Minime. 116



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 116 del 10 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. "Azione nonviolenta" di giugno
2 Centro Impastato: Mafia e antimafia, un percorso di analisi. Il paradigma
della complessita'
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI GIUGNO
[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org)
riceviamo e diffondiamo]

E' uscito il numero di giugno 2007 di "Azione nonviolenta", rivista del
Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di
formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in
Italia e nel mondo.
In questo numero: La mafia teme la forza della nonviolenza perche' le toglie
il potere sulle persone, di Mao Valpiana; Eí possibile battere la mafia con
la nonviolenza? Uscire dai sistemi mafiosi usando coscienza e legalita', di
Enzo Sanfilippo; Comunita' libere: un esperimento di difesa popolare
nonviolenta contro il dominio mafioso in Calabria, per la democrazia e la
liberta', di Pasquale Pugliese; L'abbraccio tentacolare di Mamma Mafia, che
recluta i piu' giovani nell'organizzazione, di Elena Buccoliero; I bambini
della mafia sono vittime e i mafiosi adulti sono stati bambini, di Rita
Borsellino; Nonviolenza e politica: puri e impotenti o sporchi e potenti?,
di Beppe Marasso.
Le rubriche: Cinema. Nella cultura mafiosa un fascino difficile da dire,
intervista a Goffredo Fofi; Educazione. Gli altri siamo noi, sulle tracce
della pace e dintorni, a cura di Pasquale Pugliese; Economia. Dai diamanti
non nasce niente ma sono il frutto della guerra, a cura di Paolo Macina;
Giovani. Pop, punk, metal, dance, techno, ogni momento e' quello giusto, a
cura di Elisabetta Albesano e Agnese Manera; Per esempio. Giocare per la
pace nei luoghi di conflitto, a cura di Maria G. Di Rienzo; Servizio civile.
Dialogo aperto fra enti, Ufficio nazionale e volontari, a cura di Claudia
Pallottino; Musica. Fratelli d'Italia, cambiamo l'inno?, a cura di Paolo
Predieri; Movimento. Un seminario in Sardegna e un convegno nelle Marche;
Euromediterranea e premio Langer per il Sudafrica contro l'aids, a cura
della redazione; Lettere. Capire le idee dei ragazzi dalle pagine di "Azione
nonviolenta", a cura della redazione.
In copertina: Esperimenti di nonviolenza contro il potere mafioso.
In seconda: 1907-2007. Un secolo fa, il futuro, giugno 1907, a cura di Luca
Giusti.
In terza di copertina: Pax et Biani, Continuano gli attentati alle
cooperative di Libera.
In ultima: Materiale disponibile.
*
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org , sito: ww.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile
chiedere una copia omaggio, inviando una email all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

2. MATERIALI. CENTRO IMPASTATO: MAFIA E ANTIMAFIA, UN PERCORSO DI ANALISI.
IL PARADIGMA DELLA COMPLESSITA'
[Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it).
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934]

Un'ipotesi definitoria
Per andare oltre gli stereotipi, integrare i paradigmi e avviare un'analisi
della mafia come fenomeno complesso e poliformico, il Centro Impastato ha
elaborato il progetto di ricerca "Mafia e societa'", utilizzando un'ipotesi
definitoria che si puo' cosi' sintetizzare: mafia e' un insieme di
organizzazioni criminali, di cui la piu' importante ma non l'unica e' Cosa
Nostra, che agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto
relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalita'
finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di
posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo
consenso sociale.
Il fenomeno mafioso viene considerato un prisma a molte facce, presentando
aspetti criminali, sociali, economici, politici, culturali; isolare uno di
questi aspetti e ritenerlo rappresentativo dell'intero fenomeno o
attribuirgli una prevalenza sugli altri, come spesso avviene, e'
un'operazione gratuita e una riduzione fuorviante. Il fenomeno mafioso e' la
risultante del rapporto interattivo tra tutti questi aspetti e, se si vuole
passare dal descrittivismo impressionistico alla ricerca scientifica, al
centro dell'analisi dev'essere lo studio dell'interazione tra i vari
aspetti. Le polarizzazioni sono sbagliate sempre ma lo sono ancora di piu'
quando si debbono studiare fenomeni complessi.
L'ipotesi definitoria sopra riassunta permette di considerare le
organizzazioni criminali nella loro concretezza (uomini in carne e ossa,
boss e gregari, e non mafiosi da romanzo e da sceneggiato televisivo
spacciati per idealtipi; organigrammi, regole, ruoli, gerarchie, intese e
conflitti) e il contesto sociale in cui esse operano, sottraendolo alle
generiche criminalizzazioni di sapore piu' o meno razzistico o lombrosiano e
individuando al suo interno un blocco sociale egemonizzato dai gruppi
criminali o in sintonia con essi. E anche tale blocco sociale va studiato in
concreto, analizzandone composizione, caratteristiche, valenze culturali,
economiche, politiche ecc., tipologie dei rapporti che si instaurano tra le
sue componenti e i raggruppamenti organizzati.
