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Minime. 78
- Subject: Minime. 78
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 May 2007 00:54:22 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 78 del 3 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maso Notarianni: Cosa aspettiamo? 2. Non piu' dimidiata e cieca 3. Federica Giardini: La forza e la grazia. Di una certa femminilizzazione della forza 4. Mario Tronti: Antonio Gramsci 5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 6. Letture: Ernesto Ferrero, Primo Levi 7. Letture: Roberto Saviano, Gomorra 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. AFGHANISTAN. MASO NOTARIANNI: COSA ASPETTIAMO? [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 2 maggio 2007 dal titolo "Afghanistan: cosa aspettiamo ad andarcene?". Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato nell'esperienza dell'organizzazione umanitaria Emergency e dirige "Peacereporter"] Cinquantuno civili morti. Questo il risultato dell'azione militare statunitense nella provincia di Herat, che dovrebbe essere sotto il controllo delle nostre truppe. Ma le nostre truppe, di quell'attacco, nemmeno sono state avvisate prima. E se il risentimento verso gli occidentali, e anche verso gli italiani, era alto, adesso nella provincia dove operano i "nostri ragazzi" e' davvero alle stelle, e le manifestazioni anti-occidentali esplodono in ogni angolo dell'Afghanistan, comprese le zone di competenza italiana. * Dovevamo portare aiuti umanitari: e' di ieri la notizia che 5 milioni di euro stanziati per la ricostruzione ad Herat sono ancora in una banca di Islamabad, intoccati e probabilmente intoccabili. La cooperazione civile non riesce ad attivare progetti. Quelli che erano attivi prima dell'inizio del conflitto sono oggi chiusi. Tutte le grandi e piccole organizzazioni italiane o hanno chiuso i battenti, oppure rimangono con dei microprogetti sempre utili, forse, ma non certo significativi. L'ultima in ordine di tempo e la prima in ordine di importanza ad essere stata costretta a lasciare il Paese e' stata Emergency. E proprio la vicenda di Emergency dovrebbe portare buoni consigli al nostro presidente del Consiglio, al nostro ministro degli Esteri e pure a quello della Difesa. * L'Italia ha investito 50 milioni di euro nella ricostruzione dello stesso sistema giudiziario che ha rinchiuso da un mese e mezzo un suo cittadino, Rahmatullah Hanefi, peraltro dipendente di una organizzazione italiana, senza che sia mai stata formalizzata alcuna accusa, senza che gli sia stato permesso di ricevere visite, senza che gli sia stato permesso di avere un avvocato. Di questo caso si stanno occupando anche Amnesty International e Human Right Watch. Sarebbe un caso devastante (e quanti altri ce ne sono?) se si trattasse di un semplice cittadino afgano. Ma quello che peggiora la situazione e' che questo signore afgano e' finito nei guai lavorando su indicazione del governo italiano, facendo quel che il governo italiano gli chiedeva di fare, e per riportare a casa la pelle di due cittadini italiani, Gabriele Torsello prima e Daniele Mastrogiacomo poi. D'Alema dice oggi che la condotta delle autorita' di Kabul sara' "un metro importante per la valutazione circa la serieta' di intenti per la costruzione di uno stato di diritto" delle autorita' afgane. Bene, ha un solo difetto questa frase del nostro ministro degli Esteri. Il verbo all'indicativo futuro. Quando, lo sara', visto che e' da due mesi che il governo afgano calpesta la faccia dell'Italia violando ogni diritto alla liberta' e alla difesa di un cittadino che non ha fatto altro che accondiscendere, e davvero malvolentieri, alle richieste fatte proprio da D'Alema e Prodi? * Ma qualcuno ci vuole spiegare che senso ha rimanere ancora in un paese dove tutto dimostra che la democrazia e la civilta' che dovevano portare gli Usa e i loro alleati sono scappate insieme alle centinaia di migliaia di profughi? E dove le bombe (come era prevedibile, peraltro) hanno ottenuto solo lo scopo di far rimpiangere alla popolazione il governo dei talebani? Ci vogliono spiegare, D'Alema e Prodi, che senso ha investire ogni giorno piu' di un milione dei nostri euro in una impresa fallimentare al punto che gli statunitensi nemmeno ci avvisano prima di bombardare il "nostro territorio" (ammazzando civili) e dove esistono leggi talmente segrete che nemmeno al ministero della giustizia (a cui noi, e' bene ribadirlo, abbiamo dato 50 milioni di euro) ne sono a conoscenza? * I francesi lo hanno capito. E da membri della Nato, e alleati degli Stati Uniti, hanno scelto: i loro militari lasceranno al piu' presto l'Afghanistan. 