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Minime. 132
- Subject: Minime. 132
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 26 Jun 2007 00:18:46 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 132 del 26 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. I morti libanesi 2. Oggi a Napoli 3. Onofrio Romano intervista Serge Latouche (1997) 4. Antonio Caronia intervista Serge Latouche (2004) 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. LE ULTIME COSE. I MORTI LIBANESI Tu produci e vendi armi cooperi affinche' con la violenza sia retto e rotto il mondo e oppressi i popoli mandi eserciti dove servirebbero case e scuole e ospedali aiuti gli assassini e ti stupisci che gli assassini uccidano. 2. INCONTRI. OGGI A NAPOLI [Dall'associazione culturale Evaluna (per contatti: libreriadelledonne at evaluna.it) riceviamo e diffondiamo] Martedi' 26 giugno 2007, con inizio alle ore 19, presso la libreria delle donne Evaluna, piazza Bellini 72, a Napoli, Arcilesbica "Le maree" di Napoli presenta: "Fede, sessualita', diritti. Incontro aperto con don Franco Barbero". Introduce Giordana Curati. * Chi e' don Franco Barbero Nasce nel 1939 a Savigliano (Cuneo) e nel 1963 viene ordinato sacerdote. Dopo alcuni anni di ministero in seminario a Pinerolo (Torino), viene mandato in una parrocchia periferica della citta', dove si distingue per il suo impegno nella lotta per i diritti degli operai e antimilitarista. Nel 1973 fonda con alcuni/e uomini e donne provenienti da esperienze parrocchiali, la comunita' cristiana di base (cdb) di Pinerolo. Da oltre 40 anni si occupa di ricerca biblica e teologica ed e' impegnato in attivita' di volontariato. Note sono le sue prese di posizione teologiche e pastorali contro il devozionalismo, a favore di separati/divorziati per il loro diritto alle seconde nozze, a sostegno dell'impegno di gay e lesbiche per vivere liberamente la loro condizione nella chiesa e nella societa'. Nei suoi molti libri e nei suoi scritti apparsi sulla rivista "Viottoli" ha approfondito una spiritualita' di liberazione in cui azione e contemplazione, impegno e preghiera si compenetrano con l'impegno di crescita di una comunita', nel dialogo con centinaia di parrocchie, gruppi, preti, teologi e teologhe. Il suo impegno teologico e pastorale ne fa un itinerante in Italia e all'estero. * La libreria Evaluna Evaluna e' una libreria specializzata nella proposta delle tematiche relative all'universo femminile. Da quattordici anni le donne in politica, che scrivono libri o tengono corsi, ma anche artigiani e artisti, trovano ospitalita' in un ambiente accogliente e gradevolissimo. Offre spazi per presentazioni, mostre, incontri musicali e poetici e sale per dibattiti e lettura. Tra le ultime iniziative una biblioteca annessa a una sala da te'. Si tengono corsi di fotografia, laboratori di scrittura e lettura, in piu' e' possibile scoprire il volto misterioso di Napoli grazie alle interessanti visite alla citta'. I libri protagonisti di Evaluna, sono in gran parte di autrici italiane e straniere, mentre un settore consistente dello spazio e' riservato alla storia di Napoli e alle novita' editoriali. Pari dignita' hanno oggetti di fattura artigianale, di design, modernariato e antiquariato, presentati in un mutevole e variopinto assortimento. * Per informazioni: - Arcilesbica "Le Maree", vico San Geronimo 19, Napoli, e-mail: napoli at arcilesbica.it, sito: http://arcilesbicanapoli.wordpress.com/ - Evaluna, la libreria delle donne, piazza Bellini 72, 80138 Napoli, tel. 081292372, e-mail: libreriadelledonne at evaluna.it, sito: www.evaluna.it 3. RIFLESSIONE. ONOFRIO ROMANO INTERVISTA SERGE LATOUCHE (1997) [Dal sito www.edscuola.it riprendiamo la seguente intervista svoltasi a Bari il 20 novembre 1997, ivi riportata per gentile concessione della rivista "Ora locale". Onofrio Romano e' docente di sociologia dei fenomeni politici all'Universita' di Bari; e' socio-fondatore dell'Associazione antiutilitarista di critica sociale; laureato in scienze politiche, ha conseguito il dottorato di ricerca in sociologia presso l'Universita' di Milano, sotto la direzione del professor Franco Cassano; si e' specializzato in sociologia dello sviluppo presso l'Iedes di Parigi sotto la direzione del professor Serge Latouche e ha partecipato al gruppo di ricerca del Ceaq diretto da Michel Maffesoli; e' stato consulente per la comunicazione, la formazione e lo sviluppo locale della societa' Sviluppo Italia; svolge ricerche sulle culture del dopo-moderno in Occidente e nelle societa' del basso Adriatico; e' autore di molti saggi apparsi in rivista e in volume. Tra le opere di Onofrio Romano: L'Albania nell'era televisiva. Le vie della demodernizzazione, L'Harmattan Italia, 1999; (con Michele Mangini, Vincenzo Spadavecchia), Mutamenti levantini. La politica barese a cavallo di tangentopoli, Progedit, 2003. Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed epistemologo delle scienze umane, antropologo, esperto di rapporti economici e culturali Nord/Sud, promotre del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali), propotore della rpoposta della decrescita, e' una delle figure piu' significative dell'odierno impegno per i diritti dell'umanita' e la difesa della biosfera. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il pianeta dei naufraghi, Bollati Boringhieri, Torino 1993; I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la deculturazione, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1995; La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti dell'occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino 1997; L'altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 1997, 2000; Il mondo ridotto a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 2000; La sfida di Minerva. Razionalita' occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000; L'invenzione dell'economia. L'artificio culturale della naturalita' del mercato, Arianna Editrice, 2001; La fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo, Eleuthera, Milano 2002; Giustizia senza limiti. La sfida dell'etica in una economia globalizzata, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Il ritorno dell'etnocentrismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia vernacolare e societa' conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004; Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo, Emi, Bologna 2004; Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una societa' alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Cfr. anche il libro-intervista curato da Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali, globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, L'Harmattan Italia, Torino 2000] - Onofrio Romano: La sua opera piu' nota - L'occidentalizzazione del mondo - e' uscita in Francia nel 1989. Il disegno teorico in essa tracciato, tuttavia, era gia' riconoscibile nel saggio di tre anni precedente, Faut-il refuser le developpement? (apparso in Italia col titolo I profeti sconfessati). Un decennio, dunque. Un decennio nel quale molta acqua e' passata sotto i ponti, a cominciare dal crollo dei paesi del socialismo reale: e' percio' giunto il momento di chiedersi, parafrasando un vecchio adagio, a che punto e' il processo di occidentalizzazione del mondo? - Serge Latouche: Piu' avanzato che mai. Il movimento di uniformazione planetaria, di unificazione del mondo sotto il segno dell'Occidente (e dell'America, in primo luogo) e' entrato in una fase superiore, quella che oggi denominiamo mondializzazione e della quale tanto si e' scritto. La straordinaria riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto ha abolito le distanze, disintegrato le coordinate spazio-temporali, svalutando le frontiere e lo spazio politico: viviamo effettivamente in un mondo unico, in un villaggio planetario globale nel quale i mercati finanziari, al fine unificati, dominano incontrastati sul resto dell'economia. Chi non trova il proprio posto in questo universo uniformizzato e' semplicemente condannato a scomparire. * - Onofrio Romano: Una visione che sembra non lasciare scampo. Eppure, contemporaneamente al movimento di uniformazione, si sono sviluppate in questo decennio alcune forme di resistenza. E' lei stesso a parlarne diffusamente nel suo ultimo lavoro, L'altra Africa, e, sempre recentemente, ha dedicato diversi saggi al fenomeno dei sistemi di scambio locale (Sel, o Local exchange trade systems) - che si stanno diffondendo a macchia d'olio in molti paesi occidentali -, nei quali gli esclusi creano reti di mutuo sostegno, mettendo a disposizione vicendevolmente il proprio tempo e le proprie risorse. - Serge Latouche: Sfortunatamente non ci sono molte forme di resistenza. Assistiamo piuttosto a reazioni di rigetto da parte di popolazioni risentite, frustrate e umiliate dal processo di occidentalizzazione - penso, in particolare, all'esplosione del fondamentalismo islamico. Sono delle forme ad un tempo perverse ed ambigue, in quanto articolate sul modo della gelosia o dell'invidia: seppur nel rifiuto di alcune sue manifestazioni, il desiderio di Occidente resta molto profondo. Ne L'altra Africa parlo di qualcosa che non si puo' propriamente chiamare resistenza: l'Africa non e' piu' in corsa, non ha la pretesa di opporsi all'Occidente, e' ampiamente marginalizzata in questo processo di uniformazione, del quale, al contrario, desidererebbe essere parte integrante. Piuttosto che di resistenza, si potrebbe parlare di forme di dissidenza, che si manifestano nella straordinaria capacita' degli africani di tenere vivo il legame sociale malgrado le condizioni di estrema difficolta', testimoniando cosi' la possibilita' di auto-organizzare la propria esistenza pur collocandosi al di fuori di un processo totalitario che non ammette resistenze. Per quanto riguarda i sistemi di scambio locale, occorre in primo luogo mettere le cose al loro giusto posto: malgrado la straordinaria esplosione di questo movimento in Francia, siamo pur sempre nell'ordine di qualche migliaio di persone coinvolte. Quantitativamente, il dato non e' significativo. Si tratta di micro-esperienze di laboratorio che hanno, comunque, un notevole valore di testimonianza: vi sono persone che non intendono lasciarsi schiacciare dalla logica dell'occidentalizzazione integrale, che si riorganizzano ai margini della "grande societa'" secondo altre logiche, altri valori e pongono le basi per la ricostruzione del legame sociale. * - Onofrio Romano: Al centro della sua riflessione sulla cultura - pardon, sull'anti-cultura - occidentale vi e' la tecnica. Ne La Megamacchina ha sostenuto che l'una si sostanzia di fatto nell'altra e ne ha additato tutte le conseguenze deleterie. Vi sono diversi filoni del pensiero marxista, in particolare quello gauchista (nei cui confronti lei ha mostrato in passato qualche simpatia), che hanno intravisto, al contrario, nella tecnica una possibilita' di liberazione per l'uomo. Liberazione, in primo luogo, dal lavoro. Qual e' il suo giudizio su questa prospettiva? - Serge Latouche: Per dirla con Marx, e' una visione che confonde l'apparenza e l'essenza delle cose. La liberazione dal lavoro mediante la tecnica porrebbe innanzitutto un problema paradossale: nella visione marxista, infatti, il lavoro e' il mezzo attraverso il quale l'uomo accede alla sua realizzazione. Liberare l'uomo da cio' che lo rende tale, da quel che lo conduce all'autoconsapevolezza sarebbe, dunque, catastrofico. Ancor piu' grave, tuttavia, e' la pretesa di considerare la tecnica come un fatto in se', prescindendo dalla valutazione del suo senso nella societe' moderna. Una societa', vale a dire, il cui progetto specifico e' il dominio totale dell'universo, quindi il dominio della natura e, per tale via, degli uomini. La tecnica e' essenzialmente uno strumento di potere, rispetto alla cui logica contingente l'uomo e' due volte spossessato della sua umanita': prima in quanto ridotto a strumento di lavoro, poi in quanto deprivato del suo lavoro. Occorre sempre risituare i fenomeni nella logica complessiva del sistema. La visione emancipatrice della tecnica e', in fin dei conti, estremamente superficiale ma, per la stessa ragione, molto diffusa. Non si giungera' mai a far credere ad una casalinga che gli elettrodomestici non la liberano ma la vincolano. * - Onofrio Romano: Prendendo spunto da questo statuto ambiguo del lavoro, vorrei attirare la sua attenzione su altre parole chiave dell'Occidente, le cui potenzialita' evocative e mobilitanti appaiono oggi alquanto appannate. Quando lei parla della necessita' di un mutamento d'immaginario, pensa che questo debba passare per una riscoperta del senso originario di parole come"democrazia, liberta', autonomia, solidarieta', coscienza civile, ecc. o ritiene che esse siano da bocciare puramente e semplicemente? In altri termini, le nefandezze dell'Occidente, da lei instancabilmente denunciate, sono imputabili ad un tradimento di quelle parole o ne sono il frutto autentico e necessario? - Serge Latouche: Questa domanda tira in ballo il percorso di alcuni miei cari amici - Alain Caille', Cornelius Castoriadis, Pietro Barcellona ed altri -, impegnati costantemente nel tentativo di restaurare il senso originario della democrazia. Se e' vero che molte di queste parole possono ancora suscitare delle reazioni nell'immaginario delle persone, se e' vero che in esse e' possibile rinvenire un'aspirazione che oltrepassa il loro mero statuto storico, io resto comunque piuttosto cauto. Ho sempre manifestato una certa riserva in relazione alla rivendicazione democratica e non perche' io non mi senta profondamente democratico. Cosi' come il socialismo si e' tradotto nel "socialismo reale" e lo sviluppo nello "sviluppo realmente esistente", la democrazia e' stata intrappolata nella storia reale dell'Occidente, quindi della democrazia parlamentarista occidentale. Le societa' africane hanno dei funzionamenti molto piu' democratici delle nostre societa', ma non si sono mai pensate attraverso questa concezione della democrazia. Anche rispetto al concetto di liberta', sono giunto alla conclusione che in Africa l'individuo abbia un posto ben piu' importante rispetto a quello riconosciutogli realmente nelle nostre societa'. La maggior parte delle comunita' tradizionali producono socialmente delle "persone", attraverso una lunga stagione formativa scandita da rituali d'iniziazione. Presso i Senoufo, ad esempio, questa dura ventuno anni e si sviluppa in tre fasi - la primaria, la secondaria e la superiore. Il risultato e' la produzione di personalita' straordinarie, armate per affrontare degnamente le sfide della vita, portatrici dei valori della propria etnia e al contempo di una peculiarita' irriducibile al gruppo d'appartenenza. Non e' un caso, del resto, che l'Africa mostri questa straordinaria capacita' di dissidenza nel processo di appiattimento planetario: la forza di personalita' del Senoufo gli permette di sfidare le sollecitazioni del sistema occidentale, di disprezzare il denaro, di opporre altri valori, poiche' egli ha una rotta da seguire nella sua vita. Nelle nostre societa', al contrario, l'individuo e' completamente isolato in un sistema che manipola il suo immaginario tramite la pubblicita' e la propaganda: il suo comportamento tradisce un conformismo assoluto, un'obbedienza supina a tutte le mode. Gli italiani ieri hanno votato in massa per Berlusconi, oggi votano in maniera altrettanto compatta per la sinistra: questo significa che non sanno piu' chi sono, che cosa vogliono. Il mito occidentale dell'individuo autonomo e onnipotente e' una grande fandonia: l'individuo nelle nostre societa' e' una pecora in mezzo al gregge. * - Onofrio Romano: Le vostre analisi si concentrano sempre sugli estremi: l'Occidente da un lato, l'Africa dall'altro. Qui nel Mezzogiorno d'Italia, come in molte altre