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Voci e volti della nonviolenza. 63
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 63
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 29 May 2007 12:22:06 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 63 del 29 maggio 2007 In questo numero: 1. Martin Luther King: Io ho un sogno 2. Martin Luther King: Sono stato sulla cima della montagna 3. Et coetera 1. MARTIN LUTHER KING: IO HO UN SOGNO [Riproponiamo il seguente discorso estratto dall'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King curata da Fulvio Cesare Manara, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002, che reca traduzioni di discorsi e scritti del grande maestro della nonviolenza. Il testo seguente e' quello dell'indimenticabile discorso tenuto alla marcia a Washington per l'occupazione e la liberta', Washington, 28 agosto 1963; la traduzione (di Tania Gargiulo) e' ripresa da Martin Luther King, "I have a dream", Mondadori, Milano 2000, 2001, pp. 226-230. Cosi' Martin Luther King descrisse la circostanza: "Cominciai a parlare leggendo il mio discorso, e fino a un certo punto continuai a leggere. Quel giorno sentivo nell'uditorio una rispondenza straordinaria, e tutt'a un tratto mi venne in mente questa cosa. Nel giugno precedente, dopo essermi unito a un tranquillo raduno di migliaia di persone nelle strade del centro di Detroit, nel Michigan, avevo tenuto un discorso nella Cobo Hall, in cui mi ero servito dell'espressione 'io ho un sogno'. L'avevo gia' usata piu' volte nel passato, e semplicemente mi venne fatto di usarla anche a Washington. Non so perche': prima di pronunciare il discorso non ci avevo pensato affatto. Dissi la frase, e da quel momento in poi lasciai del tutto da parte il manoscritto e non lo ripresi piu'"] Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sara' ricordata come la piu' grande manifestazione per la liberta' nella storia del nostro paese. Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmo' il Proclama dell'emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un'aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattivita'. Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri e' ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione. Sono passati cento anni, e i neri vivono in un'isola solitaria di poverta', in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della societa' americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d'indipendenza, hanno firmato un "paghero'" di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarita'. Il "paghero'" conteneva la promessa che a tutti gli uomini, si', ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: "vita, liberta' e ricerca della felicita'". Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l'America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l'America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che e' tornato indietro, con la scritta "copertura insufficiente". Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunita' di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l'assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della liberta' e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all'America l'infuocata urgenza dell'oggi. Quest'ora non e' fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo. Adesso ' il momento di tradurre in realta' le promesse della democrazia. Adesso e' il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso e' il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell'ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternita'. Adesso e' il momento di tradurre la giustizia in una realta' per tutti i figli di Dio. Se la nazione non cogliesse l'urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste. L'afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finira' finche' non saremo entrati nel frizzante autunno della liberta' e dell'uguaglianza. Il 1963 non e' una fine, e' un principio. Se la nazione tornera' all'ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un po' e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa. In America non ci sara' ne' riposo ne' pace finche' i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finche' non spuntera' il giorno luminoso della giustizia. * Ma c'e' qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci portera' a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di liberta' bevendo