Minime. 137



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 137 del primo luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. In cammino verso Tebe
2. Enrico Peyretti: Il "programma costruttivo" di Gandhi oggi
3. Peppe Sini: Due obiezioni al testo che precede
4. Maria Paola Fiorensoli presenta "Donne medievali" di Enrica Guerra
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. IN CAMMINO VERSO TEBE

Tu sai che la sfinge sei tu.
Che e' te stesso che devi contrastare.

Ogni uccisione la stessa uccisione.
Ogni persona l'intera umanita'.

Ogni colpo che affonda nelle carni
un diluvio di sangue che sconvolge
e terra e cielo.

Nulla salva il mondo
se non la scelta della nonviolenza.

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL "PROGRAMMA COSTRUTTIVO" DI GANDHI OGGI
[Dal sito del Centro studi Sereno Regis (www.cssr-pas.org) riprendiamo il
seguente intervento di Enrico Peyretti sul tema "Il 'programma costruttivo'
di Gandhi e il nostro", svolto al seminario del 21 giugno 2007 di
preparazione al convegno annuale del Centro medesimo.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito
del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l’autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l’India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara,
L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega,
Torino 2006]

Gli appunti seguenti sono una riflessione attorno ad un tema del progettato
convegno dell'8-9 dicembre 2007, "La pace e' nonviolenza", in occasione del
XXV anno del Centro Studi Domenico Sereno Regis, di Torino. Sullo stesso
tema stanno lavorando altri collaboratori del Centro Studi (e-mail:
info at cssr-pas.org, sito: www.cssr-pas.org). Una parte del testo che segue e'
tratta, con molte modifiche e ampliamenti, dalla relazione tenuta a Trento,
nel convegno di Pax Christi, 30 dicembre 2005, pubblicata in La nonviolenza
e' in cammino, n. 1166, 5 gennaio 2006).
*
Nel seminario del 12 aprile 2007 avevo proposto qualche riflessione su
violenza e nonviolenza nella storia umana, nel passato recente, nella
transizione attuale, nella necessaria prospettiva di una "nuova storia"
(nelle parole di Gandhi e di Capitini).
Oggi, fatta 1) una premessa in tre brevi punti, vorrei vedere 2) il
"programma costruttivo" di Gandhi, 3) tentarne una applicazione per
analogia, davanti alle violenze odierne, in una nostra cultura politica
costruttiva, 4) chiederci se e quanto e' possibile oggi una simile politica
della nonviolenza.
*
1. Premessa
1. 1. Programma costruttivo
La quarta delle regole dell'azione nonviolenta gandhiana e' l'impegno
costante nel programma costruttivo (1). La lotta nonviolenta non e' solo per
togliere un'ingiustizia, anzi non puo' fare questo, se non e'
contemporaneamente, e da subito, azione costruttiva della giustizia. Percio'
Gandhi dice: "Se la disobbedienza civile non e' accompagnata da un programma
costruttivo, e' un atto criminale e una dispersione di energie, (...) e'
soltanto una bravata ed e' peggio che inutile" (2). Puo' essere necessario
essere disobbedienti alla legge e al comando ingiusto, ma non e'
sufficiente, anzi e' soprattutto negativo senza un impegno costruttivo. Per
questo motivo Giuliano Pontara sostiene che non e' l'astensione dalla
violenza ma lo sforzo costruttivo la piu' profonda essenza della nonviolenza
gandhiana (3).
*
1.2. La nonviolenza e' piu' del pacifismo
La resistenza e opposizione alla violenza e' molto di piu' del pacifismo,
che si oppone solo alla guerra. La nonviolenza attiva e positiva e'
opposizione alle cause della guerra, che sono le violenze piu' profonde e
micidiali della stessa guerra, cioe' la violenza strutturale (nelle leggi,
nelle economie) e soprattutto la violenza culturale (nelle idee, costumi,
tradizioni, ritenute e consacrate come valori). Ovviamente, la guerra e' il
male piu' vistoso, e il suo ripudio - della guerra e di tutto l'apparato e
la strumentazione che la innescano - e' l'obiettivo politico primario. Ma
solo una cultura civile della nonviolenza radicale e positiva potra' far
pervenire la civilta' umana alla liberazione dalla guerra. Non ci sara' una
politica nonviolenta senza una grande crescita della cultura nonviolenta.
*
1. 3. La nonviolenza positiva e' una rivoluzione o mutazione culturale
La nonviolenza non e' solo, negativamente, l'astensione dalla violenza, ma
e', positivamente, una rivoluzione o mutazione culturale che porti le
coscienze personali, le societa', le civilta' umane a gestire problemi e
conflitti della convivenza emancipandosi dalla compulsione distruttiva, che
e' sempre anche autodistruttiva.
