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Minime. 37
- Subject: Minime. 37
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 23 Mar 2007 00:09:17 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 37 del 23 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Fermare la guerra, costruire la pace 2. Floriana Lipparini: Il convitato di pietra 3. Enrico Piovesana: La guerra infuria in Helmand 4. Enrico Piovesana: "La storia non e' chiusa" 5. K. S. Karol ricorda Jacek Kuron 6. Mauro Martini ricorda Jacek Kuron 7. Rossana Rossanda: Una nota introduttiva al testo seguente 8. Jacek Kuron: La dittatura della burocrazia (1969) 9. Letture: Hans Bots, Francoise Waquet, La Repubblica delle lettere 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. FERMARE LA GUERRA, COSTRUIRE LA PACE La pace si costruisce cessando di fare la guerra. Le vite si salvano cessando di uccidere. Se l'Italia vuole impegnarsi per la pace in Afghanistan la prima cosa che deve fare e' cessare di partecipare alla guerra. * Se il governo e il parlamento italiani vogliono impegnarsi contro il terrorismo, cessino di finanziare la guerra terrorista, cessino di far partecipare il nostro paese alla guerra terrorista, cessino di essere complici di potentati terroristi, cessino di essere provocatori di terrorismo. Se il governo e il parlamento italiano vogliono impegnarsi contro il terrorismo, comincino a rispettare la legalita' costituzionale, cessino di violare l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana. * Ma poiche' governo e parlamento italiani sono totalitariamente schierati a sostegno della guerra terrorista e stragista, poiche' hanno fatto strame della legalita' costituzionale, poiche' stanno facendo morire tante persone innocenti con la loro scellerata protervia, con la loro criminale irresponsabilita', con la loro cinica ferocia, allora e' compito del popolo italiano battersi per ottenere il ripristino della legalita'; per ottenere pace, giustizia, sicurezza; per fermare la guerra, le stragi, il terrore. E' compito del popolo italiano opporsi alla guerra e al crimine. Con la forza della verita'. Con la scelta della nonviolenza. * Nessuna complicita' con gli assassini. Opporsi alla guerra e al terrorismo. Difendere la Costituzione, salvare le vite umane. Pace, disarmo, umana solidarieta'. E' l'ora della resistenza nonviolenta. 2. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: IL CONVITATO DI PIETRA [Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it) per questo intervento. Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha lavorato per il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia), impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra, da cui e' lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione bilingue, italiana e croata] C'e' una domanda che sta circolando in questi ultimi giorni: invitare o no i talebani al tavolo della cosiddetta "conferenza di pace" di cui parla D'Alema? Ho specificato "cosiddetta", perche' dovremmo ormai sapere quanto siano traditrici le parole, e quanto si prestino a mistificazioni, soprattutto sul terreno rovente delle guerre. Per capire davvero la sostanza delle cose non basta, infatti, leggere l'etichetta sulla scatola, se non si alza il coperchio per guardarvi dentro. Come sempre, com'e' accaduto anche al tempo della guerra jugoslava, si mettera' in scena un tavolo dove il posto centrale e' vuoto, perche' chi dovrebbe occuparlo viene del tutto ignorato nella realta' e persino nell'immaginario. Questo "convitato di pietra" e' la societa' civile afgana nelle sue declinazioni organizzate, movimenti e gruppi per i diritti civili, e in particolare le associazioni delle donne. La cosa piu' grave e' che anche a sinistra tutti sembrano pensare che le trattative debbano essere condotte esclusivamente fra i rappresentanti della comunita' politica internazionale da una parte, e la guerriglia talebana dall'altra. In quest'ottica scompare totalmente chi la guerra la subisce, chi sa davvero quali saranno le conseguenze di ogni decisione presa a quel tavolo. Quali saranno i termini della trattativa, quali mediazioni, quali compromessi, a favore di chi, quale il livello