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Minime. 43
- Subject: Minime. 43
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 29 Mar 2007 00:33:28 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 43 del 29 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Parliamo d'altro 2. Enrico Piovesana: Ridateci Rahmat 3. Lea Melandri: 1975, il '68 delle donne 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PARLIAMO D'ALTRO Parliamo d'altro, dice. No, non mentre state facendo la guerra, non mentre state ammazzando persone. Parliamo della guerra assassina, parliamo del dovere di farla cessare. Solo di questo ora dobbiamo parlare, solo a questo ora dobbiamo pensare, solo di questo ora dobbiamo occuparci. Ed il nostro primo pensiero sia: agisci affinche' la guerra finisca, agisci qui, agisci adesso. Agisci con la forza della verita', agisci con la scelta della nonviolenza. * La nonviolenza, o contrasta le uccisioni, si oppone alla guerra terrorista e stragista, salva le vite, o e' parola vuota e falsa, peggio che nulla. La nonviolenza, o e' lotta contro l'ingiustizia, lotta contro il crimine, lotta contro il male (e la guerra, che consiste di massacri e massacri, e' l'ingiustizia, il crimine, il male supremi), o e' parola vuota e falsa, peggio che nulla. No, non possiamo parlare d'altro finche' non avremo disarmato le mani assassine. 2. APPELLI. ENRICO PIOVESANA: RIDATECI RAHMAT [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 28 marzo 2007. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' in Afghanistan in qualita' di inviato. Rahmatullah Hanefi (Rahmat per le persone amiche), manager dell'ospedale di Emergency a Lashkargah, artefice fondamentale della salvezza della vita di Daniele Mastrogiacomo, e' stato sequestrato dai servizi segreti afgani; Emergency ha promosso un appello per la sua liberazione cui hanno gia' aderito migliaia di persone] Lashkargah, uffici dell'ospedale di Emergency, ultima stanza a destra, in fondo al corridoio. E' quella di Rahmatullah Hanefi, il responsabile della sicurezza e del personale dell'ospedale, arrestato dai servizi segreti afgani all'indomani della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Sulla scrivania di Rahmat sono rimaste tutte le sue cose: il suo computer portatile, le sue carte, la sua radio ricetrasmittente, la targa di pietra verde con il suo nome inciso sopra. Manca solo lui. Sul muro, dietro la sua sedia, e' appeso un volantino con la sua foto e la scritta "Liberatelo", lo stesso di cui sono tappezzati tutti gli uffici di Emergency. Ma su questo, qualcuno ha attaccato con lo scotch una bellissima rosa rossa. * "L'ho messa io", dice Ershad, 32 anni, capoufficio dell'ospedale, braccio destro di Rahmat - con cui condivide l'ufficio - ma soprattutto suo grande amico. "A Rahmatullah piacciono molto i fiori. E' una persona molto dolce, sensibile e allegra. Ci siamo conosciuti anni fa, nella prigione di Sheberghan, dove tutti e due lavoravamo nel progetto di assistenza sanitaria di Emergency in favore dei detenuti. Siamo subito diventati amici. Qui a Lashkargah lavoriamo fianco a fianco da oltre due anni. Sul lavoro Rahmat e' scrupoloso e inflessibile nel pretendere da tutto il personale locale, dagli infermieri ai cuochi, dai meccanici alle guardie, il ferreo rispetto della legge e delle regole di Emergency: chi sgarra se la deve vedere con lui. Qui dentro Rahmat e' rispettato, stimato e benvoluto da tutti. Subito dopo il suo arresto, decine di dipendenti sono venuti qui in ufficio a chiedermi se potevano organizzare una manifestazione qui a Lashkargah per chiedere la liberazione immediata di Rahmat: mi ci e' voluto parecchio per convincerli a non farlo, spiegandogli che la cosa rischiava di peggiorare la situazione invece che migliorarla". * "E' vero", conferma Mohammad, 41 anni, responsabile della mensa dell'ospedale. "Volevamo andare tutti a protestare davanti al palazzo del governatore, portandoci dietro tutti i pazienti dell'ospedale. Volevamo