'Editions,
1974; L'Ecriture de l'Histoire, Editions Gallimard, 1975; La Fable Mystique.
vol. 1, XVIe-XVIIe Siecle, Editions Gallimard, 1982; La Faiblesse de Croire,
curato da Luce Giard, Seuil, 1987; L'Invention du Quotidien. Vol. 1, Arts de
Faire, Union generale d'editions, 1974; (con Dominique Julia e Jacques
Revel), Une Politique de la Langue: La Revolution Francaise et les Patois,
l'enquete de Gregoire, Gallimard, 1975; La Possession de Loudun, Gallimard,
1970. In lingua inglese: The Capture of Speech and Other Political Writings,
trad. Tom Conley, University of Minnesota Press, 1998; The Certeau Reader,
curato da Graham Ward, Blackwell Publishers, 1999; Culture in the Plural,
trad. Tom Conley. University of Minnesota Press. 1998; Heterologies:
Discourse on the Other, trad. Brain Massumi, University of Minnesota Press,
1986; The Mystic Fable: The Sixteenth and Seventeenth Centuries, trad.
Michael B. Smith, University of Chicago Press, 1995; The Practice of
Everyday Life, trad. Steven Rendall, University of California Press, 1984;
(con Luce Giard e Pierre Mayol), The Practice of Everyday Life. vol. 2,
Living and Cooking, trad. Timothy J. Tomasik, University of Minnesota Press,
1998; The Possession at Loudun, University of Chicago Press, 2000; The
Writing of History, trad. Tom Conley, Columbia University Press, 1988. Opere
su Michel de Certeau: Jeremy Ahearne, Michel De Certeau: Interpretation and
Its Other. Stanford University Press, 1996; Ian Buchanan, Michel de Certeau:
Cultural Theorist, Sage Press, 2000; Christian Delacroix, Michel de Certeau:
Les chemins d'histoire, Complex, 2002; Francois Dosse, Michel de Certeau: Le
marcheur blesse', Decouverte, 2002; Stella Morra, Pas sans toi. Testo parola
e memoria verso una dinamica della esperienza ecclesiale negli scritti di
Michel de Certau, Pontificia Universita' Gregoriana, 2004; Monica Quirico,
La differenza della fede. Singolarita' e storicita' della forma cristiana
nella ricerca di Michel de Certeau, Effata', 2005]

Uno storico della spiritualita', un teologo, un sociologo, uno psicoanalista
discepolo di Lacan, di Freud e di Foucault ma soprattutto, come disse
Michelle Perrot "un gesuita diventato bracconiere di tutti i saperi", capace
soprattutto di tradurre il linguaggio dei mistici del '600 nelle fratture e
nella cultura del postmoderno, uno studioso in grado di spiegare a un mondo
non credente e post-cristiano concetti come "assenza e perdita di Dio"; in
una parola, di descrivere all'uomo contemporaneo il suo "Mai senza l'Altro".
Tutto questo e' stato Michel de Certeau (1925-1986) che, proprio in questi
giorni, il 9 gennaio di vent'anni fa si spegneva a Parigi, stroncato da un
tumore all'eta' di 60 anni.
Michel de Certeau rappresento' soprattutto il gesuita "anomalo e di
frontiera", e forse proprio per questo fu definito dal suo confratello, il
cardinale Jean Danielou "un gesuita inquietante", in dialogo con il mondo
accademico laico, con intellettuali del calibro di Jacques Derrida, Paul
Ricoeur e Jacques Lacan. Sara' l'interprete in chiave moderna di nuovi studi
sulla spiritualita' religiosa del dopo-Concilio di Trento, in particolare
sui suoi confratelli gesuiti, i mistici Pierre Favre, Louis Lallemant e
soprattutto di quello che diventera' il suo alter ego, Jean Joseph Surin.
"La mistica per lui - spiega il benedettino Elmar Salmann, docente alla
Pontificia Universita' Gregoriana - e' una rielaborazione dell'assenza di
Dio. Vive sulla sua pelle cio' che descrive e trascrive sulla storia del
Seicento". E pietra miliare della ricerca di Certeau sara', non a caso, lo
studio di Surin e della famosa Possesion de Loudun del 1638. "Il mistico ed
esorcista Surin, l'antagonista dei demoni che abitano quel convento, ha in
direzione spirituale la badessa, si carica di tutte le ferite affettive e
psichiche di questa donna, impazzisce - sottolinea Salmann -. L'intuizione
di De Certeau e' stata quella di dimostrare che la depressione e il senso di
malinconia vissuto da Surin erano del tutto simili a quelli dell'uomo
postmoderno di oggi".
Vero momento di svolta della sua speculazione di studioso e di intellettuale
di frontiera sara' il maggio del 1968, la contestazione studentesca. Si
sentira' da quel momento "lo straniero in casa", l'"emarginato" dalle
istituzioni e dalla gerarchia cattolica, e dal suo stesso ordine, la
Compagnia di Gesu'; ma anche l'uomo che rimane "colpito", incuriosito,
"alterato" da quegli eventi, che intuisce che per il cristianesimo e'
necessaria una "rottura rifondatrice". "Sono gli anni in cui scrive
Christianisme eclate' - osserva la studiosa Stella Morra, docente alla
Pontificia Universita' Gregoriana -. Non viene capito da molti confratelli
gesuiti. Sono gli anni della rottura di un sodalizio di amicizia e di stima
con il suo maestro di sempre Henri de Lubac, a cui continuera' a scrivere
lunghe lettere fino alla morte, senza ottenere risposta".
L'eredita' che lascia e' quella del teologo che rida' una cittadinanza piena
ai mistici. "De Certeau e' stato anche un grande teologo - annota la
Morra -, fa sua la grande intuizione che viene dal Concilio Vaticano II che
rida' una voce ufficiale alla teologia mistica e riabilita quel percorso per
arrivare a Dio, visto con sospetto dalla Chiesa tridentina".
Ma forse l'approccio piu' genuino per capire oggi, a vent'anni dalla morte,
Michel de Certeau sta nel tornare con la mente ai suoi funerali, avvenuti a
Parigi nella chiesa di Saint Ignace, in rue de Sevres, il 13 gennaio 1986.
"La cosa che sorprese di piu' di quella celebrazione - riflette lo studioso
Salmann - era che ai suoi funerali era presente tutta la Francia accademica
e non credente che si inchinava di fronte a questo figlio di sant'Ignazio
'molto originale'. E la cosa che colpi' di piu' fu lo svolgimento della
funzione: si ascoltarono i versetti sulla "follia di Cristo" di san Paolo,
un frammento degli stupendi Cantiques spirituels di Jean Joseph Surin, e
come inno d'addio, la voce di Edith Piaf che canta: Non, rien de rien, non,
je ne regrette rien... Penso che in tutta questa narrazione finale delle
esequie si puo' capire meglio che in ogni altra cosa, la sensibilita' di
questo spirito, un 'barcaiolo' che naviga a vista tra le sponde del sapere e
del non sapere, tra fede e non fede".

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 221 del 23 settembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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