accettabile? Lo giudichera' Karzai? Lo giudichera' Dadullah? Lo giudichera' Bush? Lo giudichera' D'Alema? Malinconicamente bisogna ammettere una volta di piu' che la guerra non soltanto uccide persone e distrugge paesi, ma rende mute e invisibili intere popolazioni, cancellando il loro diritto di stare al centro della scena. La politica internazionale si muove da sempre entro queste coordinate, frutto di una concezione che guarda il mondo come un'immensa carta geografica su cui spostare bandierine, secondo decisioni prese dai "grandi" sul destino di coloro che nemmeno si curano di interpellare. Durante la guerra jugoslava l'arcipelago pacifista italiano e internazionale tento' appunto di dar voce direttamente alle vittime, ai profughi, alle associazioni per i diritti civili, a quelli che ai tavoli ufficiali non c'erano mai, a quelli che non sono mai stati ascoltati. Furono le donne, in particolare, a percorrere strade complesse di relazione plurale e mediazione positiva, volte alla ricostruzione di un futuro possibile, ma in definitiva le politiche ufficiali non ne hanno mai tenuto conto. Se e' vero che nell'ex Jugoslavia la guerra guerreggiata e' finita, e' pero' anche vero che non si e' trovata la strada per sanare le ferite e superare davvero l'orrore, e nemmeno per far tornare tutti i profughi alle loro case. La situazione afgana non e' meno terribile e complicata. Una volta di piu' le donne sono tra le vittime principali delle folli politiche internazionali, usate come alibi per la "guerra del burqa" e poi ignorate e abbandonate, soggette come prima e piu' di prima a continue violenze. Sappiamo, e verifichiamo ogni giorno, che la guerra porta solo guerra, e che la violenza porta solo violenza. Quanto ancora si dovra' aspettare perche' si capisca che si devono intraprendere altre strade? Allora, per fare qualche piccolo passo avanti, le persone politiche che stanno nelle istituzioni e si dicono pacifiste, devono attivarsi, organizzandosi a livello internazionale per dar voce alla societa' civile afgana e pretendere che sieda al tavolo delle trattative. E dovrebbero dire a chiare lettere che i soldi che il governo vuol spendere per pagare i contractors (!) sono uno scandalo che parla di guerra, non certo di pace. Se la presenza italiana in Afghanistan deve essere protetta da mercenari, il meno che si possa pensare e' che la situazione sia di grave pericolo, una situazione di guerra, altro che scopi umanitari. Riportiamo a casa i soldati, smettendo di coprire le criminali guerre di Bush, e spendiamo quei soldi per sostenere le associazioni afgane impegnate a lottare per la pace, per il rispetto dei diritti umani e per una vera, ma sempre piu' lontana, democrazia. 3. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA GUERRA INFURIA IN HELMAND [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 22 marzo 2007. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' in Afghanistan in qualita' di inviato] La situazione nella provincia di Helmand sta rapidamente degenerando. I talebani hanno conquistato nelle ultime ore la quasi totalita' della provincia meridionale di Helmand e stanno rapidamente avanzando verso il capoluogo Lashkargah, dove si trova l'ospedale di Emergency. In questo momento si combatte a Babaji, Luimanda, Yakh Chal, Upasciak e Grishk. La guerra e' arrivata a soli otto chilometri dalla capitale provinciale. * Violenti scontri a Grishk "Dalle nostre fonti locali sparse per la regione - dice Luca, logista di Emergency da Lashkargah - stiamo ricevendo informazioni drammatiche. Nelle ultime ore i talebani hanno preso il controllo di tutta la provincia. Solo Lashkargah e la citta' di Grishk sono ancora in mano alle forze governative. Per adesso. Il personale del nostro pronto soccorso di Grishk riferisce di violentissimi combattimenti tra talebani e forze afgane e britanniche a soli tre chilometri a nord della citta'. Sembra inoltre, dalle testimonianze che abbiamo al momento, che i soldati afgani abbiano anche sparato contro la popolazione civile dei villaggi controllati dai talebani". * Combattimenti vicino a Lashkargah "Abbiamo gia' ricevuto diversi feriti di questi scontri. Ieri sera ci sono arrivati tre bambini vittime