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La domenica della nonviolenza. 125
- Subject: La domenica della nonviolenza. 125
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 19 Aug 2007 11:07:07 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 125 del 19 agosto 2007 In questo numero: 1. "Diotima": Per Angela 2. Angela Putino: Impersonale della politica 3. Chiara Zamboni: Angela Putino commenta Simone Weil 1. MEMORIA. "DIOTIMA": PER ANGELA [Da "Per amore del mondo", rivista on line della comunita' filosofica femminile "Diotima" (www.diotimafilosofe.it), estate 2007. Angela Putino, filosofa femminista, saggista, impegnata nelle iniziative del movimento e del pensiero delle donne, docente di bioetica all'Universita' di Salerno, acutissima studiosa di Michel Foucault e di Simone Weil, promotrice del sito www.adateoriafemminista.it , e' deceduta il 16 gennaio 2007. Tra le opere di Angela Putino: (a cura di, con Sergio Sorrentino), Obbedire al tempo. L'attesa nel pensiero filosofico, politico e religioso di Simone Weil, Esi, 1995; Simone Weil e la passione di Dio. Il ritmo divino nell'uomo, Edb, 1997, 1998; Amiche mie isteriche, Cronopio, 1998; Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, 2006] Angela Putino non e' piu' con noi, se ne e' andata lasciandoci un vuoto. Il vuoto non si deve cercare di colmarlo, lo diceva Simone Weil e Angela aveva cara questa sua lezione. Ma si puo' farlo lavorare, perche' mette in movimento la realta', quel che pensiamo, sentiamo, facciamo. Questa rubrica e' nata attorno a questo vuoto della sua presenza e con le parole e i ricordi che ci ha lasciato. 2. RIFLESSIONE. ANGELA PUTINO: IMPERSONALE DELLA POLITICA [Da "Per amore del mondo", rivista on line della comunita' filosofica femminile "Diotima" (www.diotimafilosofe.it), estate 2007. Il testo seguente e' stato scritto per il Grande seminario di Diotima 2006 "Partire da un'altra parte"] Spesso con la parola "impersonale", soprattutto in luoghi di discorso tra donne, s'intende, seguendo il senso comune, un modo di porsi che prescinde dal corpo. Il termine impersonale viene collegato automaticamente a elementi astratti quali "la popolazione" o "le masse", a procedure depersonalizzanti interne agli studi di genetica e biomedicina, e a tutto cio' che rientra negli ambiti dei sistemi oggettivi di valutazione scientifica; l'impersonale coinciderebbe quindi con una posizione disincarnata. Vi propongo di lasciare alle spalle questa valutazione, altrimenti non riusciremo a sfruttare gli input positivi che vengono dall'uso della parola. * Innanzitutto vorrei mettere di lato la filosofia ed usarla, come poi deve essere fatto, a mio parere, come strumento per distinguere e per individuare certe coesioni di pensiero che attengono ad altri piani. La filosofia conserva e custodisce, attraverso un suo proprio modo di pensiero, un pensiero che accade altrove. Uno di questi "altrove" e' la politica ed io vi propongo percio' di entrare in questa situazione - la politica - dove il termine impersonale riluce pienamente - e non vi e' per esso altro luogo di maggiore evidenza se non quello dell'amore. Ogni politica, degna di questo nome, e quella femminista ne e' stata uno dei centri del Novecento, non muove da un oggettivato interesse, calcolabile e dimostrabile, come oggi potrebbero essere l'insieme degli scambi e delle richieste contati all'interno dell'economia di mercato; ogni politica, dicevo, si avvia, al contrario, a partire da un indimostrabile che e' quanto si fa avanti, nella misura in cui esprime un interesse non oggettivabile. Tale spinta e' il picco comune che viene abbracciato ed assunto da una politica, e da esso discendono una serie di effetti e di conseguenze che ogni militanza - e' il caso di tornare ad usare anche all'interno del femminismo tale nome -, ogni militanza, dicevo, s'incarica di far procedere. L'essere militanti, essere femministe, e' stato proprio questo: portare ai piu' vari ed estremi effetti cio' che si era presentato, cio' che era avvenuto nelle soggettivita', non tenendo conto dell'oggettivita' delle condizioni storiche in quanto non potevano certo essere queste le spinte produttrici dell'evento della liberta' femminile. Cos'era allora questa liberta' femminile che si presenta come evento? Con chiarezza derivava strettamente dall'idea della giustizia che questa politica metteva in gioco: un punto di partenza che riguarda le soggettivita', ma senza chiedersi se e' dimostrabile o meno, se rientra o meno nelle regole politiche che normano gli stati, se risponde o meno alle esigenze ed agli interessi personali. L'assunto iniziale di questa