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Nonviolenza. Femminile plurale. 122
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 122
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Aug 2007 12:07:05 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 122 del 16 agosto 2007 In questo numero: 1. Una opportuna premessa al dibattito che segue 2. Rosi Braidotti, Donna Haraway, Juliet Mitchell, Joan Scott. Un dibattito nel 2000 su "Sapere, sesso, politica" (parte prima) 1. RIFLESSIONE. UNA OPPORTUNA PREMESSA AL DIBATTITO CHE SEGUE Alcune delle riflessioni svolte nel dibattito che di seguito riportiamo inducono a qualche perplessita'. Per un verso esse si riferiscono ad una situazione - ad una percezione della situazione - che le stragi dell'11 settembre 2001 e gli eventi successivi hanno traumaticamente e profondamente modificato; per un altro taluni dei ragionamenti svolti ci sembrano fortemente autoreferenziali all'interno di un ceto universitario che, quantunque sia nelle societa' opulente (e nei ceti dominanti delle societa' rapinate) un fenomeno di massa, ci sembra stia perdendo ogni giorno di piu' il contatto con la realta' (e le vicende dei cosiddetti "forum sociali" - che oltre ad essere anche tante buone cose sovente sono anche kermesse di un ceto privilegiato di turisti, cattedratici, funzionari di ong e burocrati di ogni apparato superfetati dal sistema di dominio - ci sembra che anche questo eminentemente rivelino); per un altro verso ancora ci sembra sottovalutino gli abissali rischi dei processi tecnologici in corso e la catastrofe storica ed esistenziale di cui essi sono gia' ora portatori - ed al riguardo sarebbe da rileggersi ancora e sempre le antiche pagine di Guenther Anders. * Chi scrive queste righe ritiene che l'intellettualita' occidentale stia veramente danzando sul Titanic; e ritiene altresi' tragicamente ben comprensibile il cupo e sordo disprezzo nei confronti del nostro pensare e discutere da parte di chi venendo dall'orrore di cinquecento anni di feroce colonialismo occidentale e credendo di portare un messaggio salvifico o palingenetico ogni sentimento di affinita' umana nei nostri confronti dismette, e in noi vede solo rapaci imbellettati che nulla meritano se non la sventura piu' furiosa e fulminea. E tuttavia chi scrive queste righe crede che le risorse morali ed intellettuali dell'esperienza occidentale siano tutt'altro che esauste, e che ad esempio dal pensiero delle donne, da quella che fu - or non e' guari - la nuova ecologia, e dalla storia travagliatissima del movimento operaio, ed in una piu' lunga durata dalle lotte politiche e sociali per la liberta' di pensiero e di espressione, per la democrazia, per la fondazione giuridica dell'organizzazione delle societa' come guarentigia dei diritti di ogni individuo, ebbene, la nonviolenza erediti straordinari tesori da mettere ancora e sempre in valore e in comune. Giacche' chi scrive queste righe crede che la nonviolenza effettualmente sia, hic et nunc, quel "varco attuale della storia" di cui diceva Capitini, eredita' ed inveramento del sogno e del progetto di un'umanita' fraterna e sororale, responsabile e liberata, dialogica e conflittuale e quindi ancor piu' maturamente dialogica: figura di un'internazionale futura umanita' - gia' compresente ogni volta che la persona buona la cosa buona sceglie ed introduce nel mondo - certo non affrancata dal dolore biologico ed esistenziale, ma che anche quel dolore, in una diversa e piu' nitida perche' autocosciente reciproca e comune benevolenza, sapra' e potra' lenire e recare a miglior ermeneusi ed affrontamento, piu' misericorde gestione e riconoscimento, proprio perche' contrastando il dato storico dell'oppressione dell'uomo sull'uomo che tanto contribuisce ad ogni umana sofferenza con cio' stesso vien riducendo non solo il carico complessivo di sofferenze ma anche le sofferenze ineliminabili perche' inscritte nello statuto naturale dell'essere umano. * Con tutto cio' ci e' sembrato opportuno - dopo esserne stati per mesi incerti - proporre il testo seguente alla riflessione di chi ci legge, per vari motivi: come documento di una temperie e di una crisi; come occasione di accostamento ad alcune autrici che molto abbiamo apprezzato e che per piu' versi ci sono maestre; come proposta di un repertorio di temi e conflitti e ricerche comunque ineludibili; finanche come caso di studio di