dei bombardamenti aerei della Nato a nord di Grishk e su Musa Qala: uno di loro e' in pericolo di vita. Violenti bombardamenti aerei ci sono stati nella notte anche a sud, nel distretto di Sangin", prosegue Luca. "Questa mattina abbiamo ricevuto da Grishk un bambino di un anno e mezzo, arrivato morto, e sua madre, ferita alla mandibola mentre si trovava nella sua casa. Sono arrivati anche tre soldati governativi afgani gravemente feriti nella battaglia che e' in corso a Babaji, solo otto chilometri a nord di Lashkargah: uno e' deceduto appena arrivato. Nel posto di primo soccorso di Emergency a Grishk sono arrivati altri due morti, mentre sappiamo che due pazienti, feriti in un bombardamento Nato, stanno cercando di arrivare qui con mezzi privati e con enormi difficolta' perche' la polizia non consente spostamenti. Sappiamo che ci sono anche altri due feriti nelle loro case, a Grishk, ma al momento non riusciamo a raggiungerli. Ci stiamo comunque preparando a ricevere un elevato numero di feriti". Intanto, fonti della polizia afgana hanno riferito che nel distretto di Grishk sarebbero morti "trentotto talebani" uccisi da due raid aerei della Nato. 4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: "LA STORIA NON E' CHIUSA" [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 21 marzo 2007. Sayed Agha e' l'autista del giornalista Daniele Mastrogiacomo assassinato dai rapitori. Adjmal Nashkbandi, l'interprete afgano che era stato rapito con Daniele Mastrogiacomo, sembra sia stato ora sequestrato dai servizi segreti afgani. Rahmatullah Hanefi, manager dell'ospedale di Emergency a Lashkargah, artefice fondamentale della salvazza della vita di Daniele Mastrogiacomo, e' stato sequestrato dai servizi segreti afgani. Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency", e' una delle voci piu' nitide e influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni: Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano. Daniele Mastrogiacomo, giornalista, rapito due settimane fa in Afghanistan, e' stato liberato lunedi'] Oggi i parenti di Sayed Agha, l'autista di Daniele ucciso venerdi' scorso, hanno contattato nuovamente Emergency. Sono gli stessi che ieri mattina si erano radunati davanti alla casa dell'organizzazione a Lashkargah per avere notizie sul loro caro. Hanno spiegato che non volevano creare disordine ne' tantomeno attaccare Emergency. Volevano solo avere notizie di Sayed, visto che non avevano piu' saputo nulla di lui, ne' visto il suo cadavere. Stamattina, raccontano i parenti, sono stati contattati dai talebani che, in qualche maniera, hanno mostrato loro il corpo di Sayed, promettendo di restituirlo alla famiglia al piu' presto. Emergency si e' immediatamente offerta di aiutare i parenti di Agha a recuperare il cadavere del ragazzo, sgozzato e decapitato davanti agli occhi di Daniele Mastrogiacomo. * Dov'e' Adjimal? Oggi pomeriggio, i parenti dell'altro afgano rapito con Daniele, il suo interprete Adjmal Nashkbandi, hanno incontrato Gino Strada per ringraziarlo di tutto quello che Emergency ha fatto e sta facendo per liberare anche lui. Il fratello Munir, il cugino Ziah e il miglior amico di Adjmal, Ahmed Fahim, chiedono di sapere se sono vere o meno le voci che, sempre piu' insistentemente circolano qui a Kabul. Ovvero se Adjmal, appena liberato dai talebani, sia stato preso dai servizi segreti afgani. "Il mio sospetto - ha detto loro Strada - e' che si', Adjmal sia nelle mani del governo afgano, come lo e' il nostro Rahmatullah Hanefi. Se Rahmat fosse libero, avrebbe certamente modo di sapere di piu' sulla sorte del vostro familiare. Potrebbe per esempio contattare mullah Dadullah per sincerarsi del fatto che non sia piu' nelle mani dei talebani. Potrebbe chiedere ai suoi contatti nell'ambiente dei servizi segreti della provincia di Helmand se lo hanno preso loro. In ogni caso, la situazione resta estremamente confusa. In questo momento, mi sento di dire che entrambe le ipotesi sono plausibili". * "La storia non e' chiusa" Strada ha poi spiegato ai due familiari e all'amico di Adjmal che fino a quando Emergency non potra' tornare a contare sul prezioso aiuto del manager dell'ospedale di Lashkargah, "possiamo lavorare solo sul versante del governo afgano, con il quale sta parlando l'ambasciatore Sequi, per capire se veramente Adjmal e' in mano ai servizi afgani. Per noi la faccenda del rapimento non si e' conclusa con la liberazione di Daniele", tiene a precisare il chirurgo. "Noi abbiamo sempre chiesto la liberazione di tutti gli ostaggi. Ne abbiamo avuto uno. Purtroppo ne abbiamo perduto un altro. Ora vogliamo avere il terzo, Adjmal. Solo quando sara' libero anche lui, considereremo chiusa questa storia". 