Solo questa analisi concreta permette di avere un quadro esauriente della
complessita' dei fenomeni, non riducibili all'angusto pseudoparadigma del
rapporto protettori-protetti ma articolati in una vasta gamma dal gioco
degli interessi in campo, riconducibili dentro un quadro unitario attraverso
la ricostruzione delle dinamiche operanti, con l'uso di chiavi di lettura
adeguate, tenendo ben presente che non si tratta di scoprire leggi fisiche
(ammesso che ne esistano) ma di formulare ipotesi che ci permettano di
capire e ci aiutino ad elaborare strumenti utili per intervenire.
Questa visione si fonda consapevolmente su una metodologia che sceglie
l'et-et invece che l'aut-aut. Qualche esempio. Gli studiosi si sono chiesti
se la mafia sia industria o istituzione e hanno sciolto il dilemma
scegliendo l'uno o l'altro dei corni. Il paradigma della complessita',
invece, non pone l'alternativa ma considera la mafia insieme come industria
e come istituzione. Un altro problema che si sono posti operatori e studiosi
e' se la mafia sia un'organizzazione o un modo di sentire, una mentalita',
un comportamento. Abbiamo gia' visto come il dibattito su tale dilemma abbia
portato la stragrande maggioranza degli studiosi a schierarsi per la tesi
che potremmo definire "comportamentista", mentre nella nostra visione la
mafia e' insieme organizzazione e comportamento, struttura gerarchica e
codice culturale, che va oltre gli affiliati.
Anche l'alternativa deficit o ipertrofia puo' sciogliersi nel senso che
possono operare entrambi, e la realta' ci mostra ogni giorno che in effetti
operano entrambi, tanto a livello individuale-sociale che
territoriale-planetario. Le opportunita' per i criminali organizzati nascono
tanto sul terreno delle economie periferiche, in crisi e destinate a
ulteriore sottosviluppo, che su quello delle aree centrali pienamente
sviluppate.
Il contesto relazionale entro cui i gruppi mafiosi agiscono e' intessuto di
rapporti di parentela, di amicizia, cointeressenza, contiguita', complicita'
e, come ho gia' accennato, da' vita a un blocco sociale che attraversa la
societa' nel suo complesso. Cioe' esso ha natura e composizione
interclassista, comprendendo sia gli strati piu' svantaggiati della
popolazione sia gli strati intermedi ed alti. Troviamo cosi' nella
polarizzazione verso il basso strati marginali, sottoproletari e proletari
coinvolti nelle attivita' illecite o lecite (contrabbando di sigarette,
spaccio di droghe, manodopera e personale piu' o meno precariamente
impiegato nelle attivita' imprenditoriali e commerciali) e nella
polarizzazione verso l'alto politici e amministratori legati in vari modi ai
mafiosi, professionisti (avvocati, consulenti finanziari, medici, tecnici
etc.) che prestano la loro opera a servizio di mafiosi, imprenditori e
commercianti consoci e prestanome etc.
All'interno di tale blocco il peso delle singole componenti non e'
equivalente: la funzione dominante e' esercitata dai soggetti
illegali-legali piu' ricchi e potenti (capimafia, politici, amministratori,
imprenditori, professionisti) che si puo' definire borghesia mafiosa.
*
Dai "facinorosi della classe media" alla borghesia mafiosa
Il concetto di borghesia mafiosa era gia' presente nell'analisi di
Franchetti, che parlava di "facinorosi della classe media", ed e' stato
proposto nei primi anni '70 all'interno delle analisi della nuova sinistra.
Negli ultimi anni parecchie inchieste hanno riguardato politici,
imprenditori, professionisti coinvolti in rapporti con mafiosi e
l'elaborazione della fattispecie di "concorso in associazione mafiosa" e'
intervenuta a conferire rilevanza giuridica a tali rapporti.
Queste inchieste e questa nuova figura di reato, anche se essa e' frutto
dell'elaborazione giurisprudenziale, cioe' delle analisi e delle
applicazioni da parte della magistratura e non di una apposita prescrizione
legislativa, si possono considerare una riprova, anche a livello
giudiziario, della validita' delle analisi fondate sull'esistenza di una
borghesia mafiosa.
