Minime. 78



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 78 del 3 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maso Notarianni: Cosa aspettiamo?
2. Non piu' dimidiata e cieca
3. Federica Giardini: La forza e la grazia. Di una certa femminilizzazione
della forza
4. Mario Tronti: Antonio Gramsci
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. Letture: Ernesto Ferrero, Primo Levi
7. Letture: Roberto Saviano, Gomorra
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. AFGHANISTAN. MASO NOTARIANNI: COSA ASPETTIAMO?
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 2 maggio 2007 dal titolo "Afghanistan: cosa aspettiamo ad
andarcene?".
Maso Notarianni, giornalista, e' impegnato nell'esperienza
dell'organizzazione umanitaria Emergency e dirige "Peacereporter"]

Cinquantuno civili morti. Questo il risultato dell'azione militare
statunitense nella provincia di Herat, che dovrebbe essere sotto il
controllo delle nostre truppe. Ma le nostre truppe, di quell'attacco,
nemmeno sono state avvisate prima.
E se il risentimento verso gli occidentali, e anche verso gli italiani, era
alto, adesso nella provincia dove operano i "nostri ragazzi" e' davvero alle
stelle, e le manifestazioni anti-occidentali esplodono in ogni angolo
dell'Afghanistan, comprese le zone di competenza italiana.
*
Dovevamo portare aiuti umanitari: e' di ieri la notizia che 5 milioni di
euro stanziati per la ricostruzione ad Herat sono ancora in una banca di
Islamabad, intoccati e probabilmente intoccabili. La cooperazione civile non
riesce ad attivare progetti. Quelli che erano attivi prima dell'inizio del
conflitto sono oggi chiusi. Tutte le grandi e piccole organizzazioni
italiane o hanno chiuso i battenti, oppure rimangono con dei microprogetti
sempre utili, forse, ma non certo significativi.
L'ultima in ordine di tempo e la prima in ordine di importanza ad essere
stata costretta a lasciare il Paese e' stata Emergency. E proprio la vicenda
di Emergency dovrebbe portare buoni consigli al nostro presidente del
Consiglio, al nostro ministro degli Esteri e pure a quello della Difesa.
*
L'Italia ha investito 50 milioni di euro nella ricostruzione dello stesso
sistema giudiziario che ha rinchiuso da un mese e mezzo un suo cittadino,
Rahmatullah Hanefi, peraltro dipendente di una organizzazione italiana,
senza che sia mai stata formalizzata alcuna accusa, senza che gli sia stato
permesso di ricevere visite, senza che gli sia stato permesso di avere un
avvocato. Di questo caso si stanno occupando anche Amnesty International e
Human Right Watch. Sarebbe un caso devastante (e quanti altri ce ne sono?)
se si trattasse di un semplice cittadino afgano. Ma quello che peggiora la
situazione e' che questo signore afgano e' finito nei guai lavorando su
indicazione del governo italiano, facendo quel che il governo italiano gli
chiedeva di fare, e per riportare a casa la pelle di due cittadini italiani,
Gabriele Torsello prima e Daniele Mastrogiacomo poi.
D'Alema dice oggi che la condotta delle autorita' di Kabul sara' "un metro
importante per la valutazione circa la serieta' di intenti per la
costruzione di uno stato di diritto" delle autorita' afgane. Bene, ha un
solo difetto questa frase del nostro ministro degli Esteri. Il verbo
all'indicativo futuro. Quando, lo sara', visto che e' da due mesi che il
governo afgano calpesta la faccia dell'Italia violando ogni diritto alla
liberta' e alla difesa di un cittadino che non ha fatto altro che
accondiscendere, e davvero malvolentieri, alle richieste fatte proprio da
D'Alema e Prodi?
*
Ma qualcuno ci vuole spiegare che senso ha rimanere ancora in un paese dove
tutto dimostra che la democrazia e la civilta' che dovevano portare gli Usa
e i loro alleati sono scappate insieme alle centinaia di migliaia di
profughi?
E dove le bombe (come era prevedibile, peraltro) hanno ottenuto solo lo
scopo di far rimpiangere alla popolazione il governo dei talebani?
Ci vogliono spiegare, D'Alema e Prodi, che senso ha investire ogni giorno
piu' di un milione dei nostri euro in una impresa fallimentare al punto che
gli statunitensi nemmeno ci avvisano prima di bombardare il "nostro
territorio" (ammazzando civili) e dove esistono leggi talmente segrete che
nemmeno al ministero della giustizia (a cui noi, e' bene ribadirlo, abbiamo
dato 50 milioni di euro) ne sono a conoscenza?
*
I francesi lo hanno capito. E da membri della Nato, e alleati degli Stati
Uniti, hanno scelto: i loro militari lasceranno al piu' presto
l'Afghanistan.

2. RIFLESSIONE. NON PIU' DIMIDIATA E CIECA

Qui e adesso quel che occorre e' una legge elettorale che rimedi alla piu'
lunga catastrofica mutilazione della democrazia (e quindi della democrazia
denegazione) che da tempo immemorabile scellerata persiste: la mutilazione
che effettualmente nega a meta' dell'umanita' pari presenza e potere nei
luoghi ove si decide di cio' che tutti riguarda.
