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La nonviolenza e' in cammino. 1477
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1477
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 12 Nov 2006 00:14:20 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1477 del 12 novembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Nel cratere 2. Federico Varese: L'omicidio di Anna Politkovskaja nella Russia di Putin 3. Bruna Peyrot: Dell'invadere la politica con la spiritualita' 4. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2007 5. Luciano Bonfrate: Le cerimonie per l'anniversario 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NEL CRATERE Cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana. Cessi la violazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Cessi l'oltraggio alle vittime da parte dei mandanti. * L'Italia s'impegni per la smilitarizzazione dei conflitti, per il disarmo, per recare aiuti umanitari, per salvare le vite, per sostenere i diritti umani di tutti gli esseri umani. L'Italia s'impegni per la pace: che si puo' costruire solo con mezzi di pace. L'Italia s'impegni per la democrazia: che si puo' costruire solo con mezzi democratici. L'Italia s'impegni contro il terrorismo: che puo' essere sconfitto solo cessando di compiere atti di terrorismo. * Vi e' una sola umanita'. E vi e' una sola politica che puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe: la politica della nonviolenza. 2. RIFLESSIONE. FEDERICO VARESE: L'OMICIDIO DI ANNA POLITKOVSKAJA NELLA RUSSIA DI PUTIN [Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi, "Lo straniero", n. 77, novembre 2006, disponibile anche nel sito www.lostraniero.net, riprendiamo il seguente articolo (la versione apparsa nel sito - e qui riprodotta - e' aperta da una nota redazionale che avverte che "La versione di questo articolo contenuta nell'edizione cartacea de 'Lo straniero' n. 77 contiene alcuni errori e ripetizioni. Ce ne scusiamo con l'autore. Qui di seguito pubblichiamo una nuova versione da lui rivista e corretta"). Federico Varese insegna criminologia all'Universita' di Oxford. Tra le opere di Federico Varese: The Russian Mafia. Private Protection in a New Market Economy, Oxford University Press, 2001, 2005. Anna Politkovskaja, giornalista russa, nata a New York nel 1958, impegnata nella denuncia delle violazioni dei diritti umani con particolar riferimento alla guerra cecena, e' stata assassinata nell'ottobre 2006. Opere di Anna Politkovskaja disponibili in italiano: Cecenia. Il disonore russo, Fandango, 2003; La Russia di Putin, Adelphi, 2005] Anna Politkovskaja non era una donna carismatica. Quando veniva intervistata dalla radio, la sua voce era monotona, sciorinava fatti e non risparmiava nessuno dei dettagli piu' minuti degli eventi di cui era stata testimone. Quando la vidi dal vivo per la prima volta, a un convegno negli Stati Uniti, la sala non era piena. I convegnisti avevano preferito un altro dibattito. Ebbi occasione di parlarle, brevemente, e di rivederla a un dibattito a Londra moderato insieme a Misha Glenny: ricordo che lasciava poco spazio all'interlocutore e parlava con urgenza, come se non potesse lasciare nulla in sospeso, nulla di non detto. Il destino, la morte e la vita di Anna Politkovskaja mostrano come il carisma mediatico e la furbizia televisiva non equivalgono alla capacita' di muovere nel profondo le coscienze di uomini e donne nonostante barriere culturali e linguistiche diverse. Politkovskaja era, al momento del suo omicidio, uno dei giornalisti piu' importanti nel mondo e, come ha scritto una sua collega, la prova che non esiste nulla di cosi' potente come la parola scritta. La sua morte ha indignato migliaia di persone, primi ministri e presidenti in decine di paesi e, per un giorno almeno, ha oscurato le altre notizie. Ha