Minime. 37



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 37 del 23 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Fermare la guerra, costruire la pace
2. Floriana Lipparini: Il convitato di pietra
3. Enrico Piovesana: La guerra infuria in Helmand
4. Enrico Piovesana: "La storia non e' chiusa"
5. K. S. Karol ricorda Jacek Kuron
6. Mauro Martini ricorda Jacek Kuron
7. Rossana Rossanda: Una nota introduttiva al testo seguente
8. Jacek Kuron: La dittatura della burocrazia (1969)
9. Letture: Hans Bots, Francoise Waquet, La Repubblica delle lettere
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. FERMARE LA GUERRA, COSTRUIRE LA PACE

La pace si costruisce cessando di fare la guerra.
Le vite si salvano cessando di uccidere.
Se l'Italia vuole impegnarsi per la pace in Afghanistan la prima cosa che
deve fare e' cessare di partecipare alla guerra.
*
Se il governo e il parlamento italiani vogliono impegnarsi contro il
terrorismo, cessino di finanziare la guerra terrorista, cessino di far
partecipare il nostro paese alla guerra terrorista, cessino di essere
complici di potentati terroristi, cessino di essere provocatori di
terrorismo.
Se il governo e il parlamento italiano vogliono impegnarsi contro il
terrorismo, comincino a  rispettare la legalita' costituzionale, cessino di
violare l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana.
*
Ma poiche' governo e parlamento italiani sono totalitariamente schierati a
sostegno della guerra terrorista e stragista, poiche' hanno fatto strame
della legalita' costituzionale, poiche' stanno facendo morire tante persone
innocenti con la loro scellerata protervia, con la loro criminale
irresponsabilita', con la loro cinica ferocia, allora e' compito del popolo
italiano battersi per ottenere il ripristino della legalita'; per ottenere
pace, giustizia, sicurezza; per fermare la guerra, le stragi, il terrore.
E' compito del popolo italiano opporsi alla guerra e al crimine. Con la
forza della verita'. Con la scelta della nonviolenza.
*
Nessuna complicita' con gli assassini. Opporsi alla guerra e al terrorismo.
Difendere la Costituzione, salvare le vite umane. Pace, disarmo, umana
solidarieta'.
E' l'ora della resistenza nonviolenta.

2. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: IL CONVITATO DI PIETRA
[Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it) per
questo intervento.
Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha lavorato per il mensile
"Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi
soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia), impegnata nel movimento delle
donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e
politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del
conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka,
un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del
pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva alla
guerra, da cui e' lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra guerre
e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione
bilingue, italiana e croata]