Occorre qui ed ora una legge elettorale che consenta una effettuale
democrazia rappresentativa nelle assemblee pubbliche elettive, una
democrazia paritaria e duale, che preveda una uguale presenza di donne e di
uomini, meta' e meta'.
Una legge elettorale che riconosca e ponga mano a un'emergenza democratica,
un'urgenza civile, un'esigenza morale e intellettuale: la necessita' di
contrastare la cultura patriarcale, che e' la cultura - detto meglio: la
barbarie - della denegazione di umanita' all'altra e all'altro, l'ideologia
e la prassi della guerra e dello stupro, dello sfruttamento della sfera
della vita fino all'esaurimento, l'alienata dominazione solipsista,
nichilista, onnicida.
Occorre una legge elettorale per una democrazia rappresentativa non piu'
dimidiata e cieca.
Per informazioni, documentazione, contatti: www.50e50.it

3. RIFLESSIONE. FEDERICA GIARDINI: LA FORZA E LA GRAZIA. DI UNA CERTA
FEMMINILIZZAZIONE DELLA FORZA
[Ringraziamo Federica Giardini (per contatti: fgiardini at uniroma3.it) per
averci messo a disposizione questo suo testo gia' apparso sulla prestigiosa
rivista "DWF", nel n. 2-3 del 2005 (per indici ed estratti della storica
rivista: www.dwf.it).
Federica Giardini e' docente di filosofia politica presso l'Universita' Roma
Tre, acuta saggista, redattrice della rivista femminista "Dwf". Tra le opere
di Federica Giardini: Relazioni. Fenomenologia e pensiero della differenza
sessuale, Luca Sossella Editore, Roma 2004]

Kill Bill vol. 1. e vol 2, di Quentin Tarantino, con Uma Thurman, Usa, 2003.
La storia e' quella di un percorso di giustizia che si fa vendetta. Themis,
dea delle leggi eterne, che regola i cicli naturali e i rapporti tra i
sessi, che si fa Nemesis. E' lo spirito della tragedia greca, riappropriato
dall'immaginario di oggi, quello occidentale, no, piu' precisamente, quello
statunitense ibridato da altre culture, qui l'oriente della tradizione
giapponese e cinese. Uma Thurman, nome in codice Black Mamba, che,
massacrata al momento delle nozze e gia' in attesa di una figlia, si
trasforma in una perfetta macchina vendicatrice: unico movente la
distruzione del suo, mancato, assassino, Bill. Livello dopo livello,
arrivera' a portare a termine l'ingiunzione. Il titolo "Kill Bill" ricorda
infatti quei comandi, elementari e netti, con cui funzionano le macchine, i
computer: "copia", "incolla" o "termina". E l'inesorabilita' del Fato.
*
Sequenze
Due madri in cucina. Black Mamba suona alla porta di una placida villetta
suburbana. Breve conversazione con la padrona di casa, una delle autrici del
suo massacro. Inizia una lotta distruttrice, a base di coltelli, padelle,
mobili sventrati. Di la' dalla vetrata arriva uno scuolabus, la figlia sta
rientrando a casa. Le due furie, istantaneamente e simultaneamente,
nascondono le armi dietro la schiena.
Un elemento della forza e' l'implacabilita' della sua espressione che,
altrettanto implacabilmente, sa fermarsi. Come quando si parla contro
qualcuno su qualcosa che non va, con intensita' e determinazione. E ci si
ferma prima di ferire la' dove si avverte il punto debole. Una forza che
conosce la misericordia. Implacabilita' non e' infierire, e' una furia
precisa, che ha tatto. L'uno non intralcia l'altra, sanno avvicendarsi con
rapidita': c'e' il tempo del passo in avanti che incalza e stringe e c'e' il
tempo del fermarsi e del ristare. Come nel ritmo dell'umorismo - che ha per
condizione una certa aggressivita' - quello che tira l'affondo ma senza
provocare la stasi del trauma.
Inoltre, una forza che ha luogo nel quotidiano. Non piazze, non campi di
battaglia, non i luoghi deputati della tradizione maschile. Sorpresa: nel
dissociare la forza dall'eroismo, nel ricondurla all'ordinario, invece che
all'esterno dello spettacolare, non c'e' ripiegamento, tutt'altro, c'e'
esplosione del luogo dove si sta.
*
Un alluce, una tomba. Black Mamba e' appena uscita dal coma, e' paralizzata
dal busto in giu'. Si trascina in un luogo riparato - nella macchina del suo
stupratore che ha appena giustiziato - e comincia a incitare le dita dei
suoi piedi. "Tredici ore dopo", recita la didascalia, l'alluce si muove. "Il
piu' e' fatto", dice...
Sepolta viva da Budd, un altro che ha partecipato al suo massacro, Black
Mamba ansima, singhiozza. Poi silenzio. Il gesto successivo e' sciogliersi
dai lacci e il primo di una serie di pugni che sfonderanno il coperchio
della bara.