politica, della politica, non e' che uno: e' la giustizia. E questa giustizia viene declinata in maniera particolare tra le donne dell'inizio Novecento: la giustizia non e' giustizia sociale, giustizia rispetto allo sfruttamento, giustizia che richiama la sorveglianza dei diritti umani. Cio' che accade e' una giustizia limpida, chiara: e' che ogni donna pensa. Si', ogni donna e' capace di pensiero, e, nel pronunciare cio', direttamente si coglie che, dalla politica, si e' iniziato. Da questo pensiero della politica sono derivate le questioni della sorellanza, e poi della disparita', poi gli studi di donne, poi i motivi teorici che sostengono una differenza di pensabilita' tra i due generi. Insomma, vari fili hanno cominciato a snodarsi e sono stati svolti da un lavoro di donne militanti. E' il caso di slacciare questa pratica dagli insediamenti di partito. Per pensare in modo politico, come gia' voleva Simone Weil, i partiti sono solo d'impaccio, e la politica delle donne ne e' stata un risplendente esempio. * Come vedete, se, qui, vi chiedo se c'e' dell'impersonale, non fate fatica a riconoscerlo. L'impersonale si condensa intorno a questo punto che discende da un accadere della giustizia, qui, in questa situazione, dichiara qualcosa che prima era invisibile. Non la giustizia era invisibile, ma questa giustizia che accade cosi', che e' accaduta cosi', ed ha modificato una serie di altre situazioni, quella dell'ordine discorsivo, quella delle posizioni economiche e sociali. Essa e' diventata evidente e sono evidenti le sue conseguenze che pero' non possono sostituire quest'iniziale pensiero della politica che afferma la giustizia come indimostrabile punto di partenza. Non esiste, ad esempio, che una regolazione dei diritti, o una differente questione di uguaglianza sociale, divengano i punti di partenza sostituendo quell'iniziale pensiero della politica. Quell'iniziale avvio, quel tipo di evento non puo' essere sostituito; esso e' un enunciato egualitario in modo particolare, dice che cio' che pensa una donna e' pensiero e non interesse di parte, e' pensiero; e che l'uguaglianza e' il suo stesso avvio, il che, se siamo in una reale politica delle conseguenze, significa anche che cio' che lei pensa e' pensiero per tutti. Questo e' il motivo politico per cui nel femminismo si reagisce male ad un'articolazione di altre rivalse, di altre forme di partenza quali i programmi sociali addossati a concetti di persona, di democrazia, ecc. Quella che e' stata presentata e' la giustizia in quanto tale, resa evidente cosi', in questo modo, pienamente attuale. Questa e' una forma della giustizia, direi la piu' alta politicamente, nel secolo scorso e in quello presente - mi auguro - perche' non si e' barattata con vincoli e proposte sociali. Vi occorre altro per capire o sentire, sentire corporeamente, che questo indimostrabile della giustizia, cosi' come e' stato posto nel movimento femminista, e' l'impersonale della politica entro cui noi tutte viviamo? Aggiungo due cose. Non cercate tempi sociali o storici a tutto cio', se vi e' ricaduta sociale e storica di questo pensiero iniziale, ma potremmo anche dire di questo "nome" iniziale, questa giustizia ha suoi tempi interni, cioe' un suo proprio tempo, ed una sua singolarita' per cui se e' circondata da effetti che si intenzionano verso i molti - perche' ogni politica coinvolge i molti - tuttavia perche' esista, perche' sia - potremmo dire perche' sia ontologicamente - non le occorre consenso. Questo evento singolare, con un suo preciso carattere prescrittivo, con una coesione interna di molteplici nomi - uno di questi, liberta' - s'impone; e s'impone in modo impersonale, che non vuol dire oggettivo. E tuttavia questo accadere, accadere nelle singolarita', accadere delle soggettivita' e non degli individui come oggetti, non puo' essere colto se non nel suo rigore, nelle procedure di verita' che lo rendono attuale - pensate che cosa significhi una verita' quando e' il risultato complesso di una discussione che la decide, rinunciando ad ogni principio di autorita', e quando punta al reale, esponendosi innanzitutto alla questione di questa giustizia, e poi alla liberta' di verita', piuttosto che alla liberta' di opinione; pensate, ancora, cosa significhi consentire alle logiche di una discussione accessibili, pur nella loro non semplice coerenza, a chiunque lo voglia, separandosi magari dai quei modi ordinati di parlare dove e' indispensabile che la pluralita' di opinioni rimanga tale, e si schermi da ogni verita'; pensate cosa vuol dire mettere a distanza quelle forme di tiepidezza della critica o quelle voglie di inclusione