2. RIFLESSIONE. NON PIU' DIMIDIATA E CIECA Qui e adesso quel che occorre e' una legge elettorale che rimedi alla piu' lunga catastrofica mutilazione della democrazia (e quindi della democrazia denegazione) che da tempo immemorabile scellerata persiste: la mutilazione che effettualmente nega a meta' dell'umanita' pari presenza e potere nei luoghi ove si decide di cio' che tutti riguarda. Occorre qui ed ora una legge elettorale che consenta una effettuale democrazia rappresentativa nelle assemblee pubbliche elettive, una democrazia paritaria e duale, che preveda una uguale presenza di donne e di uomini, meta' e meta'. Una legge elettorale che riconosca e ponga mano a un'emergenza democratica, un'urgenza civile, un'esigenza morale e intellettuale: la necessita' di contrastare la cultura patriarcale, che e' la cultura - detto meglio: la barbarie - della denegazione di umanita' all'altra e all'altro, l'ideologia e la prassi della guerra e dello stupro, dello sfruttamento della sfera della vita fino all'esaurimento, l'alienata dominazione solipsista, nichilista, onnicida. Occorre una legge elettorale per una democrazia rappresentativa non piu' dimidiata e cieca. Per informazioni, documentazione, contatti: www.50e50.it 3. RIFLESSIONE. FEDERICA GIARDINI: LA FORZA E LA GRAZIA. DI UNA CERTA FEMMINILIZZAZIONE DELLA FORZA [Ringraziamo Federica Giardini (per contatti: fgiardini at uniroma3.it) per averci messo a disposizione questo suo testo gia' apparso sulla prestigiosa rivista "DWF", nel n. 2-3 del 2005 (per indici ed estratti della storica rivista: www.dwf.it). Federica Giardini e' docente di filosofia politica presso l'Universita' Roma Tre, acuta saggista, redattrice della rivista femminista "Dwf". Tra le opere di Federica Giardini: Relazioni. Fenomenologia e pensiero della differenza sessuale, Luca Sossella Editore, Roma 2004] Kill Bill vol. 1. e vol 2, di Quentin Tarantino, con Uma Thurman, Usa, 2003. La storia e' quella di un percorso di giustizia che si fa vendetta. Themis, dea delle leggi eterne, che regola i cicli naturali e i rapporti tra i sessi, che si fa Nemesis. E' lo spirito della tragedia greca, riappropriato dall'immaginario di oggi, quello occidentale, no, piu' precisamente, quello statunitense ibridato da altre culture, qui l'oriente della tradizione giapponese e cinese. Uma Thurman, nome in codice Black Mamba, che, massacrata al momento delle nozze e gia' in attesa di una figlia, si trasforma in una perfetta macchina vendicatrice: unico movente la distruzione del suo, mancato, assassino, Bill. Livello dopo livello, arrivera' a portare a termine l'ingiunzione. Il titolo "Kill Bill" ricorda infatti quei comandi, elementari e netti, con cui funzionano le macchine, i computer: "copia", "incolla" o "termina". E l'inesorabilita' del Fato. * Sequenze Due madri in cucina. Black Mamba suona alla porta di una placida villetta suburbana. Breve conversazione con la padrona di casa, una delle autrici del suo massacro. Inizia una lotta distruttrice, a base di coltelli, padelle, mobili sventrati. Di la' dalla vetrata arriva uno scuolabus, la figlia sta rientrando a casa. Le due furie, istantaneamente e simultaneamente, nascondono le armi dietro la schiena. Un elemento della forza e' l'implacabilita' della sua espressione che, altrettanto implacabilmente, sa fermarsi. Come quando si parla contro qualcuno su qualcosa che non va, con intensita' e determinazione. E ci si ferma prima di ferire la' dove si avverte il punto debole. Una forza che conosce la misericordia. Implacabilita' non e' infierire, e' una furia precisa, che ha tatto. L'uno non intralcia l'altra, sanno avvicendarsi con rapidita': c'e' il tempo del passo in avanti che incalza e stringe e c'e' il tempo del fermarsi e del ristare. Come nel ritmo dell'umorismo - che ha per condizione una certa aggressivita' - quello che tira l'affondo ma senza provocare la stasi del trauma. Inoltre, una forza che ha luogo nel quotidiano. Non piazze, non campi di battaglia, non i luoghi deputati della tradizione maschile. Sorpresa: nel dissociare la forza dall'eroismo, nel ricondurla all'ordinario, invece che all'esterno dello spettacolare, non c'e' ripiegamento, tutt'altro, c'e' esplosione del luogo dove si sta. * Un alluce, una tomba. Black Mamba e' appena uscita dal coma, e' paralizzata dal busto in giu'. Si trascina in un luogo riparato - nella macchina del suo stupratore che ha appena giustiziato - e comincia a incitare le dita dei suoi piedi. "Tredici ore dopo", recita la didascalia, l'alluce si muove. "Il piu' e' fatto", dice... Sepolta viva da Budd, un altro che ha partecipato al suo massacro, Black Mamba ansima, singhiozza. Poi silenzio. Il gesto