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Minime. 163
- Subject: Minime. 163
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 27 Jul 2007 00:54:36 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 163 del 27 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: La guerra, la nonviolenza 2. Maria G. Di Rienzo: Donne in Afghanistan 3. Enrico Peyretti: Una federazione politica nonviolenta 4. Sergio Casali: Il pensiero e la critica letteraria femminista (parte ottava) 5. Francesca Rigotti presenta "I volti dell'ingiustizia" di Judith Shklar 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: LA GUERRA, LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] I concetti della tradizione politica moderna non bastano piu' ad interpretare il presente dell'imbarbarimento globale rappresentato dal dilagare della guerra, il piu' distruttivo dei drammi umani: che puo' essere chiamata "umanitaria" o "giusta", puo' essere dichiarata in nome di un "dio" o della stessa pace, fino a sostenere che la democrazia viene regalata ad un popolo con le bombe. Resta la sua sostanza drammatica che depenalizza gli omicidi, rende lecita la regressione, i campi di sterminio, il genocidio, "necessarie" le esplosioni nucleari. La guerra, con la sua banalita' quotidiana, con l'uso legalizzato e istituzionalizzato della distruzione e della morte, razionalizza la violenza. La prima guerra nel Golfo, nel 1991, ha sbriciolato la certezza del "mai piu'" che aveva sostenuto le generazioni dopo la seconda guerra mondiale. Poi sono seguite la guerra nei Balcani, gli attentati dell'11 settembre (i quattro aerei-kamikaze piu' che un atto di terrorismo sembravano configurare una dichiarazione di guerra) e le altre guerre che ne sono seguite, e non sono ancora finite: l'Afghanistan e l'Iraq. Non e' piu' solo l'orrore della guerra convenzionale, con la "guerra preventiva" (frutto del National Security Strategy di Bush) tutte le definizioni e regolamentazioni sono diventate carta straccia. Sul piano della macelleria la bilancia pende decisamente dalla parte della guerra e della sua propensione a tecnologizzare il massacro; sul piano concettuale va invece al terrorismo il primato di una doppia innovazione: l'uso del corpo suicida per uccidere altri corpi, e l'individuazione dell'obiettivo in "chiunque e in qualsiasi momento", che fa la differenza dal passato. Non solo, c'e' stato una vera e propria demonizzazione: se il nemico e' un criminale, tutti i mezzi per annientarlo saranno legittimi. E' quello che accade oggi in Iraq ed in Afghanistan, si tratta di vero e proprio terrorismo dall'alto, scagliato contro civili che non combattono, che non mira tanto ad obiettivi reali, bensi' a provocare "danni collaterali", in modo da terrorizzare le popolazioni e prevenire la formazione di bacini di dissenso. Il dramma e' che alle guerre ci si abitua, si vivono ormai con indifferenza, si e' forse persino smesso di tentare di capire, come per l'apparentemente irresolubile conflitto israelo-palestinese. Certo, forse in questo momento i razzi Qassam non cadono piu' sulle citta' di Israele, e i palestinesi non si sparano piu' tra loro: fratelli contro fratelli, giovani contro giovani; ma Gaza resta una prigione. Gli israeliani sono andati via, ma hanno conservato le chiavi di quell'enorme carcere e come accade nelle prigioni malsane i detenuti lottano tra di loro per il potere, il potere inutile di chi vive prigioniero. * Questa indifferenza vale anche per noi, che le guerre non le vediamo, ne percepiamo soltanto l'eco, in una quotidianita' che sembra immobile ed eterna. Noi tutti, cioe' anche chi si e' schierato sul fronte pacifista, e le guerre le ha denunciate, cercando di fermarle e in qualche modo di prevenirle. Davanti a questa regressione umana che dissolve il senso di colpa e stabilisce un confine netto tra l'amico e il "nemico" deumanizzato, e' indispensabile riappropriarsi di un'unica scala di valori, di una reciproca interdipendenza, di un'etica della responsabilita' verso la condizione comune; perche' la precarieta' della nostra vita inizia dalla vita precaria dell'altro. Un'equivalenza morale che renda parimenti orribile le violenze dell'uno e dell'altro; perche' il lutto per i morti della propria comunita' non sia disgiunto dal lutto per i morti della comunita' avversaria, perche' un'unica terribile ferita colpisce l'umanita' intera. In questo senso e' indispensabile tornare a tessere legami di