necessarie per conquistare uno spazio mediatico. * Questo pensiero della politica, mosso dall'iniziale nome di giustizia, che rende evidente cio' che prima risultava invisibile, inizia da qualcosa che non si traduce in oggettivita', ne' in forme di adesione ai comportamenti politici esibiti in base alle logiche degli interessi personali; esso e' il rigoroso impersonale delle soggettivita' ed e' politica proprio perche' non puo' essere decifrata in base a null'altro: non attraverso concetti di democrazia, di diritto, di eguaglianza sociale o linguistica. Capiamo anche che la rincorsa a riempire di soggettivita', di tratti individuali o di sentire circoscritti, questo percorso, non regge. Esso non puo' essere colorato dalle soggettivita', e' esattamente il contrario: le soggettivita' si lasciano attraversare da questo evento, e sono tali perche' si colorano e si mutano in rapporto alla politica. Sono singolarita' dell'impersonale. Possiamo fare delle teorie nella militanza - militanza riferita a questo iniziale evento della politica, a questo impersonale - e le teorie sono sempre molteplici. Le teorie hanno sempre a che fare con i modi stessi con cui scegliamo di vivere e con le soluzioni che mettiamo alla prova, e non restano percio' nel parlamentarismo delle opinioni. Al riguardo, vi invito a visitare la rivista in rete: www.adateoriafemminista.it 3. MEMORIA. CHIARA ZAMBONI: ANGELA PUTINO COMMENTA SIMONE WEIL [Da "Per amore del mondo", rivista on line della comunita' filosofica femminile "Diotima" (www.diotimafilosofe.it), estate 2007 riprendiamo il seguente saggio di Chiara Zamboni dal titolo "Il reale risuona di un'intima estraneita'. Angela Putino commenta Simone Weil". Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997; Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori, Napoli 2001. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Quando ho visto in dicembre in libreria Simone Weil. Un'intima estraneita' (Citta' Aperta, 2006) (1) l'ho comperato subito e alla sera ho telefonato ad Angela Putino, che ne aveva tante volte annunciato l'uscita. Ci stava lavorando da tempo e con quei dattiloscritti aveva attraversato la malattia grave che l'aveva tenuta tra la vita e la morte. Mi sembrava un bel libro, le avevo detto, da centellinare frase per frase. L'avrei messo nello zaino e poi in autobus, in un bar prendendo qualcosa, a casa, qui e la' me lo sarei aperto per leggerlo. Ero contenta, le dicevo, perche' era un libro che coniugava tre grandi passioni comuni: Simone Weil, la matematica, Lacan. Volevo farne una recensione. La sentivo sorridere nel tono della voce. E ora che Angela e' morta e' molto piu' difficile scrivere la recensione che avevo promesso. Ed e' vero pero' che scriverla e' continuare un filo con lei. * Inizio dunque dal grande spazio che Angela dedica alla matematica per capire il percorso inventivo di Simone Weil. In genere si leggono i Quaderni di Simone Weil isolando le parti che dedica alla matematica: annotazioni sulla geometria, sulla teoria delle funzioni, sulla insiemistica e il sistema dei transfiniti. Le si mette tra parentesi mentalmente e si passa alle parti piu' filosofiche. Nel libro Angela si comporta in modo opposto. Parte proprio dalla presenza della matematica per capire a fondo le posizioni filosofiche della Weil. Simone Weil conosceva molto bene il dibattito sulla matematica del suo tempo. Nel 1937 aveva partecipato al primo congresso del gruppo di ricerca matematica piu' importante allora in Francia - il gruppo Bourbaki. E questo perche' suo fratello Andre' Weil ne era uno dei fondatori. Tra sorella e fratello c'era un forte rapporto riguardo molti aspetti come l'amore per la cultura orientale, a cui Andre' aveva introdotto la sorella, ma soprattutto la matematica, nella quale Andre' eccelleva fin da ragazzo. Anche sulla matematica, come su altre questioni si scontravano, ma si fidavano l'uno dell'altro. Nella storia della matematica del Novecento il gruppo Bourbaki e' stato importante per aver lavorato a strutture formali, in particolare nel campo della teoria delle funzioni e dei sistemi infinitari in particolare topologici, che sono legati alla teoria delle funzioni. Cose' attenti ai processi di formalizzazione, che Simone Weil prendeva in giro il fratello come dedito a bizantinismi. A Simone la matematica interessava come via per dare una forma al sovrannaturale. Come strada per cogliere il rapporto tra realta' e l'impossibile della realta' a partire da quel particolare sistema di pensiero che la matematica rappresenta. Quindi un rapporto con questa scienza mai fine a se stesso, dove la matematica non viene