successivo e' sciogliersi dai lacci e il primo di una serie di pugni che sfonderanno il coperchio della bara. La forza non e' un tutto pieno, non e' uno stato costante, sempre manifesto. La forza e' saper cercare e trovare riparo nei momenti di debolezza, o peggio, nei momenti di paralisi, di disperazione. Inoltre, il momento di riparo dallo sguardo altrui, dallo scambio effettivo, non e' mancanza di esistenza. Qualcosa prosegue. Il rapporto tra se' e se'. Un raccoglimento, ombroso eppure fecondo. Differentemente dal mito maschile del potere che si costruisce a immagine e somiglianza della forza fisica che auspica di avere, e che non ha - quanta preoccupazione in merito alla presa del potere ma soprattutto sul suo mantenimento e durata - la forza femminile rimane fedele a quel che dice il corpo. Non sempre teso nell'eccitazione, anzi, corpo che chiede requie come parte indispensabile. Provo a pensare a cosa sarebbe la cosiddetta sfera pubblica se fosse agita cosi', cosi' diversa da quel dilemma tra la sovraesposizione mediatica, unica che garantisce l'esistenza simbolica, e la malinconia di chi e' uscito dal fascio di luce. Una sovversione degli elementi del potere, dal leaderismo alle lotte per il primato (qualcosa del genere sta accadendo in questi giorni di agitazione nella mia universita' contro la "riforma Moratti": non c'e' un leader, non c'e' divisione di cariche e incarichi, eppure circola autorita', nel pensiero, nelle decisioni...). * La scelta della spada e l'apprendistato. Black Mamba impara la forza dalla tradizione orientale in due diversi momenti: a Okinawa quando ottiene una spada dal maestro Hattori Hanzo - "non ho detto 'mi venda', ho detto 'mi dia' una spada... lei ha un obbligo verso di me" - e, tempo prima, nel lungo e duro apprendistato con l'eremita e maestro di kung fu, Pai Mei. Solo a lei, si scoprira', il maestro insegna la mossa dell"'esplosione del cuore con cinque colpi delle dita". Esiste oggi, cosi' ci restituisce l'immaginario, la possibilita' di praticare una forza in cui corpo e anima vanno in uno, corpo soggettivo, anima materiale. Dallo stesso mondo del lavoro ci viene l'idea di una "femminilizzazione della forza", che andrebbe insieme alla gia' nota "femminilizzazione del lavoro". Qui la forza non e' il prodotto di un corpo ridotto alla sola dimensione fisica, come invece e' evocato nei "rapporti di forza" (Weil 1984; Buttarelli 2005) che ritornano prepotenti nelle vicende contemporanee - la guerra all'Iraq ne e' l'esempio per eccellenza - rapporti che sfavoriscono le donne. La forza e' piuttosto una sapienza fisica, che nasce dalla conoscenza dei limiti, che sa trarre partito anche dall'obbedienza al necessario, che non e' mero esercizio di volonta'. E', potrei dire con la politica delle donne, il corpo innervato dell'isterica che avrebbe trovato il suo spazio simbolico, senza amputarsi della potenza del corpo e dell'obbedienza che si deve alle sue verita', senza rinunciare a trasformarla in pensiero. E' quella sapienza, conoscenza guadagnata solo attraverso la carne dell'esperienza, non solo mentale, non solo concettuale, che meritera' a Beatrice Kiddow (il vero nome di Black Mamba), la trasmissione della mossa che da' la morte con misericordia. * Due fratelli e una sorella. Bill e' il fratello maggiore di Budd, entrambi responsabili del tentato massacro. Ma in due modi ben diversi: il primo ancora patriarca, vuole dare la morte a Black Mamba con onore, il secondo gia' fratello che, sul piede di parita', la seppellisce viva e la irride. Elle Driver, altro membro della banda, e' sorella anch'essa, nella spietatezza e mancanza di lealta' con cui combatte Black Mamba, non e' un caso che sia lei a uccidere il maestro Pai Mei. Questo inquietante terzetto rida' la misura del rischio che si corre oggi volendo aggiungere alla "Carte du tendre" - la mappa del cuore delle preziose - la forza estrovertita di una donna. Terreno insidioso che mi prepara alleanze illusorie con i patriarchi sopravvissuti - almeno il senso della loro superiorita' rispetto alle donne li esime dall'esercizio della violenza nuda e cruda - che mi toglie ogni riparo dall'uomo che, in quanto mio pari, non risparmia colpi oppure che accomunandoci, fratelli e sorelle, nella stessa antropologia sconfitta e violenta, mi chiama a proteggerci insieme attraverso procedure formali, neutre, democratiche (Derrida 2003). * Sciogliere la forza dalla violenza, collocarla in altre sequenze Parlare di esperienza femminile della forza ha un margine di incognita, inquietante. Per almeno due ragioni: perche' i tempi e i fatti annodano la forza e la violenza, fino a farne una cosa sola: con Lynndie