nonviolenza, di solidarieta' internazionale tra i popoli. Non si tratta di un'utopia, come molti affermano con un sorriso sarcastico. Perche' il "realismo" di cui tanto si discetta equivale, tanto spesso, alla rinuncia "senza se e senza ma". Forse, la nostra e' una visione utopica, ma come spesso accade le visioni utopiche sono quelle piu' realistiche. Il termine utopia non indica qualcosa di astratto e di alieno dal mondo, utopico e' cio' che e' rivolto al mondo in modo centrale, e' un superare il corso naturale degli eventi; ma non come fuga nell'irreale, bensi' come scavo per la messa in luce delle possibilita' oggettive insite nel reale, e lotta per la loro realizzazione. Forse e' un'utopia, ma per questa speranza noi siamo ancora disponibili a continuare con i nostri sforzi. 2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: DONNE IN AFGHANISTAN [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] La popolazione afgana e' stimata attorno ai 24 milioni e 900.000. Circa il 70% vive con meno di un euro al giorno. Tra il 20 e il 40% della popolazione rurale soffre di denutrizione. Piu' dei due terzi degli afgani sopra i 15 anni sono analfabeti, e l'80% di questi analfabeti sono donne. Un quarto dei nascituri afgani muore per complicazioni legate al parto. I matrimoni forzati ammontano tra il 60 e l'80% del totale. Almeno il 57% delle fanciulle va sposa prima dei 16 anni. I "delitti d'onore" sono assai diffusi. Le vittime di stupro non denunciano la violenza subita per timore di essere accusate del crimine di "sesso fuori dal matrimonio". Un crescente numero di donne si suicida dandosi fuoco. Rischiano il rigetto da parte delle loro famiglie, rischiano pestaggi e persino di essere uccise, magari semplicemente perche' escono di casa da sole per andare a scuola o al lavoro. Pure, le donne afgane continuano a farlo: sono determinate a migliorare il futuro dei loro bambini, del loro paese, persino se dovessero pagare cio' con le loro vite. * Prendete Reza Gull, che fa affidamento sui suoi figli come guardie del corpo, figli che vegliano la notte per proteggerla. Lavorando come consigliera nell'amministrazione provinciale di Helmand, Reza, che ha quarant'anni, ha messo la sua esistenza a rischio. Riceve numerose minacce di morte, per lo piu' in forma di lettere minatorie che vengono lasciate presso la sua casa durante la notte. Reza e' stata la prima consigliera di sesso femminile ad essere eletta nell'intera regione: "L'ho fatto per servire il mio paese, la mia gente, ed in special modo le donne. In Afghanistan le donne hanno bisogno di aiuto in ogni campo. Quando andai a registrarmi come candidata, tutti gli uomini presenti mi risero in faccia. Mi dissero che non sarei mai stata votata al Consiglio. Mi dissero che ero pazza se pensavo di avere una sola possibilita'. Ma non e' andata cosi'". Parlando della possibilita' di essere uccisa, Reza dice senza la minima traccia di autocompassione: "So che me la faranno pagare, presto o tardi. Ma almeno moriro' in dignita', me ne andro' sapendo che ho vissuto la mia vita facendo le cose giuste. Non moriro' nella vergogna". E aggiunge: "Non sarebbe possibile, per me, fare questo lavoro se non avessi il sostegno della mia famiglia. Verrei rigettata, da loro e dalla societa', ma io sono fortunata perche' i miei cari sono dalla mia parte". * Khadija Shojaee, ventitreenne, ha assaporato l'amaro destino dei profughi assieme alla sua famiglia, fuggita assieme a quasi altri quattro milioni e seicentomila afgani durante il regime talebano: "Ho voluto disperatamente tornare, perche' voglio servire il mio paese". Khadija ha deciso di entrare in polizia. "Quando mi sono arruolata, i miei colleghi mi chiedevano perche' ero li'. Ma ora sono cambiati, la mia determinazione li ha cambiati, e mi aiutano. Di solito mi tolgo l'uniforme prima di tornare a casa, per evitare molestie alla mia famiglia, ma pian piano abituero' le persone attorno a me ad accettare la mia scelta. Alcune ragazzine del vicinato parlano gia' di imitarmi. Credo che dar loro un buon esempio sia la cosa migliore che io posso fare per il mio paese". * Nanjia Haneefi, ventinovenne di Kabul, e' la direttrice del Centro per l'istruzione delle donne, ed era una delle coraggiose insegnanti che gestivano scuole segrete durante il dominio talebano. Oggi si batte per assicurare condizioni migliori alle detenute ed il suo Centro fornisce alle donne formazione professionale, alfabetizzazione