intesa come sistema convenzionale di segni, in senso nominalistico, ma implicata sempre nel movimento del mondo e orientata al reale. * Ed Angela Putino la riprende esattamente a partire da questa prospettiva weiliana. Il campo privilegiato da cui parte e' quello della matematica infinitaria, quella in particolare elaborata da Cantor. Non era l'unico modo per vedere come Simone Weil si riferisse alla matematica per cogliere il modo di darsi del reale. Ad esempio avrebbe potuto partire dal numero che Simone Weil adopera come mediatore tra l'uno e l'illimitato, in particolare in La Grecia e le intuizioni precristiane (2), dove per lei l'uno e' Dio ed e' lui a limitare. Oppure a partire dalla funzione come possibilita' di relazione a variazione precisa (3). Essa permette la relazione tra piani diversi della realta', a cui la Weil era particolarmente attenta. Angela invece privilegia la matematica infinitaria dei numeri transfiniti di Cantor. Perche'? Quello che le interessa e' porre al centro della riflessione l'infinito attuale. L'infinito attuale puo' essere pensato come un segmento limitato nel suo inizio e nella sua fine, che puo' essere diviso all'infinito e dove una sua parte infinitamente piccola e' ancora divisibile all'infinito. La sua bellezza sta nel fatto che e' un infinito tutto dato, attuale, che contemporaneamente accetta dei limiti ben precisi. Il segmento divisibile all'infinito inizia e finisce infatti in punti definiti. Per Simone Weil era fondamentale questa accettazione del limite nell'essere infinito. Le permetteva di ragionare su qualche cosa che si apriva infinitamente, ma in modo esatto e rigoroso - segno di una dimensione sovrannaturale -, a differenza dell'infinito senza limiti, apeiron, o illimitato, che risulta essere la cifra del mondo che viviamo, con i suoi desideri indefiniti, con ansie e comportamenti sproporzionati. In particolare, secondo Angela, la Weil era interessata alla matematica transfinita di Cantor, perche' Cantor aveva lavorato alla serie degli insiemi infiniti, che hanno la caratteristica di essere infiniti attuali. Essi stanno in successione tra loro creando una nuova serie. Ora la successione degli infiniti attuali parte da un primo infinito che e' chiamato "aleph con 0", cioe' un primo insieme infinito attuale che non e' niente, non ha nessun contenuto. E' una posizione vuota. Angela sostiene che Simone Weil doveva per forza di cose essere interessata a questo primo insieme infinito attuale, che e' un niente, perche' piu' volte parla, sul piano filosofico e religioso, di quell'infinitamente piccolo, che e' un niente e che apre dall'interno la necessita' stessa del mondo che viviamo. Dio l'ha collocato di nascosto in questo mondo e poi se n'e' andato. Per Angela e' molto importante che Simone Weil arrivi all'infinito attuale che e' "aleph con 0" attraverso la teoria cantoriana del transfinito, cioe' attraverso un sistema matematico, per un motivo preciso da un punto di vista filosofico. Il fatto e' che altrimenti si potrebbe parlare in termini generici e un po' romantici di un infinito attuale assoluto, che noi cercheremmo nelle nostre vite semplicemente per rendere un po' meno mediocre la nostra esistenza. L'infinito attuale sarebbe allora sciolto da legami, senza limiti, e in un certo senso riportabile all'illimitato. Invece nella Weil viene guadagnato attraverso un sistema rigoroso di segni matematici. E' questo che interessa molto ad Angela: mostrare che l'infinito attuale e' postsimbolico, ovvero vi si arriva nel percorso di un attraversamento del simbolico. Angela insiste: non va mai pensato come presimbolico. A me sembra effettivamente questo un punto centrale del pensiero di Simone Weil e giustamente Angela lo mette in evidenza: e' possibile accedere a quell'infinitamente piccolo, a quel niente che apre dall'interno i contesti in cui siamo, attraversando i contesti stessi, patendoli con le loro regole, con i loro linguaggi, i loro segni. E' solo attraverso il linguaggio, che e' la piu' grande possibilita' e il piu' grande limite che abbiamo, che noi possiamo arrivare a concepire, a cogliere rigorosamente cio' che va oltre il linguaggio, e che solo il linguaggio ci fa presentire accennandovi. Altrimenti questo oltre e' qualcosa di immediato, generico, fumoso. E da qui si coglie un primo passo per capire il titolo dato al libro: un'intima estraneita'. Quell'infinitamente piccolo, quel niente che apre l'intreccio di legami che viviamo, facendoci presentire altro, e' estraneo a tale intreccio, ma lo possiamo cogliere solo dall'interno di tale intreccio. Per questo ci e' estraneo e intimo allo stesso tempo. Mi