Minime. 149



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 149 del 13 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La parola
2. Oggi a Pesaro
3. Giancarla Codrignani ricorda Aura Marina Arriola
4. Valentino Parlato ricorda Aura Marina Arriola
5. Goffredo Fofi ricorda Nuto Revelli
6. Brunetto Salvarani ricorda Nuto Revelli
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA PAROLA

La parola di chi ha giurato fedelta' alla Costituzione e poi ha votato a
favore della guerra terrorista e stragista, non ha piu' alcun valore.
La parola di chi si dichiara pacifista e da un anno appoggia e giustifica e
non contrasta la guerra terrorista e stragista, non ha piu' alcun valore.
La parola di chi aiuta gli assassini e' essa stessa assassina. Chi la
ascolta puo' solo sputarla. Chi la pronuncia vanamente grida dalle rovine
della Torre di Nimrod.

2. INCONTRI. OGGI A PESARO
[Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la
sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La
scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore
leggero.Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo,
Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin
1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma
1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and
Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta',
Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere
dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war
Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la
catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer
non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi
la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i
materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la
Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una
vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli
incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si
vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di
luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della
Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di
"Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la
Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer
(esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995:
"Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer.
Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno
di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander
Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691;
e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto
con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Venerdi' 13 luglio, alle ore 21, presso la sala del Consiglio Provinciale,
il circolo culturale pesarese "Rosso e verde" e' lieto di invitarvi alla
proiezione del film "Uno di noi"; un film su Alexander Langer e la
resistenza, Muenchen 2007, di Dietmar Hoess, Blue Star Film, 70 minuti.
Il film e' imperniato sulla figura di Alexander Langer, e verra' presentato
da Mao Valpiana, direttore della rivista "Azione nonviolenta", che e' stato
molto vicino ad Alex ed insieme a lui ha partecipato a importanti progetti.
Dopo la proiezione ci intratterremo con Mao Valpiana sul tema "Prospettive
per un'associazione verde, locale, indipendente".

3. MEMORIA. GIANCARLA CODRIGNANI RICORDA AURA MARINA ARRIOLA
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Noi donne" di
luglio 2007 col titolo "Una rivoluzionaria  con 'i piedi per terra'".
Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di
coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei
movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure
piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la
nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994;
L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005.
Su Aura Marina Arriola dal sito www.latinoamerica-online.it riprendiamo la
seguente nota del 18 febbraio 2007 "E' morta il 15 febbraio, stroncata da un
infarto, l'antropologa guatemalteca Aura Marina Arriola, nota anche nel
nostro paese dove aveva vissuto per anni. Tra i suoi scritti ricordiamo in
particolare Identidad y racismo en este fin de siglo, apparso in Guatemala
nel 2001 (Flacso y Magna Terra), che raccoglie i risultati delle sue
ricerche etnografiche in Italia e in Francia e del lavoro sul campo nel sud
del Messico. L'opera, si legge nell'introduzione, parte 'dall'apparente
paradosso di confrontare luoghi tanto diversi. Apparente, perche' oggi la
globalizzazione - nonostante il disastro apocalittico che porta con se' - ha
promosso l'apertura di orizzonti piu' ampi e di reti inter e
transculturali... Le questioni dell'identita' culturale, tanto nel centro
come nelle periferie, diventano piu' complesse quando cominciamo a
comprendere che non esiste un solo modello di cultura ibrida o composta, ma
molte possibilita' diverse'. Nel 2000, sempre in Guatemala, era stato
pubblicato il libro Ese obstinado sobrevivir. Autoetnografia de una mujer
guatemalteca (Editorial del Pensativo). In esso Aura Marina Arriola racconta
la sua esperienza nella guerriglia e la sua militanza nel Partido
Guatemalteco del Trabajo. Una battaglia difficile, condotta non solo contro
le dittature militari che hanno insanguinato il Centro America, ma contro il
machismo presente tra gli stessi compagni di lotta". Tra le opere di Aura
Marina Arriola: La religiosidad popular en la frontera sur de Mexico,
Conaculta-Inah e Plaza Y Valdes; Identidad y racismo en este fin de siglo,
Flacso; Ese obstinado sobrevivir: Autoetnografia de una mujer guatemalteca,
Ediciones del Pensativo]

Vale la pena ogni tanto di riprendere il filo della memoria e, per esempio,
riandare ai decenni precedenti il 1989: forse si capisce meglio, come donne,
il mondo di oggi, anche sul piano internazionale.