La forza non e' un tutto pieno, non e' uno stato costante, sempre manifesto.
La forza e' saper cercare e trovare riparo nei momenti di debolezza, o
peggio, nei momenti di paralisi, di disperazione. Inoltre, il momento di
riparo dallo sguardo altrui, dallo scambio effettivo, non e' mancanza di
esistenza. Qualcosa prosegue. Il rapporto tra se' e se'. Un raccoglimento,
ombroso eppure fecondo.
Differentemente dal mito maschile del potere che si costruisce a immagine e
somiglianza della forza fisica che auspica di avere, e che non ha - quanta
preoccupazione in merito alla presa del potere ma soprattutto sul suo
mantenimento e durata - la forza femminile rimane fedele a quel che dice il
corpo. Non sempre teso nell'eccitazione, anzi, corpo che chiede requie come
parte indispensabile. Provo a pensare a cosa sarebbe la cosiddetta sfera
pubblica se fosse agita cosi', cosi' diversa da quel dilemma tra la
sovraesposizione mediatica, unica che garantisce l'esistenza simbolica, e la
malinconia di chi e' uscito dal fascio di luce. Una sovversione degli
elementi del potere, dal leaderismo alle lotte per il primato (qualcosa del
genere sta accadendo in questi giorni di agitazione nella mia universita'
contro la "riforma Moratti": non c'e' un leader, non c'e' divisione di
cariche e incarichi, eppure circola autorita', nel pensiero, nelle
decisioni...).
*
La scelta della spada e l'apprendistato. Black Mamba impara la forza dalla
tradizione orientale in due diversi momenti: a Okinawa quando ottiene una
spada dal maestro Hattori Hanzo - "non ho detto 'mi venda', ho detto 'mi
dia' una spada... lei ha un obbligo verso di me" - e, tempo prima, nel lungo
e duro apprendistato con l'eremita e maestro di kung fu, Pai Mei. Solo a
lei, si scoprira', il maestro insegna la mossa dell"'esplosione del cuore
con cinque colpi delle dita".
Esiste oggi, cosi' ci restituisce l'immaginario, la possibilita' di
praticare una forza in cui corpo e anima vanno in uno, corpo soggettivo,
anima materiale. Dallo stesso mondo del lavoro ci viene l'idea di una
"femminilizzazione della forza", che andrebbe insieme alla gia' nota
"femminilizzazione del lavoro". Qui la forza non e' il prodotto di un corpo
ridotto alla sola dimensione fisica, come invece e' evocato nei "rapporti di
forza" (Weil 1984; Buttarelli 2005) che ritornano prepotenti nelle vicende
contemporanee - la guerra all'Iraq ne e' l'esempio per eccellenza - rapporti
che sfavoriscono le donne. La forza e' piuttosto una sapienza fisica, che
nasce dalla conoscenza dei limiti, che sa trarre partito anche
dall'obbedienza al necessario, che non e' mero esercizio di volonta'. E',
potrei dire con la politica delle donne, il corpo innervato dell'isterica
che avrebbe trovato il suo spazio simbolico, senza amputarsi della potenza
del corpo e dell'obbedienza che si deve alle sue verita', senza rinunciare a
trasformarla in pensiero. E' quella sapienza, conoscenza guadagnata solo
attraverso la carne dell'esperienza, non solo mentale, non solo concettuale,
che meritera' a Beatrice Kiddow (il vero nome di Black Mamba), la
trasmissione della mossa che da' la morte con misericordia.
*
Due fratelli e una sorella. Bill e' il fratello maggiore di Budd, entrambi
responsabili del tentato massacro. Ma in due modi ben diversi: il primo
ancora patriarca, vuole dare la morte a Black Mamba con onore, il secondo
gia' fratello che, sul piede di parita', la seppellisce viva e la irride.
Elle Driver, altro membro della banda, e' sorella anch'essa, nella
spietatezza e mancanza di lealta' con cui combatte Black Mamba, non e' un
caso che sia lei a uccidere il maestro Pai Mei.
Questo inquietante terzetto rida' la misura del rischio che si corre oggi
volendo aggiungere alla "Carte du tendre" - la mappa del cuore delle
preziose - la forza estrovertita di una donna. Terreno insidioso che mi
prepara alleanze illusorie con i patriarchi sopravvissuti - almeno il senso
della loro superiorita' rispetto alle donne li esime dall'esercizio della
violenza nuda e cruda - che mi toglie ogni riparo dall'uomo che, in quanto
mio pari, non risparmia colpi oppure che accomunandoci, fratelli e sorelle,
nella stessa antropologia sconfitta e violenta, mi chiama a proteggerci
insieme attraverso procedure formali, neutre, democratiche (Derrida 2003).