scritto centinaia di articoli e due libri, Cecenia. Il disonore russo (2001, edizione italiana Fandango 2003) e La Russia di Putin (2004, edizione italiana Adelphi 2005). Il primo e' un reportage sui crimini commessi nel Caucaso dall'esercito russo e allo stesso tempo una riflessione su come il secondo conflitto ceceno abbia corroso la fibra morale del suo paese. La Russia di Putin racconta la trasformazione dell'Unione Sovietica in economia di mercato, e i suoi costi umani, le violenze e gli omicidi, le mafie alleate e confuse con i grandi capitalisti, i padroni di squadre di calcio, i governatori e gli industriali. Putin e' l'architetto di questa trasformazione e, per l'autrice, non ha mai avuto a cuore la sorte del suo popolo: "Non mi piace perche' non rispetta gli esseri umani, li tratta come pedine". * Anna Politkovskaja ha avuto una vita avventurosa, ma non era in cerca dell'avventura e non aveva iniziato la sua carriera come corrispondente di guerra. Durante la prima guerra cecena (1994-1996), furono altri i giornalisti braccati sotto le bombe a Grozny. I reportage live della televisione indipendente Ntv, ora sotto il controllo del Cremlino, fecero molto per convincere l'opinione pubblica russa della futilita' del conflitto. In quel periodo, la Politkovskaja si occupava di problemi sociali, soprattutto dello stato in cui versava il sistema sanitario, gli orfanotrofi e gli anziani. "Ero interessata a ridar vita alla tradizione giornalistica pre-sovietica dell'inchiesta sociale". Furono queste inchieste che la portarono in contatto con i rifugiati provenienti dal Caucaso del nord e la spinsero, per seguire le sue storie, a decidere di recarsi la' dove nessun giornalista osava piu' metter piede. La scrittice era pronta ad ammettere che all'origine della seconda guerra (1999-2000) vi fosse la provocazione dell'ala piu' estremista del movimento separatista e che la Russia doveva reagire. "E' il modo in cui la Russia ha reagito che e' immorale. Il mio paese ha lanciato una guerra totale contro la popolazione civile". I suoi dispacci dal fronte non erano diversi dagli articoli sugli anziani a Mosca: puntava il suo sguardo sulla vita quotidiana di uomini e donne "piccoli", che non sono protetti dalle autorita' e che non vengono ricompensati per i loro atti di coraggio. La storia del colonello russo che ha salvato 89 anziani dalle rovine di Grozny, del giovane ceceno che non riceve la ricompensa promessa per le torture subite, delle tangenti che le famiglie delle reclute devono pagare per ottenere il corpo dei loro figli morti nel conflitto erano la continuazione diretta degli scritti dei primi anni Novanta. Uno dei suoi articoli piu' belli e', a mio parere, "Un cane malato in una grande citta'", pubblicato su "Novaja Gazeta" nel dicembre 2005. E' la storia di un cucciolo che la Politkovskaja adotta per poi scoprire che e' seriamente malato e vittima di maltrattamenti. Tutti le consigliano di liberarsi al piu' presto di questa bestia grande e grossa che ha paura di tutto e passa le giornate nascosta sotto i tavoli, e lei si rifiuta. L'opera della Politkovskaja si inserisce nella tradizione letteraria russa che narra la cosidetta "tragedja malen'kogo cheloveka" (la tragedia del piccolo uomo), che annovera Gogol, Tolstoj e Dostoevskij. A un certo punto della sua vita, Politkovskaja aveva deciso di unire alla parola scritta l'azione civile. Lei stessa disse di non essere solo una reporter. In un'intervista al quotidiano inglese "The Guardian", dichiaro' due anni fa: "Si', sono andata oltre il mio ruolo di giornalista. Mettendo da parte il mio ruolo di giornalista ho imparato cose di cui non sarei mai venuta a conoscenza se fossi rimasta una semplice giornalista, che sta ferma nella folla come tutti gli altri". Politkovskaja apparteneva a quella schiera di dissidenti