England, violenta a Abughraib concentrata sui suoi commilitoni, da emulare, da superare nella realizzazione della virilita', e con quelle quattro ragazzine incendiarie di Parigi che lo hanno "fatto piu' per gioco che per volonta' di uccidere" ("Le Monde", 5 settembre 2005). E perche' partire dalle donne come "sesso debole", come sottoposte a forza e violenza altrui, e' stata risorsa per quel femminismo che di tale debolezza ha approfittato per cercare e inaugurare un differente ordine delle relazioni. Metto a tacere queste ragioni - per un momento, il tempo di dare spazio a un'intuizione: la gioia fisica con cui ho reagito al film. * L'opera e la differenza. Tarantino, volente e anche no, ha creato, facendosi animare dall'aria del tempo che tira sulle relazioni tra i sessi, l'occasione per dare corpo simbolico alla forza femminile. A che condizione quel film e' aggiunta e mutamento? Non e' la sequenza per intero che suscita gioia, nel corpo di una donna del XXI secolo. Non e' il senso della storia, non e' l'intenzione, colta, ironica, del regista, non e' la sua visione. Sono singoli particolari, brevi sequenze di fotogrammi quelli cui il corpo ha reagito cosi' felicemente. In tempi di fine patriarcato, il rapporto tra l'opera, l'autore - in questo caso - e chi la riceve e la restituisce scombina le tensioni tra i sessi cosi' come il pensiero li aveva collocati. La disposizione dominante non si riassume in un'impresa di cattura: la figura femminile inventata da un autore non si limita ad essere l'ennesima occasione della presa dell'immaginario maschile sul corpo e sui moventi femminili (Laura Mulvey 1978). La disposizione della tensione non sta pero' nemmeno nel far decadere la differenza tra i sessi: che l'artista sia uomo o donna non conta nel momento in cui l'atto poetico/artistico attinge alla sua verita' (Julia Kristeva 1979). Piuttosto l'artista sa vedere e restituire quel che accade a una donna oggi, anche se non sempre e non del tutto. E, soprattutto, chi riceve quell'opera ha la consistenza simbolica per prendere quel che trova di vero e lasciar cadere il resto. In maggiore liberta', forte del pensiero e della politica delle donne, forte della mediazione di un corpo di donna, tra me e l'opera di Tarantino i movimenti, anche quelli di Uma Thurman. * Dalla forza alla forza. Gioia, dicevo, per la determinazione implacabile e precisa, l'eleganza, la bellezza di quel corpo di donna che in ogni centimetro e' innervato dal pensiero. Felicita'. La gioia di quando si spezza un tabu' e lo si fa bene, senza strascichi, senza risentimenti. Quale e' il tabu' che quella figura di donna spezza? Non certo quello che graverebbe sul pensare la forza femminile. Perche' la forza non e' sconosciuta alle donne (Putino 1988). Sesso debole, va bene, ma perche' in difetto della forza degli oppressori e dei violenti. Se questa mancanza, costruitasi in millenni, va salutata come una fortuna, da coltivare come cosa preziosa, non di meno il sesso debole ha conosciuto la sua forza. E' quella della cura, della determinazione nel nutrire e dare ordine alle relazioni, del silenzio pubblico che pure, anzi proprio per questo, poteva intervenire con vera potenza sul terreno che le era proprio. E' anche quella forza - che oggi gira un po' in tondo, trovo - che, di fronte al danno ricevuto, tesse e ritesse parole pur di trovare un senso che salvi, se non lei e l'aggressore, perlomeno un ordine del mondo. Il tabu' spezzato riguarda piuttosto l'oscenita', la vergogna, il senso di colpa per una forza espressa, rivolta verso l'esterno, con tutta la consistenza di stati e movimenti fisici. Espressione, quel verso fuori, difficile da praticare anche oggi - in tempi in cui il desiderio femminile e' esposto all'aperto del mondo intero - tanto da farsi conoscere innanzitutto come potenza introvertita che si manifesta, di nuovo, in sintomi corporei: dalla depressione, alle crisi di panico, alla frenesia di corpi che si agitano a vuoto come un criceto in gabbia e la sua ruota. Forza che c'e' e che, non avendo pane per i propri denti, addenta se stessa. Espressione dunque che tanto spesso viene meno o neanche si da', per tanti motivi: perche' prende troppo posto e dunque rischia di toglierne all'altra ma anche all'altro; per paura, perche' evoca abbandono, distruzione, morte di se', dell'altra, dell'altro; per paura, ancora, perche' espone alla disillusione di quel che si poteva immaginare nel chiuso protetto delle fantasie; perche' l'andar fuori da' conto, misura il possibile e l'impossibile, con una precisione impietosa che non sempre si e' in grado di tollerare. Tabu' l'ho chiamato, perche' non si tratta qui di difficolta' o vicende