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La nonviolenza e' in cammino. 1478
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1478
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 13 Nov 2006 03:35:19 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1478 del 13 novembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Osvaldo Caffianchi: Tu pensi 2. Letture: Ivan Illich, Elogio della bicicletta 3. Bruna Peyrot: Dell'educare come nonviolenza 4. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2007 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. OSVALDO CAFFIANCHI: TU PENSI Tu pensi di vedere un incendio da lontano e invece le fiamme sono gia' qui. 2. LETTURE. IVAN ILLICH: ELOGIO DELLA BICICLETTA Ivan Illich, Elogio della bicicletta, Bollati Boringhieri, Torino 2006, pp. 102, euro 7. Di questo breve saggio di Ivan Illich su "energia, velocita' e giustizia sociale" (cosi' il titolo dell'edizione originale francese) raccomandiamo vivissimamente la lettura. 3. RIFLESSIONE. BRUNA PEYROT: DELL'EDUCARE COME NONVIOLENZA [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: peyrotb at libero.it) per averci messo a disposizione il testo del capitolo nono, "Nona consapevolezza. Dell'educare come nonviolenza", del suo libro La cittadinanza interiore, Citta' aperta, Troina (Enna) 2006, alle pp. 113-130. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004; La cittadinanza interiore, Citta' Aperta, 2006] Dire che la democrazia e' un ragionamento significa necessariamente destinarla a diventare oggetto di educazione che coinvolge, ma non solo, le nuove generazioni. Un processo educativo procede sempre attraverso insegnamenti e situazioni pedagogiche, in cui i primi compromettono le personalita' individuali, mentre le seconde agiscono in spazi pubblici. Due insegnamenti imprescindibili per fondare la democrazia nel ventunesimo secolo sono: la storia nonviolenta del mondo e l'interculturalita'. Due situazioni che radicano la democrazia sono: saper praticare la politica e trovare luoghi riconosciuti per farla. Educare con questi riferimenti significa riportare al suo vero significato la parola "soggetto": sub-iectum, stare sotto se stesso. Essere padrone di se stessi, tuttavia, e' un atto difficile da compiere in solitudine, perche' "la ghianda ha bisogno di un mentore" (1), il nucleo speciale che e' in ognuno di noi, il nostro contributo originale al mondo non schiude da solo. Ha bisogno di un accompagnamento per trovare la propria forma affinche' il disegno di una nuova persona sia compiuto. Il rapporto educativo che lo forgia deve percio' essere ispirato da "un eros di reciproca fiducia" fra maestro e allievo, perche' insegnare "e' toccare cio' che vi e' di piu' serio in un essere umano" (2), cio' che permette l'accesso alla sua integrita' piu' intima. La nona consapevolezza che propongo riguarda, dunque, il valore dell'educare e dell'insegnare. Dell'educare inteso nella sua radice originaria: ex-duco, conduco fuori, aiuto a uscire da se stessi con un atto che impone l'autoriflessione. Dell'insegnare inteso nel suo valore piu' reale: in-signare, lasciare segni, lanciare semi che poi fruttificano sull'albero della vita che ci e' affidata. Socrate e Gesu' sono i primi maestri dell'educare, insegnando. Socrate scava lo sconosciuto, o meglio l'apparentemente conosciuto, con domande in risposta a domande, le quali, come una lunga scala, gradino dopo gradino, accompagnano verso la consapevolezza di un'idea. Gesu' insegna con un gesto parabolico che inverte la tradizione e il gia' compiuto fino a quel momento. Lanciare la prima pietra, lavare i piedi, oppure - gesto bellissimo - scrivere con il dito sulla polvere (Giovanni 8, 1-8), regalano, rompendo schemi di pensiero abituale, significanze immediate che tutti possono comprendere. Insegnare non e' trasmettere pillole di sapere. A tutta la storia della pedagogia, da John Dewey a Gianni Rodari, e ancora prima, da Comenio e Rousseau, interessa l'anima degli educandi, importa entrare nelle loro soggettivita' attraverso la convinzione, cercare il "punto - ponte" dove lasciar filtrare il raggio della comunicazione fra due esseri. Solo con lo stabilirsi di un rapporto fra individui, fra corpi, fra persone, puo' passare, infatti, il messaggio educativo che porta conoscenza. "Democrazia e' amore", dice Luce Irigaray e comincia dalla coppia. Dal "due" inizia il nostro piegarsi alle ragioni dell'"altro", primo fra tutti, allo sguardo dei genitori. La democrazia germina sin dall'intimita' di un atto d'amore e si allarga a tutti i rapporti che in seguito si sperimentano, soprattutto nel legame fra donne e uomini, perche' "una relazione sbagliata fra loro rappresenta la fonte di molti poteri antidemocratici. Senza trasformare questo piu' quotidiano tra noi, non cambieremo il pianeta" (3). * Noi e il pianeta: e' un'altra fondamentale relazione da tenere presente nell'educare che, fra i suoi compiti, ha in primo luogo quello di dedicarsi all'umanita'. Lo spiega Edgar Morin attraverso i "sette saperi necessari all'educazione del futuro" (4): l'incompletezza della conoscenza, la capacita' di raccogliere informazioni sul mondo, la condizione umana, l'identita' terrestre, il sapere affrontare le incertezze, la comprensione e infine l'etica del genere umano. La storia nonviolenta del mondo e l'Interculturalita', che