*
Sciogliere la forza dalla violenza, collocarla in altre sequenze
Parlare di esperienza femminile della forza ha un margine di incognita,
inquietante. Per almeno due ragioni: perche' i tempi e i fatti annodano la
forza e la violenza, fino a farne una cosa sola: con Lynndie England,
violenta a Abughraib concentrata sui suoi commilitoni, da emulare, da
superare nella realizzazione della virilita', e con quelle quattro ragazzine
incendiarie  di Parigi che lo hanno "fatto piu' per gioco che per volonta'
di uccidere" ("Le Monde", 5 settembre 2005). E perche' partire dalle donne
come "sesso debole", come sottoposte a forza e violenza altrui, e' stata
risorsa per quel femminismo che di tale debolezza ha approfittato per
cercare e inaugurare un differente ordine delle relazioni.
Metto a tacere queste ragioni - per un momento, il tempo di dare spazio a
un'intuizione: la gioia fisica con cui ho reagito al film.
*
L'opera e la differenza. Tarantino, volente e anche no, ha creato, facendosi
animare dall'aria del tempo che tira sulle relazioni tra i sessi,
l'occasione per dare corpo simbolico alla forza femminile. A che condizione
quel film e' aggiunta e mutamento?
Non e' la sequenza per intero che suscita gioia, nel corpo di una donna del
XXI secolo. Non e' il senso della storia, non e' l'intenzione, colta,
ironica, del regista, non e' la sua visione. Sono singoli particolari, brevi
sequenze di fotogrammi quelli cui il corpo ha reagito cosi' felicemente.
In tempi di fine patriarcato, il rapporto tra l'opera, l'autore - in questo
caso - e chi la riceve e la restituisce scombina le tensioni tra i sessi
cosi' come il pensiero li aveva collocati. La disposizione dominante non si
riassume in un'impresa di cattura: la figura femminile inventata da un
autore non si limita ad essere l'ennesima occasione della presa
dell'immaginario maschile sul corpo e sui moventi femminili (Laura Mulvey
1978). La disposizione della tensione non sta pero' nemmeno nel far decadere
la differenza tra i sessi: che l'artista sia uomo o donna non conta nel
momento in cui l'atto poetico/artistico attinge alla sua verita' (Julia
Kristeva 1979). Piuttosto l'artista sa vedere e restituire quel che accade a
una donna oggi, anche se non sempre e non del tutto. E, soprattutto, chi
riceve quell'opera ha la consistenza simbolica per prendere quel che trova
di vero e lasciar cadere il resto. In maggiore liberta', forte del pensiero
e della politica delle donne, forte della mediazione di un corpo di donna,
tra me e l'opera di Tarantino i movimenti, anche quelli di Uma Thurman.
*
Dalla forza alla forza. Gioia, dicevo, per la determinazione implacabile e
precisa, l'eleganza, la bellezza di quel corpo di donna che in ogni
centimetro e' innervato dal pensiero. Felicita'. La gioia di quando si
spezza un tabu' e lo si fa bene, senza strascichi, senza risentimenti. Quale
e' il tabu' che quella figura di donna spezza? Non certo quello che
graverebbe sul pensare la forza femminile. Perche' la forza non e'
sconosciuta alle donne (Putino 1988). Sesso debole, va bene, ma perche' in
difetto della forza degli oppressori e dei violenti. Se questa mancanza,
costruitasi in millenni, va salutata come una fortuna, da coltivare come
cosa preziosa, non di meno il sesso debole ha conosciuto la sua forza. E'
quella della cura, della determinazione nel nutrire e dare ordine alle
relazioni, del silenzio pubblico che pure, anzi proprio per questo, poteva
intervenire con vera potenza sul terreno che le era proprio. E' anche quella
forza - che oggi gira un po' in tondo, trovo - che, di fronte al danno
ricevuto, tesse e ritesse parole pur di trovare un senso che salvi, se non
lei e l'aggressore, perlomeno un ordine del mondo.
Il tabu' spezzato riguarda piuttosto l'oscenita', la vergogna, il senso di
colpa per una forza espressa, rivolta verso l'esterno, con tutta la
consistenza di stati e movimenti fisici. Espressione, quel verso fuori,
difficile da praticare anche oggi - in tempi in cui il desiderio femminile
e' esposto all'aperto del mondo intero - tanto da farsi conoscere
innanzitutto come potenza introvertita che si manifesta, di nuovo, in
sintomi corporei: dalla depressione, alle crisi di panico, alla frenesia di
corpi che si agitano a vuoto come un criceto in gabbia e la sua ruota. Forza
che c'e' e che, non avendo pane per i propri denti, addenta se stessa.
Espressione dunque che tanto spesso viene meno o neanche si da', per tanti
motivi: perche' prende troppo posto e dunque rischia di toglierne all'altra
ma anche all'altro; per paura, perche' evoca abbandono, distruzione, morte
di se', dell'altra, dell'altro; per paura, ancora, perche' espone alla
disillusione di quel che si poteva immaginare nel chiuso protetto delle
fantasie; perche' l'andar fuori da' conto, misura il possibile e
l'impossibile, con una precisione impietosa che non sempre si e' in grado di
tollerare.