soggettive, e' in gioco un dispositivo importante, necessario, strutturante, che ha attribuito posizione alle donne, con tutti gli svantaggi ma anche i vantaggi. Un tabu', ancora prima di vietare, da' ordine e dunque orienta nelle relazioni tra se' e se' e con gli altri, da' identita'. Infrangerlo non consiste nell'iscriversi, in questo caso, a corsi di autodifesa o nel leggere manuali su come avere fiducia in se stesse. Infrangerlo spezza un ordine delle relazioni, e' un reato, con tutto quel che comporta, di liberta' guadagnate, di minacce di sanzione e di vuoti che si creano. * Streghe nuovamente apprendiste e sequenze interrotte. Il cielo non splende su questa forza femminile, che al momento e' piu' un'intuizione che un fatto simbolico. Se e' vero che i guadagni della liberta' tra donne e tra i sessi non sono mai dati una volta per tutte, ebbene stavolta ci ritroviamo in un mondo che ha perso le forme simboliche della forza femminile e ripesca forme ataviche per quella di oggi, maschile o femminile che sia. Eppure qui si da' uno spazio rilevantissimo per quella politica del simbolico che le donne hanno praticato, ad alcune condizioni. Beatrice ha una figlia, non una madre. Si e' risucchiate dalle offerte del simbolico contemporaneo, dalle sue sequenze obbligate, se si perde il senso e l'orientamento che ci danno le genealogie femminili, ivi compresa la relazione con la politica delle donne che ci precede. Black Mamba non ride mai. Avere forza senza saperlo, senza farne cioe' una pratica, nominabile e dunque condivisibile, ci rende o violente inconsapevoli o prigioniere dei fatti. Ridere e' lo spazio del respiro, e' la distanza, estrovertita, tra se' e il dato. E' anche il segno di una forza espressa senza creare ristagni, risentimenti. La gioia in lampi. Fare storia non e' un film. E' solo nella relazione con altre e, ora, con altri, con la politica, che si puo' arginare e interrompere la forza d'inerzia dell'immaginario contemporaneo, quello che tacitamente prescrive i nessi e gli esiti di vissuti e azioni. * Queste considerazioni sono solo un inizio ma contano gia' alcuni precedenti: - Angela Putino, La donna guerriera, "DWF" 1988, n. 7, pp. 9-14. - Annarosa Buttarelli, "Rapporti di forza, forza dei rapporti", relazione al grande seminario di Diotima, Universita' di Verona, 15 ottobre 2004. - Annarosa Buttarelli (cura), Dedicato alla forza femminile, "Via dogana" 55, giugno 2001. Simone Weil, L'Iliade o il poema della forza, in La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Roma, 1984 (1939). * Altri testi citati: - Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, "DWF" 1978, n. 8, pp. 26-41. - Julia Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia, 1979 (1974). - Jacques Derrida, Forza di legge. Il "fondamento mistico dell'autorita'", Bollati Boringhieri, Torino 2003 (1994). 4. MEMORIA. MARIO TRONTI: ANTONIO GRAMSCI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 aprile 2007 riprendiamo il seguente intervento, tenuto da Mario Tronti il 17 aprile 2007 alla Camera dei Deputati, li' apparso col titolo "L'uomo che ha afferrato il fulmine a mani nude". Mario Tronti (Roma, 1931), teorico e militante della sinistra italiana, docente universitario di filosofia, partecipe di rilevanti esperienze di riflessione e di impegno. Tra le opere di Mario Tronti: Operai e capitale, Einaudi, Torino 1971; Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977; Il tempo della politica, Editori Riuniti, Roma 1980; Con le spalle al futuro, Editori Riuniti, Roma 1992; La politica al tramonto, Einaudi, Torino 1998. Antonio Gramsci, nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita' umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci: l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci: nell'immensa bibliografia gramsciana per un avvio si vedano almeno le monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Paladini Musitelli, Santucci, Spriano. Un utile strumento di alvoro e' l'edizione ipertestuale dei Quaderni del carcere in cd-rom a cura di Dario Ragazzini, Einaudi, Torino 2007, ed anche in supplemento a "L'unita', Nuova iniziativa editoriale, Roma 2007] Ho riflettuto a lungo sul perche', pensando a Antonio Gramsci, scatti in me, subito, per istinto, un titolo: la figura del grande italiano. Sara' che questo nostro paese continua a metterci di fronte una sostanziale ambiguita': da un lato la debolezza politica della storia italiana, dall'altro lato il paese forse piu' politico del mondo, in tutte le sue componenti sociali e popolari. Noi abbiamo inventato la politica per la modernita'. Ne abbiamo fatto una forma, privilegiata, e un'espressione, intensa, di