ho proposto per consolidare l'educazione alla democrazia, si conciliano molto bene con gli ultimi due saperi indicati da Morin. Insegnare la comprensione, infatti, assicura "la garanzia della solidarieta' intellettuale e morale dell'umanita'" (5). Insegnare l'etica del genere umano avvalora invece la "coscienza individuale oltre l'individualita'" (6) che implica la volonta', non timorosa, di scommettere sull'incerto. Non sono obiettivi raggiungibili con l'applicazione di semplici ricette educative. Solo l'insegnare il dubbio, l'allenare al dissenso, l'accettare i contrari, il preparare alle separazioni come salti dovuti alla crescita, equipaggiano la vita, nell'andirivieni continuo dalla "casa" verso il mondo. Queste ripetute traiettorie aggiungono parole nuove alla comprensione del genere umano, piegato dalla "didattica della sensatezza" (7), a rinascere all'adultita' dentro una relazione responsabile, in cui le parole dirette al prossimo sono misurate sul principio del rispetto. * Per costruire una societa' pacifica, ogni popolo non puo' ignorare le proprie storie di guerra. Per questo motivo, ogni agenzia formativa, in primo luogo le scuole, le universita', gli istituti culturali, ma anche le chiese e i partiti, non possono esimersi dall'interrogare i modi in cui e' avvenuta la trasmissione del passato alle nuove generazioni, perche' la guerra insegna guerra, anche se combattuta per una buona ragione (ma c'e' una buona ragione oggi per fare guerra?). L'esperienza della guerra produce uomini che conservano nel profondo di loro stessi la legge indelebile che le soluzioni ai conflitti passano per metodi violenti, e questo pensiero e' trasmesso, in modo cosciente o inconscio, ai figli. La guerra insegna mondi divisi fra amici e nemici, questi ultimi situati oltre una frontiera, definita da coloro che hanno deciso la guerra, anche se la complicita' del soldato con la logica del combattimento puo' indurre a forme di mistica estatica, come accadde a molti nella prima guerra mondiale (8). "La guerra e' normale" (9), proclama Hillman, anzi, un amore. Non possiamo capirla se non ammettiamo la sua attrazione. L'uso di metafore bellicose per descrivere la vita quotidiana e' un esempio della permeabilita' del suo fascino, che "la normazione dell'irragionevole" (10) contenuta nei miti tenta di spiegare. Infatti, la storia di Marte e Venere, amanti sorpresi da Efesto marito della dea, insegna che "l'uno colma un vuoto dell'altro e viceversa, espresso allegoricamente nella figlia nata dalla loro unione: Armonia" (11). Marte e Venere, guerra e amore, raffigurano una possibile unione archetipica per gli umani, testimoniata dal fatto che anche la guerra suscita passioni e permette comportamenti amorosi, come parte della letteratura in merito documenta: amore per il compagno, il vicino, il proprio capo, persino, a volte, per il nemico, figura che mobilita le energie in slanci epici. Al mito della guerra impresso nella psiche individuale e collettiva, la democrazia puo' opporre un ragionamento educativo per sottrarre, a poco a poco, al buio dell'irragionevole le forze che forgiano le immagini del nemico. Solo l'educazione ad accendere la luce sulle nostre paure puo' pulire gli atavici anfratti d'attrazione verso cio' che distrugge il creduto nemico sul nostro cammino. * La cultura della pace pretende lunghi processi educativi che non possono essere improvvisati. Il loro insegnamento richiede un impegno in grado di affrontare i molteplici aspetti delle culture nazionali, in particolare le varie forme della comunicazione sociale, poiche' la lingua ormai non e' piu' un luogo di verita' per l'esperienza. La democrazia comincia dal proprio vicino, prima di diventare la forma di governo di un paese, nei gesti quotidiani di ognuno di noi sperimentati nell'azione sociale. Solo un costante apprendistato garantisce un'etica sana del potere, inteso come servizio reso alla comunita' di appartenenza. Le basi di tale addestramento risiedono nelle pratiche del presente e nella trasmissione di un passato di altruismi. La proposta, dunque, e' di cercare episodi di riconciliazione dentro storie di contrapposizione, dalle seicentesche guerre religiose alla Resistenza al nazifascismo. Potrebbe significare cercare il classico ago nel pagliaio, che se e' difficile da scovare non vuol dire che non esista. Storie simili sono antesignane di una storia laica dei valori del mondo, da scrivere per un'umanita' che ha fallito nel narrare tracce di pace che pur sono state lasciate. In ogni tradizione politica, in Oriente come in Occidente, a Sud come a Nord, si trovano esempi di tolleranza. La proposta e' di situarli in un unico racconto. Solo cosi' la storia dell'umanita' puo' essere riformulata oltre i segmenti nazionali, etnici, continentali in cui e' stata letta. Una scommessa educativa idonea al XXI secolo non puo' che intraprendere questo arduo cammino per congiungere, in un nuovo racconto "globale" (del globo, appunto), le trame sepolte di un'umanita' vissuta in giustizia e tenerezza con il proprio simile. Sogno? Utopia? Forse solo una grande sfida educativa e politica, che da' significato all'essere abitanti di questa terra nel nostro misero quarto d'ora di storia, spesso sprecato nell'inessenzialita'. * Potremmo cominciare, per esempio, ripensando la Resistenza al nazifascismo, con l'obiettivo