Tabu' l'ho chiamato, perche' non si tratta qui di difficolta' o vicende
soggettive, e' in gioco un dispositivo importante, necessario, strutturante,
che ha attribuito posizione alle donne, con tutti gli svantaggi ma anche i
vantaggi. Un tabu', ancora prima di vietare, da' ordine e dunque orienta
nelle relazioni tra se' e se' e con gli altri, da' identita'. Infrangerlo
non consiste nell'iscriversi, in questo caso, a corsi di autodifesa o nel
leggere manuali su come avere fiducia in se stesse. Infrangerlo spezza un
ordine delle relazioni, e' un reato, con tutto quel che comporta, di
liberta' guadagnate, di minacce di sanzione e di vuoti che si creano.
*
Streghe nuovamente apprendiste e sequenze interrotte. Il cielo non splende
su questa forza femminile, che al momento e' piu' un'intuizione che un fatto
simbolico. Se e' vero che i guadagni della liberta' tra donne e tra i sessi
non sono mai dati una volta per tutte, ebbene stavolta ci ritroviamo in un
mondo che ha perso le forme simboliche della forza femminile e ripesca forme
ataviche per quella di oggi, maschile o femminile che sia. Eppure qui si da'
uno spazio rilevantissimo per quella politica del simbolico che le donne
hanno praticato, ad alcune condizioni.
Beatrice ha una figlia, non una madre. Si e' risucchiate dalle offerte del
simbolico contemporaneo, dalle sue sequenze obbligate, se si perde il senso
e l'orientamento che ci danno le genealogie femminili, ivi compresa la
relazione con la politica delle donne che ci precede.
Black Mamba non ride mai. Avere forza senza saperlo, senza farne cioe' una
pratica, nominabile e dunque condivisibile, ci rende o violente
inconsapevoli o prigioniere dei fatti. Ridere e' lo spazio del respiro, e'
la distanza, estrovertita, tra se' e il dato. E' anche il segno di una forza
espressa senza creare ristagni, risentimenti. La gioia in lampi.
Fare storia non e' un film. E' solo nella relazione con altre e, ora, con
altri, con la politica, che si puo' arginare e interrompere la forza
d'inerzia dell'immaginario contemporaneo, quello che tacitamente prescrive i
nessi e gli esiti di vissuti e azioni.
*
Queste considerazioni sono solo un inizio ma contano gia' alcuni precedenti:
- Angela Putino, La donna guerriera, "DWF" 1988, n. 7, pp. 9-14.
- Annarosa Buttarelli, "Rapporti di forza, forza dei rapporti", relazione al
grande seminario di Diotima, Universita' di Verona, 15 ottobre 2004.
- Annarosa Buttarelli (cura), Dedicato alla forza femminile, "Via dogana"
55, giugno 2001.
Simone Weil, L'Iliade o il poema della forza, in La Grecia e le intuizioni
precristiane, Borla, Roma, 1984 (1939).
*
Altri testi citati:
- Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, "DWF" 1978, n. 8, pp.
26-41.
- Julia Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia,
1979 (1974).
- Jacques Derrida, Forza di legge. Il "fondamento mistico dell'autorita'",
Bollati Boringhieri, Torino 2003 (1994).

4. MEMORIA. MARIO TRONTI: ANTONIO GRAMSCI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 aprile 2007 riprendiamo il seguente
intervento, tenuto da Mario Tronti il 17 aprile 2007 alla Camera dei
Deputati, li' apparso col titolo "L'uomo che ha afferrato il fulmine a mani
nude".
Mario Tronti (Roma, 1931), teorico e militante della sinistra italiana,
docente universitario di filosofia, partecipe di rilevanti esperienze di
riflessione e di impegno. Tra le opere di Mario Tronti: Operai e capitale,
Einaudi, Torino 1971; Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977;
Il tempo della politica, Editori Riuniti, Roma 1980; Con le spalle al
futuro, Editori Riuniti, Roma 1992; La politica al tramonto, Einaudi, Torino
1998.
Antonio Gramsci, nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a
Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del
carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita'
umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci:
l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in
corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle
Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci:
nell'immensa bibliografia gramsciana per un avvio si vedano almeno le
monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Paladini Musitelli, Santucci,
Spriano. Un utile strumento di alvoro e' l'edizione ipertestuale dei
Quaderni del carcere in cd-rom a cura di Dario Ragazzini, Einaudi, Torino
2007, ed anche in supplemento a "L'unita', Nuova iniziativa editoriale, Roma
2007]

Ho riflettuto a lungo sul perche', pensando a Antonio Gramsci, scatti in me,
subito, per istinto, un titolo: la figura del grande italiano. Sara' che
questo nostro paese continua a metterci di fronte una sostanziale
ambiguita': da un lato la debolezza politica della storia italiana,
dall'altro lato il paese forse piu' politico del mondo, in tutte le sue
componenti sociali e popolari. Noi abbiamo inventato la politica per la
modernita'. Ne abbiamo fatto una forma, privilegiata, e un'espressione,
intensa, di pensiero umano. Perche' Gramsci ha cosi' a lungo pensato su
Machiavelli? Intanto: il grande italiano e' l'uomo del Rinascimento. Dietro
c'era la stagione magica che, fra Trecento e Quattrocento, aveva visto
svolgersi quella contraddizione lancinante, fondativa della nostra
successiva natura, la contraddizione tra una storia d'Italia, ancora molto
lontana dal presentarsi come tale, e una poesia, una letteratura, un'arte,
una filosofia, gia' italiane, in forme dispiegate e mature, con, in piu',
una naturale vocazione universalistica. Recitavamo, per l'intero mondo,
l'Oratio de hominis dignitate. Quello che Pico diceva, Piero raffigurava.