e consulenza legale. Nanjia ha visto la morte in faccia parecchie volte: in tre occasioni e' stata minacciata direttamente da uomini armati: "Mi aspetto di essere ammazzata, sempre. Ma andarsene di qui sarebbe troppo facile, non posso farlo, mi sentirei come se tradissi il mio paese e soprattutto le donne che fanno affidamento su di me". * Malali Muska, oggi ventiduenne e giornalista radiofonica, ha potuto studiare solo perche' donne come Nanjia hanno rischiato la vita. Ricordando i giorni in cui frequentava la sua scuola segreta, dice: "La copertura usuale, se ci scoprivano, era pretendere di star studiando il Corano. Di solito c'erano 100-150 bambine per sole tre insegnanti. In diverse occasioni alcune delle bambine vennero messe in prigione. Guardando indietro, non so perche' non fossi piu' spaventata, ma era quello il mondo che conoscevo. Una volta, avevo undici anni, stavo camminando con la mia mamma attraverso il mercato e un talebano ci fermo'. Indossavo jeans e una giacca e forse perche' ero alta ha pensato che fossi un'adulta. Mi disse che mi avrebbe picchiata, mentre mia madre implorava pieta': riusci' a convincerlo che io ero mentalmente disturbata, cosi' ci lascio' andare". Malali e' del distretto di Wardak, ad ovest di Kabul, e il suo programma radiofonico e' diretto agli adolescenti, a scopi informativi ed educativi. Malali parla di droga, di matrimoni forzati, e di tutta un'altra serie di argomenti tabu' per i fanatici religiosi: "Di recente ho avuto una chiamata da una donna che stava per acconsentire al matrimonio della figlia dodicenne con un uomo di quarant'anni. Era triste e confusa. Abbiamo parlato per un bel po', ed alla fine ha cambiato idea. Non dara' via sua figlia". * Ancora troppe bambine afgane vanno spose, per lo piu' per ragioni economiche. Un altro motivo dietro ai matrimoni forzati e' la composizione delle dispute: dall'omicidio ai debiti, si puo' ripagare la famiglia offesa con una figlia o una sorella. Non che funzioni davvero. Quattro su cinque delle bambine o ragazze offerte a questo scopo, come ha rivelato l'inchiesta della deputata afgana Malalai Shinwari, finiscono male. Pagano per le offese commesse dai parenti maschi, con una vita d'inferno o con la morte. Ragazzine come Marjan, oggi sedicenne, che si e' data fuoco l'anno scorso per fuggire da un matrimonio imposto e da un marito violento. Marjan e' sopravvissuta al suo gesto disperato, e' riuscita ad ottenere il divorzio, puo' raccontare: "Aveva 25 anni piu' di me. Quando non riusciva a trovare eroina o narcotici mi torturava. Cominciava a battermi dopo la mezzanotte. Quella notte mi picchio' molto, anche sulla testa, e il sangue mi usciva dal naso. Gli chiesi perche' lo faceva, e mi picchio' ancora. Quando se ne ando' mi versai addosso della benzina e accesi un fiammifero". La maggior parte del suo corpo e' devastata dalle ustioni: Marjan ha gia' affrontato parecchie operazioni chirurgiche e altre dovra' affrontarne. * La siccita' dell'anno scorso ha gettato nella miseria piu' nera famiglie e famiglie di contadini: due milioni e mezzo di afgani hanno perso fra l'80 e il 100% delle loro coltivazioni. La soluzione a portata di mano, per non morire di fame, e' vendere una figlia. Sahatgul, del villaggio di Houscha, ha trent'anni ed e' madre di cinque bambine: "Se la siccita' peggiora dovro' darle in sposa tutte. L'anno scorso si e' sposata la maggiore, quest'anno sara' Azizgul, che ha dieci anni. Non abbiamo cibo, e il prezzo della sposa ci permette di comprarlo. Una volta non eravamo cosi' disperati, non c'era la necessita' di dare in matrimonio le figlie cosi' giovani". Somaya e' stata venduta dal padre per 3.000 dollari a un ventiduenne del medesimo villaggio. Somaya, di anni, ne ha otto. "Il promesso sposo ci ha gia' dato 600 dollari, che abbiamo usato per acquistare vesti calde e cibo", spiega il padre della bambina, "Adesso si trova in Iran, ci e' andato per guadagnare il resto del prezzo della sposa". Somaya sa che sta per diventare moglie di qualcuno, ma ovviamente non e' conscia di cio' che la faccenda comporta. Ha le sue cose da fare: per esempio un viaggio di tre ore ogni giorno per raccogliere legna e acqua. * Sono i convogli che portano aiuto a questa gente (Houscha e' nella provincia di Herat) ad essere assaliti e depredati. A morire in massa, di denutrizione, sono i bambini piu' piccoli. "Sono molto deboli", spiega una madre del villaggio di Sya Kamarak, "Tutto quello