di scoprire lo spirito che ha costruito la societa' europea dell'ultimo mezzo secolo, travagliata da laceranti contraddizioni sociali, dalle emigrazioni del sud del mondo all'inasprirsi di una convivenza civile ridisegnata spesso su afflati etnici conflittuali. Nonostante queste acute polarizzazioni, l'Europa, soprattutto dopo lo "strappo" della seconda guerra mondiale, e' diventata consapevole di abitare "uno spazio condiviso, aperto a una conflittualita', che puo' diventare guerra civile ma anche polemos democratico e, dunque, spazio e apertura di un dialogo" (12). Come proporre, allora, una lettura dell'antifascismo, che ha usato la violenza delle armi per ristabilire la democrazia, e che non poteva essere che cosi', vista la forza immane dell'avversario e lo stato delle consapevolezze dell'epoca? Come raccontare la Resistenza, consapevoli dell'asimmetria inconciliabile fra democrazie e sistemi totalitari, ma al tempo stesso che la morale non puo' essere prerogativa di una sola parte? Come raccontare la Resistenza, senza lasciare nei giovani l'idea che i cambiamenti passano per una rivoluzione violenta? Come coltivare i valori dell'antifascismo e nello stesso tempo della nonviolenza? Non credo sia opera facile, e sarebbe gia' importante chiedersi, per quanto riguarda l'Italia, come questi stessi valori sono stati trasmessi nella scuola e sostenuti nella collettivita' nazionale. Costruire un confronto pacifico non richiede pochi giorni e forse siamo gia' in ritardo per molte coscienze, abituate ormai a considerare le guerre alla stregua di un videogioco. Eppure, dentro la storia della Resistenza europea sono germinati nuovi modi di pensare. "Nessuno finora ha parlato della Resistenza come della stagione in cui sono state scritte, pensate o salvate opere straordinarie nel campo della letteratura, delle arti figurative, della filosofia oltre che della storia. Nessuno si accorto che, durante il secondo conflitto mondiale, in particolare le Alpi sono state un rifugio, un luogo di battaglia, talora trappola, ma anche un laboratorio di idee, un luogo di elevazione spirituale, che ha modificato il volto del pensiero europeo" (13). Cavaglion ricorda Gueret in Francia, dove Marc Bloch ha composto l'Apologia della storia o mestiere di storico, dalla quale molti hanno ricevuto l'innamoramento per la storia, quella che non si limita a elencare gli eventi, ma entra nel cuore di se stessa, interrogandosi sul perche' esiste. Cavaglion ricorda ancora un altro luogo simbolico, pressoche' sconosciuto alla memoria antifascista, e una data: 10 maggio 1945. In quella congiuntura, a Degioz in Valle d'Aosta, lo storico Federico Chabod aveva ritrovato i manoscritti seppelliti in una baita, prima di scappare in Francia, inseguito dai tedeschi: erano i materiali preparatori de La Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1914, una delle piu' grandi opere del pensiero politico italiano. L'episodio dimostra che e' possibile narrare la Resistenza come "luogo di elevazione spirituale" che ha contenuto gesti di "riconciliazione", purtroppo dispersi in una storia ancora sconosciuta, perche' la loro memoria non esce dalla cerchia dei beneficiati. Il loro recupero, tuttavia, aiuterebbe a pensare il ruolo della responsabilita' personale. Pur in un conflitto in armi, infatti, il sogno dei resistenti al nazifascismo era ancorato alla moralita', individuale e collettiva, da ristabilire nello stile politico del dopoguerra e anticipata nelle regole di comportamento dei "ribelli". Il desiderio di una nuova societa' li ha sempre accompagnati, perche', dice Bobbio: "lo stato totalitario era la nostra ossessione. La democrazia, oltre che la nostra speranza, il nostro impegno" (14). Chi credeva questo, riusciva a compiere, nonostante la guerra, gesti di compassione infiniti. Chi puo' dimenticare la storia del "prete giusto" di Nuto Revelli? (15), oppure le avventure di Giorgio Perlasca, commerciante fascista che nella Budapest del 1944, fingendosi console di Spagna, salva tremila ebrei ungheresi? Credo che a questi episodi si possa risalire per trovare gli antenati della cittadinanza interiore, antenati ma anche maestri per i valori che comunicano, nel coraggio e nell'umilta'. Nelle Valli Valdesi del Piemonte ne e' stato protagonista un comandante partigiano, Ettore Serafino, che osa partecipare al culto di Natale del 1944 nel tempio valdese di Pomaretto dove incontra un gruppo di tedeschi seduti nei banchi davanti a lui. Ma alla fine, scrive: "alla Santa Cena insieme ci avviamo al bianco lino su cui scintilla il calice, assieme le mani del pastore ci porgono il pane e lo stesso messaggio e' dato per entrambi con le parole di un unico versetto" (16). Oltre a singoli, anche gruppi di cittadini hanno contrastato la persecuzione degli ebrei con silenziosa solidarieta', come in Danimarca, paese considerato docile all'occupazione tedesca, tanto da aver ispirato la frase "sdraiarsi come un danese", dove i cittadini hanno salvato quasi ottomila ebrei, traghettandoli nella vicina Svezia (17). Cosi' in Polonia, dove un gruppo di scuole clandestine curo' la propria identita' nazionale contro il disegno nazista, oppure ancora la Germania "altra", quella del milione di tedeschi imprigionati che ebbe il coraggio di opporsi al regime. Infine, non si puo' scordare la Resistenza civile delle donne, in guerra