C'e' una domanda che sta circolando in questi ultimi giorni: invitare o no i
talebani al tavolo della cosiddetta "conferenza di pace" di cui parla
D'Alema?
Ho specificato "cosiddetta", perche' dovremmo ormai sapere quanto siano
traditrici le parole, e quanto si prestino a mistificazioni, soprattutto sul
terreno rovente delle guerre. Per capire davvero la sostanza delle cose non
basta, infatti, leggere l'etichetta sulla scatola, se non si alza il
coperchio per guardarvi dentro.
Come sempre, com'e' accaduto anche al tempo della guerra jugoslava, si
mettera' in scena un tavolo dove il posto centrale e' vuoto, perche' chi
dovrebbe occuparlo viene del tutto ignorato nella realta' e persino
nell'immaginario. Questo "convitato di pietra" e' la societa' civile afgana
nelle sue declinazioni organizzate, movimenti e gruppi per i diritti civili,
e in particolare le associazioni delle donne.
La cosa piu' grave e' che anche a sinistra tutti sembrano pensare che le
trattative debbano essere condotte esclusivamente fra i rappresentanti della
comunita' politica internazionale da una parte, e la guerriglia talebana
dall'altra.
In quest'ottica scompare totalmente chi la guerra la subisce, chi sa davvero
quali saranno le conseguenze di ogni decisione presa a quel tavolo. Quali
saranno i termini della trattativa, quali mediazioni, quali compromessi, a
favore di chi, quale il livello accettabile? Lo giudichera' Karzai? Lo
giudichera' Dadullah? Lo giudichera' Bush? Lo giudichera' D'Alema?
Malinconicamente bisogna ammettere una volta di piu' che la guerra non
soltanto uccide persone e distrugge paesi, ma rende mute e invisibili intere
popolazioni, cancellando il loro diritto di stare al centro della scena.
La politica internazionale si muove da sempre entro queste coordinate,
frutto di una concezione che guarda il mondo come un'immensa carta
geografica su cui spostare bandierine, secondo decisioni prese dai "grandi"
sul destino di coloro che nemmeno si curano di interpellare.
Durante la guerra jugoslava l'arcipelago pacifista italiano e internazionale
tento' appunto di dar voce direttamente alle vittime, ai profughi, alle
associazioni per i diritti civili, a quelli che ai tavoli ufficiali non
c'erano mai, a quelli che non sono mai stati ascoltati.
Furono le donne, in particolare, a percorrere strade complesse di relazione
plurale e mediazione positiva, volte alla ricostruzione di un futuro
possibile, ma in definitiva le politiche ufficiali non ne hanno mai tenuto
conto. Se e' vero che nell'ex Jugoslavia la guerra guerreggiata e' finita,
e' pero' anche vero che non si e' trovata la strada per sanare le ferite e
superare davvero l'orrore, e nemmeno per far tornare tutti i profughi alle
loro case.
La situazione afgana non e' meno terribile e complicata. Una volta di piu'
le donne sono tra le vittime principali delle folli politiche
internazionali, usate come alibi per la "guerra del burqa" e poi ignorate e
abbandonate, soggette come prima e piu' di prima a continue violenze.
Sappiamo, e verifichiamo ogni giorno, che la guerra porta solo guerra, e che
la violenza porta solo violenza.
Quanto ancora si dovra' aspettare perche' si capisca che si devono
intraprendere altre strade?
Allora, per fare qualche piccolo passo avanti, le persone politiche che
stanno nelle istituzioni e si dicono pacifiste, devono attivarsi,
organizzandosi a livello internazionale per dar voce alla societa' civile