Ecco, Machiavelli viene fuori da qui. L'invenzione della politica moderna
viene fuori da qui: dal contesto storico tra Umanesimo e Rinascimento. Di
qui, la nobilta' del suo codice genetico.
*
Il moderno Principe
Uno di quei volumi Einaudi, dalla copertina grigio-scura, che presentavano,
per la prima volta, i Quaderni del carcere di Gramsci, portava per titolo:
Note su Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno. Era il 1953. Come
Machiavelli aveva chiosato la prima decade di Tito Livio, cosi' Gramsci
chiosa Il Principe. Geniale la sua interpretazione del partito politico come
moderno principe. Credo, ancora di una sconvolgente attualita'. "Il moderno
principe, non puo' essere una persona reale, un individuo concreto; puo'
essere solo un organismo; un elemento di societa' complesso nel quale gia'
abbia inizio il concretarsi di una volonta' collettiva, riconosciuta e
affermatasi parzialmente nell'azione. Questo organismo e' gia' dato dallo
sviluppo storico ed e' il partito politico; la prima cellula in cui si
riassumono dei germi di volonta' collettiva che tendono a divenire
universali e totali". Non e' il caso di nascondere le ombre che il tempo
storico allunga su questa luce di pensiero. Non e' un'orazione apologetica
che ci interessa: il distacco critico dagli autori, tanto piu' dai propri
autori, e' un obbligo intellettuale. Quell'aggettivo "totali" fa riflettere.
La storia del partito politico nel Novecento ha messo in campo progetti
universalizzanti ma ha anche raccolto risultati totalizzanti. Marx e
Machiavelli vuol dire "il partito non come categoria sociologica, ma il
partito che vuole fondare lo Stato": fondare lo Stato, non farsi Stato.
Non e' questo pero' il punto centrale dell'argomentazione gramsciana.
Gramsci aveva profeticamente previsto le possibili degenerazioni del partito
che si fa Stato, cioe' della parte che si fa tutto. E ne aveva sofferto, in
carcere, non solo intellettualmente. Il suo problema politico era gia'
allora, nella temperie terribile di quegli anni Trenta, come sfuggire alla
trasformazione, non piu' incombente ma in atto, delle masse in folle
manovrate e delle elites in oligarchie ristrette. Il problema originalmente
comunista di Gramsci - vorrei dire, se questo non disturba troppo,
l'originale leninismo di Gramsci - e' la costruzione di un rapporto virtuoso
tra classe dirigente e classe sociale. Il mito - usa lui questa parola e
voglio usarla anch'io - del partito-principe e' l'organizzazione di una
volonta' collettiva, "elemento di societa' complesso", come l'unica forza in
grado di contrastare l'avvento della personalita' autoritaria. Anche qui de
nobis fabula narratur. Io penso che oggi noi dovremmo rideclinare le analisi
dei francofortesi intorno alla personalita' autoritaria sulla misura di un
nuovo soggetto, che definirei personalita' democratica. Si sta intrecciando
qui un nodo di problemi strategicamente rilevanti per i sistemi politici
contemporanei. Attenzione: questa invocazione del leader forte non nasconde
pericoli autoritari - la liberale bilancia dei poteri funziona ancora -
piuttosto fa vedere il pericolo di una delega diretta, immediatistica, al
decisore politico, questa volta un individuo e non un organismo, da parte di
una moltitudine formata da una cosiddetta gente, dai forti umori
antipolitici.
*
Nato per l'azione
Antonio Gramsci - da mettere in una ideale galleria di grandi italiani del
Novecento politico, di tradizione cattolica e liberale, da Sturzo a Dossetti
a Einaudi - questi uomini postumi per le loro virtu', servono, vanno fatti
servire, come vaccino contro le malattie contagiose delle democrazie
contemporanee: l'antipolitica, il populismo, il plebiscitarismo. La
personalita' democratica come personalita' non carismatica e tuttavia
demagogica, eterodiretta dalla sua immagine, in sudditanza rispetto alla
dittatura della comunicazione, onnipresente come figura, inconsistente come
persona.
A questo punto vorrei non dare l'impressione di edulcorare il personaggio
Gramsci, iscrivendolo nel ruolo non esaltante di Padre della Patria. Non si
puo' parlare di Gramsci restando neutrali. Scrisse di se', dal fondo del
carcere fascista: "Io sono un combattente, che non ha avuto fortuna nella
lotta pratica". Non era un'anima bella. Nato per l'azione, circostanze
esterne lo costringono a diventare uomo di studio. Se dovessi riassumere in
una definizione l'insegnamento che Gramsci ci lascia, direi cosi': come un
uomo di parte possa diventare risorsa della nazione, senza dismettere la
propria appartenenza, ma agendola nell'interesse di tutti. Gramsci ci dice
che, machiavellianamente, la politica non ha bisogno dell'etica per
nobilitarsi. Si nobilita da se', sollevandosi a progetto altamente umano.