Per arrivare a questa maturazione non bastano l'indignazione morale, ne'
l'esortazione generica delle buone volonta', ne' le morali tradizionali,
scese a patti con la violenza, tanto meno leggi repressive, tutte cose utili
o necessarie, ma occorre indicare punti concreti di mutamento e sviluppo
alternativo nelle culture, nei comportamenti sociali, a partire da decisioni
e scelte personali, in contrasto costruttivo con strutture e comportamenti
vigenti, intrisi di violenza.
*
2. Undici punti costruttivi
Gandhi propone il suo programma costruttivo, nell'India del suo tempo, in
almeno undici punti (4), che compaiono gia' nel 1909 in Hind Swaraj.
1) riconciliazione tra i vari gruppi religiosi indiani, specialmente tra
indu' e musulmani. Questo e' il punto per il quale, dopo oltre cinquant'anni
di impegno continuo e tenace, Gandhi pago' con il sacrificio della vita.
2) abolizione della intoccabilita', come primo passo verso l'abolizione
delle caste.
3) lotta contro l'uso delle bevande alcoliche e delle droghe.
4) filatura e lavorazione casalinga del cotone (khaddar o khadi, stoffa
filata e tessuta a mano) non soltanto come boicottaggio dei tessuti inglesi,
ma come strumento di sensibilizzazione e organizzazione politica,
espressione della dignita' e importanza del lavoro manuale, protesta contro
l'industrialismo disumanizzante, valorizzazione del capitale umano, simbolo
dell'indipendenza (l'arcolaio e' ancora oggi lo stemma sulla bandiera
indiana).
5) promozione della piccola industria di villaggio, come realizzazione di
decentramento e autonomia dei 700.000 villaggi indiani.
6) nuovo metodo di educazione dei bambini alla nonviolenza e al rispetto di
quanto di buono e duraturo c'e' nella tradizione indiana, invece di
sradicarli in nome della "piu' progredita" civilta' occidentale.
7) educazione degli adulti.
8) parificazione dei due sessi, perche' nella nonviolenza la donna ha lo
stesso diritto dell'uomo di forgiare il proprio destino. Ricordiamo a questo
proposito che Gandhi affermava il primato della donna nell'azione
nonviolenta: "Se per forza si intende la forza morale, allora la donna e'
infinitamente piu' forte dell'uomo. (...) Se la nonviolenza e' la legge
della nostra esistenza, il futuro e' delle donne" (5).
9) miglioramento sia fisico che psichico dell'individuo per condurlo a
capire ed apprezzare la "vita semplice", o "semplicita' volontaria",
nell'alternanza di lavoro manuale e mentale per una piu' piena realizzazione
di umanita'.
10) propagazione della lingua nazionale.
11) promozione dell'uguaglianza economica, in base all'assunto che un
sistema basato sulla nonviolenza e' impossibile fin quando una societa' e'
divisa in ricchi e poveri, capitale e lavoro.
*
3. Davanti alle violenze odierne, una nostra cultura politica costruttiva
Proviamo a immaginare e abbozzare un programma simile per noi, cercatori di
nonviolenza, ripercorrendo dettagliatamente questi punti magistrali,
confrontati e ripensati nella nostra situazione italiana, occidentale,
odierna.
1) "Riconciliazione tra i vari gruppi religiosi indiani, specialmente tra
indu' e musulmani", per noi oggi puo' significare il macroecumenismo, cioe'
la costruzione di dialogo interreligioso e la collaborazione per la pace con
le persone di tutte le religioni ormai presenti in numero significativo in
Italia. Come ricorda da tempo Hans Kueng, la pace tra le religioni e' una
condizione della pace tra le culture e le nazioni; la pace tra le religioni
ha bisogno di conoscenza e dialogo tra le religioni; perche' ci sia dialogo
tra le religioni occorre ricercare i fondamenti delle religioni, nelle loro
differenze e convergenze profonde. Iniziative di dialogo interreligioso
crescono in Italia, in particolare e' importante per la pace la giornata di
dialogo cristiano-islamico alla fine del ramadan, che si svolge da quattro
anni, promossa dal basso, inizialmente da Brunetto Salvarani, non ancora
ufficializzata nella chiesa italiana, avvenuta in questi anni in un
centinaio di citta'.
2) Gandhi voleva in India l'"abolizione della intoccabilita', come primo
passo verso l'abolizione delle caste". Per noi, chiaramente, cio' vuol dire
atteggiamenti personali e collettivi di amicizia, ospitalita',
frequentazione, collaborazione sociale, con gli immigrati, fatti oggetto di
sospetti e discriminazioni che arrivano talvolta al razzismo sordo, non solo
psicologico, impaurito, ma anche esplicito, ideologico, amministrativo,
politico; quindi vuol dire per noi anche iniziative politiche alternative al
trattamento dell'immigrato come utile forza-lavoro assai piu' che come
persona con bisogni e diritti; e vuol dire saper pensare e volere giustizia
sulla grave questione dei Centri di Permanenza Temporanea.