Recentemente si sono avanzate critiche piu' che alla sostenibilita' di tale
tesi, alle conseguenze che essa avrebbe proprio sul piano operativo e
giudiziario. Scrive lo storico Pezzino: "un'eccessiva dilatazione del
concetto di aggregato mafioso, arrivando a comprendervi intere classi
sociali, mi sembra non fondata: se e' vero che la mafia e' la 'borghesia
mafiosa', come sostengono fra gli altri Umberto Santino e Giuseppe Di Lello,
allora non restera' che sperare in un futuro, ma per ora indefinito,
cambiamento sociale e politico generale, che estrometta dal potere la
borghesia mafiosa. Se viceversa la mafia e' Cosa Nostra, cioe' la struttura
territoriale armata di uomini che prestano un giuramento di fedelta' per
venirvi ammessi, allora tutto l'apparato repressivo andra' potenziato, anche
con eventuali strumenti di indagine bancaria, nel tentativo di colpire uno
dei due poli, indubbiamente il piu' debole, di quel pactum sceleris tra
mafia e poteri legittimi che ha permesso alla prima di affermarsi".
L'economista Centorrino interviene sull'argomento, usando quasi le stesse
parole: "La mafia dev'essere considerata componente di un blocco sociale
transclassista al cui interno la funzione egemonica e' svolta dagli strati
piu' ricchi, legali e illegali, definiti borghesia mafiosa, oppure per Cosa
Nostra e altre organizzazioni mafiose vale piuttosto la definizione di
strutture militari-territoriali, soggetti distinti con finalita' proprie che
entrano in contatto con altri soggetti (economici, politici, istituzionali)
mantenendo fondamentalmente la propria autonomia, come del resto starebbero
a dimostrare alcune vicende processuali? Se la mafia e' borghesia mafiosa
allora non si potrebbe che sperare in un futuro cambiamento, attualmente
indistinto e indefinito, che estrometta da tutti i vertici possibili la
borghesia mafiosa. Riferirsi invece a organizzazioni mafiose con strutture
territoriali implica invece, da un lato, la necessita' di potenziare e
supportare un solido apparato repressivo e giudiziario e, dall'altro, di
individuare tutti gli strumenti (a partire dalle indagini bancarie) nel
tentativo di identificare, e colpire, uno dei due poli, il piu' segreto ma
anche il piu' debole, di quello scambio scellerato tra mafia, istituzioni ed
economia che ha permesso alla prima di affermarsi. La mafia e' costituita -
si e' scritto - da precise organizzazioni, da uomini, denaro, alleanze
politiche, traffici criminali. Bisogna smantellare le organizzazioni,
fermare gli uomini, sequestrare e confiscare tutte le ricchezze, intervenire
efficacemente sui traffici, spaccare le alleanze".
Il senso di questo discorso e' chiaro: la teorizzazione fondata sul concetto
di borghesia mafiosa rimanda a un'impossibile, o almeno improbabile,
palingenesi sociale (una rivoluzione socialista o qualcosa del genere)
mentre la tesi della mafia come organizzazione denominata Cosa Nostra e' la
base concreta per un intervento concreto, possibile qui ed oggi.
A parte il fatto che Cosa Nostra non esaurisce l'associazionismo di tipo
mafioso (anche i clan che non ne fanno parte, come la "Stidda" nelle
province di Agrigento e Caltanissetta e i clan catanesi, sono associazioni
mafiose), tali critiche si fondano su un fraintendimento: l'analisi che
utilizza il concetto di borghesia mafiosa, come abbiamo gia' chiarito, non
esclude la dimensione criminale, non genericamente intesa ma colta in tutte
le sue implicazioni organizzative, anzi parte da essa ma vuole inserirla -
senza percio' diluirla - dentro un quadro complesso di rapporti sociali, che
e' poi quello che i critici cacciano dalla porta ma fanno rientrare dalla
finestra. Il pactum sceleris tra mafia e poteri legittimi, tra mafia,
istituzioni ed economia "che ha permesso alla prima di affermarsi", come
puo' costituirsi ed operare senza il contributo di una serie di figure
sociali che pur non essendo affiliate a Cosa Nostra sono con essa collegate?
E tali collegamenti, fatta salva la distinguibilita' e l'autonomia degli
affiliati a Cosa Nostra o ad altre associazioni di tipo mafioso, che non e'
in discussione, sono da considerare eventuali, sporadici, congiunturali,
marginali o costituiscono il contesto che spiega il radicamento e lo
sviluppo del fenomeno mafioso nel suo complesso, cioe' del prisma a molte
facce di cui ho parlato prima?