regioni del pianeta, ci ritroviamo in una situazione ibrida, in cui modernita' e tradizione si fondono in sintesi nient'affatto virtuose, che attingono spesso al peggio delle due forme. Succede cosi' che coloro i quali non vogliono consegnare totalmente il Sud al rullo compressore occidentale, si sentono sovente accusati di legittimare indirettamente fenomeni deleteri come la mafia, il lavoro nero e forme piu' o meno rinnovate di banditismo, di illegalita' diffusa, di comparaggio. Com'e' possibile uscire da questa strettoia? - Serge Latouche: La modernita' e' innanzitutto un mito. Essa ha prodotto senza dubbio una rottura, ma questa non e' stata percepita come tale dalla gente comune, in quanto la storia delle societa' appare sempre come un continuum. Negli Stati Uniti la realta' e' stata spinta il piu' lontano possibile nella direzione del mito. Si e' tentato di realizzarlo fin nei minimi dettagli attraverso la sigla di un contratto sociale tra presunti individui liberi ed eguali, che hanno deciso di fondare una societa' e di darsi delle leggi (secondo il modello di Hobbes e di Locke). In compenso, se si guarda all'America Latina, si ha a che fare con una societa' moderna o con una societa' tradizionale? Vi e' uno straordinario meticciato, vi coabitano indiani, africani, spagnoli, i quali non possono dirsi ne' moderni ne' tradizionali, ne' occidentali ne' estranei all'Occidente. In questo senso si puo' davvero affermare che siamo tutti africani (sebbene alcuni lo siano piu' di altri). E' vero che i meridionali non si sentono completamente americani, tuttavia, restano, solo per fare un esempio, sposati con l'automobile (a Bari questo e' particolarmente evidente). Tutti desideriamo beneficiare degli apporti della modernita' e della tecnica; e' diventato un dovere, una seconda intima natura, ma al contempo vorremmo preservare i valori dell'onore e della solidarieta'. Sono problemi che i popoli devono risolversi in maniera autonoma. Ho sempre sostenuto di non avere soluzioni per gli africani, non posso dire adesso di avere soluzioni da proporre agli italiani del Sud: spetta a loro imboccare una via originale tra l'adesione implicita e imprescindibile alla modernita' e le risorse della tradizione. Spetta a loro inventare una forma di oltrepassamento, di postmodernita'. * - Onofrio Romano: Al tentativo d'inventare questo oltrepassamento, sta lavorando da alcuni anni, almeno a livello intellettuale, il suo amico pugliese Franco Cassano (i saggi raccolti ne Il pensiero meridiano stanno riscuotendo una vasta eco). Lei crede ad un'alterita' meridiana? - Serge Latouche: No. Apprezzo moltissimo gli scritti di Franco Cassano, ma se dicessi che ci credo mentirei. Penso che esista effettivamente una "sensibilita' meridiana", che questa possa spiegare molti atteggiamenti e tradursi in scelte individuali coerenti. L'idea di una reale alterita' meridiana mi sembra pero' eccessiva. * - Onofrio Romano: Ancora alla fine degli anni Ottanta le vostre idee erano pressoche' tacciate d'eresia. Oggi conoscono una larga diffusione, per lo meno in alcuni ambienti intellettuali e della societa' civile. Cio' che mi sorprende, tuttavia, e' che l'adesione alle sue categorie interpretative non si traduce quasi mai in un coerente mutamento di prospettiva e, ancor meno, in un mutamento di prassi. Un esempio per tutti. Guglielmo Minervini ha scritto recentemente un piccolo saggio sulla cittadina meridionale di cui e' sindaco (Molfetta). Egli denuncia vigorosamente i disastri provocati nel corso del secolo dalla modernita' e dallo sviluppo, salvo poi, una volta arrivati al sodo, cioe' alle cose da fare, reclamare per la citta' "una politica di rilancio dello sviluppo produttivo", "l'integrazione coerente di tutti gli strumenti di pianificazione", "la transizione verso un modello comunitario civile... non piu' feudale ma moderno", ecc. La buona modernita' contro la cattiva modernita', al solito. Come spiega questo scarto ricorrente? - Serge Latouche: Molte persone, specie quelle che lavorano nel campo dello sviluppo, dopo aver letto i miei libri, dopo aver assistito alle mie conferenze, ne concludono entusiasticamente che, ad onore delle analisi tracciate, occorrerebbe lavorare alla costruzione di uno sviluppo alternativo. Ed io puntualmente mi metto le mani nei capelli. E' vero, a volte mi sento malcompreso, ma non ho mai pensato che questo tipo d'analisi dovesse sfociare immediatamente su delle posizioni o dei cambiamenti concreti: il ruolo degli intellettuali e' di apportare un'illuminazione, le persone ne fanno poi cio' che vogliono. Negli anni Ottanta, si puo' dire che nessuno accettasse la critica dello sviluppo da me condotta. Oggi e' diventata persino banale, ma cio' non vuol dire che si sia abbandonato questo tipo d'immaginario. Io confido, piuttosto, nei cambiamenti sotterranei, sottili e il cui impatto va verificato a lungo termine. La storia ci dira'. C'e' da aggiungere, ad onor del vero, che quando si fa un'analisi del movimento storico di uniformazione planetaria e dei misfatti dello sviluppo si obbedisce ad un'etica della convinzione, ma quando abbiamo da gestire la nostra vita o quella degli altri (come nel caso del buon sindaco di Molfetta) entra in gioco l'etica della responsabilita': occorre trovare la porta stretta tra le convinzioni e le posizioni concrete, quindi operare necessariamente dei compromessi se si vogliono cambiare le cose, perche' il mondo non si modellera' mai secondo i nostri desideri. Si vive, malgrado tutto, in una realta' determinata e bisogna viverla nella maniera migliore. L'importante e' non tradire i propri ideali, non passare, vale a dire, dal compromesso alla vera e propria connivenza. 