afgana e pretendere che sieda al tavolo delle trattative. E dovrebbero dire
a chiare lettere che i soldi che il governo vuol spendere per pagare i
contractors (!) sono uno scandalo che parla di guerra, non certo di pace. Se
la presenza italiana in Afghanistan deve essere protetta da mercenari, il
meno che si possa pensare e' che la situazione sia di grave pericolo, una
situazione di guerra, altro che scopi umanitari.
Riportiamo a casa i soldati, smettendo di coprire le criminali guerre di
Bush, e spendiamo quei soldi per sostenere le associazioni afgane impegnate
a lottare per la pace, per il rispetto dei diritti umani e per una vera, ma
sempre piu' lontana, democrazia.

3. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA GUERRA INFURIA IN HELMAND
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 22 marzo 2007.
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' in Afghanistan in qualita' di
inviato]

La situazione nella provincia di Helmand sta rapidamente degenerando. I
talebani hanno conquistato nelle ultime ore la quasi totalita' della
provincia meridionale di Helmand e stanno rapidamente avanzando verso il
capoluogo Lashkargah, dove si trova l'ospedale di Emergency. In questo
momento si combatte a Babaji, Luimanda, Yakh Chal, Upasciak  e Grishk. La
guerra e' arrivata a soli otto chilometri dalla capitale provinciale.
*
Violenti scontri a Grishk
"Dalle nostre fonti locali sparse per la regione - dice Luca, logista di
Emergency da Lashkargah - stiamo ricevendo informazioni drammatiche. Nelle
ultime ore i talebani hanno preso il controllo di tutta la provincia. Solo
Lashkargah e la citta' di Grishk sono ancora in mano alle forze governative.
Per adesso. Il personale del nostro pronto soccorso di Grishk riferisce di
violentissimi combattimenti tra talebani e forze afgane e britanniche a soli
tre chilometri a nord della citta'. Sembra inoltre, dalle testimonianze che
abbiamo al momento, che i soldati afgani abbiano anche sparato contro la
popolazione civile dei villaggi controllati dai talebani".
*
Combattimenti vicino a Lashkargah
"Abbiamo gia' ricevuto diversi feriti di questi scontri. Ieri sera ci sono
arrivati tre bambini vittime dei bombardamenti aerei della Nato a nord di
Grishk e su Musa Qala: uno di loro e' in pericolo di vita. Violenti
bombardamenti aerei ci sono stati nella notte anche a sud, nel distretto di
Sangin", prosegue Luca. "Questa mattina abbiamo ricevuto da Grishk un
bambino di un anno e mezzo, arrivato morto, e sua madre, ferita alla
mandibola mentre si trovava nella sua casa. Sono arrivati anche tre soldati
governativi afgani gravemente feriti nella battaglia che e' in corso a
Babaji, solo otto chilometri a nord di Lashkargah: uno e' deceduto appena
arrivato. Nel posto di primo soccorso di Emergency a Grishk sono arrivati
altri due morti, mentre sappiamo che due pazienti, feriti in un
bombardamento Nato, stanno cercando di arrivare qui con mezzi privati e con
enormi difficolta' perche' la polizia non consente spostamenti. Sappiamo che
ci sono anche altri due feriti nelle loro case, a Grishk, ma al momento non
riusciamo a raggiungerli. Ci stiamo comunque preparando a ricevere un
elevato numero di feriti". Intanto, fonti della polizia afgana hanno
riferito che nel distretto di Grishk sarebbero morti "trentotto talebani"
uccisi da due raid aerei della Nato.