5. MEMORIA. K. S. KAROL RICORDA JACEK KURON [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004. K. S. Karol, intellettuale di origine polacca, ha combattuto contro il nazismo, e' stato perseguitato anche dallo stalinismo, collabora al "Manifesto"; uno dei pochissimi veri esperti dei problemi delle societa' dell'est, e' una delle figure piu' autorevoli - e per questo forse anche piu' isolate - della sinistra critica a livello internazionale. Opere di K. S. Karol: La Polonia da Pilsudski a Gomulka, Laterza, Bari 1959; La Cina di Mao. L'altro comunismo. Milano, Mondadori, 1967; La guerriglia al potere. Itinerario politico della rivoluzione cubana, Mondadori, Milano 1970; La seconda rivoluzione cinese, Mondadori, Milano 1974; con Rossana Rossanda, L'autunno di Praga, Il manifesto, Roma 1978; Solik. Peripezie di un giovane polacco nella Russia in guerra, Feltrinelli, Milano 1985; con Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Marco Revelli, Isidoro Mortellaro, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995. Jacek Kuron (1934-2004), intellettuale e militante polacco, strenuo oppositore del totalitarismo, lungamente perseguitato, piu' volte incarcerato, fondatore del Kor - Comitato di difesa degli operai (poi Kss - Comitato di autodifesa sociale), poi tra gli animatori di Solidarnosc, nell'autunno 1989 e' ministro del lavoro nel governo Mazowiecki. Opere di Jacek Kuron: La mia Polonia, Ponte alle Grazie, Firenze 1990] Jacek Kuron, che si e' spento due giorni fa a Varsavia, e' stato uno dei primissimi dissidenti polacchi. Assieme a Karol Modzelewski redige nel 1964 una lettera aperta al Comitato centrale del Partito operaio unificato polacco che fa scandalo. E' una critica di fondo al sistema politico e sociale, una critica classista di sinistra. Il testo ha una grande diffusione, sia per le adesioni che suscita, sia per la reazione del regime. Cacciati dal partito e trascinati in tribunale, Kuron e Modzelewski vengono condannati a tre anni di carcere. Nel 1968 il governo nazionalista e antisemita di Moczar li arresta una seconda volta accusandoli di cospirazione contro lo stato. E dopo il colpo di stato del 1981, il generale Jaruzelski li spedira' in carcere per la terza volta. In Occidente saranno soltanto i trotzkisti a parlarne, ma ne' Jacek Kuron ne' Karol Modzelewski avevano a che vedere con Trotzkij. Semplicemente conoscevano a fondo le tare del sistema burocratico polacco. Nel 1976, quando gli operai che scioperavano a Radom vennero presi a manganellate e perseguiti, Kuron e Modzelewski avevano fondato il Kor (Comitato di difesa operaia). Tutti gli anni Settanta vedono la Polonia traversata - unico paese all'est - da grandi lotte del settore industriale. Nel 1980 esse culmineranno nei grandi scioperi dei cantieri del Nord. Ma allora i loro cammini si separano. Modzelewski resta un dirigente di base, mentre Kuron diventa consigliere della nascente Solidarnosc. E' una divergenza che non tocchera' la loro amicizia, rimasta salda per tutta la vita. * La prova piu' dura li attende dopo la vittoria di Solidarnosc e la creazione del primo governo non comunista nell'Europa dell'Est. Il premier, Tadeusz Mazowiecki, nomina Kuron ministro del lavoro, affidandogli di esporre al paese linea e successi dell'esecutivo. Ma la "terapia di shock" di Leszek Balcerowicz colpisce crudelmente la base operaia. Kuron cerca di attutirne gli effetti, con forme di soccorso ai piu' colpiti e la distribuzione di pasti popolari, crede e assicura che si tratta di traversare un momento difficile ma che le cose miglioreranno. La gente gli vuol bene, il suo volto rotondo e la testa gia' quasi calva sono accolti da applausi dappertutto. Ma