Gramsci non e' solo i Quaderni del carcere. C'e' un Gramsci giovane che si
fa amare, se possibile, ancora di piu'. Lo scoprimmo nei magici anni
Sessanta, quando fummo forse ingenerosamente ostili alla sua linea culturale
"nazionale-popolare", la famosa linea De Sanctis-Labriola-Croce-Gramsci, a
cui rivolgevamo l'accusa di aver oscurato la grande cultura novecentesca
mitteleuropea, che fummo costretti a scoprire per altre vie. Ci bevevamo gli
articoli scritti per la rubrica "Sotto la mole" per l'edizione piemontese
dell'"Avanti!". O sulla "Citta' futura", numero unico della Federazione
giovanile socialista piemontese. Qui quell'articolo (febbraio 1917) che
comincia con le parole: "Odio gli indifferenti": "Sono partigiano, vivo,
sento nelle coscienze virili della mia parte gia' pulsare l'attivita' della
citta' futura che la mia parte sta costruendo". O gli articoli su "Il grido
del popolo", quello famoso e scandaloso: "La rivoluzione contro il
Capitale". La rivoluzione dei bolscevichi contro Il Capitale di Carlo Marx.
Se si potessero rileggere, oggi, senza il velo delle ideologie dominanti,
quelle righe in "Individualismo e collettivismo"! "All'individuo capitalista
si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio la cooperativa: il
sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la libera
concorrenza, la obbliga a forme nuove di liberta' e di attivita'". E
soprattutto gli articoli de "L'ordine nuovo", settimanale di cultura
socialista, che Gramsci fonda il primo maggio 1919 e che poi diventera'
quotidiano. Li' si organizza il gruppo che dara' vita al Partito comunista
d'Italia, che come si vede non subito ma fin dalle tesi di Lione del 1926,
nascera' non solo contro i riformisti ma anche contro i massimalisti.
Gramsci nasce, politicamente e intellettualmente, a Torino. Davanti a lui,
il biennio rosso, l'occupazione operaia delle fabbriche, l'esperienza dei
consigli operai. La vera universita': la grande scuola della classe operaia.
Del resto, ormai lo sappiamo: o si parte da li', o si raggiungono solo
quelli che oggi si chiamano non-luoghi. "L'ordine Nuovo", settembre 1920:
"L'operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni,
disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto
ore per il partito, per il sindacato, per la cooperativa, e', dal punto di
vista della storia dell'uomo, piu' grande dello schiavo o dell'artigiano che
sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera".
Gia' Togliatti, nel ricordo che scriveva, nel 1937, appena dopo la morte di
Gramsci, diceva: "Il legame di Antonio Gramsci con gli operai di Torino non
fu soltanto un legame politico, ma un legame personale, fisico, diretto,
multiforme".
*
Tra direzione e comando
Non ci sono due Gramsci. L'operazione di valutare il Gramsci studioso e di
svalutare il Gramsci politico e' senso comune intellettuale corrente, e come
tale va abbandonato a se stesso. Specialista + politico e' formula
gramsciana risolutiva. Dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e di qui
alla concezione umanistica-storica, senza la quale si rimane specialista e
non si diventa dirigente. Il modo di essere del nuovo intellettuale sta nel
mescolarsi attivamente nella vita pratica, come costruttore, organizzatore,
persuasore, non puro oratore. Quindi, per Gramsci, l'equivalente di politico
e' dirigente, armato pero' di cultura tecnica, scientifica, umanistica. Qui
c'e' la preziosa distinzione gramsciana tra direzione e comando, tra guidare
e imporre. Questo vale per il gruppo dirigente nei confronti del partito,
vale per il partito nei confronti dello Stato, vale per lo Stato nei
confronti della societa'.
Egemonia non e' solo cosa diversa, e' cosa opposta a dittatura. Sul concetto
di egemonia pesa ancora un'incomprensione di fondo e una falsificazione di
fatto. Non c'e' pratica di egemonia senza espressione di cultura. Praticare
egemonia e' una cosa molto complessa, direi raffinata: vuol dire guidare
seguendo, essere alla testa di un corso storico gia' in movimento, e che fa
movimento anche in virtu' delle idee, idee-guida, idee-forza che tu ci metti
dentro. Una politica senza cultura politica, non cercatela in Gramsci.
Scriveva nei Quaderni: "Il grande politico non puo' che essere 'coltissimo',
cioe' deve 'conoscere' il massimo di elementi della vita attuale; conoscerli
non 'librescamente', come 'erudizione', ma in modo 'vivente', come sostanza
concreta di 'intuizione' politica". Tuttavia - aggiungeva - perche' in lui
diventino sostanza vivente occorrera' apprenderli anche librescamente.