senz'armi (18) in tutto il mondo e in tutte le epoche, tanto che proprio da una di loro, una delle piu' insigni del Novecento, prorompe un grido etico che risuona ancora nei nostri cuori mezzo secolo dopo, un "pensiero liberatore" pronunciato sul nemico, formulato da Etty Hillesum: anche se resta un solo tedesco decente, "grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero" (19). La resistenza femminile e' insinuata nel quotidiano. Come abbiamo visto, anche le ugonotte del Settecento francese "resistevano" nelle case, proprio come nelle case, specie di montagna, insieme ai compagni uomini, le partigiane hanno sognato una societa' democratica. Queste ultime non solo hanno praticato la nonviolenza, spesso senza esserne pienamente coscienti, ma hanno provato a vivere una diversa femminilita', a testimonianza che la prima consapevolezza descritta in questo libro e' stata davvero un seme di nuova storia piantato negli anni della lotta al nazifascismo. Significativa, al riguardo, e' la testimonianza di Cecilia Pron (20), partigiana della Val Pellice (Torino) che narra come la "preparazione" alla Resistenza e' passata per il recupero della parola impedita dal ventennio fascista: "Parlavamo tanto... mi fermavo a dormire alla base partigiana quando dovevo portare messaggi o roba da mangiare. Passavamo la notte seduti sulla porta a chiacchierare fino al mattino dell'Italia del dopo, che ci sarebbero stati i sindacati e altro, ed erano le prime volte che parlavo anche del Partito Comunista. Era una cosa ancora un po' fantastica, mi piacevano le idee, ma non come quelle dell'Unione Sovietica". La politica, in altre parole, cresceva in quelle notti di confronto, fra uomini e donne in parita' e in amicizia, un sentimento che fondo' la Resistenza e l'dentita' democratica dell'Italia del "dopo". Queste schegge di storia non militare della Resistenza possono essere la base per una ricerca di pace. La geografia della memoria europea passa certo per i simboli della tragedia novecentesca: lager, ghetti ed eccidi. Tuttavia, nello stesso tempo, ha bisogno di una mappa diversa, capace di orientare i significati di una nuova Resistenza, da tradursi, sostiene Mantegazza, in una "pedagogia della resistenza" (21), intesa come modalita' di "salvazione del soggetto", in grado di uscire dalla dimensione egocentrica, solo quando incontra il dolore dell'altro. * Se la storia nonviolenta del mondo riscopre gli "antenati interiori", autori degli incontri solidali, l'interculturalita' insegna il senso profondo della democrazia che, interpretata in mille modi, merita di essere sviscerata in senso letterale: andare dentro le sue viscere. Il dibattito sulla democrazia, infatti, ha sempre sollevato dubbi, prima di tutto su cio' che puo' offrire ai paesi poveri. La democrazia, si dice, deve interpretare un modello di stato al servizio del cittadino, al quale garantire alcune necessita' basiche: cibo, alloggio, lavoro, scolarita', sanita'... Ma lo Stato, anche quello sociale, e' il capolavoro dell'Occidente. Dall'America latina all'Africa non ha mai rappresentato un ente al servizio del cittadino che, al contrario, e' sempre stato schiacciato da questo colosso che lo ha "spremuto" con tasse e burocrazie, esattamente come durante l'epoca coloniale. Un altro dubbio riguarda l'opportunita' di promuovere la democrazia in paesi che non la conoscono con questo nome o, peggio ancora, esportarla con le armi. Si arriva "a presumere che la democrazia sia un'idea le cui radici si possono ricercare solo ed esclusivamente in un tipo di pensiero occidentale, fiorito unicamente in Europa" (22). Amartya Sen, con queste parole, da' un'indicazione utile allo studio dell'Interculturalita': la possibilita' di scoprire in altre tradizioni cio' che e' simile alla democrazia occidentale. Lo studioso sviluppa l'idea di John Rawls in merito all'"esercizio di ragione pubblica". Capire, in altre parole, le strategie decisionali in grado di influenzare le scelte politiche di un paese, potrebbe essere la lente d'ingrandimento con cui scoprire isole democratiche nel mondo intero, che forse non contemplano il voto, ma sollecitano lo stesso la partecipazione personale. Per esempio, nell'Africa subsahariana funziona una periodica assemblea di villaggio, detta Palabra, dove si discutono i problemi della comunita'. Il suo simbolo e' l'uccello sankofa, appartenente alla cultura adinkra degli Ashanti del Ghana. Volto all'indietro, l'animale raccoglie l'uovo sfuggitogli: un gesto che indica l'importanza di raccogliere il passato, in vista di un futuro da inventare. In ogni luogo del pianeta dovremmo essere capaci di riconoscere dove si decide in cupole segrete o, al contrario, negli spazi aperti dall'inclusione sociale. Soprattutto gli europei dovrebbero essere capaci di "pressing democratico", affinche' altri paesi riscoprano tradizioni di "esercizio di ragione pubblica". Fatema Mernissi sostiene che l'Occidente mette paura quando fa il democratico sul serio, "perche' obbliga i musulmani a riesumare i corpi di tutti gli oppositori, religiosi e profani, intellettuali e ignoti artigiani che furono massacrati dai califfi... come i sufi e i filosofi che parlavano di idee straniere provenienti dalla Persia e dalla Grecia, dal profumo di immaginazione e liberta' individuale" (23). Sarebbe un buon modo per risanare le reciproche ferite: l'Europa non evitando i suoi oscuri grumi totalitari e l'Islam trovando il coraggio per riabilitare la sua corrente di pensiero democratico. Sia per l'una, immemore della sua "alba" rispettosa dei diritti umani, che per l'altro, orfano della dimensione centrata sull'individuo, si potrebbe aprire un dialogo profondo. Spesso nei paesi colonizzati non occidentali non si e' verificata quella fase della storia in cui lo stato ha trasmesso, attraverso istituzioni come la scuola, idee di tolleranza e liberta', ne' ci sono stati libri di testo che hanno riportato una costruzione storica della parola o dell'ente chiamato democrazia, unificando la cultura media della cittadinanza sul suo significato. Il dibattito democratico, nell'Islam non ha attraversato i territori dello stato organizzato, ma e' stato tutto interno alle comunita' religiose, teso fra il potere della comunita' e il ruolo del singolo. In altre parole, mentre in Occidente il diritto ha presupposto l'individuo, nei popoli non occidentali e' ancora la comunita', ente piu' coinvolgente sul piano identitario, a dettare le regole del vivere civile. Tuttavia, in entrambi i luoghi, Oriente e Occidente, e' di nuovo il diritto che deve farsi opinione, diventare valore profondo della cittadinanza interiore. Scoprire le "ragioni pubbliche" significa riflettere sulla "biodemocrazia" (24). Vandana Shiva sostiene che usi diversi della terra producono modi di pensare corrispondenti, perche' il pensiero cresce come i fiori e ha bisogno di un humus ben concimato. Scoprire le "ragioni pubbliche" significa ancora accettare la "demodiversita'" come "coesistenza pacifica o conflittuale di differenti modelli e pratiche democratiche" (25). Il sentire democratico, in altre parole, sostiene un'etnografia della contemporaneita' in cui ogni spazio quotidiano scopre "schegge di globalita' planetaria, piovute da altre societa' e altre culture" (26). In questa prospettiva, i bianchi europei, con un impiego fisso e molte (apparenti) sicurezze, devono abituarsi a essere anche guardati. A tal proposito, consiglio la lettura di un vecchio libro della collana "millelire" di Stampa alternativa, Papalagi, scritto da Tuiavii di Tiavea, capo indigeno delle isole Samoa, che all'inizio del Novecento compie un viaggio in Europa e descrive gli occidentali, i Papalagi appunto, per il suo popolo. Ne consegue un insegnamento fondamentale: i gesti, scontati in un luogo, sembrano assurdi in un altro, come soffiarsi il naso e conservarne il tolto in un ritaglio di stoffa ricamata! La consapevolezza dell'essere educati alla democrazia comincia dall'accettare le visioni degli altri su noi e dalla constatazione che sono necessarie "traduzioni" per far capire una cultura all'altra, a partire dai gesti del corpo. Come insegna Desmond Morris (27), ad esempio, le mani sui fianchi, posizione tipica del mondo contadino italiano, in Malesia e nelle Filippine significano rabbia furibonda. E se non e' importato conoscere fino a ieri queste differenze, oggi l'ignorarlo potrebbe causare guai. * L'Interculturalita' entra ormai nella vita quotidiana in modi sempre piu' simili a quelli di un comune cittadino americano, parodiati da Ralph Linton, che svegliandosi ripete gesti, come il fumare, originari di antiche civilta' latinoamericane o consuma prodotti, come i dolci confezionati secondo tecniche scandinave, o altro ancora che impedisce sempre una chiara definizione di appartenenza (28). L'Interculturalita' non appartiene solo alla conoscenza reciproca dei popoli. Quella delle multinazionali, per esempio, persegue il semplice profitto. La statunitense Kellog's (quella dell'avena, dei fiocchi di riso ecc.) nel 1999 ha speso 906 milioni di dollari per promuovere i suoi cereali in 160 paesi: un importo pari a sette volte l'intera spesa militare della Bolivia. Altro esempio e' la Nike che vende in tutto il mondo 9,2 miliardi di dollari di scarpe da ginnastica, di cui l'8% non finalizzato ad attivita' sportive, bensi' a regalare status di modernita', allo stesso modo dei jeans, la cui vendita mondiale raggiunge le 110.000 paia al giorno. Questo per dire che il Mercato apre vie di consumo trasformate in stili culturali senza differenze fra ricchi e poveri: birra e capi firmati si comprano in Giappone come in Colombia, in Svezia come in Turchia, al nord come al sud del mondo. Altro esempio di globalita' e' la musica: la salsa cubana e' suonata ormai in tutto il mondo, anche in Vietnam. La globalizzazione, da un lato produce comportamenti uniformi, visti come simbolo di emancipazione, dall'altro, scatena la ribellione di etnie locali che si sentono invase. Il risveglio etnico e' un indiscutibile valore per la memoria collettiva, se si limita al piano culturale. Quando invece provoca conflitti che dividono le societa', diventa l'oscuro infossarsi sulle proprie radici. C'e' da dire che, spesso, tali conflitti hanno origine dallo sguardo europeo che, per interesse economico, ha scelto un gruppo piuttosto che un altro, com'e' successo in Africa fra gli aristocratici Tutsi, sostenuti dai belgi e gli agricoli Hutu, declassati socialmente, con il terribile risultato del reciproco massacro. Fra globalita', globalizzazione e localismi, come si colloca la proposta educativa dell'Interculturalita'? L'Intercultura non e' invenzione del presente. Tutta l'umanita' potrebbe, infatti, essere