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La domenica della nonviolenza. 113
- Subject: La domenica della nonviolenza. 113
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 May 2007 12:11:33 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 113 del 27 maggio 2007 In questo numero: 1. Alcuni ulteriori recenti interventi di Umberto Santino 2. Umberto Santino: I pregiudicati nell'Antimafia 3. Umberto Santino: Una pagina di storia reale che puo' darci qualche indicazione per l'oggi 4. Umberto Santino: Teppisti, collusi e buone intenzioni 1. EDITORIALE. ALCUNI ULTERIORI RECENTI INTERVENTI DI UMBERTO SANTINO [Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino" nei nn. 931-934] Come gia' nel precedente numero de "La domenica della nonviolenza", proponiamo alcuni ulteriori recenti interventi di Umberto Santino, persuasi come siamo che le sue riflessioni e proposte costituiscano contributi di grande valore all'impegno antimafia, un impegno che sentiamo come decisivo dovere di tutti. 2. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: I PREGIUDICATI NELL'ANTIMAFIA [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento dell'8 dicembre 2006] La costituzione della nuova Commissione parlamentare antimafia e' stata accompagnata da prese di posizione e commenti che hanno posto problemi che non possono essere ignorati. Molti hanno contestato che ne facciano parte personaggi condannati con sentenza definitiva, e questo e' gia' di per se' un nodo non secondario, ma si pone un interrogativo di fondo: a che serve la Commissione? Com'e' noto, due parlamentari, la Napoli di Alleanza nazionale e Licandro dei Comunisti italiani, chiedevano che dalla Commissione fossero esclusi deputati e senatori che avessero avuto condanne o fossero inquisiti. La proposta e' stata bocciata e della Commissione ora fanno parte, tra gli altri, Cirino Pomicino condannato per finanziamento illecito e corruzione, e Alfredo Vito condannato per corruzione. Le giustificazioni che sono state addotte da chi ha votato contro, tra cui l'attuale presidente della Commissione, e' che una volta eletti il mandato parlamentare non puo' non essere pieno e che le responsabilita' sarebbero, come si usa dire, "a monte". Cioe': i partiti avrebbero dovuto accogliere l'appello, fatto anche dall'attuale superprocuratore antimafia, a non candidare personaggi sotto inchiesta o condannati. Dato che i partiti li hanno candidati e gli elettori hanno condiviso le scelte dei partiti (come si ricordera', alle ultime elezioni le liste erano bloccate e chi doveva essere eletto era stato deciso prima nelle segreterie di partito), non c'e' niente da fare: il mandato parlamentare e' sacro e inviolabile. Siamo, come si vede, in piena teoria-e-prassi ipergarantista, non nuova nel nostro Paese, che ha "digerito" nefandezze intollerabili, come l'impunita' di stragisti e, per lunghissimi anni, di mafiosi, e a cui si sono convertiti anche alcuni epigoni del comunismo nostrano che pero' non hanno avuto nulla da ridire, ne' prima ne' ora, sulla pena di morte a cui si e' fatto ricorso a piene mani nei "paradisi proletari". Qualche tempo fa ho scritto per una rivista della superstite "area marxista" un articolo in cui sostenevo che la proposta di Rifondazione di abolire l'ergastolo potesse essere condivisa, ma che quella pena dovesse rimanere per gli stragisti e i mafiosi pluriomicidi, e a chi voleva dare un colpo di forbice a queste affermazioni ho risposto invitando l'aspirante censore a inviare una letterina al "compagno" Fidel Castro chiedendogli di abolire la pena di morte, impiegata anche, o soprattutto, contro i suoi avversari politici. Inutile dire che da allora si sono interrotti i rapporti. Ritornando alla Commissione antimafia, si poteva, anzi si doveva, in sede di votazione, accogliere quella proposta, quantomeno per dare un segnale. Invece si e' dato un segnale in senso contrario, in continuita' con una linea abituale, ma non da molto. Nel 1972, per la presenza in Commissione del democristiano Giovanni Matta, che non era ne' condannato ne' sotto processo, ma era stato soltanto ascoltato dalla precedente Commissione come testimone, in quanto assessore ai Lavori pubblici al Comune di Palermo ai tempi di Lima e Ciancimino, i commissari, ad eccezione dei missini, si dimisero e la Commissione fu sciolta. Altri tempi. Il riferimento ai partiti che avrebbero dovuto, ma non hanno voluto, selezionare i candidati, si fonda su un'espressione che circola ormai da parecchi anni. Dal 1993, data di una relazione della