alla coppa del rancore e dell'odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignita' e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s'incontra con la forza dell'anima. Il nuovo e meraviglioso clima di combattivita' di cui oggi e' impregnata l'intera comunita' nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perche' molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino e' legato al nostro. Hanno capito che la loro liberta' si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro. C'e' chi domanda ai seguaci dei diritti civili: "Quando sarete soddisfatti?". Non potremo mai essere soddisfatti, finche' i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalita' poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finche' non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle citta', per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio. Non potremo mai essere soddisfatti, finche' tutta la facolta' di movimento dei neri restera' limitata alla possibilita' di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno piu' grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finche' i nostri figli continueranno a essere spogliati dell'identita' e derubati della dignita' dai cartelli su cui sta scritto "Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti, finche' i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare. No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai soddisfatti, finche' la giustizia non scorrera' come l'acqua, e la rettitudine come un fiume in piena. Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la liberta' sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalita' poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione. Tornate nel Mississippi, tornate nell'Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre citta' del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione puo' cambiare e cambiera'. * Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficolta' di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano. Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgera' e vivra' il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verita' evidenti di per se', che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternita'. Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell'ingiustizia, il caldo afoso dell'oppressione, si trasformera' in un'oasi di liberta' e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l'essenza della loro personalita'. Oggi ho un sogno. Ho un sogno, che un giorno, laggiu' nell'Alabama, dove i razzisti sono piu' che mai accaniti, dove il governatore non parla d'altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio la' nell'Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle. Oggi ho un sogno. Ho un sogno, che un giorno ogni valle sara' innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sara' rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme. Questa e' la nostra speranza. Questa e' la fede che portero' con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternita'. Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la liberta', sapendo che un giorno saremo liberi. Quel giorno verra', quel giorno verra' quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo: "Patria mia, e' di te, dolce terra di liberta', e' di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell'orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi liberta'". E se l'America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero. E dunque, che la liberta' riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire. Che la liberta' riecheggi dalle possenti montagne di New York. Che la liberta' riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania. Che la liberta' riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado. Che la liberta' riecheggi dai pendii sinuosi della California. Ma non soltanto. Che la liberta' riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia. Che la liberta' riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee. Che la liberta' riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la liberta'. E quando questo avverra', quando faremo riecheggiare la liberta', quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da ogni citta', saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell'antico inno: "Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio onnipotente, siamo liberi finalmente". 