sembra molto bello che Angela Putino insista sulla caratteristica di infinito attuale, come qualcosa che e' niente e attuale al medesimo tempo. E su questo ragiona molto piu' di quanto non faccia Simone Weil. Il granello di luce, che e' tutto dato, non ha potenzialita' latenti, lati oscuri e velati, per i quali possiamo arrogarci il potere di svelarlo. Per il fatto che e' tutto attuale possiamo solo fargli spazio nel simbolico, non pretendendo di portarlo da una condizione latente - presimbolica - ad una manifesta. La sua esistenza e' gia' perfettamente presente, solo che e' pochissimo visibile. Tutti, afferma la Weil, ne hanno la percezione, come minimo nei momenti in cui sono attratti dalla bellezza. Solo alcuni pero' si adoperano perche' quel punto di attrazione abbia piu' spazio. * La psicanalisi e' un'altra strada seguita da Angela Putino per avvicinarsi a Simone Weil. Certo Freud per il concetto di pulsione, ma soprattutto Lacan. Gli scritti di Lacan rappresentano per Angela una chiave per aprire e ragionare sulla concezione di reale di Simone Weil distinta da quella di realta'. Iniziamo dalla realta'. La realta' e' quella che e' descritta dai linguaggi dominanti. Essi indicano sempre che cosa sia la realta' e dunque cosa prendere in considerazione del mondo che ci circonda, tralasciando il resto. Ma se vediamo il dispositivo epistemico anche dalla sponda opposta, allora sono i linguaggi dominanti che hanno bisogno e sono sostenuti dal concetto di realta', che rappresenta il fondamento per la loro possibilita' di parlare di qualcosa. Tra simbolico dato e realta' c'e' in questo senso una complementarita'. Il paradigma e' speculare e percio' chiuso dai due poli, che si riflettono tra di loro. Lacan direbbe: e' ponendo se stesso, autoaffermandosi, che il simbolico pone la realta', di cui esso ha necessita'. Ma c'e' qualcosa che sta ai limiti del simbolico e che non e' simbolizzabile nei linguaggi dominanti. Simone Weil lo chiama granello di luce, attimi di verita', di giustizia, di divino. Lacan gli da' ben altri nomi: morte, orrore del non rappresentabile. Comunque, nonostante la tonalita' completamente diversa delle immagini adoperate, sono momenti che non si possono simbolizzare. Impossibili al linguaggio dominante. Sono essi ad essere dell'ordine del reale. Angela non si ferma alla diversita' delle tonalita' adoperate da Weil e Lacan. Vede soprattutto l'elemento di svelamento della realta' che l'esperienza del reale riesce a darci. Con le parole di Weil: noi viviamo la realta' guidati da leggi di necessita' dove la forza da' la misura. E viviamo come immersi in una specie di sogno rappresentato dalla forza. Gli attimi di verita' e di giustizia che sperimentiamo ci pongono di fronte al mondo retto dalla forza, facendoci uscire dal sogno, cioe' dall'incantamento che ci fa credere che questa sia l'unica realta'. L'esperienza del reale, sotto il cui segno si pongono gli attimi di verita' e di giustizia, e' l'esperienza di un niente che pero' ci da' uno sguardo disincantato sulla realta' che viviamo come sogno. Ce la fa vedere frammentata com'e' e non presa dalla rete di un unico significato dominante. Ce la fa vedere nella sua insensatezza e nei suoi molteplici orientamenti. Meglio, semplicemente, ce la fa vedere. Come il bambino della fiaba di Andersen che mostra che il re e' nudo, pur rimanendo sempre il re, ma ormai privo di quell'in piu' che l'immaginazione dona al potere. E' da Lacan che Angela prende il termine di extimita', che traduce con "estranea intimita'" per dire l'esperienza di una verita', che ci sorprende "luccicando", come direbbe Lacan, ai limiti del simbolico. Questo luccichio ha a che fare con l'inconscio, anche se questo e' un termine che Angela preferisce adoperare pochissimo pur rifacendosi a Lacan e Freud. Preferisce chiamarlo impersonale, usando il termine filosofico adoperato da Weil. Angela pone un'equivalenza tra l'"impersonale" e l'es della psicoanalisi freudiana. Riprende il commento di Lacan alla frase di Freud "Dove era es, deve (soll) diventare l'io" e scrive: "Il punto dell'es. Il punto di fuga dell'es. L'impersonale in Weil... [La parola dell'es]: parola inappropriabile e percio' in comune. Parola della comunita' senza garanzie ed eternamente solcata nei testi e nelle tradizioni da un modo straniero e intimo...: essa e' accesso ad una sconcertante sorpresa, a un intempestivo fluire di un'estraneita' non addomesticabile, a un accadere che e' intimo a quei luoghi e pure non contenuto nelle molte letture che li hanno scavati" (p. 152). * In altre parole al centro della soggettivita' c'e' qualcosa di totalmente