far capire che Rahmatullah non e' un criminale, ma una persona buona e generosa senza la quale tutta questa gente non avrebbe nessuna assistenza sanitaria. E a manifestare con noi ci sarebbero stati tutti i poveri della citta', perche' tutti sanno che e' grazie a Rahmatullah che Emergency ha avuto la possibilita' concreta di aprire un ospedale qui, offrendo cure mediche gratuite in una regione dove i medici speculano sulla salute della povera gente, si fanno pagare cifre enormi anche solo per una visita e si rifiutano di curare chi non ha soldi per pagare. E' per questo che Rahmat e' malvisto dai ricchi medici della citta', amici dei politici e dei funzionari locali. Forse Rahmat e' stato arrestato anche per questo: per togliere di mezzo una persona scomoda e mettere in difficolta' un ospedale amato dalla gente, ma non dai potenti di qui. Io e Rahmatullah siamo amici fin da bambini, da quando andavamo a scuola insieme: non ho mai conosciuto una persona migliore di lui". * "Conosco Rahmat da cinque anni", dice Shiraga', 52 anni, capo delle guardie - disarmate - che vegliano sulla sicurezza dell'ospedale e del suo personale. "Di lui mi hanno sempre colpito due cose: la grande bonta', il desiderio di fare del bene per la sua gente, e il coraggio, il non guardare in faccia a nessuno. Per Rahmat le regole sono uguali per tutti, non e' uno che si fa intimorire dai potenti. Per esempio, la regola di Emergency e' che nell'ospedale non puo' entrare gente armata. Beh, e' capitato diverse volte che politici locali o alti ufficiali militari volessero entrare in ospedale con le loro scorte armate. Rahmat e' sempre stato inflessibile, a costo di lasciarli fuori dal cancello facendoli infuriare. Oppure, spesso capita che militari e polizia vogliano entrare pretendendo di interrogare pazienti 'sospetti', che e' contro le regole di Emergency: grazie all'inflessibilita' di Rahmat, questa cosa non e' mai successa. E' normale che un uomo cosi' sia malvisto dalle autorita' locali, che quindi lo hanno voluto arrestare per vendetta, per dimostrare che qui comandano loro. Spero che lo rilascino presto, perche' qui a Lashkargah la situazione e' sempre piu' pesante, e senza Rahmat la sicurezza dell'ospedale e' a rischio". * "Rahmat mi ripete sempre: 'Noi non stiamo ne' con i talebani, ne' con il governo, noi stiamo con la popolazione civile, con la gente che ha bisogno'", dice Daoud, 33 anni, capo degli autisti di Emergency di Lashkargah e uomo di fiducia di Rahmatullah. "La neutralita' di Emergency e' sempre stata per Rahmat la regola fondamentale, la piu' importante. Qui a Lashkargah, terra di forte conflitto tra talebani e governo, e' lui a garantire il rispetto di questa neutralita', ed e' quindi lui a rischiare di essere considerato come 'nemico' sia dall'una che dall'altra parte. I talebani lo hanno piu' volte minacciato. E ora il governo lo ha arrestato. Rahmat ha sempre messo a rischio la sicurezza sua e della sua famiglia per garantire la sicurezza di Emergency. Nella vicenda del sequestro del giornalista italiano ha accettato di aumentare ancora questo rischio per salvare la vita di una persona. Io conosco Rahmatullah da tre anni e posso dire che la sua unica colpa e' di essere troppo buono, troppo generoso. Lui non ha mai fatto nulla di male, ha sempre aiutato chi chiedeva il suo aiuto. In questo caso Emergency aveva chiesto il suo aiuto per salvare uno straniero. Da anni Emergency chiede il suo aiuto per fare del bene alla gente di questa sfortunata regione dell'Afghanistan. Rahmat ha sempre fatto solo del bene". * "Rahmat e' una persona speciale, uno che fa sempre tutto quello che puo' per aiutare gli altri, andando spesso ben al di la' delle sue mansioni", dice Qeis, 27 anni, infermiere capo del pronto soccorso dell'ospedale, per il quale lavora, assieme a Rahmat, fin dalla sua apertura. "Per esempio, pochi mesi fa un infermiere della sala operatoria era stato arrestato dalle truppe britanniche solo perche' aveva avuto la sfortuna