Non e' facilissimo ricordare che negli anni '70-'80 del secolo scorso
l'America latina era una specie di lager, con quasi tutti i paesi del
continente sotto governi militari. Si parlava molto di "imperialismo delle
multinazionali" e della responsabilita' indiretta che questo fattore
assumeva nelle repressioni; da parte sua la sinistra sosteneva le "lotte di
liberazione dei popoli" per la loro "autodeterminazione". Espressioni quasi
tutte in disuso: gli anni trasformano le situazioni. Infatti, non si e' piu'
parlato delle multinazionali perche' gia' allora avevano vinto e la
globalizzazione ora lo dimostra; anche le lotte popolari - compresa
l'ultima, quella del Chapas, che varco' la  soglia dei metodi tradizionali
ricorrendo all'uso innovativo delle nuove tecnologie e rifacendosi a una
concezione pacifista - sono confluite nell'accettazione di governi senza
piu' divise militari, di elezioni non piu' condizionate e del "libero" gioco
democratico.
*
Sono stata molto contenta di avere rievocato queste situazioni, con passione
intellettuale ma senza rimpianti, con l'amica guatemalteca Aura Marina
Arriola, tornata per brevi giorni in Europa e in Italia, e che ho voluto
salutare, nonostante i pressanti impegni di entrambe, in una precipitosa
andata a Roma, pochi mesi fa: non potevo prevedere che era un saluto
definitivo.
Un'amica a me cara: per questo ne vorrei parlare anche ad altre donne. A suo
tempo fu, in Guatemala, dirigente politica della resistenza armata: erano i
lunghi decenni in cui nel piccolo paese centroamericano si succedevano le
peggiori dittature della storia. In una nazione in cui piu' della meta'
degli abitanti e' india, non parla lo spagnolo e vive tuttora il lutto per
la perdita delle proprie divinita', "sconfitte" dalla conquista che mise
fine ai regni maya, non solo un golpe sanguinoso nel 1954 ha messo fine alla
breve storia democratica aperta dal governo Arbenz, ma sono state perpetrate
le stragi atroci di cui Rigoberta Menchu', l'india premio Nobel che forse
sara' candidata alla presidenza, ha dato testimonianza, e sono stati
perseguitati i diritti umani con imprigionamenti, torture e uccisioni di
politici, sindacalisti, intellettuali.
*
Come capita spesso a chi si impegna in politica, le tradizioni di famiglia
contano: il nonno di Marina era stato assassinato per ordine del dittatore
Estrada Cabrera, il "Signor Presidente" del romanzo di Miguel Angel
Asturias; il padre, un liberale progressista, aveva lottato contro i
dittatori Ubico e Ponce ed era in carcere quando esplose la rivoluzione che
apri' il cammino agli unici dieci anni di democrazia del Guatemala e che
porto' il dottor Arriola ambasciatore in Messico.
Marina divenne sempre piu' consapevole delle condizioni misere dei popoli
latinoamericani e fece scelte piu' avanzate, come capita alla generazione
piu' giovane. Frequentando la facolta' di antropologia all'universita' di
Citta' del Messico, si era dotata di strumenti non solo culturali. Nel
movimento studentesco e' sempre stato facile sentire la suggestione
dell'impegno estremista: la rivoluzione le sembrava la sola via di
liberazione. Come donna, si scontro' con i problemi "di genere": con il
padre che, progressista e massone, non accettava che una donna si
dichiarasse atea; con i dirigenti politici abituati a dare e non a ricevere
ordini e irritati dagli interventi critici non "in linea"; con gli uomini
amati che, anche nella relazione piu' calda, non si fanno carico delle
responsabilita' del proprio genere. Le persecuzioni del governo e i dissidi
con i compagni causarono la scelta obbligata dell'esilio in Europa e
l'Italia divenne il suo nuovo paese, da dove mantenne costante l'impegno
politico e i contatti con la resistenza, come fanno tutti i fuoriusciti.
*
Fu allora che ci siamo conosciute: io ero in Commissione esteri del Senato;
mi occupavo molto di America latina e conoscevo tanti esuli di quel
continente. Esistevano allora in Italia "comitati di solidarieta'" con quasi
tutti i paesi a regime dittatoriale: rappresentavano luoghi in cui veniva
affrontato seriamente almeno un problema e giovani e meno giovani ricevevano
l'informazione corretta che i media normali non danno mai. Allora scrivevo
sul "Manifesto"; anche Marina si era molto legata a questo giornale, che
dava particolare importanza all'internazionalismo, e al suo direttore.
*
Ma, a prescindere dalle vicende di persone e di anni di cui si crede di
sapere quasi tutto, fu interessante anche il rientro di Marina in America
latina e il suo stabilirsi in Messico, come ricercatrice, prima
nell'Istruzione pubblica, poi alla Direzione di Etnologia e antropologia
sociale dell'universita', dove espresse la sua professionalita' senza
smentire l'interesse politico. Come scomoda era stata con i suoi compagni,
cosi' segui' in totale autonomia l'evolversi della storia latinoamericana
senza rinnegare un passato legato a condizioni precise della sua vita e
della storia in generale, ma anche senza nostalgie per le rivoluzioni
impossibili.