un interloquire che rivela sempre piu' di quel che dice. 2. RIFLESSIONE. ROSI BRAIDOTTI, DONNA HARAWAY, JULIET MITCHELL, JOAN SCOTT. UN DIBATTITO NEL 2000 SU "SAPERE, SESSO, POLITICA" (PARTE PRIMA) [Dal sito www.caffeeuropa.it riprendiamo il seguente dibattito su "Sapere, sesso, politica" apparso su "Caffe' Europa" 114 del 28 dicembre 2000, e corredato di ulteriori materiali nella rivista "Reset" che lo ha promosso (la traduzione e' di Anna Tagliavini). Rosi Braidotti, nata in Italia, cresciuta in Australia, Rosi Braidotti ha studiato a Parigi e oggi vive e insegna in Olanda, presso l'Universita' di Utrecht, dove e' docente di Women's Studies e dirige la Netherlands Research School of Women's Studies; e' coordinatrice di "Athena", il progetto di scambi e ricerche di Women's Studies nell'ambito del programma "Socrates" della Commissione dell'Unione Europea. Opere di Rosi Braidotti in edizione italiana: (con Patrizia Magli e Nancy Huston), Le donne e i segni, Il Lavoro Editoriale, 1985, Transeuropa, 1988; Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea, La Tartaruga, Milano 1994; Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernita', Donzelli, Roma 1995; Madri, mostri, macchine, Manifestolibri, Roma 1996, 2005; Per un femminismo nomade, Stampa Alternativa, Viterbo 1996;Nuovi soggetti nomadi. Transizioni e identita' postnazionaliste, Luca Sossella, 2002; In metamorfosi. Verso una teoria materialistica del divenire, Feltrinelli, Milano 2003. Donna Haraway, influente pensatrice femminista americana, docente universitaria, saggista, e' nota soprattuttoper il suo Manifesto cyborg, edito in Italia da Feltrinelli. Da un articolo apparso su "La nonviolenza e' in cammino" n. 907 riprendiamo la seguente noitizia "E' nata in Colorado da una famiglia cattolica di origine irlandese. Si laurea in biologia e dopo la seconda guerra mondiale, rendendosi conto dei risvolti politici della militarizzazione della scienza, inizia ad impegnarsi attivamente per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam. Tiene il suo primo corso su donne e scienza nel 1971 all'Universita' di Honolulu. Si trasferisce all'Universita' di Baltimora ed entra in un gruppo femminista socialista cominciando a sviluppare il suo pensiero antirazzista, non sessista e critico delle applicazioni di elettronica, chimica e biologia dell'industria bellica. Pubblica il suo primo libro (Cristal, Fabrics and Fields: Metaphors of Organicism in Twentieth-Century Developmental Biology, Yale University Press, New Haven, 1976) sulla biologia evolutiva e successivamente scrive Primate Visions: Gender, Race and Nature in the World of Modern Science, Routledge, New York and London, 1989, sui vari aspetti della primatologia. Nel 1980 si trasferisce all'Universita' della California a Santa Cruz per insegnare teoria femminista ed inizia a lavorare sul cyborg e, come da lei stessa indicato, 'su altre ibridizzazioni e fusioni tra l'organico, l'umano ed il tecnico, e il modo in cui il materiale, il letterale e il tropico implodono'. Il frutto dei suoi studi e' pubblicato in una raccolta di scritti intitolata: Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, New York 1991. Piu' recentemente ha pubblicato nel 1995 un saggio sulla critica femminista della scienza. Attualmente insegna teoria femminista, studi femministi e cultura e storia della scienza e della tecnologia nel dipartimento di Storia della coscienza all'Universita' della California a Santa Cruz. Una bibliografia minima in italiano: Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995; Donna Haraway, Testimone - modesta @ femaleman - incontra - Oncotopo. Femminismo e tecnoscienza, Feltrinelli, Milano 2000; Rosi Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernita', Donzelli, Roma 1995; Rosi Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 1996; Rivista Decoder, Shake Edizioni Underground, Milano, www.decoder.it; Susan Faludi, Contrattacco. La guerra non dichiarata contro le donne, Baldini e Castoldi, Milano 1992; Pat Cadigan, Mindplayers, Shake Edizioni Underground, Milano; Pat Cadigan, Sintetizzatori umani, Shake Edizioni Underground, Milano, 1998; Pat Cadigan, Folli, Shake Edizioni Underground, Milano, 2000". Sempre da "La nonviolenza e' in cammino" n. 907 riportiamo la seguente scheda estratta da Franco Restaino, Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999, p. 238: "Studiosa di biologia e