letta attraverso la storia degli scambi fra culture, dai tempi dell'incontro-scontro fra nomadi e stanziali; dai tempi dei patti di reciproco rispetto fra impero romano e popoli conquistati; dai tempi delle migrazioni ereticali europee del XII e XIII secolo, in cui la vita itinerante era una scelta evangelica; dai tempi delle repubbliche marinare aperte al commercio con le Indie; dai tempi delle conquiste intercontinentali e cosi' via, fino al Novecento, in cui fu il bisogno di lavoro a motivare i grandi esodi. L'Intercultura rappresenta l'esito di un lungo percorso studiato dalle scienze umane. In particolare l'antropologia, nata dai resoconti di viaggiatori e mercanti del Cinquecento e divenuta scienza nell'Ottocento, ha registrato varie fasi nella scoperta dei popoli "altri". I "diversi" furono definiti "culture altre", "societa' multiculturali", "mondi transculturali", in transito appunto, verso l'"antropologia reciproca" e infine si teorizzo' l'Interculturalita' che accetta lo scambio paritario delle reciproche visioni. Nello "spazio di desiderio" cresciuto fra le culture, e' prosperata, infatti, "una certa indulgenza fantasmatica" (29), dentro la quale bisogna evitare che crescano le reciproche paure. La complessita' interculturale confonde i popoli, cambiando la geografia delle appartenenze. E' sempre piu' difficile identificarsi con qualcosa di unico: un paese, un ceto sociale, una storia, una professione. L'"io sono" richiede pertanto un arduo compito di decifrazione di cio' che fa essere cio' che siamo, mentre le identita' traboccano dalle tradizionali dicotomie che le hanno interpretate: occidentale e orientale, civilizzato e selvaggio, scienza e magia, nord e sud... Le frontiere appaiono una desueta eredita' dalla storia, come diceva Albert Jacquard, o meglio, la loro formulazione non esaurisce la complessa classificazione del presente dove altre identita': "alpina", "mediterranea", "latina", "globale", ecc., affiancandosi, pretendono attenzione. * A questo punto s'impone una domanda, soprattutto a chi e' impegnato nel campo educativo: come favorire le personalita' pronte all'incontro interculturale e consapevoli che la storia puo' svolgersi in modo nonviolento? Non e' un compito facile perche' nella nostra societa', sovente, hanno il cammino aperto personalita' non "naturalmente democratiche". Il successo sociale oggi sorride a personalita' "dipendenti", figlie del nuovo "fascismo sociale" (30). Tipico di questo regime in cui tutti, bene o male, siamo immersi, e' il mantenere i soggetti nel caos di aspettative apparentemente democratiche, senza mai una risposta che produca emancipazione sostanziale. E' la condizione tipica di una societa' che espropria la capacita' decisionale dei suoi membri e che, mentre ne mantiene strategicamente una parte in perenne dipendenza, favorisce l'altra meta' nel suo farsi "serpenti in carriera". Al proposito, non e' oscuro a nessuno che certi comportamenti devianti sono diventati oggi la norma, e che gli individui oscillano fra sottomissione tremante all'autorita' da un lato, e aggressivita' autoritaria rovesciata sugli outgroup dall'altro. Questo oscillare permette l'instaurarsi in posizione di guida alla "personalita' autoritaria", indagata da psicologi e filosofi del Novecento che si sono interrogati a lungo sui motivi della nascita dei fascismi. La "personalita' autoritaria", studiata soprattutto da Adorno, e' funzionale alla loro esistenza. Cosi' come, secondo Zamperini, nessuno e' esente dai risvolti autoritari del proprio comportamento "mura interiori che imprigionano menti" (31), verso i quali e' sufficiente un ambiente che li rafforzi perche' immediatamente diventino egemoni nel dettare le norme di convivenza. La tendenza a imporre la propria autorita' per Wilhelm Reich e' uno stato della mente. L'introiezione dell'immagine del capo a cui si affida, alimenta la mentalita' dell'uomo della strada, "mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi a un'autorita' e allo stesso tempo ribelle" (32). Idealizzazione del leader ed emarginazione degli spiriti critici, lealta' a istituzioni rassicuranti e uniformita' ai comportamenti dominanti caratterizzano la "psicologia di massa del fascismo", titolo del libro che Reich pubblico' nel 1933 e che causo' la sua espulsione dal Partito comunista tedesco e, l'anno successivo, anche dalla Societa' psicoanalitica. Duplice espulsione per un uomo non ortodosso, che sostenne cio' che molti hanno ripetuto dopo di lui: la vera rivoluzione non e' solo quella sociale, ma quella che passa nell'animo umano. Reich volle interrogare psicologicamente la politica, proprio come molti desiderano, nell'epoca attuale, interrogarla spiritualmente. Reich invito' a cercare nel proprio essere "l'energumeno fascista... e le istituzioni sociali che lo covano ogni giorno" (33), perche' questa forza devastatrice delle coscienze puo' essere abbattuta solo con la conoscenza approfondita dei processi vitali. Rispetto alla politica Reich si pose molte domande, fra le quali una: perche' i membri del partito comunista, il suo partito, combattessero con violenza gli effetti sociali del suo lavoro medico, quando "masse di impiegati, operai dell'industria, piccoli commercianti, studenti ecc. affollavano le organizzazioni orientate sessuo-economicamente ansiosi di conoscere il funzionamento dei