Sempre attiva sul piano dei diritti - individuali e dei popoli - mi inviava
materiali d'informazione, convinta - come sono io - che, se non ci si
arrangia a cercare di capire come vanno per davvero le cose nel mondo, e'
inutile credersi di sinistra o progressisti. Da donna, teneva i piedi per
terra. E si rendeva conto, come mi rendevo conto io da un altro paese, che
bisognava seguire il mondo nelle sue trasformazioni: avere fede nell'utopia,
significa spostare i traguardi delle successive realizzazioni
presumibilmente positive per l'umanita', seguendone i problemi, le
evoluzioni (o le involuzioni), le diversita'. Le tensioni morali non
cambiano, se anche le idee si trasformano, e non si perde rigore se
l'esperienza mette in rilievo le complessita' nuove da affrontare. Di questo
parlavamo; poco, perche' la distanza e gli impegni assillanti non
consentivano scambi approfonditi continui, anche se  con la posta
elettronica molto si semplificava e arrivavano i documenti, importanti per
rendersi conto che anche in Messico la realta' avanzava con questioni non
prima pensate.
*
Marina non si dichiarava femminista, probabilmente perche' aveva fatto
politica "come un uomo". Ma non si teneva nel neutro.
Nel 1980 avevo curato la pubblicazione della Lega per i diritti dei popoli
intitolata Donne e Internazionalismo: Marina scrisse, da antropologa, sulla
posizione della donna nei movimenti di resistenza, puntualizzando la
relazione del femminile con i ruoli politici - come militante nelle
organizzazioni rivoluzionarie, nel sindacato, nelle lotte contadine e
operaie, in carcere, nell'educazione politica e nell'elaborazione teorica,
nella difesa, come dirigente -, in particolare all'interno delle proprie
organizzazioni (la borghesia divide il proletariato, ma anche l'uomo suole
dividere continuamente il "proprio" proletariato; esiste il rischio della
donna-uomo, della caudillo femmina, mentre permane lo stalinismo del
padre-padrone).
Esistono anche i condizionamenti del ruolo sociale: la contraddizione tra la
ribellione politica e i modelli tradizionali, tra l'esigenza di prassi
rivoluzionaria e il suo opposto, la passivita' e il conformismo; cosi' come
l'integrazione tra donne borghesi e piccolo-borghesi, contadine e operaie,
indigene, meticce e bianche, nubili e sposate. Piu' pregnante ancora la
problematica sessuale, familiare, culturale: le donne partigiane nel
giudizio dei loro figli cosi' come le madri davanti alle scelte di militanza
dei ragazzi; la condizione materiale della vita quotidiana nel rischio; lo
stress fisico, emotivo, psicologico.
Ne' si deve dimenticare "il nemico". Nella guerra, infatti, la donna subisce
i peggiori attentati alla sua dignita': il sadismo, la depravazione, la
volonta' di umiliazione rappresentano un accanimento "di genere", diverso
dalle torture e dall'odio riservati ai maschi.
Sono considerazioni che fanno "memoria storica", anche nel riandare ad
un'amicizia scomparsa. Tuttavia, fanno anche pensiero attuale, perche',
cambiati i termini, la sostanza e' ancora la stessa. Drammatico constatarlo:
significa che l'apporto delle donne, sempre piu' necessario per chi voglia
migliorare il mondo, viene lasciato al palo.
*
Marina ha scritto pochi anni fa Ese obstinado sobrevivir, autoetnografia de
una mujer guatemalteca, la propria biografia. Quando me ne mando' una copia,
mi disse: "Sono stata una personalita' non irrilevante sul piano politico;
se fossi stata un uomo, dopo la mia morte, qualcuno avrebbe scritto di me.
Sono una donna: meglio provvedere da sola". Meno male che l'ha fatto.

4. MEMORIA. VALENTINO PARLATO RICORDA AURA MARINA ARRIOLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del febbraio 2007.
Valentino Parlato, tra i fondatori del "Manifesto", rivista prima e
quotidiano poi, e' uno dei piu' acuti e prestigiosi intellettuali della
sinistra italiana]

Il messaggio che e' arrivato dal Messico, e' pesante ed eloquente: "Cari
amici, con profondo dolore vi informiamo che nostra mamma e nostra nonna,
Aura Marina Arriola, antropologa, rivoluzionaria, donna del suo tempo, e'
morta ieri, 15 febbraio a 69 anni, per un infarto al cuore".
La notizia da' dolore e anche riflessione su un passato che non e' passato
nel dimenticatoio.