4. RIFLESSIONE. ANTONIO CARONIA INTERVISTA SERGE LATOUCHE (2004) [Dal sito www.socialpress.it riprendiamo la seguente intervista a Serge Latouche del settembre 2004 dal titolo "Contro l'universalismo" (all'intervista ha collaborato Paola Ceretta). Antonio Caronia e' giornalista, scrittore, traduttore (tra l'altro di fondamentali libri di J. G. Ballard), operatore culturale; nato a Genova nel 1944 (ma residente a Milano, dove lavora) ha studiato matematica, laureandosi con una tesi su Noam Chomsky; e' docente di comunicazione all'Accademia di Brera; di formazione scientifica, con esperienze politiche e interessi filosofici, si muove fra la teoria della comunicazione e l'antropologia della tecnica; e' particolarmente interessato agli effetti politici dell'innovazione tecnologica e agli aspetti estetici del comportamento sociale in relazione alle nuove tecnologie; studioso di scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni, svolge un'intensa attivita' di saggista, divulgatore e traduttore di testi e romanzi stranieri. Dal sito www.mediamente.rai.it riprendiamo la seguente notizia: "Antonio Caronia, nato a Genova nel 1944, e', al di fuori del panorama accademico, uno degli studiosi piu' originali e attenti dei fenomeni che riguardano l'impatto sociale e culturale delle nuove tecnologie. E' studioso di scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni; svolge un'intensa attivita' di traduttore e divulgatore di testi e romanzi stranieri. E' interessato alle modalita' d'impiego delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione nell'arte. E' editorialista del mensile 'Virtual', collaboratore della rivista 'Virus e, con Daniela Brolli, direttore di 'Aphaville'". Opere di Antonio Caronia: Cyborg, Theoria, Roma 1991; Cyberpunk: istruzioni per l'uso, Stampa Alternativa, Viterbo 1995; Il corpo virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio, Padova 1997; (con Domenico Gallo), Houdini e Faust: breve storia del cyberpunk, Baldini & Castoldi, Milano 1997; Archeologie del virtuale. Teorie, scritture, schermi, Ombre corte, Verona 2001; Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale, ShaKe edizioni, Milano 2001] Negli ultimi venticinque anni Serge Latouche ha contribuito, come e piu' di altri intellettuali, alla chiarificazione e alla maturazione dei concetti intorno a cui si sono costruiti i movimenti new global. Nato a Vannes, in Bretagna, nel 1940, e' economista di formazione e antropologo per esperienza. Negli anni Settanta ha trascorso molto tempo in Africa occidentale, e qui ha maturato una svolta del suo pensiero, che dalle posizioni marxiste tradizionali lo ha portato a una critica radicale delle ideologie del "progresso" e dello "sviluppo", anche nella loro versione di sinistra. Questa maturazione lo ha portato, nel 1981, a fondare con Alain Caille' il Mauss (Movimento AntiUtilitarista nelle Scienze Sociali), e l'omonima rivista di cui Bollati Boringhieri pubblica, dall'anno scorso, l'edizione italiana. Appoggiandosi anche al pensiero di Marcel Mauss e di Ivan Illich, Latouche conduce da anni una polemica contro il pensiero utilitarista e universalista, per liberare la societa' occidentale dalla dimensione economicista che la imprigiona e dall'ipertrofia della tecnoscienza, insomma, come egli dice, per "decolonizzare l'immaginario". Latouche propugna un ritorno a quella dimensione di reciprocita', convivialita', solidarieta' (e di attenzione agli aspetti ecologici) che sola puo' consentire di sfuggire alla catastrofe verso cui ci porta lo "sviluppo", e per questo e' diventato uno degli intellettuali piu' popolari nei movimenti new global. In Italia, Bollati Boringhieri ha pubblicato molte delle sue opere piu' importanti. Oltre a Giustizia senza limiti. La sfida dell'etica in un'economia mondializzata, da poco ristampata (pp. 282, euro 22), segnaliamo: L'occidentalizzazione del mondo, Il pianeta dei naufraghi. Saggio sul doposviluppo, La Megamacchina, La sfida di Minerva. Razionalita' occidentale e ragione mediterranea, L'altra Africa. Tra dono e mercato, Il ritorno dell'etnocentrismo (a cura di). Presso altri editori sono usciti: La fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo (Eleuthera), L'invenzione dell'economia (Arianna Editrice), Miseria della mondializzazione (Strategia della lumaca), Decolonizzare l'immaginario (Editrice Missionaria Italiana). A settembre Latouche, che e' spesso in Italia, ha parlato al festival della letteratura di Mantova. Qui "Socialpress" lo ha intervistato. * - Antonio Caronia: Nelle prime pagine di Giustizia senza limiti, leggo: "Le associazioni e le reti che, a torto o a ragione, pretendono di fare da contrappeso [alla potenza finanziaria delle aziende transnazionali] sono in larga misura strumentalizzate dai giganti dell'economia e della finanza. Una societa' civile mondiale non esiste". Puo' chiarire a chi sono rivolti