di abitare in un villaggio dove c'era stata un'imboscata dei talebani a un convoglio Nato. Rahmat e' andato a parlare con i comandanti britannici e lo ha fatto liberare. Rahmat e' un uomo molto coraggioso e generoso. Oltre che molto bravo nel suo lavoro. In questi giorni la sua assenza pesa molto sul regolare funzionamento dell'ospedale, sia in termini di gestione del personale che di condizioni di sicurezza. Senza Rahmat sarebbe molto dura andare avanti. Ne' e' pensabile di sostituirlo: come lui non ce ne sono. Devono rilasciarlo, non c'e' alcuna ragione perche' rimanga in galera". * "Rahmat deve essere liberato subito", gli fa eco Ahmadullah, 38 anni, responsabile della manutenzione tecnica della struttura e dei mezzi dell'ospedale. "Lui e' una figura indispensabile per il buon funzionamento dell'ospedale. E' una persona insostituibile per il ruolo fondamentale che ha qui dentro e soprattutto per la sua bravura e la sua efficienza. Tutti i dipendenti lavorano bene quando c'e' lui, tutti rispettano i suoi ordini. Rahmat e' un punto di riferimento indispensabile per tutti noi. Molti dipendenti, in questi giorni di sua assenza, si sentono quasi persi, disorientati. Siamo tutti molto preoccupati per lui, e non vediamo l'ora che torni. Appena lo libereranno gli faremo una grande festa di bentornato: abbiamo gia' fatto la colletta...". * "Io sono qui a Lashkargah da vari mesi", dice Luca De Simeis, 38 anni, responsabile della logistica di Emergency a Lashkargah, "e ho sempre apprezzato moltissimo il lavoro e la persona di Rahmatullah. Ma solo in questi ultimi giorni mi sono veramente reso conto di quanto lui sia importante per il personale afgano di questo ospedale. Mi e' stato riferito che molti dipendenti locali preferirebbero lavorare senza stipendio piuttosto che senza Rahmat. La sua presenza qui dentro da' sicurezza a tutti, costituisce un punto di riferimento, una guida in caso di dubbio, una fonte di stimoli. Rahmat e' un uomo di grande carisma, che gode di grandissima considerazione tra tutti i dipendenti. Oltre alla sua importanza all'interno dell'ospedale, Rahmatullah ricopre poi un ruolo chiave nei rapporti con l'esterno, con le autorita' locali: appena c'e' un problema di tipo politico o burocratico, lui va e risolve sempre la faccenda. Senza di lui, in questi giorni, e' diventato tutto piu' difficile e problematico". * "Rahmatullah ha sempre dimostrato, in ogni occasione, la sua estrema lealta' nei confronti di Emergency", racconta Gordana Tanaskovich, 41 anni, anestesista "veterana" dell'ospedale di Emergency di Lashkargah, dove e' venuta a lavorare in missione fin dalla sua apertura, nel 2003. "E' in nome di questa lealta' che Rahmat ha accettato di fare per Emergency delle cose che, lui lo sapeva benissimo, avrebbero messo a rischio la sua vita. Lo ha fatto per salvare Gabriele Torsello. Lo ha rifatto per salvare la vita di Daniele Mastrogiacomo. Risultato? Adesso sta in galera. Assurdo. E nessuno di questi signori, liberi grazie a lui, che alzi la voce per chiedere la sua liberazione. Sarebbe il minimo, no? Ma la cosa piu' vergognosa e' il disinteresse del mondo politico e mediatico italiano su questa vicenda: ennesima dimostrazione che la vita di un afgano non conta nulla in confronto a quella di un occidentale. Anche se l'afgano in questione ha rischiato e sta rischiando la sua vita per salvare quella di due occidentali". 3. MEMORIA. LEA MELANDRI: 1975, IL '68 DELLE DONNE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo pubblicato in "70. Gli anni in cui il futuro e' cominciato", n. 6, supplemento al quotidiano "Liberazione", marzo 2007. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Non saprei dire quale fosse nell'anno 1975 lo stato di salute del sistema capitalistico a livello mondiale, ma non sono cosi' sicura di aver perso quel senso di inadeguatezza che, insieme alla noia, mi prendeva ogni volta che i "metereologi della fase" - i leader politici capaci di analisi complessive - aprivano i loro discorsi con panoramiche ineccepibili, coordinate sicure entro cui collocare la sequenza degli avvenimenti. Se scorro la nuda cronaca dei fatti, che mi e' stata gentilmente fornita, ho l'impressione di essere testimone di un'altra storia, ritagliata e racchiusa entro linee chiare, ben marcate, per non perdere le passioni, le idee, le scoperte, le amicizie e gli amori che l'hanno attraversata. Ai protagonisti di un'epoca di eccezionali rivolgimenti, come ai sopravissuti di grandi tragedie, si perdonano le imprecisioni e la parzialita' dei ricordi, ma non e' nel mio carattere approfittarne. Cosi' vengo in soccorso alla memoria rileggendo, rimestando tra le carte del mio archivio, sfogliando riviste, articoli di giornale ingialliti, e a poco a poco comincia un viaggio che non ricordo di aver fatto, attraverso tempi e luoghi che riconosco solo per frammenti. E' come quando, vedendo un film per la terza, quarta volta, capita sempre quell'inquadratura che mi fa dire: "mi pare di averlo gia' visto". E' cosi' che scorrono, evocando pensieri e emozioni estremamente sfocate, i fatti che ancora occupano il primo posto nelle ricostruzioni storiche di quegli anni: gli scontri tra militanti di opposte fazioni, i morti di una parte e dell'altra, le sortite dei Nap e delle Brigate rosse, la liberazione di Renato Curcio dal carcere di Casal Monferrato, la morte in un conflitto a fuoco della sua compagna, Margherita Cagol, pochi mesi dopo. In sottofondo: occupazioni di case a Napoli e a Roma, scioperi operai contro la cassa integrazione e i licenziamenti, autoriduzione delle bollette. La guerra del Vietnam volge verso il suo epilogo, in Libano esplode la guerra civile tra cristiani maroniti e musulmani, in Portogallo si festeggia la "rivoluzione dei garofani rossi". * Schegge, frammenti imprecisi che si lasciano dietro l'alone di esperienze toccate solo marginalmente, realta' brucianti, subite con rabbia e dolore, tenute gia' allora a distanza in quanto impedimento alla "rivoluzione" imprevista che parlava un'altra lingua, nominava altre violenze, manifeste o invisibili, inventava teorie e pratiche sconosciute al materialismo storico e al movimento operaio. A qualche osservatore meno distratto dal fragore delle armi, l'anomalia del nuovo protagonista, il sesso femminile, che compariva inaspettato sulla scena pubblica, facendo balenare rivolgimenti ben piu' profondi e radicali di qualsiasi precedente sovversione sociale, non deve essere sfuggita, se leggo qua e la' nella stampa considerazioni analoghe: "il femminismo e' il fatto piu' importante che sia accaduto nella societa' italiana dai tempi della rivoluzione industriale"; "Non si era mai visto niente di simile dal '47, dalle grandi manifestazioni per il voto alle donne"; "E' il '68 delle donne". * Ma dove trovo finalmente la descrizione di "fase" che mi mancava, e' nel n.18-19 de "L'erba voglio", che compare nel gennaio 1975. E' una specie di editoriale non firmato, ma in cui riconosco la mano di Elvio Fachinelli. Nel quadro di insieme compaiono: la crisi economica, il passaggio della classe operaia a "gruppo protetto" rispetto ad altri e a scapito di altri; i segnali di una situazione prerivoluzionaria, come faceva pensare il controllo sociale di massa assunto dai sindacati e dal partito comunista, la costanza da parte del Pci "nel cercare l'abbraccio con una formazione politica sempre piu' disfatta", la Democrazia cristiana, equivalente "a cio' che in certi fumetti dell'orrore e' l'abbraccio tra Diabolik e la Morta Vivente". In una situazione in cui predominano insicurezza, senso di impotenza, sottoutilizzo dell'intelligenza e della passione degli uomini, "non meraviglia - scrive Fachinelli - che il solo tipo di azione realmente modificativa in corso sia quello promosso da piccoli gruppi animati soprattutto da cio' che a tutti gli altri sembra 'imprudenza'. Sotto questo aspetto ci sembra legittimo accomunare movimenti diversissimi, come, per esempio, il movimento per