Ho sempre pensato che le due culture non sono, come si dice, la cultura
scientifica e la cultura umanistica. Sono la cultura del popolo e la cultura
degli intellettuali. Due cose diverse: non si identificano, non si sommano,
non si confondono. Eppure un ponte di dialogo e di scambio tra queste due
esperienze culturali, deve esserci e devi trovarlo. C'e' una cultura
materializzata nel lavoro, interiorizzata nel lavoratore: un orizzonte che,
per un intellettuale di parte, e' come la bussola per il marinaio, ti indica
la rotta dove devi andare a cercare, a capire, a scoprire. E' difficile
comunicare la tranquilla forza di pensiero che ti conferisce l'essere, il
sentirsi, radicato in questa parte di mondo. L'unico luogo sicuro e libero
da quella nevrosi narcisistica che e' la maledizione del lavoro
intellettuale. La figura gramsciana dell'intellettuale organico, al partito
e alla classe, puo' essere oggi demonizzata e derisa solo da chi non sarebbe
mai stato capace di esserlo.
*
Il braccio e la mente
Ebbene, quel ponte tra le due culture lo ha costruito quella figura storica,
quel soggetto politico della modernita' che si chiama movimento operaio. E
lo ha fatto, generando coscienza e organizzazione delle masse e al tempo
stesso creando pensiero, teoria, cultura alta. Analisi scientifica delle
leggi di movimento dei meccanismi di produzione e riproduzione sociale e
insieme progetti di liberazione politica.
Mi sento di esprimere una convinzione profonda: piu' andremo avanti, piu' il
tempo si frapporra' tra noi e il passato, piu' ci accorgeremo che tutte le
derive negative, anche tragicamente negative, non bastano per cancellare la
grandezza del tentativo. Penso che, come soggetti politici di consistenza
storica, dovremmo affrettare il momento di poter tornare a parlare, ognuno
di se', con onesta': in realta', non sappiamo con chi e con che cosa
sostituire quelle componenti popolari, di matrice cattolica, socialista,
comunista, piu' quelle elites di ispirazione social-liberale, che, tutte
insieme, hanno fatto la storia recente di questo paese: perche' esse non
erano societa' civile, erano societa' reale.
Concludo cosi': abbiamo individuato alcuni punti di attualita' dell'opera di
Gramsci.
E alcuni dei presenti qui potrebbero suggerirne altri. Ma quando ripensiamo
alla vita, anzi all'esistenza, dell'uomo, proprio in quanto uomo politico,
allora dobbiamo far ricorso al criterio nietzscheano dell'inattuale.
Qualcosa, o qualcuno, che non si puo' oggi riproporre e proprio per questo,
in se', vale.
Ho letto, in questi giorni, questo libretto di George Steiner, Dieci
(possibili) ragioni della tristezza del pensiero. Una delle ragioni, fonte
di melanconia, e' l'inadattabilita' oggi del grande pensiero agli ideali di
giustizia sociale. Scrive Steiner: "Non c'e' democrazia per il genio, solo
una terribile ingiustizia e un fardello che puo' essere mortale". Poi "ci
sono quei pochi, come diceva Hoelderlin, che sono costretti ad afferrare il
fulmine a mani nude". Ecco, e' tra quei pochi che dobbiamo "cercare ancora"
Gramsci.

5. PROPOSTA. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Si puo' destinare la quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle
persone fisiche, relativa al periodo di imposta 2006, apponendo la firma
nell'apposito spazio della dichiarazione dei redditi destinato a "sostegno
delle organizzazioni non lucrative di utilita' sociale" e indicando il
codice fiscale del Movimento Nonviolento: 93100500235; coloro che si fanno
compilare la dichiarazione dei redditi dal commercialista, o dal Caf, o da
qualsiasi altro ente preposto - sindacato, patronato, Cud, ecc. - devono
dire esplicitamente che intendono destinare il 5 per mille al Movimento
Nonviolento, e fornirne il codice fiscale, poi il modulo va consegnato in
banca o alla posta.
Per ulteriori informazioni e per contattare direttamente il Movimento
Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

6. LETTURE. ERNESTO FERRERO: PRIMO LEVI
Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007, pp. VI
+ 138, euro 9,50. Una bella, puntuale, affettuosa ricostruzione della
figura, della vicenda, dell'opera, del magistero, della testimonianza di
Primo Levi. "Con lui hanno debiti di gratitudine i milioni di persone che
hanno letto i suoi libri, e persino coloro che non li hanno letti, ma godono
indirettamente della luce che da quei libri promana" (p. 129).

7. LETTURE. ROBERTO SAVIANO: GOMORRA
Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di
dominio della camorra, Mondadori, Milano 2006, 2007, pp. 334, euro 15,50. Un
coraggioso lavoro di inchiesta, descrizione, interpretazione e denuncia. Un
libro che e' un efficace strumento di lotta contro la camorra (e per averlo
scritto l'autore ha subito gravi minacce dai poteri criminali).

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 78 del 3 maggio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it