Aura Marina Arriola e' stata rivoluzionaria in Guatemala, ma non solo, e'
stata a Cuba e in altri paesi dell'America Latina e anche in Italia, dove
scriveva sul "Manifesto" con il nome di Augustin Monteforte. Forte era e lo
e' stata ancora fino ai suoi ultimi giorni (mi mandava e-mail di
approvazione o critica su quel che scrivevamo) la sua attenzione al nostro
giornale.
Con Aura Marina abbiamo vissuto insieme per tre anni in un appartamento
piuttosto povero di Roma, a via Venezia. Ed e' stata una cosa che nella mia
vita conta. Ho imparato cose che un eurocentrico come me aveva difficolta' a
capire.
Ma Marina, oltre tutte le cose che ci ha detto e che sono state molto utili
e importanti, soprattutto ci ha lasciato un messaggio forte, che e' il
titolo di un suo libro pubblicato in Guatemala. Il titolo e' "Ese ostinado
sobrevivir". La determinazione ostinata di continuare a combattere contro i
tempi di sconfitte e insuccessi.
Cara Marina continueremo, ostinatamente, a resistere e a combattere. Un
abbraccio a Ricardo, a Santiago e a tutti gli amici...

5. MEMORIA. GOFFREDO FOFI RICORDA NUTO REVELLI
[Da "Lo straniero", n. 46, aprile 2004 (sito: www.lostraniero.net).
Goffredo Fofi, nato a Gubbio nel 1937, ha lavorato in campo pedagogico e
sociale collaborando a rilevanti esperienze. Si e' occupato anche di critica
letteraria e cinematografica. Tra le sue intraprese anche riviste come
"Linea d'ombra", "La terra vista dalla luna" e "Lo straniero". Per sua
iniziativa o ispirazione le Edizioni Linea d'ombra, la collana Piccola
Biblioteca Morale delle Edizioni e/o, L'ancora del Mediterraneo, hanno
rimesso in circolazione testi fondamentali della riflessione morale e della
ricerca e testimonianza nonviolenta purtroppo sepolti dall'editoria -
diciamo cosi' - maggiore. Opere di Goffredo Fofi: tra i molti suoi volumi
segnaliamo particolarmente almeno L'immigrazione meridionale a Torino
(1964), e Pasqua di maggio (1989). Tra le pubblicazioni degli ultimi decenni
segnaliamo ad esempio: con Tony Thomas, Marlon Brando, Gremese, 1982; con
Franca Faldini, Toto', Pironti, Napoli 1987; Pasqua di maggio. Un diario
pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1988; con P. Polito, L'utopia
concreta di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1988; Prima il pane, e/o, Roma
1990; Storie di treno, L'Obliquo, 1990; Benche' giovani. Crescere alla fine
del secolo, e/o, Roma 1993; Strana gente. 1960: un diario tra Sud e Nord,
Donzelli, Roma 1993; La vera storia di Peter Pan  e altre storie per film
(1968-1977), e/o, Roma 1994; Piu' stelle che in cielo. Il libro degli attori
e delle attrici, e/o, Roma 1995; Come in uno specchio. I grandi registi del
cinema, Donzelli, Roma 1995; Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani,
Donzelli, Roma 1996; con Gad Lerner e Michele Serra, Maledetti giornalisti,
e/o, Roma 1997; Sotto l'Ulivo. Politica e cultura negli anni '90, Minimum
Fax, 1998; Un secolo con Toto', Dante & Descartes, Napoli 1998; Le nozze coi
fichi secchi, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 1999; con Gianni Volpi,
Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Lindau, 1999; con Stefano Benni,
Leggere, scrivere, disobbedire. Conversazione, Minimum Fax, 1999; con Franca
Faldini, Toto'. L'uomo e la maschera, L'ancora del Mediterraneo, Napoli
2000; con Stefano Cardone, Intoccabili, Silvana, 2003; Paolo Benvenuti,
Falsopiano, 2003; con Ferruccio Giromini, Santosuosso, Cooper e
Castelvecchi, 2003; Alberto Sordi, Mondadori, Milano 2004; con Giovanni Da
Campo e Claudio G. Fava., Simenon, l'uomo nudo, L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2004;  con Franca Faldini, Toto'. Storia di un buffone serissimo,
Mondadori, Milano 2004; Circo equestre za-bum. Dizionario di stranezze,
Cargo, 2005. Opere su Goffredo Fofi: non conosciamo volumi a lui dedicati,
ma si veda almeno il ritratto che ne ha fatto Grazia Cherchi, ora alle pp.
252-255 di Eadem, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli).
Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919 ed e' scomparso nel 2004; ufficiale
degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza,
testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari
in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande
testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale. Opere
di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi,
L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg,
Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati presso Einaudi. Opere su
Nuto Revelli: AA. VV., Memorie di vita e di Resistenza. Ricordi di Nuto
Revelli 1919-2004, Nuova Iniziativa Editoriale - L'Unita', Roma 2004]

Un anno fa Nuto Revelli dava alle stampe il suo ultimo lavoro, Le due
guerre. Guerra fascista e guerra partigiana, per il suo editore di sempre,
Einaudi. Ci sono pochi libri nella nostra letteratura che siano altrettanto
limpidi, essenziali, misurati. Una misura narrativa ma prima di tutto
morale, perche' Nuto Revelli ricostruisce gli eventi storici a partire dalla
propria storia, e si da' per compito di spiegare con chiarezza ai giovani di
oggi come i giovani di un tempo hanno vissuto la tragica avventura della
guerra fascista, e lui e tanti come lui il fronte piu' crudele di tutti,
quello russo dove ancora una volta vinse "il generale Inverno". E
l'avventura ben diversa perche' di partecipazione volontaria e in qualche
modo riparatrice che fu la Resistenza. Senza la guerra, Revelli sarebbe
stato un qualsiasi buon borghese della cuneese "provincia granda" tra Alpi e
Langhe (come torno' a essere a guerra finita), di simpatie moderatamente
fasciste o non antifasciste. Da giovane per lui "il fascismo e lo sport
erano la stessa cosa", e fu solo con il 1938, a diciannove anni, che
qualcosa comincio' a scricchiolare, la prima consapevolezza di trovarsi
sotto una dittatura prese forma. Ma senza dubbio, come per tanti altri,
senza l'esperienza del disastro e dell'ingiustizia della guerra, e la
sudditanza in guerra agli hitleriani, la sua "presa di coscienza" sarebbe
stata piu' lenta e faticosa.
E' sul fronte russo, davanti all'impreparazione e alle innumeri vilta' dei
superiori (dove erano i gerarchi che avevano predicato la guerra? mai si e'
visto al fronte nessuno di loro, ha scritto Revelli) che tutto divento'
evidente; e quando Revelli pote' tornare a casa dopo la tragica ritirata,
raccontata mirabilmente da lui in Mai tardi (1946) e da Mario Rigoni Stern
in Il sergente nella neve (1953), scelse di riprendere le armi, ma stavolta
contro i tedeschi e i fascisti di Salo' loro succubi. Nuto Revelli viene
considerato a giusta ragione uno degli "inventori" italiani della storia
orale per le sue raccolte di testimonianze sugli anni di guerra. La guerra
dei poveri, La strada del davai e L'ultimo fronte, e per le inchieste sul
mondo alpino e contadino di Il mondo dei vinti e L'anello forte (questa
sulle donne), ma non si devono dimenticare Il prete giusto (1998) e
soprattutto Il disperso di Marburg (1994), che e' un piccolo capolavoro
letterario sul tema del "nemico". Si tratta stavolta di una vittima tedesca
della guerra partigiana di cui si e' tramandata la leggenda di "tedesco
buono" che Revelli riesce a ricostruire nel tempo, a delucidare, come in un
puzzle, fino a scoprire che quel nemico era davvero un uomo buono. Se al
nemico si da' un volto, l'idea stessa di "nemico" viene rimessa in
discussione, ma non quella di "giusto " e "ingiusto", che rimane e che sta
al di sopra dell'onesta' privata degli individui travolti dalla guerra.
Il dilemma era alto e Revelli lo affronto' con appassionata lucidita', con
una pacatezza che non arretra di fronte a nessuna scoperta e che giudica la
guerra non come una costante storica dell'uomo ma come un preciso conflitto
che ha ragioni sbagliate ma puo' averne, come nel caso della Resistenza,
anche giuste. L'apprendistato alla coscienza cresciuto nell'esperienza russa
e poi partigiana, non finisce mai: si deve sempre scavare, cercare, capire
per poter giudicare, per poter scegliere da che parte stare. A guerra
finita, Nuto Revelli non si e' fermato e ha fatto ricerca storica "dal
basso", dal punto di vista degli umili e dei comuni, dei soldati semplici e
poi dei contadini e delle donne della montagna (bellissime le figure delle
"calabrotte", le ragazze meridionali salite a sposarsi i montanari senza
donne al tempo della grande migrazione negli anni del boom), ma anche di
quelle figure a meta', tra le quali anch'egli si poneva, ufficiale in guerra
e poi comandante partigiano che deve assumersi in tempi estremi precise e
gravi responsabilita'. Tra queste figure egli pose il "prete giusto", di cui
ricostrui' la vicenda nel libro dello stesso titolo. Non si tratta dei
"capi", ma neanche dei "sottoposti": figure di mezzo come tanti di noi ieri
e oggi, le cui responsabilita' possono crescere quanto piu' il mondo
impazzisce, e che devono tener testa, devono operare il giusto anche se
tutto va a rotoli, se i leader delirano o tradiscono e i sudditi si fanno
complici.