l'autoriduzione, le femministe, la sortita radicale per l'aborto". Liquidato per lo piu' dagli storici con pochi accenni, o fatto rientrare nelle battaglie per i diritti civili - divorzio, aborto, riforma del diritto di famiglia -, il movimento che compare da straniero sulla scena pubblica e che per almeno un anno la fa da padrone, attira l'attenzione dei giornali, che ne seguono gli sviluppi con curiosita', preoccupazione, paternalistici ammonimenti. Una documentazione puntuale, che non arretra nemmeno di fronte ai tortuosi percorsi della pratica dell'inconscio. * Ma e' solo verso la fine di un anno del tutto particolare per il movimento delle donne, dopo la grande manifestazione del 6 dicembre a Roma, mentre si discuteva in parlamento una criticatissima legge sull'aborto, che compaiono bilanci entusiasti: il femminismo ha compiuto la sua metamorfosi, dai piccoli gruppi elitari degli inizi alla sortita di massa. Forse, semplicemente, era arrivato la' dove era gia' atteso, in quelle piazze dove la ragione politica di sempre conta i suoi successi e le sue perdite, la sua incisivita' e la sua debolezza. Dopo aver scavato cunicoli nelle acque insondate della persona, del corpo, della sessualita', la rivoluzione silenziosa delle donne, forte di una coscienza nuova di se' e del rapporto con l'uomo, si sarebbe presa la sua rivincita, occupando i luoghi di una millenaria esclusione. L'"uscita all'esterno" - richiamo all'ortodossia della lotta di classe, nostalgia di ricomposizione contro il separatismo dei gruppi piu' radicali - portava gia' un vizio interpretativo: l'idea pregiudiziale di una gerarchia di bisogni e di valori, che le pratiche originali, "eretiche" del femminismo avevano sconvolto. La contrapposizione, sottolineata da storici e sociologi, tra "pratica analitica" e "pratica sociale", avrebbe tenuto il movimento delle donne diviso tra modificazione di se' e modificazione del mondo, autocoscienza e salario al lavoro domestico, esplorazione dell'inconscio e manifestazioni per l'aborto libero. Ma una lettura piu' attenta di resoconti di convegni e documenti in circolazione nel '75, mostra al contrario quanto la rilevanza e la diffusione che ha preso in quell'anno il femminismo sia stata proprio la messa in discussione di ogni falsa dialettica, di ogni fuorviante semplificazione dualistica. I temi del corpo, della sessualita', dell'analisi del profondo, invadono i collettivi di fabbrica, di quartiere, gli ambulatori, tanto quanto la teoria marxista dei bisogni, riportata sulla materialita' dell'oppressione sessuale delle donne e sulla "critica della sopravvivenza affettiva", impronta i due gruppi nati dal collettivo milanese di via Cherubini: il Gruppo Analisi, attivo fin dal 1974, e il Gruppo di pratica dell'inconscio. Con quest'ottica inedita, che sposta la politicita' del rapporto tra i sessi dalla sfera pubblica a quella personale, vengono assunti e fatti propri temi come l'aborto, la violenza contro le donne, imposti in prima battuta dall'esterno: il referendum promosso dal partito radicale, la nascita di centri per l'aborto e la contraccezione (Crac), il delitto del Circeo, le polemiche intorno al film Life Size. * Il 10 gennaio a Firenze vengono arrestati un ginecologo e 40 donne in uno dei centri di sterilizzazione sostenuti dai radicali. Arrestati anche Spadaccia e Adele Faccio. Gli fanno seguito, pochi giorni dopo, manifestazioni abortiste in molte citta'. Nello stesso mese, sulla rivista "L'erba voglio", n. 18-19, esce il documento Pratica dell'inconscio e movimento delle donne, alla cui stesura avevo preso parte insieme ad alcune femministe di via Cherubini. In quel momento, il Gruppo Analisi esiste gia', promosso, tra le altre, da Lia Cigarini, Luisa Muraro e Elena Medi, con l'intento di "tradurre nel movimento il rapporto analitico". Analiste e analizzate, presenti nello stesso gruppo, si impegnano in uno scambio continuo tra il sapere che viene dal rapporto analitico e dalla elaborazione collettiva. Non convinta