pacifisti e nonviolenti dell'Unione Sovietica che, dagli anni Settanta in poi, avevano adottato una strategia pacifica e nonviolenta per mettere in luce le menzogne e l'autoritarismo del regime. Il regime rifiutava di ammettere di essere un regime autoritario e mentiva a se stesso e al resto del mondo con la retorica socialista. Il "difensore dei diritti umani" del periodo tardosovietico fingeva di prendere sul serio i diritti stabiliti nelle leggi e nella costuituzione socialista e utilizzava tutti i mezzi legali per farli valere. Era una tecnica che ha fatto scuola. La Politkovskaja aveva deciso di smascherare le menzogne del suo paese attraverso i canali che lo stesso stato russo aveva creato. Ogni volta che documentava un'atrocita' o un'ingiustizia, andava a chiederne conto alle autorita' preposte attraverso lo strumento dell'intervista giornalistica. Il suo stile era diretto, semplice, niente affatto narcisistico (a differenza di altre "interviste alla storia"): voleva sapere chi era responsabile e voleva guardarlo negli occhi. Dopo l'intervista passava alla denuncia. Ad esempio, in questi giorni si stava preparando a testimoniare in un processo contro il primo ministro della Repubblica cecena Ramsan Kadyrov, da lei accusato di aver usato i suoi servizi di sicurezza per rapire e torturare civili a scopo di estorsione. Aveva sul suo tavolo di lavoro le foto di due uomini, un russo e un ceceno, che erano stati "rapiti, torturati e uccisi". La vittoria, quando c'era, era triplice: rendeva giustizia alle vittime, puniva i carnefici e introduceva elementi di giustizia nel sistema giudiziario russo. * Il pomeriggio del 7 ottobre 2006 una donna non piu' giovane e non piu' bella fa la spesa al supermercato sulla Frunzenskaja, la strada che costeggia il fiume di Mosca. Non si cura di tingersi i capelli ma porta un paio di occhiali alla moda, unica concessione, unica civetteria femminile. E' divorziata e ha due figli ormai grandi, che vede poco. Vive con un grosso cane malato in un appartamento in affitto. E' appena tornata dall'ospedale dove e' ricoverata la madre, che soffre di cancro. I medici dicono che non ci sono speranze. La sorella e' appena giunta in citta' per starle vicino nell'ultima fase della malattia. In questo momento le tragedie si accaniscono sulla famiglia: il padre, un ex diplomatico in pensione innamoratissimo della moglie, non e' riuscito a reggere la notizia della malattia e qualche giorno prima, mentre usciva di casa per andare in ospedale, ha avuto un attacco di cuore che gli e' costato la vita. Anna compra alimentari e, nella farmacia del supermercato, alcuni articoli sanitari che potrebbero tornare utili in ospedale. In tutto, tre borse. Sale sulla sua macchina, una Vaz-2110 grigia, mette le borse nel sedile nel retro e guida verso l'appartamento al numero 8-12 della Lesnaja Ulitsa, in un quartiere abbastanza elegante. Parcheggia la macchina a pochi metri dall'entrata del palazzo e sale in casa con due borse. Sono le 4 e 5 del pomeriggio. Non piove. Dopo poco esce per riprendere il resto della spesa ancora in macchina. Sale in ascensore e scende al primo piano. Uscita dal cubicolo, si trova di fronte un uomo magro, alto circa un metro e ottanta, vestito di scuro, che e' entrato nel palazzo da qualche minuto. Indossa un cappello da baseball e non si cura troppo di nascondere il suo volto. Conosce il codice di accesso noto solo ai residenti. Anche lui viene dal supermercato sulla Frunzenskaja. Insieme a una donna sulla trentina, ha comprato alcuni medicinali. Sono le 4 e 10. Ha con se' una pistola Izh col silenziatore e il numero di serie cancellato. Spara tre volte. I primi due colpi colpiscono la sua vittima al cuore, e sono mortali. Il terzo raggiunge la spalla destra. Un quarto colpo, per sicurezza, e' alla testa. Il corpo resta riverso