biotecnologie in una universita' californiana dove ha come colleghe altre femministe (Angela Davis, Teresa de Lauretis), Donna Haraway, dopo alcuni libri specialistici, pubblica nel 1985 l'ormai famoso A Manifesto for Cyborg Science, technology, and Socialist Feminism in the 1980s, cui si fa risalire il 'cyberfemminismo', una delle 'correnti' interne al femminismo degli ultimi quindici anni. Haraway propone una 'giocosa' utopia femminista e socialista radicata nella consapevolezza che siamo al di la' della modernita', siamo nel sistema che l'autrice definisce 'informatica del dominio'. Tutti i concetti 'moderni' di classe, sesso, razza, vengono 'superati' nel concetto di 'cyborg' (individuo meta' macchina - cyb - e meta' organismo - org), che va al di la' del 'genere' e della 'genesi' e consente di guardare a un tipo di societa' con ruolo mobili e intercambiabili e con lavori non piu' 'pesanti' ma 'leggeri' (la cibernetica e' la tecnologia che rendera' possibile il compimento di un processo gia' avanzato in questa direzione). Stiamo tutti diventando dei 'cyborgs', nel senso che la vita di ognuno di noi e' sempre piu' condizionata dalle macchine e dall'informatica. Non bisogna esorcizzare o demonizzare questo processo, ma assecondarlo e utilizzarlo in senso femminista e socialista, trasformandolo in un processo rivoluzionario verso una societa' accettabile e 'gioiosa'". Juliet Mitchell, nata in Nuova Zelanda nel 1940, vissuta in Inghilterra fin dall'infanzia, pensatrice e militante femminista, docente universitaria, saggista, psicoanalista; dopo gli studi a Oxford, ha insegnato fino al 1970 nelle Universita' di Leeds e Reading, insegna ora Genere e societa' presso l'Universita' di Cambridge, e' fellow al Jesus College di Cambridge, e' visiting professor di Letteratura comparata presso la Yale University; redattrice della "New Left Review", impegnata nel gruppo londinese del Women's Liberation Workshop, fa parte della British Psycho-Analytical Society e dell'International Psychoanalytical Association (Ipa). Opere di Juliet Mitchell: Woman's Estate, Penguin, 1971; Psychoanalysis and Feminism. Freud, Reich, Laing and Women,1974, riedito come Psychoanalysis and Feminism: A Radical Reassessment of Freudian Psychoanalysis, Basic Books 2000; Women: The Longest Revolution, Virago Press 1984; (a cura di), Feminine Sexuality. Jacques Lacan and the ecole freudienne, W. W. Norton & Company, 1985; (a cura di), Selected Melanie Klein, The Free Press, 1987; (a cura di, con Ann Oakley), Who's Afraid of Feminism?: Seeing Through the Backlash, New Press, 1997; Mad Men and Medusas: Reclaiming Hysteria, Basic Books, 2001; Siblings, Sex and Violence, Cambridge, Polity Press, 2003; in italiano: La rivoluzione piu' lunga, Savelli, Roma 1972; La condizione della donna, Einaudi, Torino 1972; Psicoanalisi e femminismo. Freud, Reich, Laing e altri punti di vista sulla donna, Einaudi, Torino 1976; Pazzi e meduse. Ripensare l'isteria alla luce della relazione tra fratelli e sorelle, La Tartaruga, Milano 2004. Joan Scott, pensatrice femminista, storica, docente universitaria a Princeton, ha dato un fondamentale contributo alla concettualizzazione e alla pratica della storiografia di genere. Opere di Joan Scott: The Glassworkers of Carmaux: French Craftsmen and Political Action in a Nineteenth Century City, Cambridge, Ma, Harvard University Press, 1974 (trad. francese: Flammarion, 1982); (con Louise Tilly), Women, Work and Family, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1978, Routledge, 1987 (tradotto in italiano nel 1981 e in francese nel 1987); Gender and the Politics of History, New York, Columbia University Press, 1988, nuova edizione, 1999 (trad. giapponese: Heibonsha 1992); Only Paradoxes to Offer: French Feminists and the Rights of Man, Harvard University Press, 1996 (trad. fr.: Albin Michel, 1998; trad. portoghese: Editora Mulheres, 2002; trad. coreana: Sang Sanchi, 2006; Parite': Sexual Equality and the Crisis of French Universalism, Chicago, University of Chicago Press, 2005 (tr. fr.: Albin Michel, 2005; The Politics of the Veil, Princeton University Press, 2007; The Fantasy of Feminist History: Essays, Durham, Duke University Press, 2008. Opere curate da Joan Scott: (a cura di, con Brian Tierney), Western Societies: A Documentary History, 2 voll., New York, Alfred Knopf, 1983, 1999; (a cura di, con Jill Conway e Susan Bourque), Learning