3) "Lotta contro l'uso delle bevande alcoliche e delle droghe", sara' per
noi azione preventiva, educativa, testimoniale, sociale che aiuti chi e'
privo di motivi per vivere e per agire, e quindi cade nella dipendenza da
vari tipi di sicurezza fittizia ed eccitazione artificiale per sentirsi
vivo: le droghe, l'alcol, ma anche la soggezione alle mode rassicuranti e al
conformismo dei consumi reso obbligatorio dalla pubblicita', l'appiattimento
sul pensiero unico, l'inerzia che fa rassegnare alle ingiustizie invece di
costruire azioni e forme sociali giuste. L'impegno nella costruzione della
pace e' un compito storico, lungo piu' generazioni, che riempie di
significato la nostra vita personale e politica. Ogni volta che possiamo
trasmettere questo desiderio attivo salviamo una vita dal vuoto e
dall'insignificanza.
4) e 5) Quando Gandhi chiedeva agli indiani la "filatura e lavorazione
casalinga del cotone, non solo come boicottaggio dei tessuti inglesi, ma
come strumento di sensibilizzazione e organizzazione politica, come
espressione della dignita' e importanza del lavoro manuale, come protesta
contro l'industrialismo disumanizzante, come valorizzazione del capitale
umano e simbolo dell'indipendenza", e sollecitava la "promozione della
piccola industria di villaggio", egli avviava una vera azione economica e
politica costruttiva che per noi puo' voler dire imparare a fare da se'
molte cose, per esempio fare il pane o lo yogurt in casa, scegliere acquisti
locali o equo-solidali, liberi dal potere delle multinazionali sfruttatrici
del lavoro dei poveri e saccheggiatrici delle loro terre; in sostanza, vuol
dire informarci e impegnarci nelle varie forme di economia alternativa, che,
senza violenza, resiste e fa contrasto allo sfruttamento di lavoratori
agricoli e coltivatori poveri; toglie potere alle potenze economiche
responsabili della maggior parte della violenza presente oggi nel mondo, che
e' la violenza economica, piu' vasta e profonda della stessa violenza
bellica; si prende cura della terra scegliendo le tecniche ecologiche; o
almeno tende a tutto questo.
6) e 7) Per Gandhi era importante in India un "nuovo metodo di educazione
dei bambini - ma anche degli adulti - alla nonviolenza e al rispetto di
quanto di buono e duraturo c'e' nella tradizione indiana, invece di
sradicarli in nome della 'piu' progredita' civilta' occidentale". Era questa
l'indipendenza culturale e spirituale necessaria alla giusta indipendenza
politica nazionale dell'India. Anche noi siamo soggetti ad un colonialismo e
imperialismo che non ha quelle stesse forme, ma influisce pesantemente sugli
spiriti mediante settori dell'industria dello spettacolo, che puntano spesso
sulla droga della violenza armata, psicologica o sessuale; un colonialismo
culturale che compie operazioni sistematiche sull'immaginario di massa,
mediante penetrazione imperiosa e suadente dei miti di forza, efficienza e
successo spregiudicato, di ammirazione e culto dei "vincenti", di
insensibilita' ai diritti di tutti, fino al disprezzo degli ultimi (tanti
videogiochi di guerra e violenza!). Sono  quelle "tendenze naziste" che
Giuliano Pontara individua nel suo libro L'Antibarbarie (Edizioni Gruppo
Abele), per le quali propone gli antidoti precisi costruiti dal movimento
gandhiano. Un punto costruttivo di pace e nonviolenza oggi e' realizzare la
comunicazione tra le culture senza nessuna pretesa di superiorita' dell'una
o dell'altra, tantomeno se e' per capacita' tecniche piu' che per crescita
umana e spirituale; un punto costruttivo e' educarsi, e dunque essere
fattori di educazione sociale, all'uguaglianza, alla liberta' di spirito,
alla responsabilita', a cio' che di valido viene da tradizioni antiche che
non sono da disprezzare come se il nuovo fosse sempre il meglio; e'
dedicarsi anche a produzione artistica e di spettacolo ispirata a umanita',
nelle tante forme culturali in cui si esprime lo spirito umano nelle varie
civilta' e nella storia.