questi rilievi critici? - Serge Latouche: Quando scrissi quel passaggio pensavo alle Ong. Pensavo, piu' precisamente, a quello che e' successo a Rio e a Johannesburg. A Rio [Conferenza dell'Onu sull'ambiente e lo sviluppo, 1992 - ndr] abbiamo visto le grandi imprese internazionali creare delle proprie Ong, per poter partecipare a questo movimento, per poter mettere lo zampino anche nella corrente delle Ong, e portare avanti le loro tesi anche in quest'ambito. D'altra parte, molte Ong dipendono fondamentalmente dai finanziamenti pubblici e privati, per cui la loro pretesa di rappresentare la societa' civile mondiale va presa con molta cautela. Beninteso, ci sono delle Ong che fanno delle cose egregie, ma molte altre Ong sono fasulle, sono di fatto delle organizzazioni governative o dipendenti dalle aziende, quindi di fatto sono schierate da quella parte. Perche' non bisogna mai sottovalutare la capacita' di reazione dell'avversario. E' una cosa che le aziende hanno capito benissimo: hanno capito che i movimenti ecologisti, i movimenti di contestazione della globalizzazione etc., potrebbero rappresentare una minaccia per il funzionamento del sistema sul quale esse aziende si basano, e quindi bisogna recuperare, lavorare dall'interno, fare in modo che anche in quei movimenti ci sia una voce sostanzialmente favorevole agli interessi delle aziende. Le Ong possono essere un cavallo di Troia per recuperare dei legami con questi movimenti. E' un discorso estremamente complesso. A Johannesburg [Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, 2002 - ndr] il World Business Council, che e' l'organizzazione delle imprese per la conservazione dell'ambiente (ma che raggruppa tutti i piu' grandi inquinatori del pianeta, come Esso, Nestle', Total, etc.) ha contattato Greenpeace, dicendo loro: "Guardate, una cosa e' sicura, non saranno certo gli stati a salvare il pianeta". Questo discorso e' interessante. Dice: gli stati non sono capaci di decidere nulla. Dunque se c'e' qualcuno che puo' fare qualcosa siamo noi, o nessun altro. E percio' dovete lavorare con noi, bisogna lavorare insieme. Ora io non nego che ci possano essere dei responsabili di impresa che siano coscienti dei pericoli per l'ambiente rappresentati da un'attivita' industriale sregolata, e che quindi con loro si possano fare dei compromessi. Ma non credo che questi compromessi possano portare molto lontano, non credo che possano riguardare piu' che degli obiettivi limitati: cio' di cui c'e' bisogno qui sono delle regolamentazioni, dei vincoli forti all'attivita' industriale, e una vera regolamentazione non puo' andare nell'interesse delle aziende transnazionali, oggi. * - Antonio Caronia: Criticando l'utilitarismo, lei cita spesso la famosa formula del filosofo scozzese del Settecento Francis Hutcheson: "La maggiore felicita' per il maggior numero di persone possibile", a cui gli utilitaristi come Bentham e Stuart Mill appunto si ispirarono. Vuole tornare sull'argomento, e dirci cosa c'e' di sbagliato in questa formula? - Serge Latouche: E' una formula un po' assurda. Molto semplicemente, dal punto di vista logico, dire "la felicita' maggiore per il numero maggiore" significa massimizzare due cose nello stesso tempo. O si ha la maggior felicita' per un numero ristretto di persone, o c'e' una certa felicita' per la maggioranza - ma non si possono avere entrambe le cose. Se abbiamo due cose che crescono contemporaneamente, possiamo dare la stessa felicita' a un numero sempre piu' grande di persone, e cosi' avremo massimizzato il numero di coloro che godono di questa "felicita'", oppure possiamo dare la piu' grande felicita', ma soltanto a qualcuno. In ogni modo, con il sistema attuale, in cui si realizzano profitti giganteschi, si puo' dare "la maggiore felicita'" a un numero maggiore di persone solo perche' si sono massimizzati degli elementi (insomma perche' e' cresciuta la ricchezza). Nel sistema dello Stato sociale, nessuno aveva profitti cosi' giganteschi, ma tutti avevano un aumento misurato del proprio benessere. Insomma, e' un sistema contraddittorio e assurdo. E poi la formula e' criticabile anche perche' e' un effetto della hybris, l'orgoglio smisurato che gli antichi greci criticavano appunto perche' rappresenta l'eccessivo, cio' che non ha misura ne' limite. Ma che cosa significa poi "la maggiore felicita'"? Io non ho bisogno della maggiore felicita', ho bisogno della felicita' e basta. Essere felici e' gia' sufficiente. Al limite, se anche volessimo parlare di dimensione, si potrebbe dire che non e' male neanche una "piccola felicita'". Ma in realta' quantificare la felicita' e' stupido. E' evidente che questo atteggiamento apre la porta all'economicizzazione del mondo e all'economicizzazione dello spirito. Per poterla quantificare, la felicita' deve essere ridotta al prodotto nazionale lordo, e questo e' assurdo, stupido e pericoloso, anche perche' gli effetti sono sotto gli occhi ti tutti. Io credo che quando Beccaria utilizzo' anche lui questa formula non fosse del tutto cosciente dei suoi effetti, dell'ipertrofia dell'economia che si andava preparando e che si sta realizzando pienamente oggi. Adesso nel dibattito, evidentemente, c'e' una consapevolezza maggiore, ma le radici di questo atteggiamento risalgono ai tempi di Francesco