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La domenica della nonviolenza. 101
- Subject: La domenica della nonviolenza. 101
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 4 Mar 2007 12:16:59 +0100
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 101 del 4 marzo 2007 In questo numero: 1. Nicola Calipari, due anni dopo 2. Benito D'Ippolito: Sulla strada dell'aeroporto 3. Benito D'Ippolito: Alcuni altri omissis da un rapporto 4. Giuliana Sgrena: La mia testimonianza (un articolo del 6 marzo 2005) 5. Giuliana Sgrena: Un anno dopo (un articolo del 4 marzo 2006) 6. Sandro Provvisionato: Ciao, Nicola (un ricordo del marzo 2005) 1. MEMORIA. NICOLA CALIPARI, DUE ANNI DOPO [Nicola Calipari (Reggio Calabria, 1953 - Baghdad, 2005), laureato in giurisprudenza, con una straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena; e' stato ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad. Opere su Nicola Calipari: AA. VV., Nicola Calipari ucciso dal fuoco amico, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005] Salvare le vite, questa e' una buona idea. Salvare le vite, questo faceva Nicola Calipari. Salvare le vite, questo ogni essere umano dovrebbe fare. 2. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: SULLA STRADA DELL'AEROPORTO [Riproponiamo ancora questo testo] Sulla strada dell'aeroporto attende sbigottito il cacciatore nel buio attende franco il cacciatore sulla strada dell'aeroporto. E tu non sai che sei la selvaggina. Sulla strada dell'aeroporto attende nel buio la nera signora che parla rafficando e riga i volti di lacrime di sangue. E non c'e' ombrello che fermi questa pioggia. Sulla strada dell'aeroporto la guerra terrorista ti raggiunge la guerra, che e' sempre terrorista il terrorismo, che nella guerra culmina. Denti di drago seminava Giasone. Sulla strada dell'aeroporto dove tu sei la selvaggina dove l'alito del male ti fa cenere. Ah buon Nicola, che salvavi il mondo, tu, buon amico della nonviolenza. 3. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: ALCUNI ALTRI OMISSIS DA UN RAPPORTO [Riproponiamo ancora questo testo] La notte era assai buia l'auto aveva quattro ruote i nostri ragazzi sono impetuosi gli italiani e' difficile distinguerli dagli arabi, dai terroristi, dai cani. La notte era assai buia sparano i mitra, servono a questo ve lo avevamo detto mille volte di starci dietro, dietro e non di fronte di starvene accucciati, come tutti. La notte era assai buia per questo mancammo gli altri due. 4. MEMORIA. GIULIANA SGRENA: LA MIA TESTIMONIANZA (UN ARTICOLO DEL 6 MARZO 2005) [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 marzo 2005 riproponiamo ancora questo testo. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] Sto ancora nel buio. E' stata quella di venerdi' la giornata piu' drammatica della mia vita. Erano tanti i giorni che ero stata sequestrata. Avevo parlato solo poco prima con i miei rapitori, da giorni dicevano che mi avrebbero liberato. Vivevo cosi' ore di attesa. Parlavano di cose delle quali soltanto dopo avrei capito l'importanza. Dicevano di problemi "legati ai trasferimenti". Avevo imparato a capire che aria tirava dall'atteggiamento delle mie due "sentinelle", i due personaggi che mi avevano ogni giorno in custodia. Uno in particolare che mostrava attenzione ad ogni mio desiderio, era incredibilmente baldanzoso. Per capire davvero quello che stava succedendo gli ho provocatoriamente chiesto se era contento perche' me ne andavo oppure perche' restavo. Sono rimasta stupita e contenta quando, era la prima volta che accadeva, mi ha detto "so solo che te ne andrai, ma non so quando". A conferma che qualcosa di nuovo stava avvenendo a un certo punto sono venuti tutti e due nella stanza