10) "Propagazione della lingua nazionale" era il decimo punto del programma
costruttivo di Gandhi. Oggi vuol dire oggi accettare le lingue che di fatto,
come l'inglese, mediano una comunicazione piu' vasta, ma conservare le
differenti lingue, cioe' le culture, le differenti visioni tradizioni ed
esperienze di vita, senza che lingua e mentalita' dei popoli dominanti
dominino le menti e plasmino una mentalita' appiattita e conforme. Non e'
secondario questo punto per la dignita' delle culture e la ricca diversita'
umana, che e' un bene e un valore quando e' incontro e non dominio o
scontro.
8) La "parificazione dei due sessi, perche' nella nonviolenza la donna ha lo
stesso diritto dell'uomo di forgiare il proprio destino" era un altro punto
positivo del programma nonviolento gandhiano. Oggi il movimento femminile e
femminista ha fatto strada, e tante donne sono attive non solo nelle
rivendicazioni dei loro diritti e dignita', ma sono in prima fila, nella
ricerca, nell'educazione e nell'azione dei nostri movimenti per la pace e la
nonviolenza. Nel mondo, nelle culture, religioni, tradizioni, ma anche nelle
chiese e nelle religioni, manca ancora molto al riconoscimento della parita'
di valore personale e di ruolo sociale tra donne e uomini; le posizioni di
potere pubblico e la pratica di violenza nelle sue varie forme, sono assai
piu' degli uomini che delle donne. Quel che forse e' peggio, ci sono
rivendicazioni di parita' chiaramente distorte, come la presenza di donne
nei luoghi della violenza istituzionale, come gli eserciti e la guerra, dove
invece deve ridursi fino a scomparire ogni presenza umana, anche maschile.
Senza mitizzare una natura umana diversa nelle donne, come se fosse immune
dalla violenza, specie quando le donne arrivano a posizioni di potere,
certamente il necessario riequilibrio dei due volti dell'umanita' nella
gestione delle vicende pubbliche come dei rapporti personali potra' essere
un contributo ad una umanita' meno violenta e piu' giusta. Nell'ambiente dei
cercatori di pace questo avviene piu' naturalmente e tranquillamente che
nella societa' competitiva e individualista, ma e' nostro impegno
costruttivo fecondare tutta la societa' in questo senso.
9) e 11) "Imparare a capire ed apprezzare la 'vita semplice', o 'semplicita'
volontaria', nell'alternanza di lavoro manuale e mentale per una piu' piena
realizzazione di umanita'. Promozione dell'uguaglianza economica, in base
all'assunto che un sistema basato sulla nonviolenza e' impossibile fin
quando una societa' e' divisa in ricchi e poveri, capitale e lavoro". Questi
punti costruttivi di Gandhi possono diventare, per la nostra ricerca di
nonviolenza, uno stile di sobrieta', alternativo alla quantita' di possessi,
di oggetti, di comodita' sofisticate ed eccessive, non giustificabili con
l'efficienza del lavoro e delle comunicazioni. Ma questo non solo per una
igiene di vita personale, non dominata dalle cose, ma soprattutto perche' la
troppa ricchezza degli uni e' miseria degli altri, ed e' - come diceva padre
Turoldo - "vergogna del Nord e disperazione del Sud del mondo". Dunque,
dobbiamo riconoscere con Gandhi, che "la nonviolenza e' impossibile fin
quando una societa' e' divisa in ricchi e poveri": le grandi disuguaglianze
offensive discriminatrici e separatrici, che selezionano gli esseri umani in
sommersi e salvati, in esuberi e necessari, sono grandi e gravi violenze,
sono una vera guerra all'umanita' anche se nessuna arma sparasse e nessun
bombardiere bombardasse. Dunque, la politica che vogliamo deve privilegiare
la giustizia resa ai deboli e non il mercato, quando e' - come
larghissimamente e' oggi - speculazione finanziaria feroce, e non servizio
ai bisogni, e allora diventa il campo dei forti, la cui liberta' di dominio,
sotto nome di liberta' economica, e' pura violenza. La politica costruttiva
che dobbiamo fare non accetta la liberta' falsa e oppressiva delle "libere
volpi fra libere galline", ma vuole porre museruole alle "volpi" voraci e
violente e sostenere coscienza e forza sociale delle deboli "galline". In un
mondo reso umano tutti devono poter mangiare, ma nessuno deve poter mangiare
gli altri, come sciaguratamente ma regolarmente oggi avviene nell'umanita',
molto piu' che tra gli altri animali.