4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: "LA STORIA NON E' CHIUSA"
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 21 marzo 2007.
Sayed Agha e' l'autista del giornalista Daniele Mastrogiacomo assassinato
dai rapitori.
Adjmal Nashkbandi, l'interprete afgano che era stato rapito con Daniele
Mastrogiacomo, sembra sia stato ora sequestrato dai servizi segreti afgani.
Rahmatullah Hanefi, manager dell'ospedale di Emergency a Lashkargah,
artefice fondamentale della salvazza della vita di Daniele Mastrogiacomo, e'
stato sequestrato dai servizi segreti afgani.
Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore
dell'associazione umanitaria "Emergency", e' una delle voci piu' nitide e
influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni:
Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano.
Daniele Mastrogiacomo, giornalista, rapito due settimane fa in Afghanistan,
e' stato liberato lunedi']

Oggi i parenti di Sayed Agha, l'autista di Daniele ucciso venerdi' scorso,
hanno contattato nuovamente Emergency. Sono gli stessi che ieri mattina si
erano radunati davanti alla casa dell'organizzazione a Lashkargah per avere
notizie sul loro caro. Hanno spiegato che non volevano creare disordine ne'
tantomeno attaccare Emergency. Volevano solo avere notizie di Sayed, visto
che non avevano piu' saputo nulla di lui, ne' visto il suo cadavere.
Stamattina, raccontano i parenti, sono stati contattati dai talebani che, in
qualche maniera, hanno mostrato loro il corpo di Sayed, promettendo di
restituirlo alla famiglia al piu' presto. Emergency si e' immediatamente
offerta di aiutare i parenti di Agha a recuperare il cadavere del ragazzo,
sgozzato e decapitato davanti agli occhi di Daniele Mastrogiacomo.
*
Dov'e' Adjimal?
Oggi pomeriggio, i parenti dell'altro afgano rapito con Daniele, il suo
interprete Adjmal Nashkbandi, hanno incontrato Gino Strada per ringraziarlo
di tutto quello che Emergency ha fatto e sta facendo per liberare anche lui.
Il fratello Munir, il cugino Ziah e il miglior amico di Adjmal, Ahmed Fahim,
chiedono di sapere se sono vere o meno le voci che, sempre piu'
insistentemente circolano qui a Kabul. Ovvero se Adjmal, appena liberato dai
talebani, sia stato preso dai servizi segreti afgani. "Il mio sospetto - ha
detto loro Strada - e' che si', Adjmal sia nelle mani del governo afgano,
come lo e' il nostro Rahmatullah Hanefi. Se Rahmat fosse libero, avrebbe
certamente modo di sapere di piu' sulla sorte del vostro familiare. Potrebbe
per esempio contattare mullah Dadullah per sincerarsi del fatto che non sia
piu' nelle mani dei talebani. Potrebbe chiedere ai suoi contatti
nell'ambiente dei servizi segreti della provincia di Helmand se lo hanno
preso loro. In ogni caso, la situazione resta estremamente confusa. In
questo momento, mi sento di dire che entrambe le ipotesi sono plausibili".
*
"La storia non e' chiusa"
Strada ha poi spiegato ai due familiari e all'amico di Adjmal che fino a
quando Emergency non potra' tornare a contare sul prezioso aiuto del manager
dell'ospedale di Lashkargah, "possiamo lavorare solo sul versante del
governo afgano, con il quale sta parlando l'ambasciatore Sequi, per capire
se veramente Adjmal e' in mano ai servizi afgani. Per noi la faccenda del
rapimento non si e' conclusa con la liberazione di Daniele", tiene a
precisare il chirurgo. "Noi abbiamo sempre chiesto la liberazione di tutti
gli ostaggi. Ne abbiamo avuto uno. Purtroppo ne abbiamo perduto un altro.
Ora vogliamo avere il terzo, Adjmal. Solo quando sara' libero anche lui,
considereremo chiusa questa storia".