come a confortarmi e a scherzare: "Complimenti - mi hanno detto - stai partendo per Roma". Per Roma, hanno detto proprio cosi'. Ho provato una strana sensazione. Perche' quella parola ha evocato subito la liberazione ma ha anche proiettato dentro di me un vuoto. Ho capito che era il momento piu' difficile di tutto il rapimento e che se tutto quello che avevo vissuto finora era "certo" ora si apriva un baratro di incertezze, una piu' pesante dell'altra. Mi sono cambiata d'abito. Loro sono tornati: "Ti accompagniamo noi, e non dare segnali della tua presenza insieme a noi senno' gli americani possono intervenire". Era la conferma che non avrei voluto sentire. Era il momento piu' felice e insieme il piu' pericoloso. Se incontravamo qualcuno, vale a dire dei militari americani, ci sarebbe stato uno scontro a fuoco, i miei rapitori erano pronti e avrebbero risposto. Dovevo avere gli occhi coperti. Gia' mi abituavo ad una momentanea cecita'. Di quel che accadeva fuori sapevo solo che a Baghdad aveva piovuto. La macchina camminava sicura in una zona di pantani. C'era l'autista piu' i soliti due sequestratori. Ho subito sentito qualcosa che non avrei voluto sentire. Un elicottero che sorvolava a bassa quota proprio la zona dove noi ci eravamo fermati. "Stai tranquilla, ora ti verranno a cercare... tra dieci minuti ti verranno a cercare". Avevano parlato per tutto il tempo sempre in arabo, e un po' in francese e molto in un inglese stentato. Anche stavolta parlavano cosi'. * Poi sono scesi. Sono rimasta in quella condizione di immobilita' e cecita'. Avevo gli occhi imbottiti di cotone, coperti da occhiali da sole. Ero ferma. Ho pensato... che faccio? comincio a contare i secondi che passano da qui ad un'altra condizione, quella della liberta'? Ho appena accennato mentalmente ad una conta che mi e' arrivata subito una voce amica alle orecchie: "Giuliana, Giuliana sono Nicola, non ti preoccupare ho parlato con Gabriele Polo, stai tranquilla sei libera". Mi ha fatto togliere la "benda" di cotone e gli occhiali neri. Ho provato sollievo, non per quello che accadeva e che non capivo, ma per le parole di questo "Nicola". Parlava, parlava, era incontenibile, una valanga di frasi amiche, di battute. Ho provato finalmente una consolazione quasi fisica, calorosa, che avevo dimenticato da tempo. La macchina continuava la sua strada, attraversando un sottopassaggio pieno di pozzanghere, e quasi sbandando per evitarle. Abbiamo tutti incredibilmente riso. Era liberatorio. Sbandare in una strada colma d'acqua a Baghdad e magari fare un brutto incidente stradale dopo tutto quello che avevo passato era davvero non raccontabile. Nicola Calipari allora si e' seduto al mio fianco. L'autista aveva per due volte comunicato in ambasciata e in Italia che noi eravamo diretti verso l'aeroporto che io sapevo supercontrollato dalle truppe americane, mancava meno di un chilometro mi hanno detto... quando... Io ricordo solo fuoco. A quel punto una pioggia di fuoco e proiettili si e' abbattuta su di noi zittendo per sempre le voci divertite di pochi minuti prima. L'autista ha cominciato a gridare che eravamo italiani, "siamo italiani, siamo italiani...", Nicola Calipari si e' buttato su di me per proteggermi, e subito, ripeto subito, ho sentito l'ultimo respiro di lui che mi moriva addosso. Devo aver provato dolore fisico, non sapevo perche'. Ma ho avuto una folgorazione, la mia mente e' andata subito alle parole che i rapitori mi avevano detto. Loro dichiaravano di sentirsi fino in fondo impegnati a liberarmi, pero' dovevo stare attenta "perche' ci sono gli americani che non vogliono che tu torni". Allora, quando me l'avevano detto, avevo giudicato quelle parole come superflue e ideologiche. In quel