Bacone. La colonizzazione dell'immaginario e' un processo che ha ormai una certa storia, in fondo segna gia' l'inizio della modernita'. * - Antonio Caronia: Lei critica la prospettiva universalista, cioe' la pretesa della civilta' occidentale di imporre a tutto il mondo una serie di valori considerati validi per tutto il genere umano. Ma criticando l'universalismo, non c'e' il rischio di cadere in un eccessivo relativismo? La difesa a oltranza delle culture particolari (come abbiamo gia' visto) non crea lacerazioni e conflitti in nome di una visione ristretta dell'identita'? - Serge Latouche: Sono contro l'universalismo perche' e' una creazione dell'occidente, perche' e' un'ideologia occidentale, e una forma di imperialismo culturale: in fondo, e' l'identita' della "tribu' occidentale" (per riprendere il termine di Rino Genovese). Io credo invece che dobbiamo valorizzare l'aspirazione a un dialogo fra le culture, a una coesistenza delle culture. Per questo alla prospettiva dell'universalismo opporrei piuttosto un "universalismo plurale", che consiste nel riconoscimento e nella coesistenza di una diversita', e nel dialogo fra queste diversita'. Dietro a tutto cio' sta una questione filosofica molto importante, perche' l'universalismo si e' fondato sulla credenza in valori "naturali": si pensa che i valori occidentali siano degni di essere diffusi ovunque, che siano migliori dei valori di altre culture, perche' li si considera insiti nella natura dell'uomo, si pensa che l'occidente abbia espresso meglio di altre culture cio' che accomuna tutti gli esseri umani. Naturalmente le cose non stanno affatto cosi': non ci sono e non ci sono mai stati "valori naturali", i valori sono tutti culturali, quindi semmai c'e' una diversita', che bisogna sostenere con il dialogo. Pensiamo alla cultura indiana. Per un indiano la vita di una mucca e' fondamentale. Non si puo' uccidere una mucca. Noi invece, tanto per fare un esempio, a causa della mucca pazza abbiamo massacrato milioni di mucche. Ora, se vogliamo coesistere con gli indiani e rispettare i loro valori, dobbiamo capire che bisogna dialogare anche con le cose che non ci piacciono. Ci sono delle cose che fanno gli indiani e che a noi sembrano orribili, come ci sono cose che noi facciamo e che sembrano orribili agli indiani. Allora, dobbiamo accettare questa situazione, poi, una volta accettata la diversita' possiamo anche negoziare, ma da uguale a uguale. Il problema e' che l'universalismo e' una trappola, potremmo dire un "errore universale": noi abbiamo preso i nostri valori, considerati espressione di un modo di pensare "naturale", e abbiamo voluto imporli a tutti gli altri. * - Antonio Caronia: Be', e' come dire (e mi sembra che qualcuno l'abbia detto) che tutte le culture sono uguali, ma ce n'e' qualcuna che e' piu' uguale delle altre... - Serge Latouche: Si', e' quello che diceva il mio amico Castoriadis. Io non ho mai accettato questa formula: ci sono delle culture che sono piu' potenti di altre, che possono imporsi alle altre, che possono anche distruggerle, ma piu' uguali di altre, via... Eppure questa formulazione e' interessante, perche' indica che in certe circostanze alcune culture possono, almeno in parte, prendere le distanze da se stesse. Il problema e' che la consapevolezza della propria cultura in una certa misura rende piu' difficile porre la questione della diversita' delle culture. Insomma, il dialogo fra culture e' necessario, ma bisogna essere consapevoli che al di la' di un certo limite sara' un dialogo tra sordi. Certo, possiamo capirci perche' condividiamo certe cose, ma questa comprensione non puo' mai essere totale, perche' ognuno di noi e' sempre all'interno di una cultura, e guarda i problemi in funzione della propria cultura. Non c'e' una soluzione definitiva a questo problema: c'e' solo il rispetto della diversita'. Nel momento in cui si ha un minimo di rispetto, di tolleranza per l'altro, allora si puo' fare qualche passo avanti. * - Antonio Caronia: Che cosa pensa dell'elaborazione delle femministe a questo proposito? In fondo, e' stato il femminismo che ha posto con piu' forza (e a volte anche con chiarezza) il problema dei limiti culturali, del "punto di vista" inevitabilmente parziale da cui ognuno di noi parla. - Serge Latouche: Sono d'accordo, con delle precisazioni. A volte vengo aggredito da qualche femminista, che mi rimprovera di non parlare delle donne. Be', rispondo dicendo che non ne ho parlato perche' non sono una donna, siete voi donne che ne dovete parlare. Si comincia a parlare dall'"io sono", non e' vero? Secondariamente, c'e' un malinteso su questo punto quando si apre un dialogo con altre culture, perche' anche il femminismo e' nato in una societa' occidentale, ed e' nato a partire dalla visione individualista della nostra cultura, che sacralizza l'individuo a scapito delle altre dimensioni, di gruppo o anche personali. Per noi l'individuo e' tutto, ma non e' cosi' per altre societa', per altre culture, che spesso hanno una visione olistica, integrale, del rapporto fra gli esseri umani e il mondo. Percio' riconosco la legittimita' del movimento femminista all'interno del mondo occidentale, che concepisce la societa' come un'associazione di individui. E' normale che in una situazione come questa le donne, per