5. MEMORIA. K. S. KAROL RICORDA JACEK KURON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004.
K. S. Karol, intellettuale di origine polacca, ha combattuto contro il
nazismo, e' stato perseguitato anche dallo stalinismo, collabora al
"Manifesto"; uno dei pochissimi veri esperti dei problemi delle societa'
dell'est, e' una delle figure piu' autorevoli - e per questo forse anche
piu' isolate - della sinistra critica a livello internazionale. Opere di K.
S. Karol: La Polonia da Pilsudski a Gomulka, Laterza, Bari 1959; La Cina di
Mao. L'altro comunismo. Milano, Mondadori, 1967; La guerriglia al potere.
Itinerario politico della rivoluzione cubana, Mondadori, Milano 1970; La
seconda rivoluzione cinese, Mondadori, Milano 1974; con Rossana Rossanda,
L'autunno di Praga, Il manifesto, Roma 1978; Solik. Peripezie di un giovane
polacco nella Russia in guerra, Feltrinelli, Milano 1985; con Pietro Ingrao,
Rossana Rossanda, Marco Revelli, Isidoro Mortellaro, Appuntamenti di fine
secolo, Manifestolibri, Roma 1995.
Jacek Kuron (1934-2004), intellettuale e militante polacco, strenuo
oppositore del totalitarismo, lungamente perseguitato, piu' volte
incarcerato, fondatore del Kor - Comitato di difesa degli operai (poi Kss -
Comitato di autodifesa sociale), poi tra gli animatori di Solidarnosc,
nell'autunno 1989 e' ministro del lavoro nel governo Mazowiecki. Opere di
Jacek Kuron: La mia Polonia, Ponte alle Grazie, Firenze 1990]

Jacek Kuron, che si e' spento due giorni fa a Varsavia, e' stato uno dei
primissimi dissidenti polacchi. Assieme a Karol Modzelewski redige nel 1964
una lettera aperta al Comitato centrale del Partito operaio unificato
polacco che fa scandalo. E' una critica di fondo al sistema politico e
sociale, una critica classista di sinistra. Il testo ha una grande
diffusione, sia per le adesioni che suscita, sia per la reazione del regime.
Cacciati dal partito e trascinati in tribunale, Kuron e Modzelewski vengono
condannati a tre anni di carcere. Nel 1968 il governo nazionalista e
antisemita di Moczar li arresta una seconda volta accusandoli di
cospirazione contro lo stato. E dopo il colpo di stato del 1981, il generale
Jaruzelski li spedira' in carcere per la terza volta. In Occidente saranno
soltanto i trotzkisti a parlarne, ma ne' Jacek Kuron ne' Karol Modzelewski
avevano a che vedere con Trotzkij. Semplicemente conoscevano a fondo le tare
del sistema burocratico polacco. Nel 1976, quando gli operai che
scioperavano a Radom vennero presi a manganellate e perseguiti, Kuron e
Modzelewski avevano fondato il Kor (Comitato di difesa operaia). Tutti gli
anni Settanta vedono la Polonia traversata - unico paese all'est - da grandi
lotte del settore industriale. Nel 1980 esse culmineranno nei grandi
scioperi dei cantieri del Nord. Ma allora i loro cammini si separano.
Modzelewski resta un dirigente di base, mentre Kuron diventa consigliere
della nascente Solidarnosc. E' una divergenza che non tocchera' la loro
amicizia, rimasta salda per tutta la vita.
*
La prova piu' dura li attende dopo la vittoria di Solidarnosc e la creazione
del primo governo non comunista nell'Europa dell'Est. Il premier, Tadeusz
Mazowiecki, nomina Kuron ministro del lavoro, affidandogli di esporre al
paese linea e successi dell'esecutivo. Ma la "terapia di shock" di Leszek
Balcerowicz colpisce crudelmente la base operaia. Kuron cerca di attutirne
gli effetti, con forme di soccorso ai piu' colpiti e la distribuzione di
pasti popolari, crede e assicura che si tratta di traversare un momento
difficile ma che le cose miglioreranno. La gente gli vuol bene, il suo volto
rotondo e la testa gia' quasi calva sono accolti da applausi dappertutto. Ma
il suo amico Karol Modzelewski pubblica una requisitoria violenta: la linea
del governo portera' la Polonia al livello della Bolivia. I suoi rapporti
con Jacek diventano agitati. E tuttavia non ci sara' mai una rottura.
Neanche quando Kuron diventera' una star dell'Unione della Liberta', che si
vuole di centrodestra, mentre Modzelewski fonda a sinistra l'Unione del
lavoro.
Nel 1995 viene a fine la presidenza di Lech Walesa, e la destra propone a
Jacek Kuron la candidatura a presidente. Ma sara' Alexandr Kwasniewski a
vincere. Kuron si ritira dalla vita politica. Anche Mozdelewski fara' lo
stesso per altre ragioni, tornando agli studi medievali per i quali e' noto
anche in Italia. Per Jacek gli ultimi nove anni della vita saranno un
inferno. La sua salute non ha retto alle lunghe carcerazioni. Su proposta di
amici comuni, Kwasniewski accordera' a tutti e due l'Ordine dell'Aquila
bianca, la piu' alta onorificenza polacca.
*
Due anni fa ero a Varsavia ma Kuron era gia' troppo malato per ricevermi. Me
ne parlava Modzelewski, con l'amicizia di sempre. Hanno continuato a vedersi
ogni volta che era possibile, discutendo di cosa sarebbe stato della Polonia
se si fosse applicato il primo programma di Solidarnosc, quello del 1981.
Allora non era stato possibile, oggi sembra un sogno. Una Polonia libera,
eguale e fraterna, con il mondo del lavoro al centro.
Addio, Jacek.