*
4. E' possibile oggi una simile politica della nonviolenza?
E' possibile che una simile politica abbia il consenso popolare necessario
in democrazia? Nel sistema democratico il passaggio all'attuazione legittima
delle idee giuste non puo' avvenire senza l'adesione di un numero
maggioritario di cittadini. In democrazia, la qualita' delle proposte ha
bisogno del supplemento della quantita' dei voti, anche quando sono proposte
necessarie alla sopravvivenza vitale (come e' oggi smettere di devastare
l'ambiente). E' certamente una buona regola, quella per cui la qualita' da
sola non basta - e infatti chi la giudicherebbe? E' una buona regola
affinche' nessuna minoranza possa presumere di avere da se stessa il diritto
di decidere per tutti in base alla presunzione di avere le proposte migliori
di tutte.
Ma oggi la politica nonviolenta trova consensi sufficienti? Si osserva
facilmente che classi sociali fino a ieri vittime di violenze economiche e
di discriminazioni, grazie a parziali inebrianti miglioramenti delle
condizioni materiali di vita, sono cadute vittime di un'altra piu' sottile
violenza mentale: quella della vita come competizione individuale, come gara
al sorpasso; quella della realizzazione umana riposta nella ricchezza, con
spregiudicatezza riguardo ai mezzi. Dissolta o diminuita la solidarieta' nel
bisogno, non e' maturata una solidarieta' per la giusta distribuzione, per
la chiarezza e giustizia delle regole, per l'attenzione agli sfavoriti e ai
deboli. I poveri di ieri, che lottavano uniti e determinati, oggi, diventati
meno poveri ma non piu' liberi, consapevoli  e partecipi, votano per le
destre, soggiacciono al mito impersonato da ricchi personaggi, di minuscole
qualita' umane e civili, come e' in Italia Berlusconi, che si propongono
come modelli di successo privato e dunque di capacita' di governo. Cosi', le
masse di condizione medio-bassa, e non solo i ricchi, sono in maggioranza
non solo tolleranti ma attivi nella violenza sull'ambiente, indisponibili a
far decrescere consumi e guadagni, nella violenza dell'arrivismo
spregiudicato, nella concezione violenta della societa' non come convivenza
di soci ma come gara tra rivali. I poveri di ieri, per inseguire i ricchi,
fanno la guerra ai nuovi poveri, come gli immigrati e i meno garantiti.
Dunque, la nonviolenza e' lontanissima? Possiamo temerlo, ma non lo sappiamo
con certezza. Non rinunciamo a cio' che sentiamo giusto e necessario. Non
desistiamo dal fare opera di persuasione attorno a noi. Ogni spinta genera
una controspinta. Cresce in molti la nausea per la societa' dell'egoismo,
crescono preoccupazione e paura delle disastrose conseguenze psicologiche
materiali e ambientali, sempre piu' evidenti a chi ha un minimo di
attenzione responsabile. Cresce in chi lotta contro i mali del sistema -
nonostante marginali frange violente, largamente utilizzate dal sistema
stesso - l'attenzione a non lasciarsi attrarre e confondere con la violenza
del sistema, e la ricerca, almeno nelle intenzioni, di metodi nonviolenti.
Il mito della violenza risolutiva per stabilire la giustizia e' tramontato.
Cresce la violenza, disposta anche all'olocausto atomico, e cresce la
possibilita' che la nonviolenza positiva sia compresa e scelta
politicamente. La tensione tra le due forme di vita restera', ma potra'
diminuire la guerra interumana e crescere la pace giusta, se la nonviolenza
sapra' indicare e praticare forme positive di esperienze concrete, in
analogia con quelle promosse da Gandhi nella sua situazione indiana.
A tutt'oggi non vediamo proposte politiche che scelgano la nonviolenza in
modo strategico, non tattico o episodico (come avvenne in una parte della
dirigenza del Partito della rifondazione comunista nel 2003-2004), ma
dipendera' dalla continuita', tenacia e serieta' del nostro lavoro di
cultura e di educazione, se domani uno sbocco politico-pratico potra'
comparire. L'animo umano non e' mai fisso. La creativita' storica non e'
congelata per sempre. I movimenti dal basso, riumanizzanti, hanno dei cicli
di ripresa, all'incirca ventennali, quando si verificano le condizioni
opportune. Questa non e' una legge certa, ma si puo' agire come se lo fosse,
azzardando la speranza di una ventata positiva nei prossimi anni, nonostante
tutto.
*
Note
1. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, pp.
49-52, in sigla Tpnv, e Pontara, Il pensiero etico-politico di Gandhi, in
sigla Pepg, ivi, pp. LXXVI-LXXVIII. Il tutto ripreso in Enrico Peyretti,
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini editore,
2005, pp. 69-71.
2. Gandhi, citato da Dhawan, The Political Philosophy of Mahatma Gandhi,
Navaijivan, Ahmedabad 1957, p. 191, citato da Pontara in Pepg, vedi nota 1,
p. CXVI.