che abbiamo per nutrirli sono patate e acqua bollita con lo zucchero". Jan Bibi, quarantenne, ha tentato di far sopravvivere la figlioletta di tre mesi ad acqua bollita e zucchero, ma la piccola le e' morta fra le mani: "Volevo nutrirla al seno, ma non producevo abbastanza latte". * Ora vi prego di perdonare la mia ingenuita' e la mia ignoranza, ma ho delle domande da porre. In Afghanistan, in questo paese di cui vi racconto le vite delle donne, ci sono italiani in "missione di pace". Non ne so nulla. La stampa italiana, a differenza di quella straniera, sembra strafregarsene della nostra politica estera non appena questa esce dalle diatribe parlamentari. Abbiamo mandato i soldati in Afghanistan e sappiamo tutto su chi ha votato che cosa e chi ha polemizzato con chi. Non sappiamo cosa fanno i soldati. Di pacifico e utile, intendo. Potrebbero proteggere i convogli degli aiuti umanitari? Potrebbero stabilire un servizio di trasporto per le madri partorienti dei villaggi, visto che gli ospedali distano al minimo un giorno di viaggio da essi e le donne e i piccoli muoiono prima di poterli raggiungere? E se invece tutto quel che fanno e' aggiungere piombo al piombo e dolore al dolore, potrebbero tornare a casa? * Fonti: Bbc, The Sun, Human Rights Watch, Medica Mondiale, The Observer, Irin News, Associated Press. 3. VERSO IL CONGRESSO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO. ENRICO PEYRETTI: PER UNA FEDERAZIONE POLITICA NONVIOLENTA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento in vista del XXII congresso del Movimento Nonviolento, che si svolgera' a Verona dal primo al 4 novembre 2007. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68] Cercando di contribuire alla riflessione che prepara il XXII congresso nazionale del Movimento Nonviolento, scorro il programma come appare in www.nonviolenti.org (lo riporto in calce a questo intervento). In questo momento sento che bisognerebbe puntare, nella tragedia dei tempi, sul positivo, sul "programma costruttivo" gandhiano da tradurre nei giorni nostri (tentavo di farlo, alla buona, nello scritto pubblicato il primo luglio in queste "Notizie ninime della nonviolenza in cammino"). E puntare anche su un'analisi della realta' esterna nazionale e mondiale, che nel programma (ma posso sbagliare) appare in secondo piano rispetto alla ricerca e all'azione interna del Movimento. Infatti, "La nonviolenza e' politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti", come suona il titolo generale, dice troppo e troppo poco: dice i massimi obiettivi, sempre davanti agli occhi, ma il vero problema di un congresso per una linea di lavoro, e' vedere i passi migliori e i passaggi possibili verso quegli obiettivi, nel momento specifico. Dice pero', quel titolo, una cosa importante: la nonviolenza e' politica. Le sei commissioni mi sembrano orientate in questa direzione auspicata. Credo che i sei temi possano tradursi anche cosi': 1) contributo nazionale alla gestione internazionale dei conflitti preventiva e alternativa alla guerra; 2) pratica di socialita'; 3) livello personale interiore e relazionale della pace positiva; 4) modello produttivo, economia nonviolenta; 5) modello civico, qualita' politica; 6) modello minimo necessario di legalita', entro la societa' italiana, costruito coi metodi della nonviolenza. E' mia opinione che il Movimento Nonviolento, con la sua storia ed esperienza, sostenute pero' da un numero troppo esiguo di aderenti attivi, e ancor meno conosciuto e compreso nel grosso dell'opinione pubblica, confusa e deviata dai media piu' influenti, di infima e greve qualita', possa sempre meno cercare da solo questi obiettivi, ma che necessiti di coordinarsi sempre meglio con ogni analoga ricerca interna e internazionale, di cui non mancano valide presenze. Sul piano internazionale, vedrei necessario sviluppare, con apposito incarico e mezzi, un costante lavoro di scambi, confronti, comunicazioni, visite, traduzioni: ormai la dimensione del lavoro nonviolento e' insufficiente se non e' inserita in una circolazione mondiale di apporti reciproci, nella diversita' ma unita' e interdipendenza dei problemi, che possa anche dare maggior forza alla solidarieta' con le piu' gravi situazioni di violenza sofferta. Sul piano interno, riprendo con convinzione la proposta non nuova, ma sempre piu' necessaria (che gia' ripresi nel seminario di ottobre 2006 a Verona, riferito in "Azione nonviolenta" n. 1-2, 2007, pp. 