del buon esito della sovrapposizione tra il vissuto personale che entra nel transfert analitico e il dover essere politico di cui si fa portatore il gruppo, do' avvio, insieme a una ventina di donne, a un secondo progetto: il Gruppo di pratica dell'inconscio. Ho accostato questi diversi accadimenti non per ragioni di vicinanza cronologica, ma perche' e' dal loro incontro-scontro che nasce il felice innesto tra sessualita' e politica, corpo e legge, individuo e collettivita', presa di coscienza e azione pubblica. Di questa ricerca di nessi, fuori da astratti dualismi, esempio insuperato resta, a mio avviso, il convegno che si tiene al Circolo De Amicis a Milano l'1-2 febbraio '75, la cui trascrizione compare nel "Sottosopra rosso", insieme ad altri documenti. "Il movimento delle donne da anni ha una pratica politica che investe la sessualita' e quindi anche il problema dell'aborto... e' una questione che ci riguarda in prima persona e tutti vogliono in questo momento coinvolgerci, dai preti ai partiti della sinistra extraparlamentare. Il ritrovarci tra noi significa che affrontiamo questa tematica nei modi politici che sono nostri. Non e' nel nostro interesse trattare il problema dell'aborto per se stesso. Il nostro sforzo e' invece di legarlo a tutta la nostra condizione, e in particolare alla nostra sessualita' e al nostro corpo". Pur nella scelta diversa di aderire o non aderire alle manifestazioni abortiste, quello che nessuna vuole e' che "l'aborto come il divorzio venga ridotto a un pezzo di riforma isolato dalla sessualita' dominante e dalla struttura sociale che ha fatto della donna una macchina per la riproduzione". * Nei mesi successivi la lezione che viene da Milano vince la diffidenza e l'esitazione dei collettivi femministi delle altre citta', in modo particolare dei gruppi romani. A San Vincenzo, sulla costa toscana, nella tarda primavera, avviene la prima verifica collettiva a livello nazionale, presente la Commissione psicanalisi del collettivo di via Pomponazzi. Raccontare oggi di centinaia di persone che si trovano a condividere per alcuni giorni stanze, bagni, pranzi, passeggiate, e, soprattutto, ore e ore di discussione senza nessun ordine del giorno, nessuna relazione introduttiva, nessun leader delegato in quanto tale a condurre il lavoro, desta incredulita'. Ma ancora piu' sorprendente e' sapere che, come e' accaduto a San Vincenzo, e' bastato che alcune donne di Roma si sdraiassero sulla spiaggia a prendere il sole senza reggiseno, attirando l'attenzione di alcuni ragazzi del luogo, perche' di questa "provocazione", nei suoi risvolti inconsci, si parlasse animatamente per due giorni. Al confronto di tanta passione, le nostre riunioni attuali, composte e asettiche, mi fanno pensare che i corpi si siano di nuovo eclissati, costretti nella posizione di spettatori muti. Benche' la pratica dell'inconscio sia rimasta esperienza di poche, la sua rinomanza, la curiosita' e le fantasie che ha scatenato nei media, hanno sorpassato di gran lunga altre iniziative che intanto facevano del femminismo una coscienza diffusa: i gruppi di medicina delle donne, i primi consultori autogestiti, i collettivi nei luoghi di lavoro e persino nelle fabbriche (Ibm, Face Standard, Siemens). Nascono librerie - la Libreria delle donne di Milano di via Dogana 2 apre nell'aprile - case editrici, riviste, teatri. Eppure l'occhio vigilante di una stampa affamata di novita' non si fa distrarre ne' confondere. "La mina antiuomo", come titola "l'Espresso" all'indomani dell'uscita dell'"Erba voglio" n. 18-19, e' che "dopo aver denigrato per anni la psicanalisi, quale scienza borghese e maschile, le femministe se ne sono impadronite e ora teorizzano tra l'altro rapporti completi tra donne per rilanciare il loro attivismo... Siamo dunque arrivati, per dirla chiara, a una svolta del movimento delle donne che portera' alla teoria dell'omosessualita' come pratica liberatoria?". * Nell'estate del '75, nei mesi di luglio-agosto, duecento donne