about Women: Gender, Power and Politics, University of Michigan Press, 1987; (a cura di, con Judith Butler), Feminists Theorize the Political, New York, Routledge, 1992; (a cura di), Alper, Benedict S. Love and Politics in Wartime: Letters to my Wife, 1943-5, University of Illinois Press, 1992; (a cura di, con James Gilbert, Amy Gilman, Donald Scott), The Mythmaking Frame of Mind: Social Imagination and American Culture, San Francisco, Wadsworth, 1992; (a cura di), Feminism and History, Oxford University Press, 1996; (a cura di, con Cora Kaplan e Debra Keates), Transitions, Environments, Translations: Feminisms in International Politics, Routledge, 1997; (a cura di, con Debra Keates), Schools of Thought: Twenty-five Years of Interpretive Social Science, Princeton University Press, 2001; (a cura di, con Debra Keates), Going Public: Feminism and the Shifting Boundaries of the Private Sphere, Champaign, IL, University of Illinois Press, 2004; (a cura di), Women's Studies on the Edge, Durham, Duke University Press, 2007. In italiano: "Genere: un'utile categoria di analisi storica", in "Rivista di storia contemporanea", n. 4, 1987, ed anche in Paola Di Cori (a cura di), Altre storie, Clueb, Bologna 1996; "Uguaglianza versus differenza", in "Memoria", n. 1, 1989; "La storia delle donne", in P. Burke (a cura di), La storiografia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1993] Al forum che segue, organizzato dalla rivista "Reset", partecipano quattro delle piu' eminenti teoriche, e attiviste, femministe contemporanee, europee e americane. Un appassionato confronto a tutto campo su femminismo, politica, trasformazioni tecnologiche e rapporti intergenerazionali. Il dossier completo appare sul numero 63 di "Reset". * L'identikit delle partecipanti Rosi Braidotti e' direttrice della "Research School of Women's Studies" presso l'universita' di Utrecht. Negli ultimi anni ha attivamente collaborato alla creazione di reti europee e internazionali dedicati agli studi di genere e alla ricerca femminista, coordinando la rete telematica Athena e partecipando alla creazione del programma "Women and Science" presso la Commissione Europea di Bruxelles. Braidotti e' fra la piu' note teoriche femministe attuali, si e' confrontata col postmodernismo, la psicoanalisi, l'epistemologia, il multiculturalismo. Tra i suoi lavori si ricordano: Patterns of dissonance: a study of women in contemporary philosophy; Nomadic subjects: embodiment and sexual difference in contemporary feminist theory. Donna Haraway e' docente di "History of Consciousness" presso l'Universita' di Santa Cruz in California ed e' un'esponente di punta del pensiero femminista contemporaneo. Da una formazione di tipo biologico, Haraway e' passata alla critica sociale della scienza, mettendone in questione l'antropocentrismo. Da qui ha cominciato a ripensare in modo radicale l'interazione che si viene a stabilire tra il vivente e le tecnologie. Il "manifesto cyborg" - in cui il corpo umano viene ridefinito in rapporto alle nuove tecnologie - e' ormai diventato un classico nella letteratura femminista e del pensiero neo-materialista. Haraway e' inoltre nota per il suo impegno politico e per le sue campagne antirazziste. Il suo lavoro piu' recente riguarda i cani, i loro genomi e i rapporti con l'ambiente. Juliet Mitchell insegna "Genere e societa'" presso l'universita' di Cambridge ed e' fellow del Jesus College. Collabora inoltre con centri di psicologia clinica. E' una delle piu' note femministe in campo psicanalitico. Fu infatti una delle prime attiviste e teoriche, che introducendo in ambito anglosassone la teoria lacaniana, promosse il passaggio del femminismo verso una teoria della differenza di genere. Fra i suoi lavori si ricordano: Psychoanalysis and Feminism: A Radical Reassessment of Freudian Psychoanalysis. Joan Scott e' docente presso l'"Institute for Advanced Study" di Princeton. E' una storica, esperta soprattutto sul Settecento franceseo, nonostante si sia anche dedicata all'analisi delle attuali correnti post-strutturaliste. E' inoltre nota in campo femminista per aver introdotto il dibattito sull'uso del concetto di genere, diversificato da quello di sesso. E' intervenuta in tutti i piu' importanti dibattiti sull'epistemologia e la metodologia negli ultimi anni, cercando di indicare l'importanza della ricerca femminista in ambito tanto storico, quanto