2. MARTIN LUTHER KING: SONO STATO SULLA CIMA DELLA MONTAGNA [Riproponiamo il seguente discorso estratto dall'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King curata da Fulvio Cesare Manara, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002, che reca traduzioni di discorsi e scritti del grande maestro della nonviolenza. Il testo seguente e' quello dell'intervento tenuto nel tempio del vescovo Charles J. Mason, a Memphis, Tennessee, il 3 aprile 1968; Martin Luther King fu assassinato il giorno dopo] E sapete, se mi trovassi al principio dei tempi, e avessi la possibilita' di godere della visione generale e panoramica di tutta la storia umana fino a oggi, e l'Onnipotente mi dicesse: "Martin Luther King, in quale epoca ti piacerebbe vivere?", io con la mente volerei sull'Egitto, e guarderei i figli di Dio compiere il loro meraviglioso tragitto dalle buie carceri dell'Egitto attraverso il Mar Rosso, nel deserto, e avanti verso la terra promessa. E nonostante la magnificenza della visione, non mi fermerei. Proseguirei verso la Grecia, e con la mente mi rivolgerei al monte Olimpo. E vedrei Platone, Aristotele, Socrate, Euripide e Aristofane riuniti intorno al Partenone, e li guarderei passeggiare mentre dibattono gli eterni e grandi problemi della realta'. Ma non mi fermerei. Andrei ancora avanti, fino all'epoca della massima fioritura dell'impero romano, e vedrei come si svolgono gli eventi, da un imperatore all'altro, da un condottiero all'altro. Ma non mi fermerei. Passerei all'epoca del Rinascimento, per avere un rapido quadro di cio' che quel periodo ha fatto per la vita culturale ed estetica dell'uomo. Ma non mi fermerei. Vorrei anche percorrere i luoghi dove ha vissuto l'uomo di cui porto il nome, e osserverei Martin Lutero affiggere le sue novantacinque tesi sul portale del duomo di Wittenberg. Ma non mi fermerei. Poi arriverei al 1863, vedrei un presidente titubante di nome Abraham Lincoln arrivare finalmente alla conclusione di dover firmare il Proclama dell'emancipazione. Ma non mi fermerei. Tornerei ai primi anni Trenta, e vedrei un uomo lottare per risolvere i problemi provocati dallo stato di bancarotta della nazione, e uscirsene con una eloquente esclamazione: "Non abbiamo da temere nient'altro che la nostra stessa paura". Ma non mi fermerei. Cosa strana, mi rivolgerei all'Onnipotente e gli direi: "Se mi permetterai soltanto di vivere qualche anno nella seconda meta' del Ventesimo secolo, saro' contento". * Ebbene, e' un'affermazione strana, questa, perche' il mondo e' tutto sottosopra. Il paese e' malato; la terra e' in pena, c'e' grande confusione. E' un'affermazione strana. Ma in qualche modo io so che le stelle si possono vedere soltanto se e' abbastanza buio. E in questo periodo del XX secolo io vedo l'azione di Dio. Nel nostro mondo accade qualcosa; le masse si stanno sollevando; e oggi, dovunque si radunino, che sia a Johannesburg in Sudafrica; a Nairobi in Kenya; ad Accra nel Ghana; a New York; ad Atlanta in Georgia; a Jackson nel Mississippi; o a Memphis nel Tennessee, il grido e' sempre uguale: "Vogliamo essere liberi". E c'e' un'altra ragione per cui sono contento di vivere nel nostro tempo: siamo stati costretti ad arrivare a un punto in cui dovremo affrontare i problemi che gli uomini hanno cercato di risolvere lungo tutta la storia. La sopravvivenza esige che li affrontiamo. Da anni ormai gli uomini parlano di guerra e di pace; ma ormai non possono piu' limitarsi a parlarne. A questo mondo non e' piu' questione di scegliere tra violenza e nonviolenza; si tratta di scegliere: o nonviolenza o nonesistenza. Ecco a che punto siamo oggi. E anche nella rivoluzione dei diritti umani, se non si fa qualcosa, e in fretta, per far uscire i popoli di colore del mondo dai loro lunghi anni di poverta', dai lunghi anni in cui sono stati feriti e messi da parte, il mondo intero e' destinato alla rovina. Ebbene, io sono proprio contento che Dio mi abbia concesso di vivere in quest'epoca, di vedere lo svolgersi degli eventi. E sono contento che mi abbia concesso di essere qui a Memphis. * Ricordo, ricordo bene quando i neri si limitavano ad andare in giro, come ha detto tante volte Ralph, grattandosi dove non prudeva e ridendo quando nessuno faceva loro il solletico. Ma quei tempi sono finiti. Adesso facciamo sul serio, e siamo determinati a ottenere il posto che ci spetta di diritto nel mondo che Dio ha creato. E proprio qui sta il punto. Non