Commissione su mafia e politica, approvata con larga maggioranza, in omaggio al clima del dopostragi in cui tutti, o quasi, fingono di essere antimafiosi e si professano amici dei personaggi stroncati dal tritolo mafioso che avevano tenacemente avversato in vita, si parla di "responsabilita' politica". Accanto alla responsabilita' accertata in sede giudiziaria, ci sarebbe una responsabilita' non ancorata alla commissione di reati ma che poggia su dati che mostrerebbero che ci sono stati e ci sono rapporti di politici e rappresentanti delle istituzioni con mafiosi e dintorni. Bene, e' tempo di finirla di prenderci in giro. La responsabilita' politica senza nessun tipo di sanzione, affidata all'autoregolazione dei partiti, che si guardano bene dall'autoregolarsi, e' una scatola vuota. Se si vuole riempire quel vuoto bisogna, tassativamente, disporre sanzioni efficaci e definite. In un Paese con un livello di morale pubblica cosi' basso si dovrebbe almeno dare una dimensione politica a responsabilita' accertate o in via di accertamento in sede giudiziaria. Per esempio: la sospensione da ogni carica politica e istituzionale per chi e' indagato o sotto processo: l'incandidabilita', prima ancora dell'ineleggibilita', di chi e' stato condannato, anche non definitivamente. Se non si ha il coraggio di fare queste scelte, si inchioda il nostro Paese a un'immagine che il berlusconismo ha codificato come "legalizzazione dell'illegalita'" e che molti altri hanno avallato e continuano ad avallare, con i loro atti di fede in un garantismo fuori luogo. Al di la' della composizione che certamente gravera' sull'attivita' della Commissione, ci si chiede: a che serve la Commissione antimafia cosi' com'e' e come e' stata negli ultimi anni? Puo' essere utile, a quali condizioni? Quel che e' certo e' che la ricerca di unanimismi, la formazione di comitati paralizzati sul nascere, le audizioni in giro per l'Italia, inseguendo le ultime emergenze, i consulenti lottizzati, fanno parte di un rituale che sarebbe bene archiviare. La Commissione potrebbe essere utile se venissero definiti con precisione i suoi compiti. Essa dovrebbe fare quello che organi investigativi e giudiziari non fanno e non possono fare: dare un quadro complessivo delle attivita' e del ruolo delle organizzazioni criminali e soprattutto sul loro sistema di relazioni con il contesto sociale e istituzionale (quello che si era cominciato a fare con la relazione sul depistaggio delle indagini per il delitto Impastato, individuando le responsabilita' di rappresentanti di forze dell'ordine e della magistratura, ma che si e' fermato li'). Lo strumento potrebbe essere un rapporto annuale, che registri le varie voci presenti nel Parlamento e attivi la collaborazione della societa' civile organizzata. Ma qui si incrociano due circuiti viziosi: il primo e' quello istituzionale afflitto da mali organici: la mediazione di infimo profilo, l'incompetenza e gli interessi di bottega, con un centrosinistra che non considera la lotta alle mafie una priorita' (e non per caso i proclami dei governanti in visita a Napoli suonano come i ballabili delle orchestrine a bordo del Titanic); il secondo e' quello di centri studi e associazioni poco propensi allo studio e all'elaborazione di progetti, dediti a liturgie e retoriche e finanziati in modo clientelare. In queste condizioni non e' solo la Commissione parlamentare ad essere un ente inutile se non dannoso, ma e' buona parte dell'antimafia che e' tale piu' per autodefinizione che effettivamente. Certo, non mancano altre voci, di studiosi, di comitati e associazioni realmente e proficuamente impegnati, ma sono minoranze che potranno contare solo se sapranno parlare con la necessaria chiarezza e scontrarsi tutte le volte che e' necessario farlo. La lotta alle mafie e alle diffuse complicita' non e' mai stata e non puo' essere indolore. 