impersonale. E l'andare a fondo della verita' soggettiva ci fa accedere all'impersonale, che non e' soggettivo. Che ha a che fare con la comunita'. Si tratta di una situazione simile a quella che Weil stessa descrive. Cito dalla Weil: "Come gli indu' hanno visto, la grande difficolta' per cercare Dio e' che lo portiamo al centro di noi stessi. Come andare verso di me? Ogni passo che compio mi conduce fuori di me. E' per questo che non si puo' cercare Dio. Il solo procedimento e' di uscire da se' e di contemplarsi dall'esterno. Allora dal di fuori, si vede al centro di se' Dio tale qual e'. Uscire da se' e' la rinuncia totale ad essere qualcuno, il consenso completo ad essere qualcosa" (4). Ho riportato questo passo di Simone Weil, perche' mi sembra un buon esempio di un'estranea intimita': quanto piu' si va verso di se', tanto piu' questo implica un uscire da se'. E' allora che ci si vede in una luce di verita', nell'ordine del reale. E' la via per la quale l'inoltrarsi nella soggettivita' conduce all'impersonale. Non tanto o non semplicemente alla condizione di "stranieri a se stessi" come la formula cara a Julia Kristeva suggerirebbe, quanto ad una sperimentazione all'accesso del tutto singolare che ognuno di noi ha con l'inconscio. E l'inconscio ha un legame segreto con la comunita'. Con l'impersonale. Non e' mai il "mio" inconscio. Nell'accostare Simone Weil a Lacan, Angela si spinge a sostenere che Lacan ha un debito nei confronti della Weil, di cui conosceva i testi e che cita nel Libro V dei seminari. Ma quel che e' piu' interessante vedere e' come la sua conoscenza di Lacan le permetta di articolare meglio certe questioni della Weil. Lo stesso desiderio di niente, che e' un tema weiliano, viene fatto risuonare in tutte le sue implicazioni attraverso il desiderio di niente proprio di Lacan. E l'effetto dal punto di vista del pensiero e' simile. Ad esempio il desiderio di niente, di infinito, e' circolarmente effetto di quel niente, di quell'infinito che e' in gioco nelle nostre vite. Non avremmo desiderio di niente se quel niente non ci attraesse. Percio' tale desiderio e' gia' dimostrazione dell'esistenza di quell'infinitamente piccolo che ci attrae. Su questi temi - desiderio di niente, reale e realta' in Weil e Lacan - era intervenuta anche Hadwig Mueller con un libro notevole, purtroppo non pubblicato in Italia (5). Molto piu' fine tuttavia e' l'attenzione di Angela ad articolare un niente, i niente, come singolarita' molteplici che si guadagnano attraversando il simbolico. Postsimbolici. Ogni singolare niente e' un infinito attuale, che in un determinato contesto brilla di un particolare fulgore. E' in questo senso che e' incarnato nel contesto. Si tratta di una idea di incarnazione molto diversa da un Uno che si incarna nel molteplice. Qui si parte direttamente dai molteplici fulgori che possiamo scoprire ad esempio in un evento, o in una certa costruzione architettonica, o in un popolo in un suo momento particolare, e cosi' via. Infiniti attuali che non possiamo imitare ripetendoli, ma possiamo cogliere la' dove avvengono sempre di nuovo. Fragili, percio' perdibili. E la loro bellezza sta anche nella loro fragilita'. Stando prossima al niente, e' molto facile scivolare nel nichilismo. Angela lo evita criticando proprio quel nichilismo triste che fa di ogni mancanza un non essere e di ogni presenza l'essere. Vuole sottrarre i niente molteplici - gli infiniti - a questa riduzione ontologica all'essere a al non essere. * Angela prende dalla psicoanalisi anche la teoria delle pulsioni, come e' stata presentata da Freud e poi articolata da Lacan a partire dal seminario IV. L'adopera in modo molto originale per leggere un altro concetto fondamentale di Simone Weil, quello di sventura. Putino interpreta il concetto di sventura come l'affidarsi senza consapevolezza alle leggi della forza, non solo subendole, ma avendo un oscuro guadagno dalla propria posizione di dominato. Che guadagno? E' qui che entra in scena la teoria delle pulsioni. Sono pulsioni quelle che possiamo vedere in atto - secondo Angela - in quell'infinito indeterminato, illimitato, fondo oscuro, che Simone Weil, richiamandosi ad Anassimandro, chiama apeiron. Alla lettera "senza limiti". Per una mossa inconscia di rimozione le pulsioni orientate all'oggetto arcaico e fondamentale vengono vissute da noi come pulsioni libere, senza oggetto. Rimuoviamo l'oggetto e dunque le pulsioni ci si presentano come un brulicare senza orientamento, indeterminato, illimitato, inquietante. Essendo senza oggetto, a loro volta ci desoggettivizzano, dato che c'e' complementarita' tra soggetto e oggetto. Per