L'analisi fondata sul concetto di borghesia mafiosa e' l'esatto contrario
della criminalizzazione generalizzata e della rinuncia all'intervento
storicamente possibile, richiede il massimo di concretezza
nell'individuazione dei gruppi mafiosi e delle articolazioni dei sistemi
relazionali che legano i vari soggetti e nell'elaborazione delle politiche
che mirino a prevenire e reprimere le attivita' mafiose e a sgretolare il
blocco sociale transclassista cementato ed egemonizzato dalla borghesia
mafiosa.
A riprova di tale concretezza potremmo ricordare che il progetto di ricerca
"Mafia e societa'" del Centro Impastato si articola in una serie di progetti
rigorosamente fondati sulla ricerca empirica, mentre la bibliografia sulla
mafia si accresce ogni giorno con i ritmi di una pianta infestante,
all'insegna degli stereotipi, delle improvvisazioni o delle esercitazioni
tanto eleganti quanto prive di una consistente base di dati e sterili sul
piano delle indicazioni operative. E non e' un caso che lavorando sul
paradigma borghesia mafiosa, fin dai primi anni '80 abbiamo individuato la
dimensione finanziaria del fenomeno mafioso attuale, indicando anche strade
concretissime per affrontarla. Se non ci si fosse baloccati per tanti anni
con la tesi della "mafia imprenditrice" (ipotesi analitica in ritardo di
molti anni rispetto alla realta' e che negava la dimensione organizzativa),
la legislazione sul riciclaggio, per fare un esempio, sarebbe venuta con
parecchi anni di anticipo. E, sempre per affondare i piedi nel terreno della
concretezza, se le denunce del Centro Impastato contro Salvo Lima, frutto di
un'analisi fondata sulla compenetrazione e sullo scambio permanente fra
mafiosi in carne e ossa e politici altrettanto concreti, avessero avuto un
seguito e non fossero state isolate dalle stesse sinistre, certamente molte
cose non sarebbero andate per il verso in cui sono andate.
Dire percio' che per tenere in piedi ben piantati sulla terra bisogna
parlare solo e unicamente di Cosa Nostra e che invece parlare di borghesia
mafiosa vuol dire rimandare qualsiasi ipotesi di contrasto alle calende
greche, mi pare un modo per semplificare e ridurre a una finta concretezza
un fenomeno articolato e complesso e - come gia' accennato precedentemente -
tale posizione si configura come un accodamento degli scienziati sociali al
lavoro giudiziario, per giunta tardivo poiche' giunge proprio nel momento in
cui le inchieste cercano di andare oltre Cosa Nostra e si volgono ad
indagare quel che non e' Cosa Nostra ma e' con essa collegato in un nodo di
reciproca funzionalita'.
Le critiche prima richiamate al concetto di borghesia mafiosa,
frettolosamente enunciate sulle pagine di quotidiani, il piu' delle volte
sottintendono un implicito convincimento di fondo, secondo cui tale concetto
non puo' non essere obsoleto dato che si da' per scontata l'obsolescenza
dell'analisi di classe e del dizionario marxista da cui essa deriva.
Ora se il concetto di borghesia mafiosa viene usato in modo ideologico e
rigido, senza considerarne tutta l'articolazione, tralasciando di metterne
in luce per esempio gli aspetti culturali e di evidenziare dinamiche sociali
anche conflittuali, e rappresentando tutto come un teatrino a scena fissa e
ruoli predeterminati e immutabili, comprendiamo benissimo il senso di piu'
d'una critica. A nostro avviso l'analisi di classe si puo' fare anche oggi,
e forse ce ne e' bisogno piu' di prima, ma bisogna avere gli occhi rivolti
al presente e capaci di cogliere gli sviluppi tendenziali e non attardarsi
in schematismi scolastici la cui inutilita' e obsolescenza era gia' evidente
nei decenni passati.
*
La violenza mafiosa
La specificita' della mafia e' data dall'uso privato della violenza e dal
non riconoscimento del monopolio statale della forza.
La violenza mafiosa e' strumentale, essendo un mezzo per il raggiungimento
di una serie di obiettivi essenziali per l'agire mafioso, e si inscrive in
una visione secondo cui e' legittimo, anzi e' un titolo di merito, farsi
giustizia da se' e non ricorrere allo Stato.
Dallo studio della forma piu' grave di violenza mafiosa, l'omicidio,
pubblicato nel volume La violenza programmata, abbiamo ricavato le seguenti
indicazioni:
"l'omicidio mafioso, lungi dall'essere unicamente o soprattutto il frutto di
un istinto sanguinario e incontrollato e di una subcultura marginale, e'
principalmente omicidio-progetto, e' animato cioe' da una logica strategica,
in quanto:
1) e' il modo in cui si esprime la concorrenza tra organizzazioni mafiose o
tra singoli mafiosi, giunta a livelli incomponibili diversamente;
2) e' lo strumento principale, o comunque uno degli strumenti essenziali,
per la risoluzione della gara egemonica, interna ed esterna;
3) spiana la strada per il controllo delle attivita' gestite dalle
organizzazioni mafiose, illegali e legali;
4) rappresenta una modalita' d'intervento sul quadro sociale e politico".