12-13): pensare, preparare, costruire una Federazione politica nonviolenta, in cui i vari movimenti e associazioni nonviolente italiane, da piu' o meno tempo entrate in questa sincera ricerca, si aiutino a vicenda nel convergere a costruire, anche col guadagnare consensi sociali, una concreta cultura politica nonviolenta e di conseguenza una prassi politica piu' nonviolenta dell'attuale. Infatti, la nonviolenza deve diventare politica, pur continuando a fare, prima di tutto, cultura, educazione, propaganda ideale, esperienze, e premendo gia' ora, quanto puo', coi mezzi della democrazia partecipativa, sulla politica operativa. Ogni politica e' fatta di valori (ideali, obiettivi); di idee (programmi concreti, percorsi sul terreno del possibile verso gli obiettivi necessari); di numeri (consensi necessari per attuare i programmi verso gli obiettivi). Ora, la nonviolenza ha valori, forse puo' elaborare idee e programmi, ma non ha assolutamente un numero di consensi nella societa', tali da poter contare nella politica deliberativa. Peraltro, sono in corso esperienze di lotta nonviolenta su vari problemi politici, militari, giuridici, economici, ambientali, che accomunano diversi rami del movimento per la pace nonviolenta, ognuno con la sua modalita'. La varieta' e' ricchezza, ma non quando e' dispersione. Ora, attorno ad elementi essenziali di politica nonviolenta (in forma partecipativa dal basso e non necessariamente rappresentata nelle istituzioni elettive, che possono pero' essere fertilizzate dalla nonviolenza), quei rami del movimento dovrebbero saper convergere (non unificarsi ma federarsi) in una Federazione politica nonviolenta, che forse tocca proprio al Movimento Nonviolento proporre e promuovere. Sappiamo che non si tratta solo di un problema organizzativo o comunicativo. In gioco e' la concezione della politica nelle societa' umane. La politica e' di necessita' legata al potere degli uni sugli altri? E' un puro gioco di forza tra interessi separati e opposti? Il potere politico e' irrimediabilmente, in definitiva, gestione della morte per gestire la vita? Stato e guerra sono legati in un matrimonio ancora indissolubile, nonostante l'affermato "ripudio" costituzionale italiano e dell'Onu? Gli esseri umani in grandi societa', e le civilta' umane nel mondo che si unifica, sono capaci di convivere affrontando i problemi di relazione senza farsi violenza o affidarsi alla violenza? Sappiamo che questo nostro e' un lavoro di generazioni e che, proprio per questo, e' una serena urgenza quotidiana. * Appendice: il programma del congresso XXII congresso nazionale del Movimento Nonviolento, Verona, 1-2-3-4 novembre 2007 "La nonviolenza e' politica per il disarmo, ripudia la guerra e gli eserciti" Primo novembre, giovedi' - mattina, ore 10,30: Apertura del segretario e relazione introduttiva. - pomeriggio: Comunicazioni sulla rivista "Azione nonviolenta", sui centri studi, sui gruppi locali; dibattito in assemblea plenaria. 2 novembre, venerdi' - mattina: lavoro in tre commissioni: I Corpi civili di pace; Il Servizio civile volontario; L'educazione alla nonviolenza. - pomeriggio: lavoro in tre commissioni: Economia, ecologia, energia; Risposte di movimento alla crisi della politica; Resistenza nonviolenta contro il potere mafioso. 3 novembre, sabato - mattina: Riferiscono le prime tre commissioni e poi dibattito; riferiscono le altre tre commissioni e poi dibattito; spazio per presentare le mozioni. - pomeriggio: Dibattito sulle mozioni; votazioni; rinnovo delle cariche. 4 novembre, domenica - mattina: "Non festa, ma lutto", iniziativa nonviolenta: camminata attraverso luoghi simbolici della citta'. 4. MATERIALI. SERGIO CASALI: IL PENSIERO E LA CRITICA LETTERARIA FEMMINISTA (PARTE OTTAVA) [Dal sito www.uniroma2.it riprendiamo la seguente dispensa predisposta nell'aprile 2004 per il secondo semestre dell'anno accademico 2003/2004 del corso su "Femminismo, studi di genere e letteratura latina". Sergio Casali (Varazze, 1969) ha studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa (corso ordinario e di perfezionamento) dal 1988 al 1997, con una parentesi al St John's College di Oxford nel 1992/93; e' ricercatore all'Universita' Roma Due "Tor Vergata" dal 1998, e professore associato di Lingua e letteratura latina dal 2001. Si interessa soprattutto di poesia augustea, in particolare Ovidio e Virgilio, della tradizione epica romana e dell'esegesi antica dell'Eneide. Sta ultimando