filosofico. * - "Reset:" Che cosa significa, oggi, "ricerca femminista". Siamo stati abituati a vedere il femminismo come un movimento sociale con compiti e risultati anche di ordine politico. Oggi sembra che non sia piu' cosi'. In questo incontro internazionale di femministe sembra che si tratti di un fenomeno collegato piu' saldamente alla ricerca accademica. Che cosa sta diventando, allora, il femminismo? Qualcosa di meno politico, o per nulla politico? E' ancora un movimento sociale? Sta diventando semplicemente un nuovo campo della ricerca accademica, o qualcosa del genere? - tutte: No, no, no. - Joan Scott: Mi sembra, prima di tutto, che l'idea stessa che non vi sia un movimento politico o sociale sia sbagliata. Ed e' altrettanto sbagliata l'idea che la ricerca accademica non si debba collegare ad esso. Vorrei proporvi l'esempio della ricerca che proprio in questo periodo sto svolgendo sul Mouvement pour la Parite' in France, iniziata alla fine degli anni Ottanta. Questo movimento voleva una pari rappresentanza per uomini e donne nei partiti politici, nonche' nelle cariche politiche. Oggi c'e' parita' almeno nelle liste elettorali per le elezioni comunali, regionali ed europee: tali liste debbono essere composte per meta' da donne e per meta' da uomini, e si deve garantire che le donne non siano collocate tutte in fondo alla lista, mentre gli uomini ne occupano le prime posizioni. Per questo, ogni sei nomi, tre sono femminili. Questo e' un esempio di femminismo come movimento politico. Contro di esso sono state mosse numerose critiche, ma dobbiamo riconoscere che la pratica si e' dimostrata estremamente efficace nell'incrementare la possibilita' di accesso delle donne alla politica e alla rappresentanza elettorale. Eppure le sue richieste erano strettamente legate ai temi della ricerca femminista, che rappresentavano la posta in gioco tanto in Francia come negli Stati Uniti in generale. Per queste ragioni, non ritengo corretto accettare questa idea della separazione tra la ricerca femminista e il movimento politico. * - "Reset": Sulla base dei commenti di Joan Scott, potremmo affermare che e' un errore sostenere che il movimento politico femminista e' scomparso. Ma forse non e' sbagliato dire che l'onda del femminismo in quanto movimento politico e' in calo. - Donna Haraway: Dipende dal punto di vista. E' certamente vero che i movimenti di liberazione e i movimenti sociali di ogni genere hanno attraversato periodi di crisi e di decostruzione. Il mio punto di vista, comunque, tiene conto di una piu' ampia diversificazione, differenziazione e interazione tra i movimenti sociali. Il movimento femminista informa, per esempio, ampi segmenti dell'ambientalismo contemporaneo, il lavoro politico fatto sui posti di lavoro relativi all'informazione, nonche' la costruzione dei sistemi informatici. Sono al corrente di questa tendenza grazie alle mie colleghe che operano nel settore degli studi scientifici. In questa particolare area di ricerca accademica e professionale, e' certo che esiste un'area di lavoro femminista molto forte. Possiamo vedere nel campo delle aziende di progettazione di software e in quello delle scienze informatiche, come il femminismo abbia fatto la differenza. La politica femminista e' maturata in molti modi, ma ha perso anche diversi aspetti del movimento sociale di massa. Tuttavia, sarebbe secondo me un terribile errore ridurre la somma complessiva dei movimenti sociali esclusivamente alla loro forma di massa, che tanta importanza ebbe negli anni Settanta. Penso inoltre che l'istituzionalizzazione degli studi accademici sulle donne e sulle differenze di genere sia un'area di enorme importanza per la riproduzione e la trasformazione del femminismo. Anzi, le giovani femministe reinventano di continuo il femminismo nel loro lavoro, nelle espressioni culturali, nelle arti, nella ricerca, nella politica. Mi sembra quindi un errore considerare gli studi delle donne - che una volta istituzionalizzati hanno ottenuto grandi successi - come un settore da contrapporre alla politica e all'attivismo politico. - Rosi Braidotti: Anch'io non condivido la domanda iniziale. Io vivo in Olanda, nei Paesi Bassi, quindi sono un'europea del nord. E' quindi da una prospettiva molto diversa che io definirei, per esempio, cio' che e' sociale o cio' che e' politico. In risposta alla domanda, direi che il femminismo non e' soltanto un campo della