Sia che si tratti di violenza minacciata o messa in atto, di violenza mirata
o diffusa, essa e' un attributo irrinunciabile, fino ad oggi, del mafioso;
costituisce un terreno ineludibile del suo apprendistato e scandisce la sua
carriera criminale. Non ci sono solo i killers di professione, ci sono anche
capimafia che uccidono con le loro mani, nei modi piu' feroci, tanto tra
coloro che sono stati definiti "moderati" (come Stefano Bontate) che tra i
"corleonesi" (come Liggio e Riina).
L'uso della violenza e la cultura della violenza, per cui l'omicidio non e'
un delitto ma una pena prevista dalla stessa formula del giuramento, sono
uno dei pilastri su cui si fonda la doppiezza della mafia nei confronti
dello Stato. Essa per un verso e' fuori e contro lo Stato, ha un suo codice
penale e una sua forma di giustizia e quindi non riconosce la funzione
repressiva e giurisdizionale dello Stato; per un altro verso e' dentro e con
lo Stato, sia per le sue attivita' economiche, che il piu' delle volte
richiedono il ricorso alle istituzioni, sia per il suo ruolo politico.
*
ll "modo di produzione mafioso"
Negli ultimi anni, nel dibattito sviluppatosi in Italia, dopo la frettolosa
enunciazione del nuovo corso produttivo intrapreso dalla "mafia
imprenditrice", c'e' stata un'altrettanto frettolosa marcia indietro ed oggi
si puo' dire che si registri l'unanimita' sulla tesi della mafia "ostacolo
allo sviluppo".
Affrontando tale tematica nel volume L'impresa mafiosa invitavamo alla
cautela e a un minimo di rigore nell'uso delle categorie economiche.
Notavamo, in primo luogo, che nell'agire mafioso "parassitismo" e
"produttivita'" convivono e che non e' possibile segnare un confine netto
tra i due aspetti. La mafia svolge tanto attivita' illecite (estorsioni,
usura, traffici di merci proibite etc.) che lecite (attraverso esercizi
commerciali, imprese, societa' finanziarie etc.), taglieggia le attivita'
economiche ma pure gestisce in prima persona o attraverso prestanome imprese
dotate di tutti i requisiti formali; da un punto di vista strettamente
economico anche le attivita' piu' riprovevoli, come la produzione e
distribuzione di droga, possono considerarsi produttive, "sia che per
produzione s'intenda, in senso lato, 'ogni processo mediante il quale cresce
l'utilita' di chi esercita quel processo' oppure, in senso piu' ristretto,
la 'trasformazione di fattori produttivi in prodotti, cioe' creazione di
nuovi beni economici', essendo di dominio generale che i concetti di
'utilita'', di 'bene economico' e di 'bisogno' prescindono da considerazioni
relative alla liceita' o illiceita', o al 'vizio' e alla'"virtu'',
limitandosi a registrare il dato di fatto che quel 'bene' sia 'desiderato da
qualcuno' e si presti ad essere scambiato".
C'e' anche una "economicita' della violenza", nel senso che essa puo' essere
utilizzata come "sostanza valorificante" all'interno del processo
produttivo. La violenza e l'uso di pratiche illegali possono avere effetti
rilevanti in rapporto ai fattori di produzione, permettendo per esempio la
disponibilita' di capitali a basso costo, un controllo piu' rigido sulla
forza lavoro, l'accaparramento di mezzi di produzione. L'illegalita' puo'
esercitare un peso notevole anche sui prodotti: si pensi alla facilita' di
adulterazione delle merci scambiate sul mercato illegale.
"Quindi si puo' dire che l'agire mafioso procura 'utilita'' ai soggetti
attivi e ai consumatori dei prodotti immessi sul mercato dai primi, mentre
gli aspetti che vengono usualmente considerati 'parassitari', dalle tangenti
all'uso a fini speculativi del denaro pubblico, si risolvono in 'utilita''
per gli attori e in danno per le vittime (produttori, esercenti di esercizi
commerciali, pubbliche amministrazioni etc.) e in questo senso e' corretto
affermare che si risolvono in 'ostacolo allo sviluppo', tendendo ad impedire
un adeguato soddisfacimento di bisogni e ad accrescere i costi di gestione
di varie attivita'".