all'ingresso dell'ascensore, in una pozza di sangue. L'uomo getta la pistola ed esce in strada. Dopo cinque minuti una vicina che voleva usare l'ascensore trova il cadavere e compone il numero delle emergenze, lo 02. Sono le 4 e 21. L'omicidio cade il giorno del cinquantaquattresimo compleanno del presidente Putin. Anna Politkovskaja nata Mazepa, 48 anni, viene seppellita il 10 ottobre 2006 al cimitero Trojekurovo di Mosca. Lascia due figli, Ilja, di 28 anni, e Vera, di 26, la madre, la sorella, un ex marito e il cane. 3. RIFLESSIONE. BRUNA PEYROT: DELL'INVADERE LA POLITICA CON LA SPIRITUALITA' [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: peyrotb at libero.it) per averci messo a disposizione il testo del capitolo decimo, "Decima consapevolezza. Dell'invadere la politica con la spiritualita'", del suo libro La cittadinanza interiore, Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006, alle pp. 131-145, di cui riportiamo ampi stralci. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004; La cittadinanza interiore, Citta' Aperta, 2006] Non si tratta, con questo titolo, di rianimare antichi integralismi, in cui i due soli (papato e impero) si contendono lo scettro del comando, ne' di propugnare una societa' invasa dal religioso. L'intento e' di rendere la consapevolezza che le cose materiali hanno una scia che porta allo spirituale, a quel qualcosa che fonda i significati che noi diamo alla nostra vita terrena. Politica e spiritualita' devono restare sfere separate e sapere molto bene cosa compete all'una e all'altra: la prima organizza la materialita', la seconda illumina l'interno della vita personale. Allora, perche' proporre l'invasione della politica con la spiritualita'? I motivi possono essere molti. Uno tuttavia attrae in modo particolare: perche' nonostante gli insegnamenti e gli spazi che aiutano a edificare la democrazia, come le fondamenta di una casa, la persona mantiene una sfera intima nella quale sboccia il senso di responsabilita' alla base della sua capacita' di scelta. Questa soggettivita', in cui l'ancestrale si incontra con i presenti storici, e' anche la casa della spiritualita', dove si compongono le parole dell'etica. Credo che sia possibile - perche' questa societa', che brucia i fili delle appartenenze, reclama qualcosa di piu' grande che le sovrasti - trovare il coraggio di dire le parole dell'etica, confinate al campo privato dei sentimenti, in pubblico e farle diventare linguaggio politico. Perche' non parlare di amore, morte, nostalgia, paura... come si parla di bilanci, strade e servizi sociali? La spiritualita' e' una dimensione dell'intendere le cose per quel che portano dietro, per il loro evocare significati reconditi, che hanno a che fare con il senso della presenza umana nell'universo e che ricordano all'uomo i suoi limiti, compresa la morte fisica, quel cadere nell'assenza totale che lascia chi resta attonito per l'anticipazione del proprio destino in quello dell'altro. La convivenza esacerbata con gli oggetti rivela, inoltre, il vuoto nelle relazioni interpersonali, dentro le quali il soggetto, svincolato dall'attrazione dell'alterita', vive ormai una geografia psichica minimale, senza alfabeti comuni di riferimento. Elaborare queste dimensioni significa restituire importanza, con il loro riconoscimento, alla responsabilita' individuale, anche quella del sentirsi artefice dei propri sentimenti. Come sa dare liberta' solo chi e' libero, sa amare solo chi e' stato intensamente amato nel rispetto, cosi' sa insegnare responsabilita' solo chi lo dimostra con l'azione coerente e sa praticare la democrazia solo chi e' stato intensamente democratizzato. Avere la consapevolezza della necessita' di invadere la politica con la spiritualita' coincide con l'ammettere che la base di partenza per la cittadinanza necessariamente