3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: UNA PAGINA DI STORIA REALE CHE PUO' DARCI QUALCHE INDICAZIONE PER L'OGGI [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento gia' pubblicato parzialmente nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" del 9 gennaio 2007, e nel sito presentato col titolo "Sciascia, ovvero: la religione del garantismo". Leonardo Sciascia, scrittore italiano (1921-1989) fortemente impegnato nella difesa della dignita' della persona, nella denuncia dei poteri criminali e dei crimini di tutti i poteri. Autentico illuminista, nel suo impegno civile e' stato spesso un energico polemista (come a tutti i polemisti gli e' accaduto talvolta di eccedere, di essere strumentalizzato, di sbagliare). Opere di Leonardo Sciascia: tutte le opere sono state ripubblicate in tre volumi di Opere (a cura di Claude Ambroise) da Bompiani; ma si vedano anche alcuni libri-intervista e alcuni ulteriori volumi di materiali vari (interventi parlamentari, risvolti editoriali, etc.). Opere su Leonardo Sciascia: nell'immensa bibliografia sciasciana segnaliamo almeno le seguenti opere particolarmente utili: un'agile monografia introduttiva e' quella di Claude Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, 1988; un fine saggio critico complessivo e' quello Massimo Onofri, Storia di Sciascia, Laterza, Roma-Bari 1994, 2004; un'accurata biografia e' quella di Matteo Collura, Il maestro di Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia, Longanesi, Milano 1996, Tea, Milano 2000. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare, attualmente sottosegretario del governo in carica; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Dal sito www.nandodallachiesa.it riprendiamo anche questa breve autopresentazione di Nando dalla Chiesa: "Chi sono? Uno che ama impegnarsi, specialmente se sono in gioco la liberta' e la giustizia. Ma anche la decenza mentale e morale. Insomma, mi piace la democrazia e ho cercato di darmi da fare per lei in tanti modi, anche se non ho ancora capito se lei me ne sia grata. Ora sono senatore ma domani non lo saro' piu'. Sono della Margherita ma sono soprattutto un ulivista convinto, praticamente un fan del partito democratico che si vorrebbe fare. Il mestiere, dite. Gia', sono un sociologo dell'economia, laureato in Bocconi e insegno la mia materia a Scienze Politiche di Milano (ma per ora sono in aspettativa). Scrivo libri (fino a oggi una ventina) e collaboro con diversi giornali. In particolare mi onoro di essere tra gli editorialisti dell'Unita' di Furio Colombo e Antonio Padellaro. Da qualche tempo sono anche editore. Ho fondato una casa editrice che non e' nemmeno piu' solo una promessa e che si chiama Melampo. Soci d'avventura, Lillo Garlisi e Jimmy Carocchi, miei allievi bocconiani arrivati al successo nell'editoria per i fatti loro. Faccio pure del teatro. O meglio, a tanto mi ha spinto l'era berlusconiana. E penso che nei prossimi anni mi ci dedichero' un bel po'. E infine, mi piace fondare. Mica solo la casa editrice. Ho fondato un circolo di nome 'Societa' civile' nella Milano degli anni ottanta. Una splendida creatura collettiva che ha tenuto botta al regime della corruzione di quel periodo. Poi, con il mio amico Gianni Barbacetto, ho fondato il mensile omonimo, grande esperienza giornalistica fatta da ragazzi irripetibili. Ho fondato con Leoluca Orlando e Diego Novelli la Rete, un movimento che diede agli inizi degli anni novanta dignita' politica nazionale all'idea che si dovesse combattere la mafia. Ho fondato il piccolo movimento di Italia democratica, anche quello con mensile, che conflui' nell'Ulivo battendosi contro il razzismo e la secessione. E pure Omicron, rivista sulla criminalita' organizzata al nord, sempre con Gianni Barbacetto. E il comitato di parlamentari 'La legge e' uguale per tutti' per fronteggiare l'offensiva del signor B.; un comitato alla testa di tante manifestazioni degli ultimi cinque anni e che ha prodotto l'unica esperienza di teatro civile al mondo fatto da parlamentari. Ho anche fondato con Fabio Zanchi e Lidia Ravera il Mantova Musica Festival, giunto ormai alla terza edizione e nato per contestare Sanremo finito nelle mani di Tony Renis. Soprattutto ho fondato una famiglia con Emilia. Ne sono nati Carlo Alberto e Dora, i miei gioielli, che se li avesse visti Cornelia ne sarebbe rimasta folgorata, altro che i suoi Gracchi, con tutto il rispetto...". Opere di Nando dalla Chiesa: Il potere mafioso. Economia e ideologia, Mazzotta 1976; Delitto imperfetto. Il generale, la mafia, la societa' italiana, Mondadori 1984, Editori Riuniti 2003; (con Pino Arlacchi), La palude e la citta'. Si puo' sconfiggere la mafia, Mondadori 1987; Il Giano bifronte. Societa' corta e colletti bianchi: il lavoro, la cultura, la politica, Etas libri 1987; Storie di boss ministri tribunali giornali intellettuali cittadini, Einaudi 1990; Dizionario del perfetto mafioso. Con un breve corso di giornalismo per gli amici degli amici, Mondadori 1990; Il giudice ragazzino. Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione, Einaudi 1992; Milano-Palermo: la Nuova Resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi 1993; I trasformisti, Baldini & Castoldi 1995; La farfalla granata. La meravigliosa e malinconica storia di Gigi Meroni il calciatore artista, Limina 1995; La politica della doppiezza. Da Andreotti a Berlusconi, Einaudi 1996; (a cura di), Carlo Alberto dalla Chiesa, In nome del popolo italiano. Autobiografia a cura di Nando dalla Chiesa, Rizzoli 1997; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi 1999; Diario di fine secolo. Della politica, della giustizia e di altre piccolezze, Edizioni Pequod 1999; La partita del secolo. Storia di Italia-Germania 4-3. La storia di una generazione che ando' all'attacco e vinse (quella volta), Rizzoli 2001; La legge sono io. Cronaca di vita repubblicana nell'Italia di Berlusconi. L'anno dei girotondi, Filema edizioni 2002; La guerra e la pace spiegate da mio figlio, Filema edizioni 2003; La scuola di via Pasquale Scura. Appassionato elogio dell'istruzione pubblica in Italia, Filema edizioni 2004; La fantastica storia di Silvio Berlusconi. Dell'uomo che porto' il paese in guerra senza avere fatto il servizio militare, Melampo 2004; Capitano, mio capitano. La leggenda di Armando Picchi, livornese nerazzurro, Limina 1999, nuova edizione 2005; Vota Silviolo!, Melampo 2005; Le ribelli, Melampo 2006. Scritti su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in vari libri di carattere giornalistico (tra gli altri di Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, Corrado Stajano); tra le intervista si veda ad esempio quella contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli 1988. Il sito di Nando dalla Chiesa e': www.nandodallachiesa.it] A vent'anni dall'articolo di Sciascia, pubblicato con l'infelicissimo titolo redazionale "I professionisti dell'antimafia", dopo un servizio su "Repubblica" con un'intervista ai familiari dello scrittore, il "Corriere della sera" ha voluto riprendere il discorso, con un altro titolo, altrettanto infelice nella sua perentorieta': "Le scuse dovute a Sciascia". Ricordiamo brevemente il testo di Sciascia: lo scrittore, prendendo spunto da un libro dello storico inglese Christopher Duggan sul fascismo e la mafia (che pur essendo fondato su una notevole base documentaria approdava a una tesi non condivisibile, cioe' che il fascismo avesse inventato la mafia), polemizzava con coloro che fanno dell'antimafia uno "strumento di potere", un mezzo per acquistare prestigio e far carriera e portava due esempi: uno era il sindaco in carica che non veniva nominato (ma era chiaro il riferimento a Orlando), che piu' che ad amministrare la citta' avrebbe pensato ad andare in giro per convegni e conferenze; l'altro era il giudice Borsellino, nominato esplicitamente, diventato procuratore a Marsala grazie alle sue inchieste antimafia, scavalcando un collega piu' anziano. Come si ricordera' l'articolo suscito' un vespaio di polemiche, dal comunicato dell'allora "Coordinamento antimafia" agli articoli di Pansa, e il "Corriere" le richiama e invita alla ritrattazione. Sulle pagine dell'"Unita'" e' arrivata la risposta di Nando Dalla Chiesa, con un titolo che non si presta ad equivoci: "Sciascia, perche' non mi pento", e sulle pagine nazionali di "Repubblica" l'autore del comunicato del Coordinamento antimafia, notissimo a chi scrive, si rivela e dichiara che anche lui non e' per niente pentito. Nella replica di Dalla Chiesa si ricordano le parole di Paolo Borsellino, dopo la strage di Capaci: "Tutto comincio' con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia", amarissima constatazione del ruolo che l'articolo aveva avuto nel contribuire a isolare i magistrati piu' impegnati, fatta durante un dibattito pubblico, poco prima della sua morte nella strage del 19 luglio. Evidentemente l'incontro in qualche modo chiarificatore del magistrato con Sciascia (che riconobbe di non essere bene informato) non era servito a smorzare l'amarezza e ad attutire l'impatto. E se il "Corriere" parla di uno Sciascia attaccato da tutte le parti, Dalla Chiesa ricorda l'esiguita' dello schieramento in polemica con lo scrittore e a proposito del Coordinamento scrive che esso era fatto di studenti "stanchi di terrori e di lapidi", di donne "mai prima impegnate in politica", da qualche poliziotto "voglioso di giustizia". Sara' bene ripercorrere, sinteticamente, alcuni tratti di quel periodo. Era appena iniziato il maxiprocesso e si giocava una sfida decisiva nella lotta giudiziaria contro la mafia. Sciascia poneva problemi reali, come la strumentalizzazione dell'antimafia e la certezza delle regole, ma la sua polemica - scrivevo molti anni fa (1) - "era sbagliata nel tono, nella scelta degli esempi e del tempo". Non per caso essa fu usata da quelli che si possono definire i "professionisti della mafia", a cominciare dagli uomini politici piu' o meno collusi, per autoassolversi facendosi scudo del prestigio dello scrittore e per contrattaccare nel momento in cui erano in difficolta': il maxiprocesso veniva percepito come un inizio e piu' d'uno pensava che prima o poi sarebbe toccato a lui. Le reazioni all'interno dello schieramento antimafia innescarono l'ira di Sciascia, che a proposito del Coordinamento scrisse che esso coordinava "interessi politici e stupidita'". In quei giorni il "Giornale di Sicilia" pubblicava i nomi dei suoi componenti, qualcosa che somigliava a una schedatura e a una gogna. Ho vissuto da vicino l'esperienza della prima fase del Coordinamento, nato nel 1984 sulla base di una mia proposta, e il mio giudizio su di esso e' ancora piu' duro di quello di Sciascia (bisogna aggiungere una massiccia dose di scorrettezza) ma un conto e' un giudizio culturale e politico, un altro la criminalizzazione e la gogna. Come forse si ricordera', il Coordinamento aveva definito Sciascia un quaquaraqua' (cioe' una nullita', riprendendo la galleria antropologica tracciata dallo scrittore nel romanzo Il giorno della civetta: "uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraqua'") e lo relegava "ai margini della societa' civile". Non si poteva essere piu' rozzi e maldestri. Il sindaco Orlando allora definiva i membri del Coordinamento "i bambini di Palermo" e ora Dalla Chiesa - che a suo tempo gli fu molto vicino e parecchie iniziative furono concertate tra il Coordinamento di Palermo e il circolo Societa' civile di Milano - ne ricorda la composizione. In realta', anche se parecchi del Coordinamento erano in giovane eta', non erano per niente infantili e nel loro giudizio su Sciascia pesava tanto l'estremismo verbale quanto il fideismo politico. Dopo una fase abbastanza travagliata di convivenza, in cui il Coordinamento antimafia aveva tentato di collegare il variegato mondo dell'antimafia cittadina (associazioni, centri, comitati, alcuni esistenti solo sulla carta, sezioni di partito, frange di sindacato), nel 1986 si era formata una singola associazione che aveva mantenuto quella denominazione ma in realta' coordinava solo se stessa e si configurera' sempre piu' come tifoseria del sindaco. Con l'aiuto di stampa e televisione si poneva come l'unico verbo antimafia, ignorando tutto cio' che si muoveva al di fuori di essa e non era pronto a intrupparsi nelle sue file. Alla sua testa e suoi ispiratori erano personaggi che dopo sono passati nel centrodestra, in piena bufera di berlusconismo, come dire il picco dell'immoralita' pubblica nella storia dell'Italia repubblicana, portando a compimento un percorso segnato dal trasversalismo e dall'antipolitica. Sbocco non nuovo di tanti "estremisti" nostrani. Se riflettere su quella stagione significa dire le cose come stavano, puo' essere utile. Non lo e' se ci si limita a disseppellire rancori, replicando mezze verita' o verita' di comodo. Non si tratta di ritrattare o di pentirsi, ma di ricostruire una pagina di storia reale che puo' darci qualche indicazione anche per l'oggi. Forse l'unico modo per onorare l'intelligenza di Sciascia e raccogliere l'eredita' che ci ha lasciato, e' registrare quell'episodio per quello che e', uno spiacevole e dannoso infortunio, e riprendere i temi di fondo che lo scrittore anche in quell'occasione voleva sottolineare: il rispetto delle regole, la certezza del diritto, in una parola il garantismo. Sciascia ne aveva un'idea che sapeva molto di religioso, come se si trattasse di una sorta di depositum fidei da trasmettere immutato ai posteri. Aveva per molti anni esercitato una sorta di magistero civile, cominciando con l'intuire, gia' nel 1957, la capacita' della mafia di adattarsi ai mutamenti sociali; aveva indicato, nei primi anni '60, le banche come il terreno su cui sondare l'accumulazione mafiosa; aveva successivamente dato alle stampe i suoi apologhi su una societa' mafiosizzata nei suoi centri di potere, nei suoi codici culturali, nella sua pratica quotidiana, e questo e' un patrimonio ormai consegnato alla storia della letteratura e alla cultura, non solo italiana. Partendo da alcuni esempi concreti aveva temuto una infrazione al garantismo, che riteneva inderogabile. Per molti anni quel garantismo piu' che la certezza del diritto aveva assicurato la certezza dell'impunita'. I limiti di quella stagione erano