ricerca accademica, anzi, non e' nemmeno un campo della ricerca accademica. E' quasi inesistente in molti paesi al di sotto delle Alpi. Stiamo quindi parlando di qualcosa che e' ancora molto trasgressivo, ancora molto interdisciplinare, ancora molto poco istituzionalizzato, certamente in Italia. Ma se andate in Francia, le cose non stanno certo molto meglio. Lo stesso vale per la Grecia. Forse la situazione e' un po' migliore in Spagna. Stiamo quindi parlando di qualcosa che sta ancora cercando di trovare la sua forma entro una cornice istituzionale, dove persino l'universita' incontra grandi difficolta' nel sopravvivere in quanto istituzione, in grado di giustificare la propria funzione. Con il nuovo Trattato di Bologna e l'indicazione di istituire corsi di master e di dottorato, stiamo in realta' chiedendo di trasformare le universita' in corsi di formazione. Eppure non c'e' denaro per la ricerca. Fare il docente nel Nord Europa significa portare all'interno dell'Universita' un terzo, se non la meta', del patrimonio dei tuoi programmi. Le cose non vanno meglio in Inghilterra, anche da quello che mi risulta dalla London School of Economics. Prendiamo quindi in esame la trasformazione gestionale delle universita'. Da una parte sembrano piu' aperte allo sviluppo delle aree di studio interdisciplinare ad orientamento sociale che tengono d'occhio il mercato; dall'altra sono invece disastrose per uno strumento che volesse essere socialmente, autenticamente e politicamente rilevante, nel senso che si dava una volta a questa espressione. Io inserirei pertanto la questione delle femministe piu' giovani e del rinnovamento del femminismo all'interno di una crisi istituzionale piu' ampia, che nelle universita' risulta essere addirittura enorme. Altri due rapidi punti: la crisi - come hanno sottolineato anche giornaliste politiche come Ida Dominjanni - non e' meno profonda, quando si tratta di definire concetti quali il sociale o il politico. E mi spiego: che cosa e' sociale nell'era dell'informazione, della telecomunicazione, delle frontiere elettroniche, del post-industrialismo e della globalizzazione? Dove sta il sociale? Sta forse qui? E che dire delle e-mail? Esiste una esplosione, o una implosione, nel settore sociale? Cio' non rende affatto le cose piu' facili quando si parla di rinnovare il femminismo. La stessa considerazione vale anche per cio' che e' politico. Vedo, tra gli studenti e le donne piu' giovani che cerchiamo di educare, un grande desiderio di fare politica, ma anche un grande interrogativo: "Quale forma potrebbe effettivamente assumere, in un'epoca in cui si verificano tali e tante trasformazioni?". - Joan Scott: Penso che dobbiamo riconoscere come negli ultimi anni si sia verificata, al di la' dei confini nazionali, anche una istituzionalizzazione del movimento femminista, che ha preso il posto delle precedenti forme dei movimenti sociali di massa. Non dobbiamo pertanto limitarci a considerare soltanto i programmi di studio delle donne, ma dobbiamo anche ricordare il ruolo delle Organizzazioni Non-Governative (Ong). Esse rispondono ai proclami e alle direttive delle Nazioni Unite in merito al rispetto dei diritti umani delle donne, proclami e direttive che sono l'esito di anni di conferenze dedicate alle donne. C'e' quasi una specie di industria, connessa alle attivita' politiche, sociali, accademiche che riguardano le questioni femminile, una volta istituzionalizzate. Questa istituzionalizzazione avviene nelle universita', nelle Ong, in relazione alla politica delle Nazioni Unite. Essa esercita pressioni sui governi perche' raccolgano informazioni e promuovano politiche sociali conformi alle dichiarazioni dell'Onu. La questione e' quindi assai piu' complessa di quanto pensiamo. Riguarda l'istituzionalizzazione di temi che erano finora lasciati al di fuori delle istituzioni, mentre ora si esercitano pressioni sulle istituzioni perche' incrementino i processi di rappresentanza e di inclusione. * - "Reset": In che modo, secondo voi, le questioni femministe possono diventare, nel corso del nuovo decennio, un tema centrale all'ordine del giorno dell'agenda pubblica? Ci sara' un soggetto politico, attori politici del femminismo? Oppure ritenete che le questioni femminili saranno piuttosto un tema dominante diffuso e riconosciuto da tutti i soggetti politici e promosso dalle istituzioni? - Donna Haraway: Quello che viene