questo ci fanno paura. Costituiscono quel brulicare indeterminato dell'apeiron che ci fa orrore perche' fondamentalmente mette in questione la nostra soggettivita'. Per questo ci affidiamo facilmente alle ideologie totalitarie e alle posizioni di forza: esse governano questo brulicare dandogli una forma. In altre parole ci permettono di trovare una unita' e una soggettivita' riconosciuta socialmente. L'angoscia di fronte alla indeterminatezza del formicolare delle pulsioni ci spinge verso narrazioni ideologiche, compatte, senza smagliature nella rete del senso. Esse ci permettono di essere inclusi in insiemi omogenei e sensati, descritti da leggi unitarie, che tagliano e rigettano quel lato oscuro dell'esperienza pulsionale, che resta estraneo all'opposizione inclusione/esclusione. E' questa per Angela la condizione della sventura: accettare questa inclusione per desiderio di un senso, di una soggettivazione. E senza rendersene conto. Tanto che per lei l'uscita da questa condizione sta nella mossa del prendere consapevolezza di questo meccanismo in cui si e' impigliati. Questo e' possibile attraverso un pensiero mosso dal reale, dall'accadere di un infinitamente piccolo nel meccanismo di inclusione/esclusione, piccolo granello di niente che, imprevisto nel dispositivo del simbolico dato, ci fa da leva per vedere quel che avviene. E questo stesso vedere ci modifica. * Pur essendo un testo molto teorico - questo di Angela - tuttavia c'e' da parte sua una grande consapevolezza di una serie di questioni tutte aperte nel dibattito contemporaneo per precisi motivi politici. E' vero infatti che parla di sventura, interpretando i testi di Weil sulla condizione operaia, sulla Germania totalitaria, tuttavia la risonanza va al dibattito contemporaneo sui meccanismi del potere che offrono processi di soggettivazione. Penso al dibattito dopo Foucault su queste questioni. Ad esempio a quel che scrive Judith Butler sulla soggettivazione come processo di assoggettamento in La vita psichica del potere. Ma al potere e alla forza, che pure sono effettivi, Angela Putino contrappone qui l'accadere dell'infinitamente piccolo, dell'infinito attuale con una nettezza e una determinazione estranea ai suoi testi precedenti su questi stessi argomenti. Contrappone cioe' qualcosa che e' di un ordine diverso dalla forza del potere. Cosi' anche entra in merito direttamente sulla questione della differenza delle donne come un nodo certo teorico, ma anche fortemente politico. E lo fa a partire anche qui dal concetto di sventura. Le donne, per Angela, sono nella condizione della sventura per il fatto che la loro esperienza piu' intima e' insignificante nel simbolico dominante. Vivono una condizione di miseria simbolica nella misura in cui il loro desiderio e quello dell'inclusione nei codici sociali. Quel che fanno e sono e' insignificante nei limiti del simbolico dominanante. Sono dunque - per Angela - senza significazione propria. Presenti per il lato incluso e per altro assenti al simbolico. La loro verita' e' muta, afasica, senza parole. Piu' che descriverle come eccedenti o appartenenti al "fuori" del simbolico dominante, sono per Angela in una condizione che sta a lato della distinzione soggetto-oggetto. Per descrivere questa situazione femminile lei adopera il termine "abietto" che Kristeva ha introdotto in Poteri dell'orrore. Abietto e' qualcosa che e' rigettato inconsapevolmente. Molto diverso dunque da una semplice esclusione rispetto all'essere incluse nel simbolico dominante. L'esclusione infatti puo' essere sempre ricontrattata rispetto ai confini di cio' che e' incluso e includibile. Si pensi oggi alla contrattazione sui diritti dei migranti che ha come modello quello dell'allargamento dell'area dei diritti e dunque dell'inclusione, limitando l'esclusione. Le donne stesse possono ricontrattare i diritti di inclusione - piu' presenza in parlamento ad esempio. Ma per Angela Putino sono si tratta di questo: tutto cio' che e' rigettato e' abietto, insignificante, senza decifrazione possibile. Muto. Cio' che la differenzia da Kristeva e' che mentre per Kristeva l'abietto si colloca in un presimbolico, in un legame arcaico con il materno prima dell'entrata nel simbolico, per Angela invece la condizione di sventura delle donne e' totalmente simbolica e puo' diventare rivoluzionaria con un passaggio postsimbolico. Infatti l'infinitamente attuale puo' essere colto nella sua singolare incarnazione. La cosa non va da se', ma attraverso una discesa nel dolore. Cosi' le donne possono aprire l'accesso all'infinito attuale - al granello di verita' e di giustizia - solo attraversando la loro