molteplici: una legislazione ritagliata sull'emergenza delittuosa e non orientata a un progetto organico, capace di cogliere la complessita' del fenomeno mafioso; la delega dell'azione antimafia a un pugno di magistrati, isolati e votati al sacrificio; una classe dirigente vogliosa di perpetuarsi a ogni costo e che solo Tangentopoli avrebbe squassato; una societa' civile minoritaria, piu' somigliante a una claque che a un soggetto sociale e politico maturo e autonomo. E quello che e' avvenuto dopo e' andato piu' nella direzione dell'illegalita' come forma di potere, modo di accumulazione e comportamento quotidiano, che in quella del trionfo della legalita'. Anche oggi, con una mafia sommersa, una 'ndrangheta in ascesa e una camorra in guerra permanente, un quadro politico incerto e rissoso, un contesto mondiale dominato da guerre e terrorismi, qualcuno riprende la bandiera del garantismo, come un vessillo sacro e inviolabile. Questa concezione mitico-religiosa della legalita' e del sistema di garanzie non e' stata solo di Sciascia, e' stata ed e' condivisa da molti, tra cui i giudici di Magistratura democratica che dal convegno del 1980 a quello del 2001 hanno lasciato passare piu' di vent'anni senza parlare di mafia, preoccupati che si estendesse alla criminalita' il "teorema Calogero" applicato al terrorismo. Se non vogliamo condannarci all'impotenza dovremmo aver chiaro che le regole sono indispensabili, ma non sono stelle fisse ma pianeti in movimento e debbono accordarsi ai mutamenti in atto. La pervasivita' dei fenomeni di criminalita' organizzata nella societa' contemporanea, le innumerevoli articolazioni dell'illegalita' sul piano nazionale e internazionale richiedono norme adeguate e sanzioni efficaci, ma soprattutto una grande capacita' di prevenire e operare sulle radici. E questo va chiesto all'intero corpo sociale. Nella pagine di Sciascia, lette con attenzione ma senza devozione, possono trovarsi ancora metafore utili, anche se il mondo e' andato ben oltre le sue anche piu' pessimistiche previsioni. * Note 1. Si veda: U. Santino, L'alleanza e il compromesso: Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997, p. 77. In un comunicato del Centro Impastato, del 26 gennaio 1987 ho tentato, vanamente, di riportare la discussione sui problemi reali. Il testo del comunicato e' riprodotto in Appendice a questo scritto. Sul Coordinamento antimafia rimando alla mia Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 252 ss. * Appendice Comunicato stampa del Centro Impastato del 26 gennaio 1987 Abbiamo preferito non prendere la parola nel corso delle recenti polemiche perche' il tono di esse ci e' sembrato il meno adatto per una riflessione seria su alcuni problemi particolarmente gravi, che rischiano di aggravarsi ulteriormente. Ci limitiamo adesso ad alcune considerazioni molto sommarie su qualcuno di essi. 1) Valutazione dell'operato del sindaco Orlando e della giunta pentapartito. Il sindaco Orlando ha compiuto alcuni gesti (quali, per esempio, la costituzione di parte civile del Comune al maxiprocesso, le dichiarazioni fatte nel corso di esso, il tentativo di portare un minimo di trasparenza nella procedura di aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche) che non possono non essere apprezzati, ma tutti i problemi di Palermo (la disoccupazione, il risanamento del centro storico, il funzionamento delle aziende municipalizzate etc. etc.) restano irrisolti per ragioni che non e' difficile individuare: la Democrazia Cristiana rimane legata ai peggiori interessi, sotto la tutela di uomini come Lima, e il pentapartito e' un pantano che non consente nessuna politica rinnovatrice. Ci sembra arrivato il momento di fare un bilancio di questa amministrazione comunale e di vedere se e' possibile sbloccare una situazione di immobilismo, avvelenata da polemiche personalistiche. 2) Conformismo e anticonformismo. In una citta' in cui straripa l'assuefazione alla violenza, la stragrande maggioranza degli abitanti non si scuote neppure per l'assassinio di un bambino, si svolgono manifestazioni in cui s'inneggia alla mafia, dominano il conformismo filomafioso e l'indifferenza, parlare di "conformismo antimafioso" ci sembra un po' troppo. 