Per modo di produzione nella formulazione marxista s'intende una
combinazione di forze produttive e di rapporti sociali, un
concetto-contenitore che comprende varie componenti, dalla tecnica
all'assetto della proprieta', alla struttura di classe e del sistema
politico. Si puo' parlare di "modo di produzione mafioso", segnato dalla
specificita' dell'uso privato della violenza e caratterizzato dall'intreccio
di parassitismo e produttivita', di accumulazione illegale e legale. L'uso
di tale concetto puo' tornare utile tenendo conto che se la rilevanza
economica di pratiche criminali non e' una novita', lo e' la consistenza che
essa ha assunto negli ultimi anni. Lo sviluppo dei fenomeni di criminalita'
economica e la variegata fenomenologia presentata dalla cosiddetta "economia
sommersa" implicano l'aggiornamento, o la modifica, dei paradigmi elaborati
dalle varie scuole di pensiero. Il mercato reale cosi' come si presenta oggi
e' ben diverso dal mercato ideale disegnato dalla teoria economica e
sociologica. Un'ipotesi adeguata per rappresentarne la complessita' potrebbe
essere quella del "mercato multidimensionale" o dell'"economia polimorfa":
economia ufficiale, sommersa e illegale possono considerarsi come scomparti
di un unico mercato e l'interazione tra di essi da' vita a scenari
articolati: intreccio e complicita'; convivenza, succuba e interessata;
concorrenza e conflitto, fino all'eliminazione, fisica o giuridica.
Quanto al dibattito sul ruolo economico della mafia come promotrice di
sviluppo o ostacolo allo sviluppo, c'e' da dire che quasi tutte le attivita'
imprenditoriali registrate dalla ricerca sull'impresa mafiosa, tolti i due
gruppi industriali dei Salvo in Sicilia e di Monti e Virgilio in Lombardia,
prima soggetti a sequestro ma successivamente dissequestrati, hanno piu' che
altro funzione di riciclaggio e che in ogni caso l'economia illegale
distribuisce quote di reddito ma e' in piena contraddizione con una cultura
dello sviluppo. Se per sviluppo s'intende non solo la crescita
dell'attivita' produttiva ma pure, o soprattutto, il miglioramento delle
condizioni complessive di vita dei membri di una collettivita', l'attivita'
criminale ingenera attese di arricchimento facile, disprezzo del lavoro e
violazione delle regole elementari della convivenza, cioe' l'esatto
contrario dell'impegno corale per sviluppare una comunita'.
Se invece per sviluppo s'intende il modello di crescita dei paesi
periferici, all'insegna del produttivismo, del consumismo di tipo
occidentale per una parte privilegiata della popolazione (il cosiddetto
"desarrollismo"), mentre non viene assicurato il soddisfacimento dei bisogni
piu' elementari degli strati popolari, ci possono essere molti punti in
comune tra tale concezione, basata sul successo individuale e su un alto
grado di competitivita', e la cultura su cui si fonda l'accumulazione
criminale.
Un problema piu' generale riguarda il rapporto tra fenomeni di tipo mafioso
e capitalismo. Molto schematicamente, si puo' dire che mentre il processo di
transizione al capitalismo ha prodotto organizzazioni di tipo mafioso in
aree determinate (per esempio: la mafia in Sicilia occidentale, le Triadi in
Cina, la Yakuza in Giappone) e il capitalismo maturo ha sviluppato tali
fenomeni in presenza di determinate condizioni (immigrazione, mercati neri),
il capitalismo nella fase attuale di globalizzazione acuisce contraddizioni
sistemiche gia' presenti prima per cui si estende l'accumulazione illegale e
proliferano i gruppi di tipo mafioso.
*
La mafia come soggetto politico
Finora il rapporto mafia-politica e' stato al centro di libri di denuncia,
di servizi giornalistici, di documenti politici, di relazioni di organi
ufficiali ma non e' stato oggetto di ricerca scientifica.
La dimensione politica e' costitutiva del fenomeno mafioso cosi' come
l'abbiamo definito prima.
"La mafia e' soggetto politico in duplice senso:
1) In quanto associazione criminale e' gruppo di potere e gruppo politico in
senso weberiano, avendo i caratteri fondamentali di tale categoria di
gruppo, e cioe': a) un insieme di norme (ordinamento), b) una dimensione
territoriale, c) la coercizione fisica, d) un apparato amministrativo in
grado di assicurare l'osservanza delle norme e mettere in atto la
coercizione fisica. (...);
2) La mafia, come associazione criminale e con il blocco sociale di cui fa
parte, costituisce un sistema di potere piu' ampio, ed e' una fonte di
produzione della politica in senso complessivo, in quanto determina o
contribuisce a determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione
del potere e la distribuzione delle risorse".