il suo amico Karol Modzelewski pubblica una requisitoria violenta: la linea del governo portera' la Polonia al livello della Bolivia. I suoi rapporti con Jacek diventano agitati. E tuttavia non ci sara' mai una rottura. Neanche quando Kuron diventera' una star dell'Unione della Liberta', che si vuole di centrodestra, mentre Modzelewski fonda a sinistra l'Unione del lavoro. Nel 1995 viene a fine la presidenza di Lech Walesa, e la destra propone a Jacek Kuron la candidatura a presidente. Ma sara' Alexandr Kwasniewski a vincere. Kuron si ritira dalla vita politica. Anche Mozdelewski fara' lo stesso per altre ragioni, tornando agli studi medievali per i quali e' noto anche in Italia. Per Jacek gli ultimi nove anni della vita saranno un inferno. La sua salute non ha retto alle lunghe carcerazioni. Su proposta di amici comuni, Kwasniewski accordera' a tutti e due l'Ordine dell'Aquila bianca, la piu' alta onorificenza polacca. * Due anni fa ero a Varsavia ma Kuron era gia' troppo malato per ricevermi. Me ne parlava Modzelewski, con l'amicizia di sempre. Hanno continuato a vedersi ogni volta che era possibile, discutendo di cosa sarebbe stato della Polonia se si fosse applicato il primo programma di Solidarnosc, quello del 1981. Allora non era stato possibile, oggi sembra un sogno. Una Polonia libera, eguale e fraterna, con il mondo del lavoro al centro. Addio, Jacek. 6. MEMORIA. MAURO MARTINI RICORDA JACEK KURON [Dal sito di "Lettera 22" (www.lettera22.it) riprendiamo questo ricordo del 20 giugno 2004. Mauro Martini, nato a Venezia nel 1956 e deceduto a Firenze nel 2005, giornalista, saggista, docente universitario, studioso di letterature slave, autore e curatore di testi per diversi editori, ha insegnato letteratura russa all'Universita' di Trento; dagli inizi degli anni Ottanta ha svolto un'attivita' giornalistica, pubblicistica e di ricerca sulla situazione politica, sociale e culturale dei paesi dell'Europa centro-orientale e dell'ex Unione Sovietica. Tra le opere di Mauro Martini: Le mura del Cremlino, Reverdito, Trento 1987; Oltre il disgelo, Bruno Mondadori, Milano 2002; Mauro Martini legge 'Il dottor Zivago' di Boris Pasternak, Metauro, Pesaro 2003; L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell'Urss, Einaudi, Torino 2005] L'inverno del 1979 fu particolarmente difficile per la Polonia di Edward Gierek. Una formidabile gelata mise a nudo la fragilita' di un paese che per un decennio si era adattato a vivere con l'indotto del clima generale di distensione dei blocchi. E la grande stagnazione moscovita non prometteva nell'immediato l'apertura di varchi politici. L'opposizione democratica, formatasi dopo gli scioperi operai di Radom e di Ursus, era al massimo della sua potenzialita'. Il Kor, Comitato di difesa degli operai, si era ampliato nel Kss, Comitato di autodifesa sociale, e aveva dato vita a numerose iniziative indipendenti da parte di una fetta di societa' che si rifiutava di sottostare al controllo totalitario: da un'editoria in ciclostile e in offset non sottoposta a censura alle cosiddette "universita' volanti", corsi di studio umanistici che si tenevano, come ai tempi della clandestinita' della seconda guerra mondiale, in appartamenti privati sempre diversi. La strategia era mutuata invece dall'allora recente esempio della Spagna: creare una societa' perfettamente dotata di libere istituzioni da mettere in campo un secondo dopo la comparsa delle prime brecce nel muro totalitario. Solo che al Cremlino Leonid Breznev prolungava un'agonia esistenziale e politica e il momento della verifica concreta della strategia prescelta sembrava conoscere soltanto un indefinito rinvio. Alla fine di quell'inverno Jacek Kuron, anima del Kss-Kor, tenne una celebre conferenza clandestina in cui, contro la passivita' e lo scoramento degli altri, preannuncio', elencando una serie certa di dati, l'imminenza del passaggio, per cosi' dire, al "governo". La conferenza tenne banco nelle discussioni dell'intelligencja varsaviana per settimane e suscito' non poche riserve e perplessita'. A giugno arrivo' in Polonia in pellegrinaggio Giovanni Paolo II e l'adesione popolare alle messe celebrate dal papa polacco dimostro' che ancora una