un sintetico commento a tutta l'Eneide per la collana "Biblioteca della Pleiade" di Einaudi, e sta lavorando a un commento in inglese al libro IV dell'Eneide per la collana "giallo-verde" di Cambridge University Press. Ha tenuto conferenze e partecipato a convegni su Ovidio e Virgilio in varie universita' italiane e straniere, tra cui Harvard University, Columbia University, University of Wisconsin at Madison, University of Colorado at Boulder, Keele University, Bristol University, Institute of Classical Studies (London), Trinity College (Dublin), University of Manchester, University of California at Los Angeles, Cambridge University, University of Pennsylvania, University of Virginia. Tra le opere di Sergio Casali: Publii Ovidii Nasonis Heroidum Epistula IX: Deianira Herculi, a cura di Sergio Casali, Firenze: Le Monnier, 1995; Commento a Virgilio: Eneide, in Virgilio: Opere, a cura di A. Barchiesi, Torino: Einaudi (in preparazione); Virgil: Aeneid IV, ed. by S. C., Cambridge: Cambridge University Press (in preparazione)] 8. La teoria della differenza nel femminismo italiano (dal 1968 a oggi) Contenuto del capitolo In questo capitolo ci rivolgeremo al movimento femminista in Italia, che fin dall'inizio degli anni Settanta fornisce importanti contributi allo sviluppo della riflessione teorica delle donne. Vedremo come il femminismo italiano si sviluppi intorno ad alcuni centri importanti, come la Libreria delle Donne di Milano e il gruppo Diotima di Verona. Vedremo, tra le personalita' piu' rappresentative, Carla Lonzi (Sputiamo su Hegel, 1971), e le teoriche della differenza Luisa Muraro e Adriana Cavarero. * 8. 1. Il movimento delle donne in Italia In Italia il movimento femminista nasce e si sviluppa in parallelo ai movimenti nelle altre nazioni avanzate. Intorno al 1970, soprattuto a Roma e a Milano, nascono organizzazioni femministe, basate sui gruppi di autocoscienza, che saranno impegnate per un decennio nelle lotte per i diritti sociali, per l'aborto legalizzato e assistito, per il divorzio, per i servizi sociali garantiti, per le pari opportunita' nei luoghi di lavoro e in quelli istituzionali. Le donne fondano loro librerie, case editrici, archivi e centri di documentazione, riviste. Una ricca documentazione sul periodo degli anni Settanta-Ottanta e' raccolta nel volume Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Sellier, Milano 1987. Paola Bono (curatrice anche di Questioni di teoria femminista, La Tartaruga, Milano 1993) ha curato due raccolte sul femminismo italiano uscite in inglese: con Sandra Kemp, Italian Feminist Thought: A Reader (1991), e The Lonely Mirror: Italian Perspectives on Feminist Theory (1993). L'elaborazione del pensiero femminista italiano si svolge soprattutto intorno alla "Libreria delle Donne" di Milano e al gruppo di pensatrici di Verona "Diotima" (dal nome della donna che nel Simposio platonico ispira a Socrate la teoria dell'amore come filosofia). Tra le riviste del femminismo italiano ricordiamo "dwf donnawomanfemme" (dal 1975) fondata e diretta per i primi 4 fascicoli da Ida Magli; "Memoria" (1981-1988); "Sophia" (dal 1996). * 8. 2. Carla Lonzi Carla Lonzi (1931-1982) e' una figura chiave del primo femminismo italiano, la prima a insistere sulla differenza sessuale e sull'affermazione delle potenzialita' positive della sessualita' e dei valori della donna in contrapposizione a quegli dell'uomo. E' autrice di due saggi: "Sputiamo su Hegel" (1970), e "La donna clitoridea e la donna vaginale" (1971), quest'ultimo consonante con il famoso saggio di Anne Koedt su "Il mito dell'orgasmo vaginale" (1970). I due articoli sono poi usciti in Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea e la donna vaginale, e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1977. * 8. 3. Il gruppo "Diotima": Luisa Muraro e Adriana Cavarero "Diotima" e' una comunita' filosofica di donne con sede a Verona. Tra i suoi membri si segnalano in particolare Luisa Muraro (1940) e Adriana Cavarero (1947). Luisa Muraro, anche animatrice della Libreria delle Donne di Milano, e' stata tra le prime a introdurre in Italia la filosofia francese della differenza. La sua opera e' particolarmente vicina al pensiero di Julia Kristeva, e in particolare di Luce Irigaray, la cui opera fa conoscere in Italia. Tra i suoi contributi si segnala il libro L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, che gia' nel titolo suggerisce un'impostazione analoga a quella di Kristeva (par. 6. 