cosi' dire, rivendichino la loro parte; ma al tempo stesso bisogna comprendere che puo' non essere lo stesso in altre societa', in cui il rapporto fra i sessi, il rapporto fra uomini e donne, e' concepito a partire da una visione globale: in queste societa' non e' detto che le donne stesse maturino un punto di vista "femminista" all'occidentale. Malgrado tutto, siamo sempre alienati. Alienati puo' essere un altro termine per designare una situazione in cui tutto e' formattato, in un modo o in un altro. Se non si e' formattati in un certo modo lo si e' in un altro. Da questo punto di vista l'individualismo e' una forma di alienazione. * - Antonio Caronia: Nel suo intervento, oggi, lei ha detto che "il multiculturalismo e' il cosmetico della mondializzazione". Puo' spiegare questa affermazione? - Serge Latouche: Mi riferisco a un certo discorso multiculturalista, quello, ad esempio, sviluppato dalle agenzie di viaggio, che promuove la "scoperta di nuove culture" come una cosa fantastica, e parla di una diversita' che non si era mai vista nella storia dell'uomo. Questa e' una forzatura, un errore storico. Il multiculturalismo non e' stato una scoperta della modernita', ne' della postmodernita'. Ci sono gia' state esperienze di convivenza tra culture diverse, e non cosi' livellatrici come quella di oggi. L'antropologo Marco Aime lo dice bene. A Venezia, fra il XIII e il XV secolo, c'erano albanesi, c'erano ottentotti, che vivevano in certi quartieri, gli ebrei vivevano nel ghetto, ma non era una condizione realmente escludente. Nessuno era uguale, e ognuno era differente in rapporto al potere. Non voglio dire che tutto funzionasse, ma c'erano dei meccanismi di bilanciamento e di compensazione. Quello che va demistificato e' l'uso che si fa del multiculturalismo per nascondere il terribile dramma dell'uniformazione planetaria: la diffusione generalizzata di McDonald's, della Coca-Cola, di un modo di vita occidentale che viene presentato come ideale, e che colonizza le menti delle persone distruggendo al tempo stesso i loro mezzi di sussistenza. Quando si fa bere la Coca-Cola a delle popolazioni africane o latinoamericane, si distruggono le imprese locali, l'artigianato locale, le tradizioni locali, in cui ci sono bevande particolari come succhi di frutta o succo di canna da zucchero, etc. La stessa cosa avviene per l'alimentazione, con McDonald's e il fast food. Questa e' un'uniformazione culturale. E la stessa cosa avviene per la musica: si esalta la musica folk, la musica etnica, ma tutto cio' in realta' passa attraverso una formattazione hollywoodiana, americana... * - Antonio Caronia: Ma allora non e' possibile un multiculturalismo che vada in un'altra direzione, che costruisca un vero dialogo fra le culture? - Serge Latouche: Bisogna capire che ogni cultura, in se stessa, e' multiculturale. Ma lo e' realmente, autenticamente, non perche' si costruisce un discorso artificiale sulle culture "esotiche", che e' solo uno specchietto per le allodole. Ogni cultura e' multiculturale perche' e' necessariamente aperta agli apporti di altre culture. La sua identita' sta nella pluralita'. Quella che viviamo adesso, invece, e' la distruzione di ogni identita', di ogni capacita' di orientamento. All'interno della propria cultura oggi ognuno sta perdendo i propri punti di riferimento, nessuno sa piu' chi e', nessuno sa piu' a cosa credere: e questa e' la porta aperta al totalitarismo, e' cosi' che si crea il potere totalitario. La gente diventa facile preda di piu' o meno astuti "imprenditori di identita'". La cosa piu' grave e' che tutto questo e' gia' successo, e noi ce ne stiamo dimenticando. L'analisi che ha fatto Reich dell'ascesa del nazismo (utilizzando strumenti della psicanalisi e del marxismo), mostra bene che una delle cause principali di quel fenomeno fu che la classe media tedesca aveva perso tutti i suoi punti di riferimento, le sue difese. Perche' i punti di riferimento sono anche delle difese immunitarie. * - Antonio Caronia: Lei crede che il movimento antiglobalizzazione sia in grado di cambiare - almeno in parte - questa situazione? - Serge Latouche: Non so se possa farlo nella sua forma attuale. Ma penso che questo movimento abbia gia' dato dei buoni risultati: e' stato in grado di mettere in crisi alcuni progetti dei governi e delle aziende transnazionali, ha diffuso nell'opinione pubblica un certo numero di temi. Certo, e' un movimento ben lontano dall'essere monolitico, unificato, e' attraversato da contraddizioni le piu' varie. Ma penso che sia un movimento importante. Ma io confido anche in un altro antidoto, che e' un modo di trasformare in ottimismo il pessimismo, ed e' quello che io chiamo "la pedagogia delle catastrofi". Io sono sicuro che questo sistema mondiale abbia una indubbia capacita' di autodistruzione. E credo che questa consapevolezza possa essere diffusa. Noi possiamo attrezzarci a vivere questo cambiamento, questa condizione, superando le tendenze alla distruzione, credo che possiamo costruire una sorta di laboratorio del futuro. E credo che questa oggi sia un po' la missione degli intellettuali impegnati. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 132 del 26 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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