volta Kuron aveva visto giusto. Un anno dopo sarebbe partita l'esperienza di Solidarnosc. Di Kuron, che si e' spento l'altroieri a 70 anni dopo una lunga malattia, manchera' soprattutto la lucidita' che gli ha assicurato in mezzo secolo di vita politica attiva l'indiscussa autorita' di cui ha sempre goduto su persone assurte a una notorieta' spesso maggiore sulla scena internazionale. Se Lech Walesa afferma in queste ore che senza di lui Solidarnosc non sarebbe mai esistita, non si limita a un luogo comune post mortem. Ricorda benissimo invece la rapidita' con cui Kuron organizzo' nel luglio 1980 la salita a Danzica degli intellettuali da Varsavia e da Cracovia per impedire che la nuova ondata di scioperi degenerasse in un movimento semplicemente distruttivo e non si ponesse adeguatamente il problema di trasformare la generica insoddisfazione in categorie sociali. Opera cui aveva dedicato con gli amici del Kss-Kor, Adam Michnik in testa, tutto il decennio precedente, dopo le amare sconfitte dei moti studenteschi del 1968 e degli scioperi operai del litorale baltico del 1970. Il nome di Kuron e' rimasto indissolubilmente legato alla lettera aperta indirizzata nel 1964 con Karol Modzelewski ai vertici del Partito operaio unificato polacco. Un testo "revisionista" che gli valse all'epoca i primi tre anni di carcere. In realta' Kuron non ha mancato nessuno dei cruciali appuntamenti successivi, ivi compresa la tavola rotonda della primavera del 1989 con cui la Polonia transito' pacificamente nel postcomunismo. Una lunga carriera che ha sempre avuto un risvolto pedagogico, maturato nell'esperienza giovanile dei gruppi "Walter" dello scoutismo, dove si e' formata parte dell'elite democratica del paese. Una carriera che riesce difficile perfino definire tale, anche perche' e' impensabile senza quella rete di profonde amicizie personali che Kuron ha messo sempre al centro del suo agire politico. E soprattutto e' impensabile senza la grande storia d'amore con la moglie, Gaja, prematuramente scomparsa. Kuron era uomo in cui l'acume politico era sorretto non dalla freddezza, ma al contrario da un groviglio di passioni tormentate dall'unico senso di colpa derivante dal non riuscire mai a squarciare il velo che nasconde il vero significato della vita. Il ministro del lavoro che nei primi governi postcomunisti inventa i punti mobili di distribuzione di zuppe calde per coloro che sono rimasti piegati dalle politiche liberiste del collega delle finanze. L'orgoglioso polacco che non ha mai smesso di battersi per la causa dell'amicizia tra la propria nazione, quella ebraica e quella ucraina. Il signore di mezza eta' che sulla scia degli scritti di Dietrich Bonhoeffer affronta senza dogmatismi laicisti il mistero della fede. Tutte immagini di uno dei padri autenticamente nobili dell'Europa. 7. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA: UNA NOTA INTRODUTTIVA AL TESTO SEGUENTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Il frammento qui sotto fa parte delle dichiarazioni rese da Jacek Kuron al processo celebrato a Varsavia dal 2 al 15 gennaio 1969. E' il suo secondo procedimento giudiziario: la prima volta era stato processato assieme a Modzelewski il 13 luglio 1965. In ambedue le vicende si intrecciano le spinte e le involuzioni del Poup dopo la grande stagione dei consigli che segui' all'ottobre polacco del 1956. La Polonia era stata marcata dalle stesse colpe delle altre democrazie popolari, con la variante di una, se non tolleranza, umanita', che impedi' le atrocita' dei processi cecoslovacchi e ungheresi. Cosi' nel 1956 il dibattito e la lotta politica sembrano meno traumatici, e quando la spinta di massa va spegnendosi, nasce un tentativo di andare piu' a fondo alle radici del permanere di un sistema oppressivo. Le tesi per cui sono processati Kuron e Modzelewski sono apparse in un saggio di 128 pagine, "una costruzione logica", come la definiscono gli autori, nel quale si analizza la persistenza di un'oppressione di classe nel paese. Gli viene opposta una campagna violenta. I due estensori lo riassumono in una "Lettera aperta ai membri del partito e all'organizzazione degli studenti dell'Universita' di Varsavia". Il testo