pensiero umano. Perche' Gramsci ha cosi' a lungo pensato su Machiavelli? Intanto: il grande italiano e' l'uomo del Rinascimento. Dietro c'era la stagione magica che, fra Trecento e Quattrocento, aveva visto svolgersi quella contraddizione lancinante, fondativa della nostra successiva natura, la contraddizione tra una storia d'Italia, ancora molto lontana dal presentarsi come tale, e una poesia, una letteratura, un'arte, una filosofia, gia' italiane, in forme dispiegate e mature, con, in piu', una naturale vocazione universalistica. Recitavamo, per l'intero mondo, l'Oratio de hominis dignitate. Quello che Pico diceva, Piero raffigurava. Ecco, Machiavelli viene fuori da qui. L'invenzione della politica moderna viene fuori da qui: dal contesto storico tra Umanesimo e Rinascimento. Di qui, la nobilta' del suo codice genetico. * Il moderno Principe Uno di quei volumi Einaudi, dalla copertina grigio-scura, che presentavano, per la prima volta, i Quaderni del carcere di Gramsci, portava per titolo: Note su Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno. Era il 1953. Come Machiavelli aveva chiosato la prima decade di Tito Livio, cosi' Gramsci chiosa Il Principe. Geniale la sua interpretazione del partito politico come moderno principe. Credo, ancora di una sconvolgente attualita'. "Il moderno principe, non puo' essere una persona reale, un individuo concreto; puo' essere solo un organismo; un elemento di societa' complesso nel quale gia' abbia inizio il concretarsi di una volonta' collettiva, riconosciuta e affermatasi parzialmente nell'azione. Questo organismo e' gia' dato dallo sviluppo storico ed e' il partito politico; la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volonta' collettiva che tendono a divenire universali e totali". Non e' il caso di nascondere le ombre che il tempo storico allunga su questa luce di pensiero. Non e' un'orazione apologetica che ci interessa: il distacco critico dagli autori, tanto piu' dai propri autori, e' un obbligo intellettuale. Quell'aggettivo "totali" fa riflettere. La storia del partito politico nel Novecento ha messo in campo progetti universalizzanti ma ha anche raccolto risultati totalizzanti. Marx e Machiavelli vuol dire "il partito non come categoria sociologica, ma il partito che vuole fondare lo Stato": fondare lo Stato, non farsi Stato. Non e' questo pero' il punto centrale dell'argomentazione gramsciana. Gramsci aveva profeticamente previsto le possibili degenerazioni del partito che si fa Stato, cioe' della parte che si fa tutto. E ne aveva sofferto, in carcere, non solo intellettualmente. Il suo problema politico era gia' allora, nella temperie terribile di quegli anni Trenta, come sfuggire alla trasformazione, non piu' incombente ma in atto, delle masse in folle manovrate e delle elites in oligarchie ristrette. Il problema originalmente comunista di Gramsci - vorrei dire, se questo non disturba troppo, l'originale leninismo di Gramsci - e' la costruzione di un rapporto virtuoso tra classe dirigente e classe sociale. Il mito - usa lui questa parola e voglio usarla anch'io - del partito-principe e' l'organizzazione di una volonta' collettiva, "elemento di societa' complesso", come l'unica forza in grado di contrastare l'avvento della personalita' autoritaria. Anche qui de nobis fabula narratur. Io penso che oggi noi dovremmo rideclinare le analisi dei francofortesi intorno alla personalita' autoritaria sulla misura di un nuovo soggetto, che definirei personalita' democratica. Si sta intrecciando qui un nodo di problemi strategicamente rilevanti per i sistemi politici contemporanei. Attenzione: questa invocazione del leader forte non nasconde pericoli autoritari - la liberale bilancia dei poteri funziona ancora - piuttosto fa vedere il pericolo di una delega diretta, immediatistica, al decisore politico, questa volta un individuo e non un organismo, da parte di una moltitudine formata da una cosiddetta gente, dai forti umori antipolitici. * Nato per l'azione Antonio Gramsci - da mettere in una ideale galleria di grandi italiani del Novecento politico, di tradizione cattolica e liberale, da Sturzo a Dossetti a Einaudi - questi uomini postumi per le loro virtu', servono, vanno fatti servire, come vaccino contro le malattie contagiose delle democrazie contemporanee: l'antipolitica, il populismo, il plebiscitarismo. La personalita' democratica come personalita' non carismatica e tuttavia demagogica, eterodiretta dalla sua immagine, in sudditanza rispetto alla dittatura della comunicazione, onnipresente come figura, inconsistente come persona. A questo punto vorrei non dare l'impressione di edulcorare il personaggio Gramsci, iscrivendolo