4). Una proposta di Muraro che ha sollevato discussioni e critiche e' la pratica dell'"affidamento", in cui una donna "debole" si affida a una donna "forte" per essere avviata e sostenuta nel suo itinerario di liberazione e affermazione della differenza sessuale. Adriana Cavarero (che si e' distaccata da Diotima nel 1991) si e' occupata della differenza nel linguaggio ("Per una teoria della differenza sessuale", nel volume collettivo Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987), e in seguito ha esplorato dal punto di vista delle differenza varie opere della tradizione filosofica e letteraria (Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997). (Parte ottava - segue) 5. LIBRI. FRANCESCA RIGOTTI PRESENTA "I VOLTI DELL'INGIUSTIZIA" DI JUDITH SHKLAR [Dal quotidiano "Il sole - 24 ore" del 3 settembre 2000 riprendiamo la seguente recensione, col titolo " Un argine all'ingiustizia", del libro di Judith Shklar, I volti dell'ingiustizia. Iniquita' o cattiva sorte?, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 158, lire 35.000. Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge attivita' di consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per il quotidiano "Il Sole - 24 Ore". Dal sito della facolta' di scienze della comunicazione dell'Universita' della Svizzera italianariprendiamo la seguente scheda: "Francesca Rigotti e' docente alla Facolta' di Scienze della comunicazione; incarichi didattici: docente di Dottrine politiche; incarichi in istituti e laboratori: docente all'Istituto Media e Giornalismo. Laureata in Filosofia (Milano 1974), Dr. rer. pol. (I. U. E. 1984), Dr. habil. (Goettingen 1991), e' stata docente alla Facolta' di Scienze politiche dell'Universit‡ di Goettingen come titolare di un 'Heisenberg Stipendium' della Deutsche Forschungsgemeinschaft e visiting fellow al Department of Politics dell'Universita' di Princeton. Tra le sue pubblicazioni si segnalano otto monografie edite da Bibliopolis (1981), Il Mulino (1989, 2000 e 2002), Feltrinelli (1992, 1995 e 1998), Interlinea (2004), alcune delle quali tradotte in spagnolo, tedesco, greco, coreano, tutte pertinenti ad argomenti di storia del pensiero politico-filosofico, di metaforologia e di comunicazione politica, oltre a numerosi articoli, saggi e recensioni su riviste specializzate internazionali. Svolge un'intensa attivita' di critica libraria in riviste e quotidiani. Principali pubblicazioni: a) Libri: L'umana perfezione. Saggio sulla circolazione e diffusione dell'idea di progresso nell'Italia del primo ottocento. Bibliopolis, Napoli 1981; Metafore della politica. Il Mulino, Bologna 1989; Il potere e le sue metafore. Feltrinelli, Milano 1992 (trad. ted.: Die Macht und ihre Metaphern. Ueber die sprachlicher Bilder der Politik, Campus Verlag, Frankfurt 1994); (a cura di, con W. Euchner e P. Schiera), Die politische Metaphorik in historischer Perspektive, Dunker & Humblot, Berlin 1993; La verita' retorica. Etica, conoscenza e persuasione. Feltrinelli, Milano 1995; (a cura di, con P. Schiera), Die vier Elemente und ihre Metaphern, Dunker & Humblot, Berlin 1995; L'onore degli onesti. Feltrinelli, Milano 1998; La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria. Il Mulino, Bologna 1999 e 2002 (Beck, Muenchen 2002 e 20042; Herder, Barcelona 2001; Korean trans. 2003; Studia Humanitatis, Lubiana, 2006); Il filo del pensiero. Il Mulino, Bologna 2002; La filosofia delle piccole cose. Novara, Interlinea, 2004 e 2005; (con G. Ferraro), Agli estremi della filosofia. Mantova, Tre Lune, 2005; (a cura di), La vita straordinaria. Analisi e comunicazione del quotidiano, Milano, Guerini e associati, 2006; Il pensiero pendolare. Bologna, il Mulino, 2006; Il pensiero delle cose. Milano, Apogeo, 2007. b) Contributi a libri: Giacomo Matteotti. Rede vor dem Parlament am 24.6.1924. Mit einem Essay von Francesca Rigotti, Europaeische Verlaganstalt, Hamburg 1996. c) Conferenze con proceedings: con R. Guldin, Mehrsprachigkeit und Uebersetzung. Vilem Flusser, Philosoph des Vielfaeltigen. Ascona, Monte Verita' (26.