momento per me rischiavano di acquistare il sapore della piu' amara delle verita'. Il resto non lo posso ancora raccontare. * Questo e' stato il giorno piu' drammatico. Ma il mese che ho vissuto da sequestrata ha probabilmente cambiato per sempre la mia esistenza. Un mese da sola con me stessa, prigioniera delle mie convinzioni piu' profonde. Ogni ora e' stata una verifica impietosa sul mio lavoro. A volte mi prendevano in giro, arrivavano a chiedermi perche' mai volessi andar via, di restare. Insistevano sui rapporti personali. Erano loro a farmi pensare a quella priorita' che troppo spesso mettiamo in disparte. Puntavano sulla famiglia. "Chiedi aiuto a tuo marito", dicevano. E l'ho detto anche nel primo video che credo avete visto tutti. La vita mi e' cambiata. Me lo raccontava l'ingegnere iracheno Ra'ad Ali Abdulaziz di "Un Ponte per" rapito con le due Simone, "la mia vita non e' piu' la stessa", diceva. Non capivo. Ora so quello che voleva dire. Perche' ho provato tutta la durezza della verita', la sua difficile proponibilita'. E la fragilita' di chi la tenta. Nei primi giorni del rapimento non ho versato una sola lacrima. Ero semplicemente infuriata. Dicevo in faccia ai miei rapitori: "Ma come, rapite me che sono contro la guerra?!". E a quel punto loro aprivano un dialogo feroce. "Si', perche' tu vai a parlare con la gente, non rapiremmo mai un giornalista che se ne sta chiuso in albergo. E poi il fatto che dici di essere contro la guerra potrebbe essere una copertura". E io ribattevo, quasi a provocarli: "E' facile rapire una donna debole come me, perche' non provate con i militari americani?". Insistevo sul fatto che non potevano chiedere al governo italiano di ritirare le truppe, il loro interlocutore "politico" non poteva essere il governo ma il popolo italiano che era ed e' contro la guerra. * E' stato un mese di altalena, tra speranze forti e momenti di grande depressione. Come quando, era la prima domenica dopo il venerdi' del rapimento, nella casa di Baghdad dove ero sequestrata e su cui svettava una parabolica, mi fecero vedere un telegiornale di Euronews. Li' ho visto la mia foto in gigantografia appesa al palazzo del Comune di Roma. E mi sono rincuorata. Poi pero', subito dopo, e' arrivata la rivendicazione della Jihad che annunciava la mia esecuzione se l'Italia non avesse ritirato le sue truppe. Ero terrorizzata. Ma subito mi hanno rassicurata che non erano loro, dovevo diffidare di quei proclami, erano dei "provocatori". Spesso chiedevo a quello che, dalla faccia, sembrava il piu' disponibile che comunque aveva, con l'altro, un aspetto da soldato: "Dimmi la verita', mi volete uccidere". Eppure, molte volte, c'erano strane finestre di comunicazione, proprio con loro. "Vieni a vedere un film in tv", mi dicevano, mentre una donna wahabita, coperta dalla testa ai piedi girava per casa e mi accudiva. I rapitori mi sono sembrati un gruppo molto religioso, in continua preghiera sui versetti del Corano. Ma venerdi', al momento del mio rilascio, quello tra tutti che sembrava il piu' religioso e che ogni mattina si alzava alla cinque per pregare, mi ha fatto le sue "congratulazioni" incredibilmente stringendomi fortemente la mano - non e' un comportamento usuale per un fondamentalista islamico -, aggiungendo "se ti comporti bene parti subito". Poi, un episodio quasi divertente. Uno dei due guardiani e' venuto da me esterrefatto sia perche' la tv mostrava i miei ritratti appesi nelle citta' europee e sia per Totti. Si' Totti, lui si e' dichiarato tifoso della Roma ed era rimasto sconcertato che il suo giocatore preferito fosse sceso in campo con la scritta "Liberate Giuliana" sulla sua maglietta. * Ho vissuto in una enclave in cui non avevo piu' certezze. Mi