3. Ivi, pp. CXVI-CXVII.
4. Pontara, Pepg, cit. nota 1, p. LXXVII-LXXVIII.
5. Gandhi, Tpnv, cit. nota 1, p. 206.

3. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: DUE OBIEZIONI AL TESTO CHE PRECEDE

Due ingenuita' concludono questo testo, per molti versi acuto ed assai
utile.
La prima: sorprende che si persista nell'errore di aver preso per una cosa
seria l'operazione ormai patentemente rivelatasi a chiunque come
trasformista e autoriciclatrice di qualche anno fa del gruppo dirigente di
un partito in cui prevale ancora una cultura politica totalitaria e una
prassi politica corruttrice e sciagurata, operazione che non solo
reduplicava un equivoco (gia' sfruttato dalle dirigenze dei radicali prima e
dei verdi poi; non a caso tutti - dicesi tutti: radicali, verdi e Prc -
finiti nel partito dei bombardamenti stragisti, della guerra fuorilegge e
terrorista), ma che era intesa eminentemente a gettare alle ortiche la
storia del marxismo teorico e l'esperienza storicamente piu' rilevante della
tradizione novecentesca del movimento operaio, che non era solo stalinismo e
gulag ma anche lotta contro i gulag e lo stalinismo (oltre che lotta delle
classi oppresse contro la dittatura deille classi rapinatrici, che tuttora
perdura). E questa operazione in cui la nonviolenza era ridotta a "ideologia
di ricambio" per liquidare una cultura e soprattutto per occultare un
passato - anche recente -, e' ancor piu' ignobile se si pone mente al fatto
che invece la nonviolenza puo' anche essere intesa ed accolta e vissuta come
inveramento di esigenze e proposte che la tradizione teorica marxista -
nella sua corrente calda, critica e antitotalitaria - e l'esperienza storica
del movimento socialista delle classi sfruttate - nelle sue esperienze di
gran lunga maggiori rispetto alla storia scellerata ed infame delle
burocrazie assassine - ha fortemente affermato, e ad esempio vi e' chi alla
nonviolenza si e' accostato proprio approfondendo il marxismo critico e
antitotalitario, e trovando in essa quella rigorizzazione concettuale e
operativa, quella complessita', contestualita' e dialetticita',
quell'esortazione alla lotta per la verita' e la giustizia, quella
solidarieta' che ogni essere umano raggiunge e riconosce, che sono esigenza
primaria e irrinunciabile di chi si fa militante del movimento di
liberazione delle persone oppresse, e lascito imperituro delle esperienze e
delle riflessioni del movimento socialista e libertario - per l'uguaglianza,
e la responsabilita' - in tutte le sue varianti di questo nome degne.
Beninteso: che tra i quadri di quel partito e molto di piu' nella sua base
militante vi fossero e vi siamo persone sinceramente impegnate per la
nonviolenza e con la nonviolenza, non vi e' dubbio. E che quella operazione
fosse anche una risposta (ambigua ed ipocrita, certo, ma vale ancora una
volta la massima di La Rochefoucauld secondo cui l'ipocrisia e' l'omaggio
che il vizio rende alla virtu') a un bisogno e una richiesta di accostamento
alla nonviolenza da molte e molti dei militanti di quel partito sentito come
improcrastinabile, e' anche questo certo. E che poi quella equivoca
operazione sia anche servita - per una sorta di eterogenesi dei fini - a
contribuire a consentire almeno ad alcune persone perlopiu' giovani di
accostarsi in qualche modo alla nonviolenza vera e propria (e non solo alle
mille laide caricature di essa), anche questo e' vero ed e' un bene, un bene
grande. Ma non era questo l'intendimento prevalente del gruppo di potere che
quella operazione condusse dopo aver lungamente e sciaguratamente civettato
con ideologie e prassi giustificazioniste della violenza piu' feroce e
insensata, ed aver combinato catastrofici guai. Errori ed orrori che non si
possono dimenticare, e tali per cui il dirigente politico che li commette
dovrebbe avere poi la ragionevolezza di dimettersi da ogni pubblica
funzione. Figurarsi, direbbe Kilgore Trout.
Del resto - ahinoi - e' noto che vi sono state anche persone che pur
provenivano da una qualche prossimita' alla nonviolenza - confusissima,
certo - le quali giunte a contatto colla gararchia di quello o di altri
partiti di palazzo e accettate una o piu' prebende da essa ad esse
procurate, se ne sono lasciate profondamente corrompere. Son cose tristi.
Sono accadute.
*
La seconda: se Gandhi avesse atteso le condizioni poste nella parte
conclusiva del saggio che precede per intraprendere le sue lotte e la
riflessione ad esse connessa, allora semplicemente non sarebbe mai esistita
la nonviolenza gandhiana.