Da Nuto Revelli, uomo comune che e' diventato un esempio per il coraggio
delle sue scelte e la serenita' dei suoi giudizi, e per il rifiuto della
retorica in tutto il suo operare, c'e' molto da imparare. Da lui e da altri
come lui, se pensiamo con dolore alla recente scomparsa di altri due
intellettuali piemontesi, non venuti dalla gavetta come Revelli, che sono
Alessandro Galante Garrone "il mite giacobino" e Norberto Bobbio. In tempi
di revisionismo loschi e pesanti, sono personaggi come questi che dobbiamo
ancora ascoltare. Anche ieri, quando la Resistenza era di moda, si sono
comportati con la stessa misura, con lo stesso rifiuto della speculazione
politica, con la stessa esigenza di "giustizia e liberta'" e di verita'.
Va scomparendo una generazione di padri e di maestri non solo a parole. E
non c'e' purtroppo chi voglia, possa, sappia sostituirli, con rare e fragili
eccezioni. All'inizio di Le due guerre Nuto ha scritto: "Vorrei dare un'idea
di che cosa sia stato il fascismo per i giovani del Ventennio". In un paese
sensato questo libro dovrebbe stare nelle case di tutti gli "alfabetizzati",
come era un tempo in Italia per I promessi sposi, Cuore, Pinocchio.

6. MEMORIA. BRUNETTO SALVARANI RICORDA NUTO REVELLI
[Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo ricordo del
febbraio 2004.
Brunetto Salvarani, teologo ed educatore, da tempo si occupa di dialogo
ecumenico e interreligioso, avendo fondato nel 1985 la rivista di studi
ebraico-cristiani "Qol"; ha diretto dal 1987 al 1995 il Centro studi
religiosi della Fondazione San Carlo di Modena; saggista, scrittore e
giornalista pubblicista, collabora con varie testate, dirige
"Cem-Mondialita'", fa parte del Comitato "Bibbia cultura scuola", che si
propone di favorire la presenza del testo sacro alla tradizione
ebraico-cristiana nel curriculum delle nostre istituzioni scolastiche; e'
direttore della "Fondazione ex campo Fossoli", vicepresidente
dell'Associazione italiana degli "Amici di Neve' Shalom - Waahat as-Salaam",
il "villaggio della pace" fondato in Israele da padre Bruno Hussar; e' tra i
promotori dell'appello per la giornata del dialogo cristiano-islamico. Ha
pubblicato vari libri presso gli editori Morcelliana, Emi, Tempi di
Fraternita', Marietti, Paoline]

"Ricordo quando siamo andati assieme sulle sue montagne, dove aveva fatto la
guerra da partigiano. Ci eravamo trovati dopo una ventina d'anni dalla fine
della guerra. Io sapevo fin da allora di Nuto, perche' un mio amico e
compaesano comandava il plotone guastatori della sua banda, ma Nuto era un
mito gia' per noi alpini, in Russia, perche' sapevamo di questo cuneese che
era sulla linea di fianco a noi, sapevamo che era duro e testardo ma tanto
generoso con i suoi soldati...". Chi lo sta ricordando cosi', con sobria
commozione come si conviene ad un figlio della vita difficile della
montagna, e' Mario Rigoni Stern, l'ottantaduenne autore de Il sergente nella
neve e Ritorno sul Don che gli e' stato, lungo gli anni del secolo breve, di
volta in volta commilitone, collega di scelte artistiche ed amico fraterno:
pensa a Nuto Revelli, che se n'e' andato qualche giorno fa, coerentemente,
in punta di piedi. E portandosi dietro per l'ultimo viaggio un bagaglio
infinito di memorie, di impegno civile, di dedizione assoluta alla causa
degli ultimi. Di quelli che ai suoi occhi erano i vinti, ai quali aveva
dedicato ogni fatica, e in particolare uno dei suoi libri piu' importanti:
Il mondo dei vinti, appunto, uscito dopo una complessa gestazione nel 1977.
Per un curioso gioco del destino, la sua morte segue di poco quella di altri
due piemontesi coraggiosi e autorevoli, Alessandro Galante Garrone e
Norberto Bobbio, coi quali aveva in comune non solo la terra di nascita, ma
anche una scelta di quelle che segnano un'esistenza intera, la Resistenza,
combattuta nelle fila di Giustizia e Liberta', e poi il rigore morale, il
miglior prodotto di quel pensiero laico (ma mai laicista, direi) che da
quelle parti si e' sviluppato rigogliosamente. E che oggi appare in forte
difficolta', tanto che la loro scomparsa quasi contemporanea e' stata letta
come una metafora dell'esaurimento di un'epoca.