nel ruolo non esaltante di Padre della Patria. Non si puo' parlare di Gramsci restando neutrali. Scrisse di se', dal fondo del carcere fascista: "Io sono un combattente, che non ha avuto fortuna nella lotta pratica". Non era un'anima bella. Nato per l'azione, circostanze esterne lo costringono a diventare uomo di studio. Se dovessi riassumere in una definizione l'insegnamento che Gramsci ci lascia, direi cosi': come un uomo di parte possa diventare risorsa della nazione, senza dismettere la propria appartenenza, ma agendola nell'interesse di tutti. Gramsci ci dice che, machiavellianamente, la politica non ha bisogno dell'etica per nobilitarsi. Si nobilita da se', sollevandosi a progetto altamente umano. Gramsci non e' solo i Quaderni del carcere. C'e' un Gramsci giovane che si fa amare, se possibile, ancora di piu'. Lo scoprimmo nei magici anni Sessanta, quando fummo forse ingenerosamente ostili alla sua linea culturale "nazionale-popolare", la famosa linea De Sanctis-Labriola-Croce-Gramsci, a cui rivolgevamo l'accusa di aver oscurato la grande cultura novecentesca mitteleuropea, che fummo costretti a scoprire per altre vie. Ci bevevamo gli articoli scritti per la rubrica "Sotto la mole" per l'edizione piemontese dell'"Avanti!". O sulla "Citta' futura", numero unico della Federazione giovanile socialista piemontese. Qui quell'articolo (febbraio 1917) che comincia con le parole: "Odio gli indifferenti": "Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte gia' pulsare l'attivita' della citta' futura che la mia parte sta costruendo". O gli articoli su "Il grido del popolo", quello famoso e scandaloso: "La rivoluzione contro il Capitale". La rivoluzione dei bolscevichi contro Il Capitale di Carlo Marx. Se si potessero rileggere, oggi, senza il velo delle ideologie dominanti, quelle righe in "Individualismo e collettivismo"! "All'individuo capitalista si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio la cooperativa: il sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la libera concorrenza, la obbliga a forme nuove di liberta' e di attivita'". E soprattutto gli articoli de "L'ordine nuovo", settimanale di cultura socialista, che Gramsci fonda il primo maggio 1919 e che poi diventera' quotidiano. Li' si organizza il gruppo che dara' vita al Partito comunista d'Italia, che come si vede non subito ma fin dalle tesi di Lione del 1926, nascera' non solo contro i riformisti ma anche contro i massimalisti. Gramsci nasce, politicamente e intellettualmente, a Torino. Davanti a lui, il biennio rosso, l'occupazione operaia delle fabbriche, l'esperienza dei consigli operai. La vera universita': la grande scuola della classe operaia. Del resto, ormai lo sappiamo: o si parte da li', o si raggiungono solo quelli che oggi si chiamano non-luoghi. "L'ordine Nuovo", settembre 1920: "L'operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il partito, per il sindacato, per la cooperativa, e', dal punto di vista della storia dell'uomo, piu' grande dello schiavo o dell'artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera". Gia' Togliatti, nel ricordo che scriveva, nel 1937, appena dopo la morte di Gramsci, diceva: "Il legame di Antonio Gramsci con gli operai di Torino non fu soltanto un legame politico, ma un legame personale, fisico, diretto, multiforme". * Tra direzione e comando Non ci sono due Gramsci. L'operazione di valutare il Gramsci studioso e di svalutare il Gramsci politico e' senso comune intellettuale corrente, e come tale va abbandonato a se stesso. Specialista + politico e' formula gramsciana risolutiva. Dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e di qui alla concezione umanistica-storica, senza la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente. Il modo di essere del nuovo intellettuale sta nel mescolarsi attivamente nella vita pratica, come costruttore, organizzatore, persuasore, non puro oratore. Quindi, per Gramsci, l'equivalente di politico e' dirigente, armato pero' di cultura tecnica, scientifica, umanistica. Qui c'e' la preziosa distinzione gramsciana tra direzione e comando, tra guidare e imporre. Questo vale per il gruppo dirigente nei confronti del partito, vale per il partito nei confronti dello Stato, vale per lo Stato nei confronti della societa'. Egemonia non e' solo cosa diversa, e' cosa opposta a dittatura. Sul concetto di egemonia pesa ancora un'incomprensione di fondo e una falsificazione di fatto. Non c'e' pratica di egemonia senza espressione di cultura. Praticare egemonia e' una cosa molto complessa, direi raffinata: vuol dire guidare seguendo, essere alla testa di un corso storico gia' in movimento, e che fa movimento anche in