Ergo: niente attendismi per favore. E niente deleghe. C'e' oggi una politica
nonviolenta da praticare hic et nunc, c'e' uno scontro politico e culturale
da condurre, e c'e' da costruire un movimento di lotta nitido e
intransigente. Chi ancora pensasse che l'azione politica in Italia possa - o
peggio: debba - essere delegate alle camarille di palazzo o ai giovanotti
squadristi, spettacolisti e parassitari ad esse speculari ed effettualmente
vassalli, davvero non sa quel che si dice.
La sinistra reale e che occorre - chiediamo venia - siamo noi: il plurale e
complesso movimento delle donne e degli uomini che nelle loro concrete
esperienze di lotta e di pensiero della liberazione, nei loro concreti
esperimenti teorici e pratici di verita', sono la nonviolenza in azione, la
nonviolenza in cammino. E l'unica politica all'altezza del crinale
apocalittico presente e' la nonviolenza: la nonviolenza in cammino, la
nonviolenza giuriscostituente, la nonviolenza pluridimensionale, dialettica
e dialogica, contestuale ed autocosciente, principio responsabilita', forza
della verita', analisi concreta della situazione concreta e lotta la piu'
nitida e la piu' intransigente, qui ed ora, contro la violenza che opprime
ogni persona e l'umanita' intera, difesa della dignita' umana e della
biosfera.
La nonviolenza liberalsocialista rivoluzionaria erede oltre che di Gandhi,
di Gobetti e di Gramsci, di Rosa Luxemburg e di Simone Weil, di Aldo
Capitini e Virginia Woolf. La nonviolenza di Danilo Dolci. La nonviolenza di
Luce Fabbri. La nonviolenza cosi' come l'ha tematizzata Giuliano Pontara nel
suo recente ottimo libro intitolato: L'antibarbarie.

4. LIBRI. MARIA PAOLA FIORENSOLI PRESENTA "DONNE MEDIEVALI" DI ENRICA GUERRA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/).
Maria Paola Fiorensoli, prestigiosa intellettuale e militante femminista,
storica e giornalista, e' presidente dell'associazione "Il paese delle
donne".
Enrica Guerra, storica, saggista, insegna al dipartimento di scienze
storiche dell'Universita' di Ferrara. Tra le opere di Enrica Guerra: Una
eterna condanna. La figura del carnefice nella societa' tardomedievale,
Franco Angeli, Milano 2003; Soggetti a "ribalda fortuna". Gli uomini dello
stato estense nelle guerre dell'Italia quattrocentesca, Franco Angeli,
Milano 2005; Donne medievali. Un percorso storico e metodologico,
Nuovecarte, 2006]

Di Enrica Guerra e' uscito, a dicembre 2006, Donne medievali. Un percorso
storico e metodologico (Nuove Carte, Ferrara 2006), testo breve che, a
distanza di un ventennio dalla corposa e preziosissima Storia delle donne
edita da Laterza e scritta a piu' mani, intende essere un manualetto di
agile lettura, un primo approccio alla storia delle donne nel medioevo
destinato sia a chi voglia entrare nell'argomento della storia delle donne,
traendone spunti, anche metodologici, per approfondire la ricerca. Un
obiettivo pienamente colto.
L'opera pubblica, in apertura, un'interessante intervista di Maria Serena
Mazzi (curatrice della collana Manuali), a Christiane Klapisch-Zuber
(storica medievalista, direttrice di ricerca presso l'Ecole des Hautes
Etudes en Sciences Sociales di Parigi, curatrice di due dei volumi della
Storia delle donne per Laterza), dove s'affrontano importanti problematiche
inerenti gli studi storici relativi alle donne, a partire dalla definizione
della storia delle donne e della storia di genere, "due termini che
riflettono due aspetti diversi dell'interesse per le donne, collocate nel
tempo e considerate come attrici della Storia". Il primo rimanda allo
"sforzo di disseppellimento documentario, di descrizione e di analisi di
stituazioni storiche in cui le donne sono intervenute, di approfondimento di
profili femminili, di comprensione degli atteggiamenti, dei comportamenti e
dei valori specifici o nuovi che il loro ingresso sulla scena storica mette
in luce". Il secondo, scaturito dallo sguardo rivoluzionario del "movimento
delle donne che e' stato una rivolta, non bisogna dimenticarlo, e come ogni
rivolta, o anche rivoluzione, ha fatto sentire il bisogno di recuperare il
passato a legittimo beneficio delle ribelli", raggruppa, oggi, lavori
"d'ispirazione e d'ambizione spesso molto differenti", e rimanda a "un
genere le cui definizioni sono tante e tanto diverse quanto quelle di donne
sembrano a prima vista chiare e univoche".