3) Antimafia: seria o da vetrina. E' vero, c'e' un'antimafia "da vetrina", come qualcuno l'ha definita, ma vogliamo fare qualche esempio? Ci sembrano "antimafia da vetrina": l'azione, abbastanza incolore, dei vari Alti Commissari contro la mafia; l'altrettanto incolore operato delle Commissioni antimafia, nazionale e regionale; le prediche con il morto davanti; le scoperte di grandi e piccoli inviati che hanno dovuto attendere l'uccisione di Dalla Chiesa per parlare di mafia come "questione nazionale" e lo hanno dimenticato il giorno dopo; i fumetti televisivi e cinematografici e le pubblicazioni di mafiologi improvvisati regolarmente prefate da firme "prestigiose"; buona parte delle attivita' svolte nelle scuole per utilizzare in qualche modo i finanziamenti regionali; i centri inesistenti che hanno finanziamenti pubblici per centinaia di milioni; le sigle fabbricate sulle ceneri di ipotesi piu' consistenti che si e' fatto di tutto per non far maturare. Si collocano su un altro versante i pochissimi magistrati che, rischiando la vita, hanno svolto le inchieste piu' impegnative contro la mafia. 4) Problema della "giustizia giusta". E' il problema piu' grosso, e non e' di facile soluzione. La mafia e la criminalita' organizzata non sono una novita', ma le dimensioni e la complessita' attuali lo sono, e gli attuali ordinamenti giuridici sono inadeguati per fronteggiare fenomeni che non sono un'"emergenza" ma un dato strutturale. Ci chiediamo: ci puo' essere "giustizia giusta" con gli assassinii regolarmente impuniti? Si ritiene che, passata l'onda alta delle uccisioni, tutto si risolva con l'"uscita dall'emergenza" e il ristabilimento delle regole del "garantismo classico"? Non occorre piuttosto elaborare una riforma del processo penale e della normativa vigente che tenga conto di questi fatti nuovi? Come intervenire sui canali di accumulazione illegale? Come troncare il meccanismo di simbiosi tra capitale illegale e legale garantito dal segreto bancario? Non si tratta di decretare "stati d'assedio", o di avallare "teoremi Buscetta", ma di trovare soluzioni adeguate a problemi che non possono essere minimizzati o considerati con ottiche tradizionali. Per affrontare seriamente questi temi non ci pare che siano utili le polemiche, soprattutto quando si risolvono in ingiurie e scomuniche. Occorrono: coraggio, studio, serenita'. Umberto Santino, presidente del Centro Impastato (Comunicato pubblicato, con il titolo "Troppa antimafia? ma dai", dal giornale "L'Ora" del 3 febbraio 1987 e in appendice al volume di Umberto Santino, L'alleanza e il compromesso, cit., pp. 269 s.) 4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: TEPPISTI, COLLUSI E BUONE INTENZIONI [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento del 6 aprile 2007. Giuseppe Impastato nato nel 1948, militante della nuova sinistra di Cinisi (Pa), straordinaria figura della lotta contro la mafia, di quel nitido e rigoroso impegno antimafia che Umberto Santino defini' "l'antimafia difficile", fu assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Scritti di Peppino Impastato: Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, seconda edizione Palermo 2003. Opere su Peppino Impastato: Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio, Centro Impastato, Palermo 1998; Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986; Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano 1994. Tra le pubblicazioni recenti: AA. VV., Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006 (pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena; con contributi di Giuseppe Lumia, Nichi Vendola, Michele Figurelli, Gianfranco Donadio, Enzo Ciconte, Antonio Maruccia, Umberto Santino); Marco Tullio Giordana, Claudio Fava, Monica Zapelli, I cento passi, Feltrinelli, Milano 2001 (sceneggiatura del film omonimo). Ma cfr. anche le molte altre ottime pubblicazioni del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it)] Mentre il solito ignoto (un teppista mafiofilo o un mafioso-teppista) pensa di poter infierire sulla memoria di Peppino Impastato sradicando un alberello in uno spiazzo a lui dedicato e scrivendo su un muro "Viva la mafia", a Trapani si arrestano uomini politici collegati alle cosche mafiose e la Commissione parlamentare antimafia vara un codice etico che questa volta conterrebbe una novita': chi candida alle elezioni amministrative personaggi condannati o rinviati a giudizio deve darne giustificazione pubblica. Il gesto di Termini e' scellerato e stupido e avra' un effetto boomerang: al Centro Impastato sono arrivati messaggi con la proposta di piantare alberi dedicati a Peppino. Speriamo che non ci si fermi qui. Negli ultimi tempi, dopo il successo del film, la memoria di Impastato troppo spesso si e' affidata all'intitolazione di strade e piazze (c'e' un signore che ha tempestato di e-mail paesi e