Se la "signoria territoriale" e' un attributo fondamentale dei gruppi
mafiosi, essa costituisce solo un aspetto della loro soggettivita' politica,
che si esplica in gran parte nel controllo e nel condizionamento
dell'attivita' politica complessiva.
Questa visione della mafia implica una serie di problemi teorici di fondo
riguardanti soprattutto il rapporto con lo Stato e l'idea stessa di Stato.
Una linea teorica che parte da Hobbes, continua con Marx ed Engels e
attraverso Weber arriva fino ai nostri giorni, pone l'accento sul monopolio
dell'uso legittimo della forza come attributo irrinunciabile dello Stato.
Invece l'esperienza storica italiana ci dice che se il monopolio formale
della forza da parte dello Stato non e' mai venuto a cessare, di fatto c'e'
stata una demonopolizzazione, rispecchiata anche sul piano giuridico, se si
pensa al grande ritardo con cui e' stata definita la criminosita'
dell'associazione mafiosa, sancita soltanto con la legge del settembre 1982.
Su questa base e' stata individuata una duplice dualita', riguardante sia la
mafia che lo Stato.
Diversamente dalla criminalita' comune, la mafia non viola il diritto ma
nega il diritto: abbiamo gia' visto che essa e' fuori e contro lo Stato,
poiche' non riconosce il monopolio statale della forza e considera il
ricorso all'omicidio come la sua forma di giustizia; ma per le sue attivita'
legate all'uso del denaro pubblico e la sua partecipazione attiva alla vita
pubblica, essa e' dentro e con lo Stato.
A fronte della dualita' della mafia c'e' una dualita' dello Stato, nel senso
che c'e' una rinuncia parziale al monopolio della forza e una delega di
fatto alla mafia di compiti repressivi, che si manifesta attraverso
l'impunita' dei comportamenti delittuosi se essi assolvono la funzione di
salvaguardia del potere delle classi dominanti, ogni volta che l'intervento
dello Stato o era impossibile, per la palese illegalita', o non avrebbe
avuto la tempestivita' e la brutalita' dell'intervento mafioso.
Le considerazioni precedenti richiamano le riflessioni sul doppio Stato come
prodotto della dinamica del rapporto tra politica nazionale e internazionale
nel secondo dopoguerra, per cui i gruppi dirigenti incorporano una doppia
lealta', verso il proprio paese e verso lo schieramento internazionale
formatosi in seguito alla divisione del pianeta in due blocchi.
Sulla base delle indicazioni di carattere generale gia' enunciate, si puo'
parlare di "produzione mafiosa della politica" e di "produzione politica
della mafia". La mafia produce politica in vari modi: con l'uso politico
della violenza (i cosiddetti delitti politico-mafiosi, le stragi, da
Portella della Ginestra a Capaci e via D'Amelio, costituiscono un intervento
sul quadro politico, possono essere il prodotto di una convergenza di
interessi con altri soggetti e implicare una pluralita' di ideatori ed
esecutori), con il contributo alla formazione delle rappresentanze
istituzionali (raccolta e controllo dei voti, partecipazione diretta o
mediata alle competizioni elettorali), con il controllo sulle istituzioni
(in vari modi, dallo scambio alla compenetrazione e all'identificazione,
configurando forme di criminocrazia formale o informale).
La politica produce mafia nel senso che contribuisce al suo sviluppo
assicurando l'impunita', consentendo attivita' in collegamento con le
istituzioni e con l'erogazione di denaro pubblico, o attraverso
l'istituzionalizzazione di metodi mafiosi.
*
Codice culturale e consenso sociale
Un concetto impiegato frequentemente da sociologi ed antropologi ed entrato
nell'uso comune e' quello di "subcultura". Tale concetto e' stato usato
anche per lo studio della mafia e dai criminologi che hanno introdotto
l'accezione specifica di subcultura criminale.
Nell'accezione generale per subcultura s'intende un "sottinsieme di elementi
culturali sia immateriali che materiali - valori, conoscenze, linguaggi,
norme di comportamento, stili di vita, strumenti di lavoro - elaborato o
utilizzato tipicamente da un dato settore o segmento o strato di una
societa'". Entro l'insieme della cultura dominante, tale sottinsieme puo'
caratterizzarsi come una variante differenziata o specializzata o come una
forma di deviazione o di opposizione. Nel primo caso il concetto di
subcultura e' troppo poco determinato (esso significherebbe soltanto che la
mafia, come qualsiasi altro soggetto sociale, ha un suo codice
comportamentale, cioe' una sua propria cultura); nel secondo caso e'
fuorviante, poiche' registra il fenomeno mafioso come deviazione e
opposizione, ignorandone tutti gli aspetti che si fondano sull'interazione
con il contesto sociale e istituzionale.