abbiamo intrapreso una campagna di protesta negativa, non abbiamo intrapreso discussioni negative con nessuno; diciamo che siamo determinati a essere uomini; siamo determinati a essere popolo. Diciamo che siamo figli di Dio. E se siamo figli di Dio, non dobbiamo vivere come siamo costretti a vivere. E dunque, che cosa significa tutto questo nella grande epoca storica che stiamo vivendo? Significa che dobbiamo restare uniti. Dobbiamo restare uniti e conservare l'unita'. Sapete, ogni volta che il faraone voleva prolungare il tempo della schiavitu' in Egitto, per riuscirci ricorreva al suo espediente prediletto. Quale era? Faceva in modo che gli schiavi combattessero fra loro. Ma ogni volta che gli schiavi sono uniti, nella corte del faraone succede qualcosa, e lui non riesce piu' a tenere schiavi gli schiavi. Quando gli schiavi si mettono insieme, comincia l'uscita dalla schiavitu'. Allora, conserviamo l'unita'. Non permetteremo ai manganelli di fermarci. Nel nostro movimento nonviolento siamo maestri nel disarmare le forze di polizia; loro non sanno piu' che cosa fare. L'ho visto succedere tante volte. Mi ricordo a Birmingham, in Alabama, durante quella magnifica lotta, quando tutti i giorni partivamo dalla chiesa battista della sedicesima strada. Uscivamo dalla chiesa a centinaia, e Bull Connor ordinava di sguinzagliare i cani, e i cani arrivavano. Ma noi andavamo incontro ai cani cantando: "Non permettero' a nessuno di farmi tornare indietro". Poi Bull Connor diceva: "Aprite gli idranti". E, come vi dicevo l'altra sera, Bull Connor non conosceva la storia. Conosceva una specie di fisica che non so perche' non aveva nessun rapporto con la metafisica che conoscevamo noi. Si trattava del fatto che esiste un genere di fuoco che nessun'acqua riesce a spegnere. E noi andavamo incontro agli idranti. Noi conoscevamo l'acqua. Se eravamo battisti, o appartenevamo a qualche altra confessione cristiana, eravamo stati battezzati per immersione. Se eravamo metodisti, o di qualche altra confessione, eravamo stati spruzzati: ma in ogni modo, conoscevamo l'acqua. Non poteva fermarci. Cosi', continuavamo a camminare incontro ai cani, e li guardavamo; e andavamo avanti, incontro agli idranti, e li guardavamo. E non facevamo altro che continuare a cantare: "Sopra la mia testa, nell'aria, vedo la liberta'". E poi ci prendevano e ci mettevano nei cellulari, e a volte ci stavamo pigiati come sardine. E ci buttavano dentro, e il vecchio Bull diceva: "Portateli via". Loro lo facevano, e noi salivamo nel cellulare cantando "We Shall Overcome". E di tanto in tanto finivamo in prigione, e vedevamo i carcerieri guardare attraverso gli spioncini e commuoversi per le nostre preghiere e per le nostre parole e le nostre canzoni. C'era un potere in questo, al quale Bull Connor non riusciva ad abituarsi, e cosi' abbiamo finito col trasformare Bull [toro] in un vitello, e abbiamo vinto la nostra lotta di Birmingham. Dobbiamo dedicarci a questa lotta fino alla fine. Non ci sarebbe tragedia peggiore che fermarsi a questo punto, a Memphis. Dobbiamo andare fino in fondo. Quando faremo la nostra marcia, dovete partecipare. Anche se vuol dire lasciare il lavoro, anche se vuol dire lasciare la scuola, venite lo stesso. Forse voi non siete in sciopero, ma o andremo su' insieme, o finiremo giu' insieme. Cerchiamo di sviluppare una specie pericolosa di altruismo. * Un giorno un uomo ando' a trovare Gesu', perche' voleva discutere con lui su argomenti riguardanti le questioni fondamentali della vita. Voleva tendere un trabocchetto a Gesu', e dimostrargli che lui sapeva qualcosa di piu' di Gesu', per riuscire a confonderlo. La questione sarebbe potuta senz'altro finire in una disputa filosofica e teologica. Invece Gesu' la fece subito scendere dalle nuvole, e la colloco' nella situazione di una curva pericolosa della strada fra Gerusalemme e Gerico. E si mise a parlare di un uomo che si era imbattuto nei briganti. Ricorderete che un levita e un sacerdote passarono sull'altro lato della strada: non si fermarono per aiutarlo. Alla fine, passo' un uomo di un'altra razza. Smonto' dalla cavalcatura, e decise di non essere compassionevole per procura. Si chino' su di lui, invece, gli presto' i primi soccorsi, aiuto' quell'uomo nel bisogno. Gesu' conclude dicendo che era lui l'uomo buono, era lui il grande uomo, perche' era capace di proiettare l'"io" nel "tu", e di prendersi cura del proprio fratello. Ebbene, sapete, noi