uscira' anche dalla Polonia, sara' pubblicato da una rivista di emigrati polacchi e piu' tardi dalla sezione francese della Quarta Internazionale con una prefazione di Pierre Franck. Modzelewski e Kuron sono cacciati dal partito, arrestati e condannati. * Al secondo processo i due sono accusati di aver fondato un'organizzazione illegale e condannati a tre anni e mezzo di carcere. Il loro caso si inquadra nella repressione dei moti studenteschi, nella protesta contro l'invasione di Praga, nel precipitare della lotta interna al partito, dove prevale la componente nazionalista e antisemita del generale Moczar. Nella dichiarazione di Kuron appaiono sia gli elementi di continuita' con la posizione del 1964, sia gli aspetti venuti alla luce nel 1968. Alla critica sulla persistente struttura di classe del paese, si aggiunge quella al risorgente nazionalismo e all'antisemitismo. Mentre Modzelewski definisce il primo come un transfert elementare della condizione di scontento, di fronte alla subalternita' della Polonia all'Unione sovietica (e il procuratore lo accusa di essere figlio di madre ebrea) Kuron attacca l'antisemitismo come diversione per eludere la gravita' e le responsabilita' della crisi sociale. In realta', esso e' un riflesso della maggioranza cattolica oscurantista del paese ed e' strumento di lotte interne in un partito che aveva sempre avuto un numero assai grande di ebrei fra i dirigenti e la base. Lo spiegano l'importanza numerica della popolazione ebraica (piu' del 10% del totale), la sua collocazione nelle citta', le discriminazioni di cui era oggetto. Anche se la grande maggioranza degli ebrei era religiosa e conservatrice, una forte minoranza si esprimeva politicamente nella tendenza sionista del Bund, partito socialista riformista, e nella minoranza comunista. Negli anni '30 gia' funzionava in Polonia un campo di concentramento, Bereza Kartuska, praticamente riservato ai comunisti e alla minoranza nazionale ucraina. Dopo la guerra, dei tre milioni e trecentomila ebrei polacchi ne restavano 70.000; di questi, molti erano passati in Unione sovietica, combattendo nella prima Armata polacca, formata nel maggio 1943. Nel gruppo dirigente della Repubblica popolare polacca si trovarono dunque parecchie personalita' di primo piano di origine ebraica: Berman, il numero due del partito, Minc, Ministro del piano, Zambrowski, segretario dell'organizzazione. Nel 1968 il gruppo dei "partigiani" attorno al generale Moczar, dirigente dei servizi di sicurezza, reclama l'epurazione delle forze armate. Nel marzo di quell'anno, il partito accusa i "sionisti" di avere istigato il movimento degli studenti, vengono arrestati molti giovani di origine ebraica, si discriminano gli insegnanti. Gomulka dichiara: "Le persone che non possiedono un sentimento nazionale fortemente radicato non possono occupare posti di direzione nella vita del paese". A giugno Andrzej Werblan, responsabile dell'educazione e ideologia nel Comitato centrale, scrive: "Nessuna societa' puo' tollerare l'eccessiva partecipazione d'una minoranza nazionale nei posti di governo" e lancia la "politica nazionale dei quadri che mira a correggere la composizione etnica irregolare degli organi dirigenti del partito e dello stato". Essa sara' votata in presenza delle delegazioni dei partiti comunisti di tutti i paesi dal quinto congresso del Poup. 8. MEMORIA. JACEK KURON: LA DITTATURA DELLA BUROCRAZIA (1969) [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2004 riprendiamo i seguenti stralci dell'autodifesa di Kuron nel suo secondo processo nel 1969] (...) L'imputazione legata all'accusa di aver organizzato una formazione segreta, non ha trovato alcun fondamento nell'inchiesta. Il procuratore afferma che la lettera aperta al Poup, da noi diffusa nel 1964, rappresenterebbe un programma di azione politica e sarebbe quindi una prova indiretta dell'esistenza di tale organizzazione. Ma quella lettera non e' stata ne' voleva essere il programma di un gruppo politico: si voleva il punto di partenza per una discussione sui problemi essenziali del movimento operaio e del paese. La dittatura totale della burocrazia ha privato i cittadini - ma sarebbe meglio dire i sudditi - del