processi vitali". Il "Partito", specie nella tradizione comunista, non solo ha sempre privilegiato l'analisi economica della societa', ma ha incarnato l'ente supremo a cui sottomettere, come un pontefice, la coscienza del militante. A dare importanza a valori e sentimenti, in ogni caso, i partiti non sono giunti ancora oggi, altrimenti non accoglierebbero nelle loro fila personaggi incapaci di tensione ideale. Anche nella politica, come nella societa', prolificano, infatti, soggetti antisociali, i cosiddetti "serpenti in carriera" (34), che agiscono in favore di se stessi, pianificando strategie per arrivare ai posti di comando. Per attuarle, si dotano di metodologie precise, per esempio dimostrandosi amicali e poi colpendo alle spalle con assoluta mancanza di paura. Eredi dell'"Uomo qualunque", con l'unico obiettivo di farsi strada nell'istituzione prescelta, sono il nutrimento dei totalitarismi e si camuffano da "serpenti in carriera" nei regimi democratici. Complici ne sono le organizzazioni, che per mantenersi hanno bisogno di questo tipo di persone: il contagio, dunque, diventa reciproco, in un perfetto incastro che rende la societa' sempre meno sana. * L'educazione alla democrazia, basata sulla storia nonviolenta del mondo e sull'Interculturalita', puo' impedire, o almeno ridurre, il proliferare di queste personalita' malate con percorsi educativi che insegnano vincoli etici. La democrazia, perche' gli individui non diventino pedine di massa, deve essere un desiderio del cuore. Hitler, non dimentichiamolo, e' salito al potere democraticamente, e anche tanti altri dirigenti europei che poi si sono dimostrati capaci di difendere solo i propri interessi. Affinche' le personalita' non si lascino ingannare da falsi miraggi, occorre predisporre, complice la scuola, metodologie per imparare l'umano e decifrare comportamenti malati e soggetti profittatori d'altrui. In che modo? Individuando spazi di pratica democratica, il che significa insegnare, fin da piccoli, a fare la vera politica della polis, quella della "ragione poetica", come suggerisce Maria Zambrano. "Il senso della politica e' la liberta'" (35), commenta in modo lapidario Hannah Arendt. Tuttavia, nessuno, continua la filosofa, dall'antichita' della polis l'ha davvero pensata cosi'. Si scorda, infatti, che il cittadino greco, per esercitare la cittadinanza, doveva essere "libero", non piu' schiavo. Il suo apprendistato alla dialettica democratica traeva alimento da una "vita activa", fondata su pensare, volere e giudicare, tre facolta' intellettive e spirituali allo stesso tempo che, nella convergenza dell'agire comune, salvavano l'uomo dalla dissoluzione del tempo. Solo la tensione della "vita activa" trasforma, dunque, per Arendt, la frammentarieta' esistenziale in costruzione collettiva ispirata alla liberta'. La "vita activa" non va confusa con quella degli ipercinetici. Vita attiva e' la vita politicamente attenta, presa in considerazione dalla societa'. Non basta, infatti, essere predisposti alla politica, sono necessari spazi in cui le avventure umane, tradotte in culture condivise, incoraggiano ognuno a dire: "posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce. Colui che mi conosce lo rivela a me" (36). Quali sono questi luoghi? In realta', sono molti, dai quartieri alle osterie, dalle scuole ai Consigli comunali dei ragazzi (37), dalle sezioni di partito alle comunita' religiose: ogni ambito e' adatto a far crescere la democrazia, se si sente eletto a valorizzare percorsi politici che "partano da se'". Questi luoghi esistono anche in Italia: scuole, sezioni sindacali, circuiti ecclesiastici internazionali, come i Centri giovanili protestanti o la rete di volontariato cattolico Macondo, costruiscono saperi dal "basso", elaborando le esperienze vissute. Cio' che desidero sostenere e' che la democrazia comincia "dal due", come sostiene Irigaray, ma si rafforza crescendo nel "piccolo" delle piu' minute forme di societa' umana. Un tempo sulla montagna occitana si riunivano gli Escartons (38). Negli anni Settanta del Novecento funzionavano i "Consigli": di zona, di quartiere, di fabbrica, delle donne, dei giovani e altri ancora. Erano forme create per legittimare la costruzione di un pensiero comune, cresciuto dalle fondamenta della societa', modi di stare insieme ormai sconosciuti e reclamati da Pietro Barcellona, quando invita a "restituire a ciascuno il gusto di decidere sulle cose che lo riguardano e di produrre solidarieta' e senso comunitario nei condomini e nei quartieri come nella fabbrica e nella scuola" (39). La democrazia pone il problema di cosa, avvalorandola, le sta "dentro". Il "dentro" non puo' che essere la costruzione, un passo dopo l'altro, di piccoli nuclei partecipativi di "vita attiva", chiamati a comporre la trama di legami sociali che lo scenario urbano ha dissolto. I percorsi possibili di una citta' non sono marcati da esigenze comunitarie, ma dall'iperconsumo. Sono "vie di fuga dell'individuo metropolitano" che hanno annullato, nello spazio distrutto della polis, "un intero ordine politico, etico, sociale" (40). Un sistema istituzionale, al contrario, per forgiare un sistema funzionante di relazioni, deve saper emanare i valori piu' profondi di una societa', fra i quali, il modo di incontrare chi proviene da altre culture. Le politiche di accoglienza del "diverso", infatti, dipendono dal modo di percepirsi patria da parte di chi li ospita. L'idea di patria che propongo e' quella descritta da Walter Barberis. Oltre a pretendere il rispetto delle tradizionali virtu' civiche, dal pagare le tasse alla giustizia, questa patria dovrebbe contare "per la sua capacita' di promuovere l'incontro con altre comunita', di corroborare lo scambio con la vena profonda della sua cultura cosmopolita, di concorrere alla determinazione di altre e piu' alte regole di convivenza" (41). Per l'Italia cio' significa aspirare ad essere una patria capace di recuperare gli "splendidi frammenti cittadini" (42) della sua storia, per trasformarli nella cultura della cittadinanza di un'intera comunita' nazionale: la competenza mercantile delle repubbliche marinare, il senso dell'autonomia delle vallate alpine e l'accoglienza dell'ospite della cultura mediterranea. * Note 1. J. Hillman, Il codice dell'anima, Milano, Adelphi, 1997, p. 153. 2. G. Steiner, La lezione dei maestri, Milano, Garzanti, 2004, p. 10. 3. L. Irigaray, La democrazia comincia a due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, p. 105. 4. E. Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Milano, Cortina, 2001. 5. Ivi, p. 97. 6. Ivi, p. 113. 7. E. Baeri, I lumi e il cerchio, Roma, Editori Riuniti, 1992. 8. E. J. Leed, Terra di nessuno, Bologna, Il Mulino, 1985. 9. J. Hillman, Un terribile amore per la guerra, Milano, Adelphi, 2005, p. 11. 10. Ivi, p. 21. 11. Ivi, p. 134. 12. P. Barcellona, Il suicidio dell'Europa, Bari, Dedalo, 2005, p. 18. 13. A. Cavaglion, La Resistenza raccontata a mia figlia, L'ancora del Mediterraneo, 2005, p. 98. 14. N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1995, p. IX. 15. N. Revelli, Il prete giusto, Torino, Einaudi,1998. 16. La testimonianza di E. Serafino e' contenuta in B. Peyrot, La Resistenza nella memoria laica ed ecclesiastica dei valdesi, in B. Gariglio, R. Marchis (a cura di), Cattolici, ebrei ed evangelici nella guerra. Vita religiosa e societa' 1939-1945, Milano, Franco Angeli,1999. 17. A. Bravo, "La Repubblica", 26 aprile 2005. 18. A. Bravo, A. M. Buzzone, In guerra senza armi. Storie di donne. 1940-1945, Bari, Laterza, 1995. 19. E. Hillesum, Diario 1941-1943, Milano, Adelphi, 1990, p. 29. 20. Cecilia Pron, Testimonianza registrata del 21 marzo 2001, archivio privato Bruna Peyrot. 21. R. Mantegazza, Pedagogia della Resistenza, Troina (En), Citta' Aperta, 2003. 22. Amartya Sen, Le radici della democrazia in "Internazionale", 7-13 novembre 2003, n. 513. 23. F. Mernissi, Islam e democrazia. La paura della modernita', Firenze, Giunti, 2002, p. 36. 24. Vandana Shiva, Monoculture della mente, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 89. 25. B. De Sousa Santos, Democratizar a democrazia. Os caminhos da democrazia participativa, Civilizacao brasileira, Rio de Janeiro, 2002, p. 72. 26. U. Fabietti, Etnografia della frontiera, Roma, Meltemi, 1997, p. 12. 27. D. Morris, I gesti nel mondo. Guida al linguaggio universale, Milano, Mondadori,1995. 28. M. Aime, Eccessi di cultura, Torino, Einaudi, 2004, p. 25. 29. V. Crapanzano, Tuhami. Ritratto di un uomo del Marocco, Roma, Meltemi, 1995, p. 10. 30. B. de Sousa Santos, A caida del Angelus Novus. Ensayos para una nueva teoria social y una nueva practica politica, Ilsa, Universidad Nacional de Colombia, Bogota', 2003, p. 82. 31. A. Zamperini, Prigioni della mente, Torino, Einaudi, 2004, p. 130. 32. W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, Torino, Einaudi, 2002, p. XLVII. 33. Ivi, p. LI. 34. Senya Muller, Serpenti in carriera, in "Mente & Cervello", luglio-agosto 2005, n. 16. 35. H. Arendt, Che cos'e' la politica, Milano, Edizioni di Comunita', 1995, p. 21. 36. E. Jabes, Il libro dell'ospitalita', Milano, Cortina, 1991, p. 74. 37. G. Ameglio, C. Caffarena, I Consigli comunali dei ragazzi, Trento, Erickson, 1993. 38. Gli Escartons, dal francese escartoner, cioe' ripartire le imposte, rappresentano le cinque comunita' che nel 1343 firmarono con il Delfino Umberto II il diritto a governarsi. Esse furono: Briancon, Oulx, Queyras, Val Chisone e Casteldelfino, nel Piemonte occidentale. La loro storia fini' con il trattato di Utrecht (1713), quando la regione venne spartita fra Francia e Savoia. La sua identita', tuttavia, sopravvive nell'uso ancora comune della lingua d'oc, nello stile architettonico e nella lunga tradizione di autonomia politica che arriva fino alle attuali Comunita' montane. 39. P. Barcellona, Un regime reazionario di massa, "L'Unita'", 19 maggio 2003. 40. P. Barcellona, Il ritorno del legame sociale, Torino, Bollati Boringhieri,1990, p. 35. 41. W. Barberis, Il bisogno di patria, Torino, Einaudi, 2004, p. 7. 42. Ivi, p. 22. 4. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2007 Come ogni anno le Edizioni Qualevita mettono a disposizione l'agenda-diario "Giorni nonviolenti", un utilissimo strumento di lavoro per ogni giorno dell'anno. Vivamente la raccomandiamo. Il costo di una copia e' di 9,50 euro, con sconti progressivi con l'aumento del numero delle copie richieste. Per informazioni ed acquisti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: qualevita3 at tele2.it 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1478 del 13 novembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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