esercitiamo molta immaginazione nel tentativo di stabilire come mai il sacerdote e il levita non si sono fermati. A volte diciamo che avevano fretta di arrivare a un'assemblea ecclesiale, a un raduno di religiosi, e dovevano affrettarsi verso Gerusalemme per non arrivare in ritardo alla riunione. In altri casi possiamo ipotizzare che ci fosse una legge religiosa, per cui chi doveva svolgere una cerimonia religiosa non doveva toccare il corpo di un essere umano nelle ventiquattro ore precedenti la cerimonia stessa. E in qualche caso cominciamo a chiederci se forse per caso non stessero andando a Gerusalemme, o piuttosto a Gerico, per fondare un'Associazione per il perfezionamento della strada di Gerico. Potrebbe anche darsi. Magari pensavano che fosse meglio affrontare il problema partendo dalle radici, dalle cause, invece che lasciarsi impantanare in un risultato su scala individuale. Ma io voglio raccontarvi che cosa mi suggerisce la mia immaginazione. Potrebbe darsi che quei due uomini abbiano avuto paura. Vedete, la strada di Gerico e' una strada pericolosa. Ricordo quando sono andato per la prima volta a Gerusalemme, insieme alla signora King. Avevamo noleggiato una macchina e viaggiavamo da Gerusalemme a Gerico. E appena arrivammo su quella strada io dissi a mia moglie: "Ora capisco perche' Gesu' ha scelto questo posto per ambientare la sua parabola". E' una strada tutta curve; proprio l'ideale per un agguato. E' una strada pericolosa. All'epoca di Gesu' aveva preso il nome di "Passo del sangue'. E allora, capite, puo' darsi che il sacerdote e il levita abbiano gettato un'occhiata a quell'uomo steso in terra e si siano chiesti se i briganti fossero ancora nei paraggi. Oppure, magari hanno pensato che l'uomo steso a terra facesse finta; che fingesse di essere stato derubato e ferito, per saltar loro addosso, che volesse attirarli per un assalto veloce e facile. Ah, si'. E quindi, la prima domanda che il sacerdote si fa, la prima domanda che il levita si fa, e' questa: "Se mi fermo a soccorrere quest'uomo, che cosa mi capitera'?". Ma poi e' passato il buon samaritano, e ha rovesciato la domanda: "Se non mi fermo a soccorrere quest'uomo, che cosa gli succedera'?". Ecco la domanda che avete di fronte stasera. Non e' "se mi fermo a dare una mano agli operai della nettezza urbana, che cosa succedera' al mio lavoro?". Non e' "se mi fermo a dare una mano agli operai della nettezza urbana, che cosa ne sara' delle ore che di solito passo nel mio studio di pastore tutti i giorni e tutte le settimane?". La domanda non e' "se mi fermo per soccorrere quest'uomo nel bisogno, che cosa mi accadra'?". La domanda e': "se non mi fermo per aiutare gli operai della nettezza urbana, che cosa accadra' a loro?". Questa e' la domanda. Questa sera alziamoci con maggiore disponibilita'. Prendiamo posizione con maggiore determinazione. E continuiamo ad avanzare in queste giornate di grande potenza, in queste giornate di sfida, per far si' che l'America diventi come dovrebbe essere. Abbiamo l'occasione di rendere l'America migliore. E io voglio ringraziare Dio, ancora una volta, per avermi concesso di esser qui con voi. * Sapete, parecchi anni fa mi trovavo a New York per firmare le copie del mio primo libro. E mentre stavo seduto tutto preso da dediche e autografi, si avvicino' una donna nera, un'alienata. L'unica cosa che le sentii dire fu: "E' lei Martin Luther King?". Io guardavo in basso, perche' stavo scrivendo, e risposi: "Si'". E un attimo dopo sentii qualcosa che mi dava un colpo sul petto. Prima che me ne rendessi conto, quella donna pazza mi aveva pugnalato. Mi portarono di corsa allo Harlem Hospital. Era un sabato pomeriggio, era gia' buio. La lama era andata in profondita', e dalla radiografia si vide che la punta sfiorava l'aorta, l'arteria principale. Se ti perforano l'aorta, anneghi nel tuo stesso sangue; sei finito. La mattina dopo, sul "New York Times" scrissero che se avessi anche solo starnutito, sarei morto. Ebbene, a tre o quattro giorni dall'operazione, dopo che mi avevano aperto il torace e avevano estratto la lama, mi permisero di andare in giro per l'ospedale sulla sedia a rotelle. Mi lasciarono leggere un po' della posta che era arrivata per me: da tutti gli stati e dall'estero erano arrivate lettere gentili. Ne lessi qualcuna, ma ce n'e' una che non dimentichero' mai. Mi avevano scritto anche il presidente e il vicepresidente, ma ho dimenticato