*
Un manovale della ricerca
Revelli, si e' detto, e' stato uno scrittore di cose nel paese per
antonomasia degli scrittori di parole; ed e' stato uno scrittore per
necessita', piu' che per elezione o per vocazione. Non si limitava a dire
qualcosa, ma aveva davvero qualcosa da dire, qualcosa che sentiva come una
sorta di imperativo etico. Aveva bandito radicalmente il ricorso alla
retorica, cosi' cara invece al costume nazionale. Non riconosceva a se
stesso alcuna particolare capacita' stilistica, ma piuttosto il debito
contratto durante la guerra coi soldati e i partigiani che - ancora
giovanissimo - aveva visto spegnersi accanto a lui; e ripeteva di voler solo
che le generazioni successive sapessero, che non dimenticassero le storie,
gli errori e le speranze di chi aveva avuto in sorte di attraversare
esperienze eccezionalmente dure, spaventose. A proposito dei giovani di
oggi, in una delle interviste piu' recenti, aveva dichiarato, sempre
controcorrente rispetto alla banale lettura comune: "Non sono sprovveduti,
non si adatterebbero, non si adattano, al giogo della menzogna, alle losche
mene. Sono naturalmente liberi". Lui, per se', respingeva ogni tentativo di
venir classificato nelle categorie tradizionali (storico, antropologo,
sociologo, o narratore), scegliendo l'etichetta felice, ancorche' del tutto
informale, di manovale della ricerca.
Nuto - abbreviazione del nome reale Benvenuto - era nato a Cuneo, il
capoluogo della provincia granda, nel 1919, da una famiglia borghese: alto,
atletico, un potenziale perfetto giovane fascista che sentiva fortemente il
fascino dell'istituzione militare. Ventenne, quindi, dopo il diploma da
geometra entra logicamente all'Accademia di Modena ("quella scuola severa
come un seminario", ricordera'), per uscirne da sottotenente degli alpini,
appena in tempo per salire su una tradotta destinata al fronte russo:
partenza da Rivoli nel luglio '42. Combattera' sulla linea del Don,
sfondando la sacca alla Nikolajevka, e marcera' per la bellezza di 600 km
nella neve, per tornare a casa l'anno seguente, ferito, decorato e promosso.
Ma l'esperienza bellica lo ha gia' trasformato nell'intimo: gli ha fatto
sperimentare da presso il marciume delle retrovie, e toccare con mano lo
sfascio della ritirata, la rotta degli alpini mandati a morire dal regime e
poi abbandonati in quell'inferno di ghiaccio. Nell'ultima pagina di Mai
tardi, prima edizione '46, il suo diario di Russia, si leggera': "Cialtroni!
Piu' nessuno crede alle vostre falsita', ci fate schifo... Chi ha fatto la
ritirata non crede piu' ai gradi e vi dice: Mai tardi... a farvi fuori!". Di
qui, la decisione di salire in montagna coi partigiani, come opzione piu'
ancora esistenziale che politica: a questa stagione risalgono i legami, che
si riveleranno duraturi, con gli amici azionisti, dagli stessi Bobbio e
Galante Garrone a Natalia Ginzburg, Vittorio Foa e Primo Levi. Come la
maggioranza di loro, dopo il fallimento di quel partito, abbandonera' la
vita politica diretta. Nel '45 si sposa con Anna, con cui intesse un'unione
durevolmente straordinaria, tanto che alla morte di lei, tre anni or sono,
gli amici comuni sostengono che egli abbia cominciato a venir meno, a
chiudere i conti. Il loro figlio, Marco, che ne ha ereditato la passione per
un'analisi mai scontata o tranquillizzante della societa', e' oggi
autorevole politologo e docente universitario a Torino.