particolare incarnazione, subendo consapevolmente la sventura, cioe' la loro condizione di insignificanti nel simbolico dominante. La loro miseria simbolica. E' in questo modo che possono fare da ponte all'infinito attuale, ai momenti di verita' intensa. Invece di ricercare l'inclusione che le renderebbe soggettivita' perfettamente contabili nell'insieme che include anche gli uomini, Angela invita a restare in una condizione "abietta", di singolarita' molteplici non incluse in un insieme definibile, non comprese in una numerabilita' di una piu' una piu' una. Per Angela subire passivamente e attraversare consapevolmente questa condizione puo' far si' che le donne facciano da ponte all'infinito attuale e cioe' alla consapevolezza del reale. Della verita'. Se prendono questa condizione della sventura come punto simbolico di leva, come condizione di movimento, il loro essere abiette le pone piu' vicine alla verita'. Al reale. Mantengono la loro capacita' rivoluzionaria. * Con questo libro Angela continua la sua polemica gia' aperta con Amiche mie isteriche (1998), dove criticava il pensiero della differenza sessuale quando le sembrava che delineasse un campo di appartenenza, un terreno proprio, senza lasciarsi contaminare e trasformare dal reale. E apre anche una polemica nei confronti di tutte le forme politiche dell'inclusione che molte donne propongono e contrattano seguendo la logica del massimo dei diritti. Non posso dimenticare il testo molto bello che Angela ha presentato al grande seminario di Diotima nell'ottobre 2006, dove parlava di rivoluzione femminista. Una rivoluzione che per lei poteva prendere nuove strade inventive e di verita'. Mi sembra che con questo libro lei indichi la trama attuale della rivoluzione femminista, che le stava a cuore. * Vorrei concludere portando l'attenzione sullo stile di scrittura di questo libro. Uno stile fortemente teorico. E si sa che lo stile e' il modo di rivelarsi di chi scrive ed ha sempre a che fare con le scelte di contenuto del testo. In un certo modo Angela rivela lo stile e lo tematizza quando parla della verita' come amica del pensiero astratto. Per Angela la verita' non e' un contenuto concreto. Puo' essere guadagnata in tante pratiche diverse. E sembra che stia raccontando di se' quando parla di una verita' che si coglie a partire da una pagina schematica, da degli appunti, da qualche formula. Perche' la verita' - e qui cito direttamente - "e' amica del pensiero astratto. E si puo' viaggiare con lei come verso il regno dei morti, con poche parole, quelle che Simone Weil amava, e che venivano deposte sul petto del defunto... Sono le parole del passaggio". Dunque questa verita' permette passaggi. Non tanto, a me sembra, ad un altro mondo, ma ad un modo diverso di stare in questo stesso mondo. Certo ad Angela non interessa ridurre tutto ad astrazione perdendo il rapporto con la realta'. Anzi, per lei l'astrazione e' data piuttosto dallo scarto contemplativo, dall'"acuirsi delle dimensioni inventive entro cui si insinua l'estaticita'". Cosi' riesce a dare degli affondo della realta', coglierne aspetti altrimenti invisibili. Occorre invenzione creativa per restituirci la singolarita'. Strada molto diversa dal ridurre il discorso al concreto, sottostando alla sua ideologia che e' effetto di una diffidenza nei confronti del pensiero, della liberta' e del movimento di trasformazione. La riduzione ideologica al concreto finisce per essere dettata da un nichilismo triste, che si impedisce qualsiasi invenzione e qualsiasi contemplazione estatica, tracciando le linee di un mondo chiuso su se stesso e allo stesso tempo sordamente violento. L'amore per il reale e' molto diverso dal realismo dei fatti. La qualita' estatica del pensiero di Angela tesse una scrittura in cui i singoli passaggi hanno risonanza poetica. Quello che lei attribuisce a Simone Weil - di avere un pensiero poetico - lo si puo' ridire anche di questo suo libro. * Note 1. Angela Putino, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' aperta, Troina (Enna) 2006. 2. Cfr. Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, trad. it. di Margherita Harwell Pieracci e Cristina Campo, Borla, Roma 1984, p. 222. 3, Cfr. ivi, p. 216. 4. Simone Weil, La connaissance surnaturelle, Gallimard, Paris 1950, p. 233. 5. Cfr. Hadwig Mueller, Die Lehre vom Umbewussten und der Glaube an Gott. Ein Gespraech zwischen Psychoanalyse und Glauben. Jacques Lacan und Simone Weil, Patmos, Duesseldorf 1983. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 125 del 19 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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