virtu' delle idee, idee-guida, idee-forza che tu ci metti dentro. Una politica senza cultura politica, non cercatela in Gramsci. Scriveva nei Quaderni: "Il grande politico non puo' che essere 'coltissimo', cioe' deve 'conoscere' il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli non 'librescamente', come 'erudizione', ma in modo 'vivente', come sostanza concreta di 'intuizione' politica". Tuttavia - aggiungeva - perche' in lui diventino sostanza vivente occorrera' apprenderli anche librescamente. Ho sempre pensato che le due culture non sono, come si dice, la cultura scientifica e la cultura umanistica. Sono la cultura del popolo e la cultura degli intellettuali. Due cose diverse: non si identificano, non si sommano, non si confondono. Eppure un ponte di dialogo e di scambio tra queste due esperienze culturali, deve esserci e devi trovarlo. C'e' una cultura materializzata nel lavoro, interiorizzata nel lavoratore: un orizzonte che, per un intellettuale di parte, e' come la bussola per il marinaio, ti indica la rotta dove devi andare a cercare, a capire, a scoprire. E' difficile comunicare la tranquilla forza di pensiero che ti conferisce l'essere, il sentirsi, radicato in questa parte di mondo. L'unico luogo sicuro e libero da quella nevrosi narcisistica che e' la maledizione del lavoro intellettuale. La figura gramsciana dell'intellettuale organico, al partito e alla classe, puo' essere oggi demonizzata e derisa solo da chi non sarebbe mai stato capace di esserlo. * Il braccio e la mente Ebbene, quel ponte tra le due culture lo ha costruito quella figura storica, quel soggetto politico della modernita' che si chiama movimento operaio. E lo ha fatto, generando coscienza e organizzazione delle masse e al tempo stesso creando pensiero, teoria, cultura alta. Analisi scientifica delle leggi di movimento dei meccanismi di produzione e riproduzione sociale e insieme progetti di liberazione politica. Mi sento di esprimere una convinzione profonda: piu' andremo avanti, piu' il tempo si frapporra' tra noi e il passato, piu' ci accorgeremo che tutte le derive negative, anche tragicamente negative, non bastano per cancellare la grandezza del tentativo. Penso che, come soggetti politici di consistenza storica, dovremmo affrettare il momento di poter tornare a parlare, ognuno di se', con onesta': in realta', non sappiamo con chi e con che cosa sostituire quelle componenti popolari, di matrice cattolica, socialista, comunista, piu' quelle elites di ispirazione social-liberale, che, tutte insieme, hanno fatto la storia recente di questo paese: perche' esse non erano societa' civile, erano societa' reale. Concludo cosi': abbiamo individuato alcuni punti di attualita' dell'opera di Gramsci. E alcuni dei presenti qui potrebbero suggerirne altri. Ma quando ripensiamo alla vita, anzi all'esistenza, dell'uomo, proprio in quanto uomo politico, allora dobbiamo far ricorso al criterio nietzscheano dell'inattuale. Qualcosa, o qualcuno, che non si puo' oggi riproporre e proprio per questo, in se', vale. Ho letto, in questi giorni, questo libretto di George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero. Una delle ragioni, fonte di melanconia, e' l'inadattabilita' oggi del grande pensiero agli ideali di giustizia sociale. Scrive Steiner: "Non c'e' democrazia per il genio, solo una terribile ingiustizia e un fardello che puo' essere mortale". Poi "ci sono quei pochi, come diceva Hoelderlin, che sono costretti ad afferrare il fulmine a mani nude". Ecco, e' tra quei pochi che dobbiamo "cercare ancora" Gramsci. 5. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in banca o alla posta. Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. LETTURE. ERNESTO FERRERO: PRIMO LEVI Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007, pp. VI + 138, euro 9,50. Una bella, puntuale, affettuosa ricostruzione della figura, della vicenda, dell'opera, del magistero, della testimonianza di Primo Levi. "Con lui hanno debiti di gratitudine i milioni di persone che hanno letto i suoi libri, e persino coloro che non li hanno letti, ma godono indirettamente della luce che da quei libri promana" (p. 129). 7. LETTURE. ROBERTO SAVIANO: GOMORRA Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori, Milano 2006, 2007, pp. 334, euro 15,50. Un coraggioso lavoro di inchiesta, descrizione, interpretazione e denuncia. Un libro che e' un efficace strumento di lotta contro la camorra (e per averlo scritto l'autore ha subito gravi minacce dai poteri criminali). 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 78 del 3 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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