*
Il tempo lungo del racconto
Riprendere in mano i libri di Nuto Revelli significa penetrare, di volta in
volta, in un mondo diverso, accettando la sfida di leggere la storia e la
vita dalla parte del torto, di quanti sono stati sconfitti dalla crudezza
della realta'. La strada del Davai, ad esempio, uscito nel '66 per Einaudi,
rappresenta una reazione alla strumentalizzazione politica che era stata
fatta della tragedia dell'Armir, durante la spedizione russa. Un impegno da
intellettuale atipico, hanno scritto in occasione della sua scomparsa: in
verita', direi, l'opera di un uomo che, nel suo fare cultura nel senso piu'
autentico, non dimentica mai di essere tale. Che non scrive a comando, e si
disinteressa totalmente delle sacre regole del marketing, quelle che oggi
dominano il mercato editoriale. Per rendersene conto, basterebbe riandare a
L'ultimo fronte ('71), raccolta di lettere di soldati caduti o dispersi nel
corso della seconda guerra mondiale, frutto di un lustro di studi e naturale
ponte per la seconda fase dell'opera di Revelli: che sara' caratterizzata
dalle grandi ricerche sul terreno, tra gli anni Settanta ed il decennio
seguente, con la produzione de Il mondo dei vinti (a partire da 270
interviste ai contadini della montagna cuneese) e de L'anello forte
(sull'universo femminile di quel medesimo territorio e delle Langhe, donne
povere calabresi giunte sin la' per trovare famiglia, con incontri casa per
casa e il tentativo di rimanere il piu' possibile fedele alla struttura del
linguaggio parlato). Il suo metodo di lavoro e' decisamente faticoso, come
egli ammette di fronte a chi gli chiede come mai, nonostante il
riconoscimento generale ottenuto dai suoi studi, ben pochi in Italia abbiano
ricalcato le sue tracce di ricercatore orale. Il tempo che ad essi riservava
lui e' infatti, necessariamente, il tempo lungo dell'ascolto e del racconto,
che mal si accorda con l'odierna pretesa di dire tutto e subito, condivisa -
in fondo - da giornalisti, studiosi e scrittori. E poi, come ammise una
volta, "a me piacciono i bastiancontrari, li capisco, purche' si battano per
delle cause giuste: non mi piacciono i conformisti". Il suo italiano e'
spoglio ed essenziale, refrattario verso qualsiasi eleganza compiaciuta:
l'italiano elementare ma efficacissimo in cui e' scritta la Costituzione
della Repubblica, quello di Primo Levi e dello stesso Rigoni Stern.
*
C'e' moltissimo da fare...
Il suo passo successivo consistera' nell'approdo alla narrativa, con una
coppia di volumi non piu' corali bensi' legati ad un protagonista unico, Il
disperso di Marburg, del '94, incentrato sulla leggenda di un nazista buono
catturato dai partigiani,  e Il prete giusto, quattro anni piu' tardi. Vale
la pena di soffermarsi soprattutto su quest'ultimo, per consigliarne
caldamente la lettura, insieme commovente e, per cosi' dire, drammaticamente
istruttiva. Il testo affronta una vicenda reale, e ha origine, come ha
spiegato lo stesso autore, da una serie di dialoghi con don Raimondo Viale
(classe 1907, di Limone Piemonte, vicecurato a Borgo San Dalmazzo) in
un'angusta camera della casa di cura in cui l'ormai anziano parroco era
stato ricoverato. L'esito dei colloqui e' il ritratto di un uomo che
riassume esemplarmente le contraddizioni di un'intera eta', dato che il
prete partigiano - che solo nel 1980 sara' riconosciuto come Giusto delle
nazioni per i numerosi ebrei salvati a sprezzo del pericolo - alla fine del
conflitto si era trovato sostanzialmente emarginato per un certo suo
conservatorismo dalle tinte retro', e persino sospeso a divinis. Una
sorprendente testimonianza, quella di un sacerdote illuminato che ha pagato
a caro prezzo il coraggio di esprimere le proprie idee, e di attraversarle
concretamente nel vissuto dei suoi giorni: un uomo libero, un prete giusto,
appunto.
Dopodiche', dara' alle stampe solo un prezioso collage di conversazioni con
gli studenti dell'universita', Le due guerre. Guerra fascista e guerra
partigiana, che oggi assumono piu' che mai il valore di un vero e proprio
testamento.
Alla festa per i suoi 80 anni, mentre l'Istituto storico di Cuneo gli dedica
un bellissimo numero speciale della rivista "Il presente e la storia" "per
la sua intransigenza, per la sua autorevolezza, per la sua coerenza, per il
coraggio di dire le cose chiare", e quasi contemporaneamente riceve la
laurea honoris causa dall'Universita' di Torino, Revelli confidera': "La
memoria e' il motivo che unisce tutti i miei libri: non dimenticare, non
rimuovere"; e poi: "Riesco ancora ad arrabbiarmi, a scandalizzarmi. C'e'
moltissimo da fare per liberta' e democrazia. Pero' e' possibile". Ciau,
Nuto, e grazie. In occasione dell'ultimo addio, e' toccato invece a tuo
figlio Marco dire, in poche parole, il senso di una perdita gravissima per
la nostra cultura, per l'Italia intera: "Pensiamo di interpretare la
volonta' di mio padre con un funerale semplice, un funerale partigiano.
Sapete quanto detestava le cerimonie. Lo salutiamo qui, senza discorsi
ufficiali, con qualche minuto di silenzio. Sono sicuro, cari amici, che
tutti sapranno ricordarlo nel modo migliore".

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 149 del 13 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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