sono ritrovata profondamente debole. Avevo fallito nelle mie certezze. Io sostenevo che bisognava andare a raccontare quella guerra sporca. E mi ritrovavo nell'alternativa o di stare in albergo ad aspettare o di finire sequestrata per colpa del mio lavoro. "Noi non vogliamo piu' nessuno", mi dicevano i sequestratori. Ma io volevo raccontare il bagno di sangue di Falluja dalle parole dei profughi. E quella mattina gia' i profughi, o qualche loro "leader", non mi ascoltavano. Io avevo davanti a me la verifica puntuale delle analisi su quello che la societa' irachena e' diventata con la guerra e loro mi sbattevano in faccia la loro verita': "Non vogliamo nessuno, perche' non ve ne state a casa, che cosa ci puo' servire a noi questa intervista?". L'effetto collaterale peggiore, la guerra che uccide la comunicazione, mi precipitava addosso. A me che ho rischiato tutto, sfidando il governo italiano che non voleva che i giornalisti potessero raggiungere l'Iraq, e gli americani che non vogliono che il nostro lavoro testimoni che cosa e' diventato quel paese davvero con la guerra e nonostante quelle che chiamano elezioni. Ora mi chiedo. E' un fallimento questo loro rifiuto? 5. MEMORIA. GIULIANA SGRENA: UN ANNO DOPO (UN ARTICOLO DEL 4 MARZO 2006) [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2006 riproponiamo ancora questo testo] Un anno fa scrivevo sul "Manifesto" Il mese piu' lungo, il racconto del mio sequestro. E' passato un anno: mesi di sofferenze fisiche e non solo, di speranze di uscire dal ruolo di "ostaggio", di tentativi di elaborare il lutto. Quando, improvvisamente, nell'anniversario del mio sequestro, il 4 febbraio, l'orologio si e' messo a correre all'indietro, all'impazzata. Di colpo e' come se i mesi trascorsi fossero svaniti: ogni giorno di febbraio mi ha riportato indietro, a un anno fa, mi sono tornati alla mente momenti assolutamente insignificanti della mia prigionia, che pensavo ormai sepolti. Ogni gesto e' diventata l'occasione per ricordare, persino l'andare a letto e avvolgermi nelle coperte, per proteggermi dal freddo, dalla paura. Per cercare di non pensare ho attraversato l'Italia e la Germania in lungo e in largo per parlare del mio libro Fuoco amico, che non e' altro che la mia drammatica esperienza intrecciata con la situazione irachena, quella si' veramente sempre piu' drammatica. Come allora anche oggi non posso parlare di me senza parlare dell'Iraq. * Intorno a me in questo vagare ho trovato tanta gente, tanta solidarieta', tanta commozione. Giovani e donne che scoppiano in lacrime di fronte alle mie emozioni, ai miei ricordi di Nicola Calipari, al fatto che la mia tragedia mi impedisce di sentirmi completamente libera. La mia vita e' cambiata. Come? Mi chiedono in molti. Sono cambiata dentro, e' difficile da spiegare: insicurezze, paure, incubi, che mi portano a vivere alla giornata, incapace di fare progetti. E anche fuori: per strada la gente mi guarda, mi saluta, o semplicemente sorride. Qualcuno mi fissa con uno sguardo truce, magari non sa nemmeno chi sono, ma io tremo. Una notorieta' improvvisa che non avrei mai desiderato, condizionante. A volte mi fa sentire investita di un ruolo che non posso assolvere. Cosa devono fare i pacifisti? A volte rispondo che il mio sequestro ha dato loro una spinta per tornare in piazza, quel 19 febbraio di un anno fa erano in 500.000, mi hanno raccontato. Ma poi? Sembra che nessuno abbia saputo raccogliere questa opportunita' di tornare a essere protagonisti. Speriamo che la manifestazione del 18 marzo sia l'occasione. Ci sono tanti giovani studenti che hanno fatto la tesi sul mio sequestro, su di me, sulla guerra e l'informazione. Mi dicono che io sono per loro un "modello". Una bella