che cosa dicevano i loro telegrammi. Il governatore dello stato di New York era venuto a trovarmi e mi aveva scritto una lettera, ma ho dimenticato che cosa diceva la sua lettera. C'era invece un'altra lettera, scritta da una bambina, una ragazzina che studiava al liceo di White Plains. Io guardai la sua lettera e non la dimentichero' mai. Diceva semplicemente: "Gentile professor King, frequento la quarta ginnasio nel liceo di White Plains". E continuava: "Non dovrebbe avere importanza, ma vorrei dire che sono bianca. Ho letto sul giornale della sua disgrazia e delle sue sofferenze. E ho letto anche che se avesse starnutito, sarebbe morto. E le scrivo semplicemente per dirle che sono tanto contenta che non abbia starnutito". Vorrei dire che anch'io sono contento di non avere starnutito. Perche', se avessi starnutito, non mi sarei trovato da queste parti nel 1960, quando in tutto il Sud gli studenti cominciarono a prendere posto ai banchi delle caffetterie. E io sapevo che proprio mettendosi a sedere in realta' si stavano schierando a favore della parte migliore del sogno americano, e riportavano il paese a quelle grandi sorgenti della democrazia scavate dai padri fondatori nella Dichiarazione di indipendenza e nella Costituzione. Se avessi starnutito, non mi sarei trovato da queste parti nel 1961, quando decidemmo di cominciare un viaggio per la liberta' e per mettere fine al segregazionismo sui mezzi di trasporto da uno stato all'altro. Se avessi starnutito, non sarei stato da queste parti nel 1962, quando i neri di Albany, in Georgia, decisero di drizzare la schiena: e ogni volta che uomini e donne drizzano la schiena, riescono ad arrivare da qualche parte, perche' se stai diritto e non pieghi la schiena nessuno ti puo' montare addosso. Se avessi starnutito, non sarei stato da queste parti nel 1963, quando la popolazione nera di Birmingham, nell'Alabama, e' riuscita a risvegliare la coscienza di questo paese e ottenere l'approvazione della legge sui diritti civili. Se avessi starnutito, un po' piu' tardi in quello stesso anno, in agosto, non avrei avuto l'occasione di raccontare all'America di un sogno che avevo avuto. Se avessi starnutito, non sarei stato a Selma, nell'Alabama, e non avrei assistito al grande movimento che si e' avuto in quella citta'. Se avessi starnutito, non sarei venuto a Memphis per vedere una comunita' che si stringe intorno ai fratelli e alle sorelle che soffrono. Sono proprio contento di non avere starnutito. * Ho lasciato Atlanta stamani, e mentre stavamo per partire - sull'aereo eravamo in sei - il pilota ci ha detto, attraverso l'interfono: "Scusate il ritardo, ma abbiamo sull'aereo il professor Martin Luther King. E per assicurarci che tutte le valigie fossero state controllate, e per essere sicuri che sull'aeroplano fosse tutto in ordine, abbiamo dovuto verificare con cura tutto quanto. E abbiamo tenuto l'aereo sotto protezione e sorvegliato per tutta la notte". Poi sono arrivato a Memphis. E alcuni hanno cominciato a riferire le minacce, o a parlare delle minacce che erano state fatte, o a dire quel che mi sarebbe potuto accadere a causa di qualche nostro fratello bianco malato. Ebbene, non so che cosa accadro' d'ora in poi; ci aspettano giornate difficili. Ma davvero, per me non ha importanza, perche' sono stato sulla cima della montagna. E non m'importa. Come chiunque, mi piacerebbe vivere a lungo: la longevita' ha i suoi lati buoni. Ma adesso non mi curo di questo. Voglio fare soltanto la volonta' di Dio. E Lui mi ha concesso di salire fino alla vetta. Ho guardato al di la', e ho visto la terra promessa. Forse non ci arrivero' insieme a voi. Ma stasera voglio che sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa. E stasera sono felice. Non c'e' niente che mi preoccupi, non temo nessun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria dell'avvento del Signore. 3. ET COETERA Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994 (edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001; Il sogno della nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli, Milano 2006; cfr. anche: Marcia verso la liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera dal carcere, La Locusta, Vicenza 1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968; Perche' non possiamo aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando, verso il caos o la comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of California Press, e' in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di Martin Luther King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford University). Sono usciti sinora sei volumi (di quattordici previsti): 1. Called to Serve (January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951 - November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4. Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New Decade (January 1959 - December 1960); 6. Advocate of the Social Gospel (September 1948 - March 1963); ulteriori informazioni nel sito: www.stanford.edu/group/King/ Opere su Martin Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996; Sandra Cavallucci, Martin Luther King, Mondadori, Milano 2004. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una buona bibliografia essenziale. Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) e' un prestigioso studioso e amico della nonviolenza; nato a Bergamo il 29 giugno 1958, coniugato con tre figli, laureato in filosofia presso l'Universita' di Milano discutendo la tesi "Fides falsa. Il concetto di eresia in Tommaso d'Aquino", ha frequentato seminari di ricerca e studio presso vari enti: il Program on Nonviolent Sanctions della Harvard University, la Western Michigan University, la American Philosophical Association (Central Division), e la Albert Einstein Institution (Cambridge, Ma, Usa). Perfezionatosi a Padova in didattica della filosofia, e' stato ricercatore esterno della Fondazione Tovini presso il Dipartimento di filosofia dell'Universita' di Padova, dove ha condotto una ricerca sul laboratorio di filosofia. Nell'anno accademico 2004-2005 ha insegnato "Religioni e diritti dell'uomo" al Master di II livello dell'Universita' degli Studi di Bergamo. Nel settore della didattica della filosofia insegna filosofia e storia nei licei statali; opera quale formatore di formatori e interviene in corsi di formazione promossi da istituti superiori in varie parti d'Italia ed in seminari e corsi promossi dal Ministero e da altre agenzie (la piu' recente attivita' e' la funzione di moderatore in due forum della Sfi per l'Indire); ha collaborato al laboratorio di didattica della filosofia presso la Siss Veneto; e' membro del consiglio direttivo e della commissione didattica nazionale della Societa' filosofica italiana; suo campo di sperimentazione e di indagine e' la comunita' di ricerca filosofica e il laboratorio di filosofia; collabora in qualita' di redattore a "Comunicazione filosofica. Rivista telematica di ricerca e didattica filosofica" (sito: www.getnet.it/sfi/013.html); collabora in qualita' di formatore esterno al corso di perfezionamento in filosofia e didattica della filosofia dell'Universita' di Bari, e al corso di perfezionamento in metodologia dell'insegnamento filosofico presso l'Universita' di Padova. Nel settore disciplinare della didattica della filosofia ha pubblicato una quindicina di saggi e alcune recensioni, oltre al volume "Comunita' di ricerca e iniziazione al filosofare. Appunti per una nuova didattica della filosofia", Lampi di Stampa, Milano 2004. Nel settore degli studi sulla nonviolenza si occupa continuativamente di etica della nonviolenza, settore in cui ha pubblicato una ventina tra saggi e articoli; opera quale formatore con esperienza di metodologia attiva: addestrato nelle competenze dell'ascolto attivo e della gestione del lavoro di gruppo, grazie ad una esperienza ventennale di animazione e facilitazione di gruppi, anima a sua volta all'ascolto attivo, ad una gestione di gruppo centrata sulla leadership partecipativa ed alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Dal 2002 e' collaboratore della cattedra di Pedagogia sociale dell'Universita' di Bergamo, ove si occupa in particolare del tema della trasformazione nonviolenta dei conflitti. Tra le opere di Fulvio Cesare Manara: Scritti vari sulla nonviolenza, l'obiezione di coscienza e l'educazione alla pace, Eirene, Bergamo 1990; (a cura di), La nonviolenza si impara, Celsb, Bergamo 2003; Tra cattedra e vita. Comunicazione e insegnamento della filosofia tra Kant e Gentile, Lampi di stampa, Milano 2004; Comunita' di ricerca e iniziazione al filosofare. Appunti per una nuova didattica della filosofia, Lampi di Stampa, Milano 2004; Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 63 del 29 maggio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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