Nel doppio contesto, teorico e pratico, "di una storia di genere al
femminile e di una al maschile, che prende ispirazione, senza dirlo
apertamente, dalle lezioni della storia delle donne ma si appella a una
storia dei generi di cui sarebbe parte beneficiaria, perfino costitutiva",
il postulato, ribadisce Christiane Klapisc-Zuber, e' che "il sesso e' meno
un affare di natura che di cultura. L'identita' sessuale di ognuna e ognuno,
le rappresentazioni dei sessi, i loro rapporti reciproci, ecc., sono delle
costruzioni sociali e culturali", quindi sono "suscettibili di analisi
trasversali (relazioni tra i sessi, tra i generi, in un momento dato,
dialettica degli sguardi e delle influenze reciproche o longitudinali
ecc.)". Indagarle, significa "rimetterle necessariamente in discussione in
ogni momento e non soltanto quando si fa storia delle donne, al fine di
comprendere il loro posto nella matassa delle situazioni e la loro influenza
sulle evoluzioni storiche".
Richiesta d'esprimersi "sulla specificita' degli studi di storia delle donne
nel Medioevo e sulla legittimita' dell'insistere in questa sorta di
separatezza", la studiosa ha evidenziato due aspetti essenziali: "quello
concernente le cronologie tradizionali e quello del rapporto con altri
settori dell'indagine storica".
Rispetto al primo, dichiara di "non ritenere produttivo insistere sulla
specificita' della storia delle donne medievali e sull'interesse euristico
che avrebbe il separarla da quella di altre epoche"; rispetto al secondo,
che "la storia delle donne nel Medioevo non puo' nutrirsi di se stessa,
ostentando uno splendido isolamento nei confronti della storia sociale,
economica, politica, della mentalita', dell'arte, del diritto, e cosi' via",
mentre occorre che "ognuno di questi campi della ricerca possa e debba
integrare alle proprie analisi la dimensione sessuata, la differenza dei
sessi, le relazioni di genere, in modo flessibile e critico".
Nella deliziosa introduzione del suo "manualetto", Enrica Guerra utilizza,
come primo strumento, la favola. L'Alice "timida e confusa" che risponde
alla domanda del bruco "Tu, chi sei?", con "Io non saprei, signore, con
esattezza, sul momento... o perlomeno so chi ero quando mi sono alzata
stamattina; ma credo di essere cambiata diverse volte da allora" e' ben
consapevole "che il solo modo di vivere nel paese delle meraviglie era
quello di non essere mai uguale a se stessa, ma sempre in continua
evoluzione e trasformazione"; trasparente e ben centrata metafora della
"difficolta' di molte donne di definirsi, o meglio farsi riconoscere dagli
altri, essendo anch'esse in continua trasformazione ed evoluzione".
Diviso in tre capitoli (il primo dedicato alle tematiche della storia delle
donne in generale e di quella medievale in particolare; il secondo
focalizzato sull'apporto e sui ruoli ricoperti dalle donne nel Medioevo; il
terzo inerente agli strumenti e alle metodologia di ricerche di storia delle
donne), il libro di Enrica Guerra fornisce un sintetico ma rigoroso
approccio ai vari argomenti, arricchito da molti rimandi e da schede.
Nel parlare della "svolta degli anni Sessanta-Settanta" e della "rivoluzione
storiografica operata dalla scuola francese delle 'Annales' che forni' la
metodologia d'indagine per ricerche in cui l'interdisciplinarieta' tra
diverse materie era elemento fondamentale", Enrica Guerra ripercorre la
lenta affermazione degli studi di storia delle donne nell'ambito generale
degli studi storici e le peculiarita' italiane, ricordando come da noi,
salvo eccezioni, il "ripensamento del modo di fare storia" e' arrivato solo
quando le modificazioni apportate dal movimento femminista hanno intersecato
gli influssi dei Women's Studies sviluppatisi negli Stati Uniti.
Alla prima produzione editoriale in merito, si e' accompagnata la nascita di
riviste specializzate, come "DWF" (1975), "Nuova DWF" e "Memoria"
(1981-1991), che si sono offerte sia come terreno d'incontro e di scambio
tra studiose, che come strumento di diffusione delle tematiche discusse e
indagate nell'ambito dei Women's Studies.
Originale, come l'inizio, la conclusione del libro, in cui Enrica Guerra
generosamente e coerentemente fornisce un "esempio di ricerca", in questo
caso L'esercizio del potere al femminile nelle corti degli stati italiani
del Quattrocento, descrivendo i passi da fare, dove cercare, come scrivere,
a dimostrazione di quanto le teorie abbisognino di pratiche, specie se le
une e le altre sono ispirate alla condivisione e reciprocita' dei saperi.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 137 del primo luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it