soddisfazione dopo le critiche di alcuni colleghi. Ma anche una grande impotenza. In Iraq non si puo' piu' andare per informare, l'informazione e' stata completamente militarizzata con l'istituzionalizzazione dei giornalisti "embedded". Che fare? Dovrei sconsigliarli a intraprendere questa strada, ma invece rispondo che non possiamo arrenderci, che l'informazione puo' servire a sconfiggere la logica della guerra. L'entusiasmo dei giovani deve essere alimentato e indirizzato piuttosto che depresso. Negli anni scorsi quando andavo in giro a presentare i miei libri trovavo gli aficionados, era difficile riempire le sale, c'era sempre qualche motivo che limitava la partecipazione: pioggia, coincidenza con altre iniziative, orario, etc. Ora invece le sale sono sempre piu' grandi e sempre piu' piene, tante facce nuove, tante attese, tante speranze e curiosita'. Non solo nei miei confronti. Cosa succede veramente in Iraq? * Purtroppo gli avvenimenti di questi giorni confermano quello che avevo scritto basandomi semplicemente sull'osservazione della realta'. Come la guerra civile strisciante che ora e' esplosa con tutta la sua violenza e che sembra sorprendere ipocritamente chi l'ha favorita. E poi, si sapra' mai la verita' sulla morte di Nicola Calipari? L'emozione per la sua morte e' ancora viva tra la gente. E anche la richiesta di verita'. La magistratura ha fatto un primo passo, importante, incriminando Mario Lozano, l'unico soldato che secondo il rapporto della commissione militare americana avrebbe sparato contro di noi, per omicidio volontario. Perche' l'operato della magistratura abbia un seguito occorre pero' una collaborazione delle autorita' Usa che puo' essere ottenuta solo con una forte pressione politica. Che non possiamo aspettarci da questo governo visto che il ministro Castelli non ha mai fatto nulla per ottenere una risposta alle rogatorie. E ieri il ministro della difesa Antonio Martino, durante la commemorazione di Calipari, e' arrivato a dire che e' stato il fato a uccidere il dirigente del Sismi. Non il fuoco americano. Martino ha osato piu' del comando Usa che aveva parlato di "fatale incidente". Poi, per fortuna, Gianni Letta lo ha smentito. * Oggi, 4 marzo, torno con la mente a Baghdad, ripenso al fuoco che ci ha colpito, alla breve gioia seguita dal grande dolore per la morte di Nicola. Non possiamo arrenderci, finche' non sveleremo la verita'. Scoprire la verita' fa parte del nostro lavoro e la mia speranza e' di poter tornare presto a fare la giornalista come ho sempre fatto. 6. MEMORIA. SANDRO PROVVISIONATO: CIAO, NICOLA (UN RICORDO DEL MARZO 2005) [Da "La newsletter di Misteri d'Italia", anno 6, n. 98 dell'11 marzo 2005 (sito: www.misteriditalia.com) riproponiamo ancora questo testo. Sandro Provvisionato e' un prestigioso giornalista e saggista autore di rilevanti inchieste, da sempre impegnato contro i poteri criminali. Tra le opere di Sandro Provvisionato: Lo sport in Italia, Savelli, Roma 1978; (con Adalberto Baldoni), La notte piu' lunga della Repubblica. Destra e sinistra: ideologie, estremismi, lotta armata, Serarcangeli,1989; Misteri d'Italia. 50 anni di trame e delitti senza colpevoli, Laterza, Roma-Bari 1993; Segreti di mafia, Laterza, Roma-Bari 1994; Giustizieri sanguinari. I poliziotti della Uno bianca. Un altro mistero di Stato, Pironti, Napoli 1995; (con Gian Paolo Rossetti), Il mostro, il giudice e il giornalista, Theoria, 1996; (con Ferdinando Imposimato e Giuseppe Pisauro), Corruzione ad alta velocita'. Viaggio nel governo invisibile, Koine', 1999; Uck: l'armata dell'ombra. L'Esercito di liberazione del Kosovo. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo, Gamberetti, Roma 2000; Il giallo del Petruzzelli, Sigma, 2001; (con Adalberto Baldoni), A che punto e' la notte?, Vallecchi, 2003; (con Vittorio Di Cesare), Servizi segreti e misteri italiani, Editoriale Olimpia, 2004; (con Vittorio Di Cesare), Vaticano rosso sangue, Editoriale Olimpia, 2006] Di Nicola Calipari e' stato scritto molto, moltissimo. La retorica ormai inevitabile, in questo Paese senza piu' certezze, non e' riuscita ad evitare un termine ormai tristemente inflazionato: eroe. Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa un eroe: un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o del terrorismo, un ostaggio caduto nelle mani piu' insaguinate. Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo cosi', perche' lo conoscevo da tempo) sia stato un eroe. So solo che e' morta una delle persone piu' belle che abbia mai conosciuto nella mia lunga carriera di giornalista. Un uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori, ma soprattutto un uomo competente che adorava il suo lavoro. Conobbi Nicola all'inizio del 2000 quando era al vertice dello Sco, Il servizio centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo, la "guerra umanitaria" della Nato scatenata - con il pieno avallo del governo di centro-sinistra, guidato da Massimo D'Alema - per "liberare" la provincia serba, oggi finita nelle mani di un criminale di guerra, grande trafficante di droga, avevo deciso di scrivere un libro che pero' non raccontasse la mia esperienza di inviato di guerra, ma la realta' di un paese vocato a diventare uno narcostato, una Colombia infilata come un cuneo nei Balcani. La storia di questi anni sembra aver dato ragione a quel libro (usci' sempre nel 2000 con il titolo: Uck, l'armata dell'ombra. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo). E Nicola in quel libro ebbe un ruolo determinante: non volle essere citato, Nicola, ma tutte o quasi le notizie sui narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da Nicola che proprio sulle filiere del traffico della droga era un vero esperto. Tovai in lui sensibilita' e competenza, ma soprattutto una grande diponibilita' a ragionare. Alla mia domanda: perche' la Nato ha fatto una guerra per questa banda di criminali e trafficanti che e' l'Uck? Lui mi rispose: "Me lo sto chiedendo dall'inizio della guerra". Il nostro rapporto e' continuato negli anni. Nei momenti di dubbio su fatti che via via accadevano lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo di interpretare gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale, mai scontato. Sapeva analizzare gli accadimenti con una lucidita' che legava un fatto ad un altro, fino a tessere una tela degna del migliore di quelli che oggi e' di moda chiamare con disprezzo "dietrologi". Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: "Lo dicono a me, ma guarda che il vero dietrologo sei tu...". Lui rideva e ripeteva sempre: "Ma se non vai dietro a quello che succede hai solo una visione frontale che ti da' solo un'immagine parziale della realta'". Lo avevo sentito un paio di settimane prima della sua morte. Gli avevo esposto dubbi su un'operazione condotta lo scorso anno dal Sismi (e quindi da lui) in Libano: un attentato sventato all'ambasciata italiana di Beirut con l'appoggio dei servizi segreti siriani (vedi la "Newsletter di Misteri d'Italia" n. 93). Si era un po' innervosito della mia insinuazione, ma poi, come sempre, aveva riso e mi aveva detto: "Lo sai che il dubbio che i siriani ci abbiano tirato un bidone e' venuto anche a me...". Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c'e' stato tempo. Ciao, Nicola. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 101 del 4 marzo 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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