-28 ottobre 2001). d) Altre pubblicazioni: (con R. Guldin), Flusser nella valigia, Cenobio, (aprile-giugno 1999), p. 167-172; (con R. Guldin),. Tutto e' artificiale naturalmente: Tra Brasile e Provenza, una fenomenologia della natura come costrutto mentale. Sole 24 ore, 2002". Judith N. Shklar, nata in Lettonia nel 1928 e deceduta negli Stati Uniti nel 1992, pensatrice della politica e del diritto, docente, saggista, e' stata docente di scienze politiche all'Universita' di Harvard e presidente dell'American Society for Political and Legal Philosophy e dell'American Political Science Association; e' stata una pensatrice originale e indipendente, fortemente impegnata per i diritti degli oppressi. Tra le opere di Judith N. Shklar: After Utopia: The Decline of Political Faith (1957); Legalism: Law, Morals, and Political Trials (1964); Men and Citizens: A Study of Rousseau's Social Theory (1969); Freedom and Independence: A Study of the Political Ideas of Hegel's Phenomenology of Mind (1976); Ordinary Vices (1984); The Faces of Injustice (1990); American Citizenship: The Quest for Inclusion (1991); postume sono apparse le raccolte di saggi Political Thought and Political Thinkers (1998), e Redeeming American Political Thought; in traduzione italiana: Vizi comuni, Il Mulino. Bologna 1986; Montesquieu, Il Mulino, Bologna 1990; I volti dell'ingiustizia, Feltrinelli, Milano 2000] "I malvagi spostano i confini, rubano le greggi e le guidano al pascolo. / Portano via l'asino degli orfani / e prendono in pegno il bue della vedova...". Questo passo di Giobbe (24, 2-3) fa parte della descrizione della societa' ingiusta, in cui i poveri vengono sfruttati e sfrattati da cio' che possedevano per l'avidita' e la prepotenza dei ricchi malvagi. La voce di Giobbe manifesta il risentimento di coloro che si vedono negati i benefici loro promessi e di quelli che non ottengono cio' che era loro dovuto. Alla societa' ingiusta e al concetto d'ingiustizia e' dedicato il libro di Judith Shklar, che raccoglie le Storr Lectures tenute dall'autrice nel 1988 alla Yale Law School quattro anni prima della morte. L'autrice, che e' stata docente di Scienze politiche presso l'Universita' di Harvard e che si e' sempre schierata a favore delle minoranze povere e per l'impegno sociale, scrive con passione, suscitando nel lettore intensa partecipazione. Ci occorre un'immagine nuova dell'ingiustizia: troppe volte condizioni di svantaggio, l'avere la pelle nera, o essere donna, sono state considerate effetto di sfortuna (gli ebrei ortodossi ringraziano Dio ogni giorno nelle preghiere del mattino per non averli fatti nascere donna). Ma quand'e' che una disgrazia e' il prodotto della sfortuna? E quando e' un'ingiustizia? Come reagiamo all'ingiustizia in qualita' di agenti e soprattutto di vittime? E perche' cerchiamo sempre delle cause, dei responsabili della nostra sfortuna, agenti umani o divini che siano? Perche' un mondo arbitrario e casuale e' difficile da sopportare, risponde Shklar, perche' non riusciamo a reggere all'idea che il mondo sia un'accozzaglia di mali prodotti dal caso. Le vittime dell'ingiustizia, che non sono altro, sentite che bella definizione, che "persone giuste che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato con la compagnia sbagliata" non ricevono sistematicamente e da ognuno manifestazioni di partecipazione, affetto, vicinanza, ne' sentono sempre voci che si levano a loro difesa. Solo pochi sono quelli che si schierano spontaneamente dalla parte degli oppressi e dei poveri, e anche costoro lo fanno di rado. Solo persone che condividono e praticano una teoria della cittadinanza repubblicana attiva possono contribuire alla condanna e all'eliminazione dell'ingiustizia: perche' ingiusti non sono soltanto coloro che traggono vantaggi personali da atti ingiusti (ingiustizia attiva) ma anche quanti chiudono gli occhi davanti alle ingiustizie perpetrate attorno a loro (ingiustizia passiva). Dobbiamo accettare che i membri piu' svantaggiati delle societa' soffrano della loro condizione anche se sembrano rassegnati alla loro sorte? E anche se si sono rassegnati come hanno potuto farlo, come possono i piu' poveri dei poveri, come potevano gli schiavi antichi convivere con la loro condizione, per ripetere una domanda di Amartya Sen, altro paladino dei poveri e dei reietti? Non puo' esservi nulla di piu' falso, argomenterebbe Judith Shklar, che attribuire accettazione e consenso a persone che non protestino; esse sanno benissimo che si tratta di cosa ingiusta e se non riescono a ribellarsi potranno essere le virtu' repubblicane di altri ad aiutarle a uscire dall'ingiustizia che le opprime. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 163 del 27 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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