Gli effetti fuorvianti possono cogliersi nell'interpretazione della mafia
come subcultura proposta dall'antropologo tedesco Henner Hess, che esclude
l'esistenza di una struttura organizzativa, coinvolge l'intera popolazione
nella subcultura mafiosa, partendo dall'idea di mafia come istituzione di
autosoccorso e ignorando le lotte contro la mafia condotte da buona parte
dei siciliani, distingue nettamente una cultura di Stato e una subcultura
mafiosa ignorando i rapporti tra mafia e istituzioni.
Quanto alla subcultura criminale la letteratura esistente e' abbastanza
nutrita e ho sintetizzato le formulazioni piu' significative nell'ultimo
capitolo del volume La violenza programmata, proponendo la sostituzione del
concetto di subcultura con quello di "transcultura".
Gia' i criminologi Wolfgang e Ferracuti avevano escluso la possibilita' di
interpretare la mafia contemporanea come un fenomeno subculturale, in base
alla considerazione che essa e' "un sistema di delitti organizzati" e la
violenza mafiosa e' "un'arma di controllo sociale ed economico, non
dissimile dalla pena di morte nella societa' organizzata", essendo usata
"come strumento, allo scopo di ottenere particolari vantaggi".
Il concetto di transcultura permetterebbe di cogliere la complessita' dei
comportamenti dei soggetti mafiosi e di altri soggetti ad essi collegati,
proponendosi come "percorso trasversale che raccoglie elementi di varie
culture, per cui possono convivere ed alimentarsi funzionalmente aspetti
arcaici come la signoria territoriale e aspetti modernissimi come le
attivita' finanziarie, aspetti subculturali derivanti da codici
associazionistici ed altri aspetti 'postindustriali'".
Anche dal punto di vista culturale la mafia intreccia continuita' e
trasformazione, fedelta' alle radici ed elasticita' nella capacita' di
adattamento ai mutamenti del contesto. Cosi' viene mantenuta la base
familistico-parentale ma hanno largo spazio gli interessi, che possono
prevalere anche sui vincoli familiari piu' stretti (per esempio, nella
guerra di mafia dei primi anni '80 Giovanni Bontate si e' schierato con gli
assassini del fratello Stefano), e per svolgere traffici che vanno oltre
l'orizzonte territoriale ristretto (prima il contrabbando di sigarette, poi
il traffico di droghe) si sono usate forme organizzative interfamilistiche.
Cosi' pure l'organizzazione mafiosa formalmente e' maschile, ma
l'inserimento delle donne in attivita' mafiose e' provato dalle cronache
quotidiane e si e' parlato anche di un loro ruolo nell'organizzazione. Anche
quella che ho chiamato "cultura della sudditanza", alla base del consenso
sociale di cui gode la mafia presso ampi strati della popolazione, non e' da
vedere come un mondo immobile: essa e' contestata e messa in crisi da atti
di ribellione individuale in collegamento, piu' o meno realizzato, con forme
di movimento antimafia.
Altri elementi della transcultura mafiosa (l'apprendimento, i riti
iniziatori, il linguaggio, l'omerta', la visione gerarchica
dell'organizzazione e della societa', l'accettazione dei fini sociali, come
l'arricchimento, il potere, il successo, e non dei mezzi; il ruolo
dell'aggressivita', la personalizzazione del conflitto, l'ideologia
sicilianista e meridionalista ecc.) sono da considerare nella dinamica
concreta con cui si configura il rapporto continuita'-modernizzazione
all'interno delle associazioni mafiose e nel blocco sociale ad esse
collegato. Personaggi del mondo rurale, quasi analfabeti, come Riina, si
sono pienamente inseriti in attivita' internazionali, come il traffico di
droghe e il riciclaggio dei capitali illeciti, perche' hanno saputo
utilizzare il lavoro di tecnici e di consulenti, dimostrando un'elasticita'
sorprendente se si tiene conto della pochezza dei loro mezzi culturali e
della limitatezza delle loro esperienze dirette. Il concetto di
transcultura, nelle articolazioni prima richiamate, mira a rappresentare
questa convivenza di modelli rurali e moderni. Se non si fosse realizzata
questa "contaminazione", il mondo mafioso si sarebbe sempre piu' rintanato
nei villaggi e nei rioni d'origine, come gli esemplari di una specie in
estinzione in una riserva.
*
Fonte: Umberto Santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi,
paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, pp. 129-138 e 145-157; Dalla
mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2006, pp. 243-300.

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 116 del 10 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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