diritto fondamentale di essere i padroni del paese. Il sistema pretende di rappresentare il governo della classe operaia, mentre questa classe e' stata privata di ogni influenza sulle scelte politiche ed economiche. Gli interessi del governo e del partito non solo non convergono con quelli della classe operaia, ma si fanno sempre piu' divergenti. Secondo le statistiche, negli ultimi trent'anni l'incremento medio dei salari operai e' stato del 40%. Ma il 30% e' stato ottenuto dagli scioperi e le lotte durante la crisi politica del '56-'58, contro il volere della direzione del partito. * L'essenza della dittatura burocratica sta nel limitare sistematicamente i diritti della classe operaia e della societa' tutta, nell'eliminare ogni margine di liberta', nell'allargare il monopolio del potere costituito sull'insieme della vita sociale. In un sistema di democrazia proletaria la societa', attraverso la discussione e la liberta' di parola, ha la possibilita' di influire sul governo, controllarlo e orientarne l'azione. In una dittatura della burocrazia si puo' solo discutere sul modo di realizzare le decisioni prese dalla ristretta cerchia di chi detiene il potere; e la classe operaia, priva di ogni diritto civile e di ogni potere effettivo, non ha che la facolta' di discutere come si effettuano nel modo piu' efficiente e rapido queste decisioni. Cosi' del resto ha pubblicamente dichiarato W. Gomulka nel discorso di chiusura al quinto congresso del Poup. Ebbene, lo scopo della nostra lettera aperta era proprio quello di dar vita ad una discussione nella societa' e in primo luogo fra gli operai. Volevamo che il popolo si sentisse padrone del proprio paese e si pronunciasse sui suoi problemi essenziali. Nel corso della discussione, il ricostituito movimento operaio avrebbe probabilmente rifiutato - pensavamo - alcune o anche tutte le nostre tesi. Non intendevamo proporre alla classe operaia un programma definitivo, bello e fatto, solo da accettare. * (...) In Polonia l'antisemitismo non e', come qualcuno afferma, un falso problema; e' un problema scottante (...). L'antisemitismo ha da noi una duplice forma: la prima consiste nell'odio verso persone che per i legami di lingua e di cultura sono ebrei e cui si vorrebbero disconoscere i diritti civili e di sviluppo della propria tradizione. La seconda, che si esprime nella formula "polacchi di origine ebraica", si riferisce a persone che, quali che siano i loro legami linguistici e culturali, si dichiarano polacchi. Definirli, o piu' precisamente bollarli, come "ebrei", e' antisemitismo di tipo nazista. La cui funzione e' di impedire la discussione su problemi delicati e etichettando come "ebreo" chi solleva delle obiezioni. In ultima analisi, questo antisemitismo di stampo razzista conduce ad attribuire a "estranei" le colpe del sistema e le deficienze di funzionamento del governo. Nel 1956 l'elemento estraneo su cui scaricare le responsabilita' fu rappresentato dai sovietici e dai comunisti i cui cognomi erano considerati ebraici. Nel marzo 1968 alla lista si sono aggiunti i nomi di Stazewski e di Zambrowski. L'inchiesta ha fatto grandi sforzi per trovare anche fra i miei antenati un cognome ebraico. Non essendo riusciti a farmi diventare ebreo, volevano farmi diventare ucraino, per potermi comunque bollare come straniero. Ci sono stati dei giorni in cui sono stato tentato di dichiararmi ebreo; ci sono situazioni in cui un uomo onesto deve dichiararsi tale (...). 9. LETTURE. HANS BOTS, FRANCOISE WAQUET: LA REPUBBLICA DELLE LETTERE Hans Bots, Francoise Waquet, La Repubblica delle lettere, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 278, euro 16. Una interessante monografia su quell'ideale "internazionale degli intellettuali" che tra Rinascimento e Illuminismo, tra Erasmo e Voltaire, cerco' di pensare, essere, proporre un'altra Europa, umanistica, di pace e di cooperazione, contro i poteri, le ideologie e le prassi del dominio, del bavaglio, della morte. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 37 del 23 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html e anche alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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