considerato come il soggetto politico e' ovviamente una posta in gioco nella pratica reale, concreta. Se pensiamo al soggetto politico solo come a una sorta di rappresentante sul modello storico del rapporto tra la classe operaia e i suoi partiti, se e' in qualche misura questa la nostra idea di cio' che conta realmente come soggetto politico, allora non riusciremo a capire gran parte di cio' che sta accadendo nella politica del secolo in cui viviamo. Ma l'alternativa non e' semplicemente il soggetto politico disperso, ovverosia, chiunque esso sia, in qualunque luogo. Forse la geometria che viene chiamata in causa a proposito della tematizzazione del soggetto politico riguarda piuttosto i concetti di intersezionalita' o di soggetti in congiunzione. Possiamo vedere tale pratica nelle opere di femministe che lavorano sull'antirazzismo. Qui vengono sottolineate le diverse posizioni del soggetto, a livello nazionale, etnico e cosi' via, in relazione alla differenza di genere, cosi' come viene vissuta quotidianamente. L'accento viene qui posto su sistemi multipli di relazioni, oltre che sulla questione della repressione. I soggetti si producono come un verbo nella loro azione, in rapporto a coalizioni, progetti e programmi. Il soggetto politico in quanto tale non esiste; l'azione di congiunzione produce i suoi soggetti politici, che sono inseriti in alleanze di rapporti di vario genere. Se incominciassimo quindi a parlare, per esempio, con le seicento femministe che sono qui oggi a Bologna, potremmo iniziare a scoprire a quali reti di rapporti diano vita, anche sul luogo di lavoro. Ma potremmo anche trovare un ampio strato di femminismo transnazionale, rizomatico, che si e' andato affermando, ramificando e stratificando sia nel tempo, sia nello spazio. Ed e' questa una geometria molto migliore per comprendere oggi i soggetti politici. I soggetti si creano nelle situazioni cui appartengono. Penso veramente, quindi, che uno dei contributi piu' importanti della teoria femminista sia stato un tipo specifico di immaginazione della politica. Non si puo' dare la "donna" come soggetto politico assoluto, perche' proprio non funziona. * - "Reset": Il femminismo ha ridefinito in modo assolutamente rivoluzionario i concetti tradizionali della modernita', criticando la metafisica, provocando una rivoluzione nella concezione del mondo, nei rapporti tra i generi, nel nostro rapporto con l'ambiente, con gli animali e in tante altre cose. Ma nonostante tutto questo, non si puo' tuttavia affermare che ci sia omogeneita' di scuole di pensiero tra le studiose femministe. Come mai? - Rosi Braidotti: Si tratta di una domanda estremamente complessa. Possiamo soltanto iniziare ad abbozzare una risposta. Cerchero' di raccontarlo nel modo seguente, anche se e' possibile usare altre narrazioni per spiegarlo. Il femminismo si e' emancipato dalla "donna" in quanto classico "altro" metafisico. Cio' e' accaduto in un periodo compreso tra gli anni Sessanta e i Settanta. Esiste pero' una distinzione fondamentale, direi addirittura epistemologica, tra la "donna" e il "soggetto femminista". Alcune donne sono soggetti femministi, altre non lo sono. L'evoluzione epistemologica di un soggetto femminista e' il vero marchio di fabbrica del femminismo moderno, o meglio della seconda ondata di femminismo, opposto a quello delle suffragette che per prime rivendicarono il diritto di voto per le donne. In un certo senso, quando le donne si sono liberate, si sono liberate anche dalla femminilita' classica. E' quindi lecito chiederci: "Qual e' il soggetto femminista dell'anno 2000?". Ma ci si potrebbe anche chiedere: "Qual era il soggetto femminista nel 1968?". Era la "donna"? Ma le donne dicevano: "Tremate, tremate, le streghe son tornate". E a tornare sono state le "streghe", non le "donne". Per l'appunto, non volevano essere piu' "donne". Esiste dunque una distinzione epistemologica e politica, che alcuni chiamerebbero "spirituale", tra la femminilita', l'altro del soggetto classico, e un soggetto femminista che pretende di agire, di esercitare un impatto di tipo sociale e politico e quindi di poter fare la differenza. Possiamo usare questa stessa storia per dire anche che il post-modernismo segna il ritorno dell'"altro", in quanto modernita'. Come ho avuto occasione di ricordare nel mio contributo, i nativi, gli "altri" etnici, stanno tornando piu' numerosi di prima, ma il loro