invadono l'isola di San Pietro, Carloforte, sulla punta occidentale della Sardegna, in quella che restera' per me una vacanza memorabile, uno di quei passaggi che allargano gli orizzonti, mi verrebbe da dire "marini", della vita. Quel "trauma benefico", come lo defini' un simpatico giovane assessore comunista, oggi proprietario di uno dei piu' famosi ristoranti dell'isola, ha un'origine apparentemente casuale: un invito che mi viene fatto, insieme ad altre donne del femminismo a partecipare a un seminario all'Universita' di Cagliari; la prima volta che prendo un aereo, la prima volta che metto piede in Sardegna; il seminario che si trasforma in una animata assemblea di cinquecento studentesse. Con Betta, Annalisa, Silvana, che mi accolgono nella loro citta', si profila l'occasione di una vacanza a Carloforte, mi chiedono di dirlo "a qualche amica". Per quell'ossimoro vivente che ero allora, e che in parte ancora sono, solitaria e innamorata della collettivita', "qualche amica" diventa immediatamente il movimento delle donne. Mi e' difficile oggi ragionare sull'estate '75, sui cambiamenti che ha portato nella vita di molte di noi quella quotidianita' insolita, fatta di cene, balli, nuotate a grappoli, assemblee serali, risate e lacrime, amori e abbandoni, scoperte liberatorie per chi, come me, conservava il vago ricordo delle spiagge dell'Adriatico, quando l'"acqua alta", nel grido di allarme materno, era l'onda che arrivava al ginocchio, e che ora invece, con maschere e pinne, esplorava i fondali marini. C'e' una parola che esprime con precisione quella felicita' inquieta che mi apriva piaceri sconosciuti, che poi avrei ritrovato ogni anno, fino a oggi, come un sogno d'amore riuscito: "ebetudine", sintesi di beatitudine e inebetimento, pensieri che mi attraversavano quando, salendo e scendendo dagli scogli dove si ammassavano come in una scena biblica cinquanta donne nude, intente a spalmarsi di creme e di pensosi discorsi, mi ricordavo degli amici che erano partiti in quegli stessi giorni per il Portogallo attirati, come scrivera' Fachinelli sul n. 21 de "L'erba voglio", "da un processo rivoluzionario che coinvolge su scala di massa quei movimenti di base che dal '68 serpeggiano in Europa e che sono il dato rilevante di nuovi modi di far politica". Non so che segni abbia lasciato su Elvio il suo "tentativo de amor", al ritorno non abbiamo piu' avuto voglia di parlarne, mentre il nostro sodalizio di anni andava sciogliendosi. So che nell'estate dell'89, sei mesi prima della morte, ha trascorso alcuni giorni a Carloforte con la figlia Giuditta. Aveva lasciato che "il mare entrasse nella reggia di Creta", come nella suggestiva immagine che compare nelle pagine di apertura del suo ultimo libro, La mente estatica. Della vacanza femminista si continua a parlare nel convegno che si tiene in settembre a Firenze, ma su quella invasione pacifica e conturbante insieme, su cui non aveva pesato il piu' piccolo gesto di violenza da parte della popolazione locale, cala poco tempo dopo, come un'ombra che si e' voluto temporaneamente dimenticare, il massacro del Circeo. * E' il 30 settembre. La violenza contro le donne diventa da quel momento tema di riflessione, di interventi sui giornali, oggetto di un'ampia ricerca di dati e testimonianze raccolti dalla rivista "Effe". L'uscita del film Life Size, l'articolo di Pasolini sul delitto del Circeo, scritto poche ore prima di essere ucciso a sua volta tra il primo e il 2 novembre sul lido di Ostia, creano una specie di vortice, con collegamenti azzardati ma inevitabili. L'ultima delle sue "lettere luterane", Pasolini la scrive il 30 ottobre e la indirizza a Calvino che alcune settimane prima aveva commentato la violenza criminale di Izzo, Ghira e Guido contro Rosaria Lopez e Donatella Colasanti come il frutto di una generazione malata di neofascisti, figli della borghesia pariolina. A quel giudizio, che gli sembrava l'eco di "un discorso antico e meccanico", fatto di "certezze