6. MEMORIA. MAURO MARTINI RICORDA JACEK KURON
[Dal sito di "Lettera 22" (www.lettera22.it) riprendiamo questo ricordo del
20 giugno 2004.
Mauro Martini, nato a Venezia nel 1956 e deceduto a Firenze nel 2005,
giornalista, saggista, docente universitario, studioso di letterature slave,
autore e curatore di testi per diversi editori, ha insegnato letteratura
russa all'Universita' di Trento; dagli inizi degli anni Ottanta ha svolto
un'attivita' giornalistica, pubblicistica e di ricerca sulla situazione
politica, sociale e culturale dei paesi dell'Europa centro-orientale e
dell'ex Unione Sovietica. Tra le opere di Mauro Martini: Le mura del
Cremlino, Reverdito, Trento 1987; Oltre il disgelo, Bruno Mondadori, Milano
2002; Mauro Martini legge 'Il dottor Zivago' di Boris Pasternak, Metauro,
Pesaro 2003; L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia
dopo il crollo dell'Urss, Einaudi, Torino 2005]

L'inverno del 1979 fu particolarmente difficile per la Polonia di Edward
Gierek. Una formidabile gelata mise a nudo la fragilita' di un paese che per
un decennio si era adattato a vivere con l'indotto del clima generale di
distensione dei blocchi. E la grande stagnazione moscovita non prometteva
nell'immediato l'apertura di varchi politici. L'opposizione democratica,
formatasi dopo gli scioperi operai di Radom e di Ursus, era al massimo della
sua potenzialita'. Il Kor, Comitato di difesa degli operai, si era ampliato
nel Kss, Comitato di autodifesa sociale, e aveva dato vita a numerose
iniziative indipendenti da parte di una fetta di societa' che si rifiutava
di sottostare al controllo totalitario: da un'editoria in ciclostile e in
offset non sottoposta a censura alle cosiddette "universita' volanti", corsi
di studio umanistici che si tenevano, come ai tempi della clandestinita'
della seconda guerra mondiale, in appartamenti privati sempre diversi. La
strategia era mutuata invece dall'allora recente esempio della Spagna:
creare una societa' perfettamente dotata di libere istituzioni da mettere in
campo un secondo dopo la comparsa delle prime brecce nel muro totalitario.
Solo che al Cremlino Leonid Breznev prolungava un'agonia esistenziale e
politica e il momento della verifica concreta della strategia prescelta
sembrava conoscere soltanto un indefinito rinvio. Alla fine di quell'inverno
Jacek Kuron, anima del Kss-Kor, tenne una celebre conferenza clandestina in
cui, contro la passivita' e lo scoramento degli altri, preannuncio',
elencando una serie certa di dati, l'imminenza del passaggio, per cosi'
dire, al "governo". La conferenza tenne banco nelle discussioni
dell'intelligencja varsaviana per settimane e suscito' non poche riserve e
perplessita'. A giugno arrivo' in Polonia in pellegrinaggio Giovanni Paolo
II e l'adesione popolare alle messe celebrate dal papa polacco dimostro' che
ancora una volta Kuron aveva visto giusto. Un anno dopo sarebbe partita
l'esperienza di Solidarnosc.
Di Kuron, che si e' spento l'altroieri a 70 anni dopo una lunga malattia,
manchera' soprattutto la lucidita' che gli ha assicurato in mezzo secolo di
vita politica attiva l'indiscussa autorita' di cui ha sempre goduto su
persone assurte a una notorieta' spesso maggiore sulla scena internazionale.
Se Lech Walesa afferma in queste ore che senza di lui Solidarnosc non
sarebbe mai esistita, non si limita a un luogo comune post mortem. Ricorda
benissimo invece la rapidita' con cui Kuron organizzo' nel luglio 1980 la
salita a Danzica degli intellettuali da Varsavia e da Cracovia per impedire
che la nuova ondata di scioperi degenerasse in un movimento semplicemente
distruttivo e non si ponesse adeguatamente il problema di trasformare la
generica insoddisfazione in categorie sociali. Opera cui aveva dedicato con
gli amici del Kss-Kor, Adam Michnik in testa, tutto il decennio precedente,
dopo le amare sconfitte dei moti studenteschi del 1968 e degli scioperi
operai del litorale baltico del 1970.
Il nome di Kuron e' rimasto indissolubilmente legato alla lettera aperta
indirizzata nel 1964 con Karol Modzelewski ai vertici del Partito operaio
unificato polacco. Un testo "revisionista" che gli valse all'epoca i primi
tre anni di carcere. In realta' Kuron non ha mancato nessuno dei cruciali
appuntamenti successivi, ivi compresa la tavola rotonda della primavera del
1989 con cui la Polonia transito' pacificamente nel postcomunismo. Una lunga
carriera che ha sempre avuto un risvolto pedagogico, maturato
nell'esperienza giovanile dei gruppi "Walter" dello scoutismo, dove si e'
formata parte dell'elite democratica del paese. Una carriera che riesce
difficile perfino definire tale, anche perche' e' impensabile senza quella
rete di profonde amicizie personali che Kuron ha messo sempre al centro del
suo agire politico. E soprattutto e' impensabile senza la grande storia
d'amore con la moglie, Gaja, prematuramente scomparsa.
Kuron era uomo in cui l'acume politico era sorretto non dalla freddezza, ma
al contrario da un groviglio di passioni tormentate dall'unico senso di
colpa derivante dal non riuscire mai a squarciare il velo che nasconde il
vero significato della vita. Il ministro del lavoro che nei primi governi
postcomunisti inventa i punti mobili di distribuzione di zuppe calde per
coloro che sono rimasti piegati dalle politiche liberiste del collega delle
finanze. L'orgoglioso polacco che non ha mai smesso di battersi per la causa
dell'amicizia tra la propria nazione, quella ebraica e quella ucraina. Il
signore di mezza eta' che sulla scia degli scritti di Dietrich Bonhoeffer
affronta senza dogmatismi laicisti il mistero della fede. Tutte immagini di
uno dei padri autenticamente nobili dell'Europa.

7. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA: UNA NOTA INTRODUTTIVA AL TESTO SEGUENTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari
1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica
come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La
ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del
lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Il frammento qui sotto fa parte delle dichiarazioni rese da Jacek Kuron al
processo celebrato a Varsavia dal 2 al 15 gennaio 1969. E' il suo secondo
procedimento giudiziario: la prima volta era stato processato assieme a
Modzelewski il 13 luglio 1965. In ambedue le vicende si intrecciano le
spinte e le involuzioni del Poup dopo la grande stagione dei consigli che
segui' all'ottobre polacco del 1956. La Polonia era stata marcata dalle
stesse colpe delle altre democrazie popolari, con la variante di una, se non
tolleranza, umanita', che impedi' le atrocita' dei processi cecoslovacchi e
ungheresi. Cosi' nel 1956 il dibattito e la lotta politica sembrano meno
traumatici, e quando la spinta di massa va spegnendosi, nasce un tentativo
di andare piu' a fondo alle radici del permanere di un sistema oppressivo.
Le tesi per cui sono processati Kuron e Modzelewski sono apparse in un
saggio di 128 pagine, "una costruzione logica", come la definiscono gli
autori, nel quale si analizza la persistenza di un'oppressione di classe nel
paese. Gli viene opposta una campagna violenta. I due estensori lo
riassumono in una "Lettera aperta ai membri del partito e all'organizzazione
degli studenti dell'Universita' di Varsavia". Il testo uscira' anche dalla
Polonia, sara' pubblicato da una rivista di emigrati polacchi e piu' tardi
dalla sezione francese della Quarta Internazionale con una prefazione di
Pierre Franck. Modzelewski e Kuron sono cacciati dal partito, arrestati e
condannati.
*
Al secondo processo i due sono accusati di aver fondato un'organizzazione
illegale e condannati a tre anni e mezzo di carcere. Il loro caso si
inquadra nella repressione dei moti studenteschi, nella protesta contro
l'invasione di Praga, nel precipitare della lotta interna al partito, dove
prevale la componente nazionalista e antisemita del generale Moczar. Nella
dichiarazione di Kuron appaiono sia gli elementi di continuita' con la
posizione del 1964, sia gli aspetti venuti alla luce nel 1968. Alla critica
sulla persistente struttura di classe del paese, si aggiunge quella al
risorgente nazionalismo e all'antisemitismo. Mentre Modzelewski definisce il
primo come un transfert elementare della condizione di scontento, di fronte
alla subalternita' della Polonia all'Unione sovietica (e il procuratore lo
accusa di essere figlio di madre ebrea) Kuron attacca l'antisemitismo come
diversione per eludere la gravita' e le responsabilita' della crisi sociale.
In realta', esso e' un riflesso della maggioranza cattolica oscurantista del
paese ed e' strumento di lotte interne in un partito che aveva sempre avuto
un numero assai grande di ebrei fra i dirigenti e la base. Lo spiegano
l'importanza numerica della popolazione ebraica (piu' del 10% del totale),
la sua collocazione nelle citta', le discriminazioni di cui era oggetto.
Anche se la grande maggioranza degli ebrei era religiosa e conservatrice,
una forte minoranza si esprimeva politicamente nella tendenza sionista del
Bund, partito socialista riformista, e nella minoranza comunista. Negli anni
'30 gia' funzionava in Polonia un campo di concentramento, Bereza Kartuska,
praticamente riservato ai comunisti e alla minoranza nazionale ucraina. Dopo
la guerra, dei tre milioni e trecentomila ebrei polacchi ne restavano
70.000; di questi, molti erano passati in Unione sovietica, combattendo
nella prima Armata polacca, formata nel maggio 1943. Nel gruppo dirigente
della Repubblica popolare polacca si trovarono dunque parecchie personalita'
di primo piano di origine ebraica: Berman, il numero due del partito, Minc,
Ministro del piano, Zambrowski, segretario dell'organizzazione.
Nel 1968 il gruppo dei "partigiani" attorno al generale Moczar, dirigente
dei servizi di sicurezza, reclama l'epurazione delle forze armate. Nel marzo
di quell'anno, il partito accusa i "sionisti" di avere istigato il movimento
degli studenti, vengono arrestati molti giovani di origine ebraica, si
discriminano gli insegnanti. Gomulka dichiara: "Le persone che non
possiedono un sentimento nazionale fortemente radicato non possono occupare
posti di direzione nella vita del paese". A giugno Andrzej Werblan,
responsabile dell'educazione e ideologia nel Comitato centrale, scrive:
"Nessuna societa' puo' tollerare l'eccessiva partecipazione d'una minoranza
nazionale nei posti di governo" e lancia la "politica nazionale dei quadri
che mira a correggere la composizione etnica irregolare degli organi
dirigenti del partito e dello stato". Essa sara' votata in presenza delle
delegazioni dei partiti comunisti di tutti i paesi dal quinto congresso del
Poup.

8. MEMORIA. JACEK KURON: LA DITTATURA DELLA BUROCRAZIA (1969)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004 riprendiamo i seguenti
stralci dell'autodifesa di Kuron nel suo secondo processo nel 1969]