ritorno lacera l'intero tessuto della soggettivita'. Non tornano solo per dire: "Ehi, siamo qui, fateci entrare!". Il loro ritorno manda in pezzi la struttura di quello che eravamo abituati a considerare il soggetto, e rivendicano la ridistribuzione dell'intero profitto. Mi piacerebbe narrare in questi termini la questione di donne e femminismo. Penso si tratti di una crisi molto positiva, perche' ha costretto il soggetto - in particolare quello del centro, bianco e maschio - a guardarsi dentro. La crisi e' una crisi del centro, non della periferia: gli altri se la cavano benissimo! E' il centro che ha bisogno di interrogarsi. Ed e' quanto e' accaduto, soprattutto nel femminismo sud-europeo. E' la messa in discussione e l'elaborazione di diversi interrogativi, che riguardano il mondo. Ma il centro non e' ancora in grado di accettarla. Il centro se ne sta nel suo splendido isolamento, totalmente analfabeta per quel che concerne la sua stessa crisi. Penso che la crisi sia la crisi di questo genere di soggetto politico, mentre gli altri soggetti politici sono attivi e vitali. Prendiamo Praga, prendiamo questa conferenza, prendiamo il femminismo transnazionale: non c'e' alcuna crisi qui. La crisi e' nel centro, ed e' il cuore morto del centro che non ha la piu' pallida idea di che cosa fare di se stesso. Ribalterei quindi la domanda: "qual e' secondo voi il soggetto politico del XXI secolo? E che cosa dovrebbe fare?". Guardiamo alla sinistra, alla sua incapacita' di agire in quanto tale. Guardiamo alla debacle della sinistra in tutta Europa. Bella sinistra che abbiamo! Quindi, la crisi non e' dell'"altro". E' solo la crisi dello "stesso". - Donna Haraway: Viviamo in un'epoca di incredibile proliferazione di nuove forme di ricchezza, di proprieta', di corpi mutati, secondo vari generi e grandezze: da quelli di dimensioni infinitesimali, le molecole del Dna, fino a quelle immense delle foreste pluviali dell'emisfero settentrionale. Assistiamo all'inter-conversione fra forme diverse di materialita', cosicche' viviamo immersi in questa sorta di straordinaria riformulazione degli stili di vita. Biologi e informatici sono ormai diventati pappa e ciccia, come ben sapete. Le femministe sono molto attive in tutti questi settori. A volte si definiscono femministe, altre volte no. Sono attive nei movimenti delle popolazioni indigene, dove si tratta di stabilire se un gruppo sia una tribu' o un popolo, oppure quando vengono a mutamento condizioni di sovranita' che sfidano le tradizionali forme patriarcali degli indigeni. Le femministe sono attive quando devono essere definite le pratiche genetiche che vengono a interessare le aziende farmaceutiche. Questi sono in genere i temi all'ordine del giorno. Ci troviamo spesso a dover affrontare il problema se cooperare o meno con un progetto di campionatura del sangue finalizzato allo studio di una particolare malattia, oppure ci chiediamo quali generi di etnia e di sessualita' emergeranno dalla genomica comparata. Stiamo andando verso medicine di nicchia, ovvero a medicamenti progettati per piccoli gruppi di popolazione: non ci saranno piu' solo boutique di abbigliamento, bensi' anche boutique farmaceutiche, strategie terapeutiche fortemente individualizzate e razionalmente orientate. Ci chiediamo allora quali saranno i gruppi che potranno accedere alle terapie per ricchi e a quale prezzo: come saranno gestite, razionalizzate, quale genere di sistema bancario e distributivo della conoscenza potra' esistere. Le femministe sono attivissime su tutti questi punti, attivissime nello studio del genoma, nella medicina, nelle politiche relative al trattamento del cancro al seno, le cui problematiche si intrecciano con quelle sopra accennate. Questi settori, che si riferiscono a nuovi corpi e a nuove ricchezze, sono - a mio modo di vedere - proprio quella particolare area in cui il soggetto politico del femminismo trova oggi il proprio significato e la possibilita' di ulteriori formulazioni politiche. * - "Reset": In che modo questa tendenza si collega alle battaglie delle donne? - Donna Haraway: E' parte integrante delle battaglie delle donne. Fa parte dell'intero tessuto, anche se non esiste la "battaglia delle donne". (Parte prima - segue) ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 122 del 16 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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