razionali, democratiche, progressiste", Pasolini contrappone la visione di una cultura e di una umanita' che sta cambiando, come conseguenza di un nuovo modo di produrre, che accomuna nell'esercizio della violenza i poveri delle borgate e i giovani borghesi. Sui fatti del Circeo e sulla interpretazione in chiave antifascista che ne viene data, scrive anche il Collettivo milanese di via Cherubini, in una lettera pubblicata sul "Manifesto" il 12 ottobre '75. "La provenienza sociale degli assassini, figli della ricca borghesia romana sono stati gli unici motivi che hanno fatto apparire questo episodio di violenza carnale sulle donne come un 'fatto politico'... La violenza dell'uomo sulla donna e' di per se' un fatto politico". * La notizia della morte di Pasolini arriva mentre e' in corso il secondo convegno nazionale del femminismo a Pinarella di Cervia. Il gruppo piu' affollato si e' dato come tema "individuo e collettivo: pratica dell'inconscio". La preoccupazione e' quella di trovare legami tra pratiche diverse, evitando di cadere in sterili contrapposizioni. Come sempre il discorso passa da una donna all'altra, senza nessuna che coordini, senza preiscrizioni a parlare, senza alzate di mano. Fluisce quasi spinto da logiche interne, impercettibili, con quell'"ordine" entro cui si dispongono le libere associazioni, che le fa assomigliare, come scrive Freud nei Casi di isteria, ai materiali di un archivio fatto per essere esplorato e riscoperto. L'oggetto di tre giorni di riflessione non poteva che essere quello di una pratica politica stretta tra il bisogno di scavare in profondita' nell'esistenza singola e la spinta altrettanto forte all'assunzione dell'orizzonte piu' ampio rappresentato dai momenti collettivi che il femminismo stesso aveva cominciato a darsi. La domanda d'amore, che il piccolo gruppo di autocoscienza era sembrato appagare, si fa recriminazione, voglia di fuga, quando il cerchio si apre ad altre persone, come se il collettivo fosse impedimento a quell'analisi del rapporto tra donne che vuole avere al centro il corpo, la sessualita', il vissuto personale. * I due episodi successivi, tra novembre e dicembre, con cui si chiude un anno di un'intensita' irripetibile, portano gia' il segno del riaprirsi di una conflittualita' tra uomini e donne, che segna la crisi dell'ideologia marxista-leninista, dei gruppi extraparlamentari, ma anche di quell'idea antiautoritaria che aveva tenuto insieme fino a quel momento il gruppo della rivista "L'erba voglio". A fine novembre, per iniziativa di Armando Verdiglione, si tiene a Milano un grande convegno che richiama studenti e docenti universitari da ogni parte d'Italia. Il sapere e le pratiche che erano state dei movimenti piu' originali dal '68 ad allora, passano dai protagonisti diretti agli esperti, dalle piazze alle cattedre universitarie. E' in quel momento, con un controconvegno organizzato da me e da altre femministe al Club Turati, che avviene la rottura affettiva e intellettuale con la rivista e con Elvio Fachinelli, chiamato da Verdiglione tra i relatori. Nel volantino distribuito davanti all'ingresso ai partecipanti al convegno ufficiale, riconosco la rabbia e il dolore dell'inspiegabile incapacita' di amore tra uomini e donne. In modo piu' violento, durante la manifestazione abortista del 6 dicembre a Roma, una ragazza, che si era opposta all'irruzione dei compagni di Lotta continua, contrari al corteo separatista delle femministe, finisce in ospedale. Alcuni mesi piu' tardi, al convegno di Lc a Rimini, le donne decideranno di uscire dall'organizzazione. E' ancora una volta la sessualita' a chiedere il conto di una rivoluzione mancata: "Vorrei partire proprio dalla mia sessualita'... e' dalla coscienza di questo che e' venuta in me la voglia di ribellarmi, di cambiare le cose, di fare la rivoluzione". 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 43 del 29 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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