(...) L'imputazione legata all'accusa di aver organizzato una formazione
segreta, non ha trovato alcun fondamento nell'inchiesta. Il procuratore
afferma che la lettera aperta al Poup, da noi diffusa nel 1964,
rappresenterebbe un programma di azione politica e sarebbe quindi una prova
indiretta dell'esistenza di tale organizzazione. Ma quella lettera non e'
stata ne' voleva essere il programma di un gruppo politico: si voleva il
punto di partenza per una discussione sui problemi essenziali del movimento
operaio e del paese. La dittatura totale della burocrazia ha privato i
cittadini - ma sarebbe meglio dire i sudditi - del diritto fondamentale di
essere i padroni del paese. Il sistema pretende di rappresentare il governo
della classe operaia, mentre questa classe e' stata privata di ogni
influenza sulle scelte politiche ed economiche. Gli interessi del governo e
del partito non solo non convergono con quelli della classe operaia, ma si
fanno sempre piu' divergenti. Secondo le statistiche, negli ultimi
trent'anni l'incremento medio dei salari operai e' stato del 40%. Ma il 30%
e' stato ottenuto dagli scioperi e le lotte durante la crisi politica del
'56-'58, contro il volere della direzione del partito.
*
L'essenza della dittatura burocratica sta nel limitare sistematicamente i
diritti della classe operaia e della societa' tutta, nell'eliminare ogni
margine di liberta', nell'allargare il monopolio del potere costituito
sull'insieme della vita sociale. In un sistema di democrazia proletaria la
societa', attraverso la discussione e la liberta' di parola, ha la
possibilita' di influire sul governo, controllarlo e orientarne l'azione. In
una dittatura della burocrazia si puo' solo discutere sul modo di realizzare
le decisioni prese dalla ristretta cerchia di chi detiene il potere; e la
classe operaia, priva di ogni diritto civile e di ogni potere effettivo, non
ha che la facolta' di discutere come si effettuano nel modo piu' efficiente
e rapido queste decisioni. Cosi' del resto ha pubblicamente dichiarato W.
Gomulka nel discorso di chiusura al quinto congresso del Poup.
Ebbene, lo scopo della nostra lettera aperta era proprio quello di dar vita
ad una discussione nella societa' e in primo luogo fra gli operai. Volevamo
che il popolo si sentisse padrone del proprio paese e si pronunciasse sui
suoi problemi essenziali. Nel corso della discussione, il ricostituito
movimento operaio avrebbe probabilmente rifiutato - pensavamo - alcune o
anche tutte le nostre tesi. Non intendevamo proporre alla classe operaia un
programma definitivo, bello e fatto, solo da accettare.
*
(...) In Polonia l'antisemitismo non e', come qualcuno afferma, un falso
problema; e' un problema scottante (...). L'antisemitismo ha da noi una
duplice forma: la prima consiste nell'odio verso persone che per i legami di
lingua e di cultura sono ebrei e cui si vorrebbero disconoscere i diritti
civili e di sviluppo della propria tradizione. La seconda, che si esprime
nella formula "polacchi di origine ebraica", si riferisce a persone che,
quali che siano i loro legami linguistici e culturali, si dichiarano
polacchi. Definirli, o piu' precisamente bollarli, come "ebrei", e'
antisemitismo di tipo nazista. La cui funzione e' di impedire la discussione
su problemi delicati e etichettando come "ebreo" chi solleva delle
obiezioni. In ultima analisi, questo antisemitismo di stampo razzista
conduce ad attribuire a "estranei" le colpe del sistema e le deficienze di
funzionamento del governo.
Nel 1956 l'elemento estraneo su cui scaricare le responsabilita' fu
rappresentato dai sovietici e dai comunisti i cui cognomi erano considerati
ebraici. Nel marzo 1968 alla lista si sono aggiunti i nomi di Stazewski e di
Zambrowski. L'inchiesta ha fatto grandi sforzi per trovare anche fra i miei
antenati un cognome ebraico. Non essendo riusciti a farmi diventare ebreo,
volevano farmi diventare ucraino, per potermi comunque bollare come
straniero. Ci sono stati dei giorni in cui sono stato tentato di dichiararmi
ebreo; ci sono situazioni in cui un uomo onesto deve dichiararsi tale (...).

9. LETTURE. HANS BOTS, FRANCOISE WAQUET: LA REPUBBLICA DELLE LETTERE
Hans Bots, Francoise Waquet, La Repubblica delle lettere, Il Mulino, Bologna
2005, pp. 278, euro 16. Una interessante monografia su quell'ideale
"internazionale degli intellettuali" che tra Rinascimento e Illuminismo, tra
Erasmo e Voltaire, cerco' di pensare, essere, proporre un'altra Europa,
umanistica, di pace e di cooperazione, contro i poteri, le ideologie e le
prassi del dominio, del bavaglio, della morte.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 37 del 23 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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