citta', proponendo di mettere il nome di Impastato sulle targhe stradali, e diffondendo una biografia che ha ben poco a che fare con il Peppino Impastato reale), a cui non segue nessuna iniziativa che porti a una conoscenza adeguata di Impastato (fatto passare per un generico militante di sinistra o un giornalista, fondatore di una inesistente Radio Out: la radio si chiamava Radio Aut e quell'aut e' abbreviazione di autonomia) e dei pochissimi che in anni difficili ne hanno salvato la memoria coniugandola con l'analisi e la mobilitazione. Gli arresti di Trapani sono la riprova dell'esistenza di una borghesia mafiosa che ha la sua centrale operativa nei partiti politici (in quel che ne rimane, come spoglia o caricatura dopo gli tsunami degli ultimi anni) e nelle istituzioni, purtroppo sempre piu' bipartizan. Di solito, in queste occasioni, mentre nel centro-destra si grida all'ennesima materializzazione delle toghe rosse, nel centro-sinistra si dice "abbiamo fiducia nella magistratura, attendiamo gli esiti delle inchieste", ma nel frattempo la politica si guarda bene dall'autoemendarsi, facendo pulizia al suo interno prima che intervenga la magistratura. Tra gli arrestati trapanesi ci sono personaggi notissimi come Bartolo Pellegrino, leader di una "Nuova Sicilia" che di nuovo ha ben poco; ci sono il direttore dell'Agenzia del demanio che favoriva i boss intenzionati a riprendersi dopo il sequestro la Calcestruzzi ericina (e per impedire questa manovra il prefetto Fulvio Sodano ci ha rimesso il posto e per giunta e' stato citato in giudizio dall'ex sottosegretario agli Interni Antonino D'Alo'), alcuni imprenditori. Nel registro degli indagati c'e' anche il candidato sindaco dell'Unione, Mario Buscaino, della Margherita, che ha gia' dichiarato che non intende ritirare la candidatura. La Commissione antimafia, proponendo il codice etico e confidando nell'autoregolamentazione, compie un atto di fiducia verso un mondo che purtroppo non ne merita nessuna. La proposta della Commissione e' passata all'unanimita' ma gia' qualcuno (per esempio l'ex magistrato e senatore di Forza Italia Nitto Palma) ha messo le mani avanti: "Noi non saremo disponibili a non candidare persone oggetto di persecuzioni giudiziarie". La scappatoia e' gia' trovata: i politici piu' noti, gia' processati e condannati o sotto processo, sono dei perseguitati e quindi saranno candidati anche in futuro. Il codice della Commissione mirerebbe a uscire dalle secche di una responsabilita' politica, al di fuori e al di la' di quella accertata o in via di accertamento in sede giudiziaria, a cui faceva riferimento la relazione su mafia e politica del 1993 che gia' proponeva l'autoregolamentazione. Ora si parla di responsabilita' giudiziaria, anche in corso di accertamento, ma si segue la vecchia pista dell'autoregolamentazione. In piu' ci sarebbe l'impegno (non l'obbligo, seguito da una qualche sanzione) delle forze politiche di rendere pubbliche le motivazioni, nel caso che candidino personaggi condannati o rinviati a giudizio. Troppo poco, se si tiene conto di quanto e' gia' ripetutamente accaduto negli anni scorsi e di un livello di coscienza civile sempre piu' basso, dopo anni di berlusconismo. Anche a sinistra non c'e' da fidarsi molto, sia che si tratti di personaggi al centro di inchieste archiviate (che avrebbero comunque rimandato alla "responsabilita' politica", che ci sarebbe anche per frequentazioni di mafiosi), come nel caso del diessino Vladimiro Crisafulli, o in corso (come nel caso di Buscaino). C'e' stata e c'e' un'omologazione, con allineamento in basso, come e' accaduto per i programmi televisivi. E in ogni caso, se venisse adottato, il codice etico sbarrerebbe la porta degli enti locali (che dovrebbe essere gia' sbarrata da disposizioni precedenti, rimaste sulla carta) ma non quella del Parlamento, dove continuerebbero ad avere libero accesso imputati, condannati, amici di mafiosi e confrati di Licio Gelli. A proposito di incappucciati, una novita' giunge da Corleone, dove durante le processioni pasquali i partecipanti possono indossare i cappucci, proibiti da quarant'anni. Una volta assicurati alla giustizia Riina e Provenzano, si riprende il vecchio rito del nascondimento, stile Beati Paoli. Tanto ormai tutto e' arcinoto e si riesce a vedere benissimo sotto ogni sorta di cappuccio, da quello piduista a quello pasquale. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 113 del 27 maggio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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