deve germinare dall'"essere" interiore. Due obiezioni gravano su tale affermazione. La prima e' questa: come si puo' costituire in soggetto di conoscenza, anche affettiva, l'individuo dislocato della modernita'? La seconda e' la domanda formulata da Pietro Barcellona: "puo' l'universale giuridico dell'eguaglianza formale e dei diritti dei cittadini reggere alla dissoluzione della sfera sociale" (1), incalzata da un mondo virtuale che dissolve le tradizionali residenze comunitarie? Educare un soggetto in questa frammentarieta', oltre al confronto imprescindibile con la storia del mondo e con l'interculturalita', presuppone l'obiettivo di educare a leggere il molteplice. La molteplicita' di sguardi rende "piu' vera" una cosa, un fatto, una situazione. Educare al molteplice e' possibile solo nella simultaneita' di un pensiero che coglie il qui e il la'. Io capisco la politica italiana, se so leggere le dinamiche europee. Io capisco la minaccia dell'inquinamento atmosferico nella mia citta', se conosco il processo distruttivo che colpisce l'Amazzonia. Io capisco la proposta di un referendum sulle armi in Brasile, se conosco le rotte del mercato mondiale delle armi. Questa imperiosa necessita' di essere "glocali", essere "un non-luogo, uno spazio tra il locale e il mondo" potrebbe essere, dice Aldo Bonomi, "la moderna isola di utopia" (2). Chi resta solo nel locale vede a poco a poco esaurirsi dimensioni comunitarie senza avere nulla in cambio, ne vede la fine senza altri inizi, vive la dissolvenza della comunita' senza saperla sostituire con altri tipi di legami. Al contrario, chi sa percorrere la "simultaneita' deterritorializzata", torna al locale ricco di esperienza. "Il localismo e' oggi figlio del cosmopolitismo e viceversa: in questo sincretismo stanno i processi di socializzazione" (3). A questo punto si potrebbe aprire un capitolo interessante su chi oggi meglio interpreta questo sincretismo, nel Vecchio e nel Nuovo Mondo. L'identita' di frontiera s'incontra, infatti, in quelle personalita' di ogni ceto sociale che si sono affacciate dalla propria cultura e, qualsiasi sia, ne sono uscite per entrarvi di nuovo. Sono personalita' che, non avvinghiate alle radici, le hanno nutrite con innesti di frutti di altre terre. Sono le "persone ponte", alle quali un giorno mi piacerebbe dedicare uno scritto molto speciale, perche' presenti in ogni epoca e in ogni continente, una specie di "traduttori" fra mondi diversi e sconosciuti, dai viaggiatori ai commercianti, dai clandestini agli emigranti, dagli scambi sportivi al mondo dei manager, trasversalmente, in ogni ambiente, puo' crescere una persona che meglio di altre sa tradurre le culture incontrate in un nuovo linguaggio comunicativo. Il cittadino della societa' globalizzata, ovunque risieda, puo' diventare questa "persona ponte" fra culture, indipendentemente dai motivi per i quali e' diventato un "ponte". Questo tipo di cultura, tuttavia, pretende luoghi, modi e saperi che, considerandola un patrimonio da elaborare e trasmettere, stimano il meticciato una via di saggezza che porta alla conciliazione delle identita'. Soltanto leggendo il molteplice che e' gia' in noi e' possibile, scartando l'idea di un meticciato contaminante, annullare la paura del "diverso". Soltanto vedendo i "diversi" racchiusi nella nostra identita' plurale, poiche' noi siamo gia' nati meticci, si da' pienamente valore all'umano. La paura dell'"altro" fuori di noi comincia nella paura degli "altri noi" che dimorano in noi stessi. La mia proposta e' consigliare a chi si sente "rotto" in tante disarmoniche dimensioni di intraprendere il cammino delle consapevolezze, che in questo scritto sono indicate in numero di dieci, ma possono essere molte di piu'. La consapevolezza diventa un modo di accettare la propria parzialita', di tradurla in un percorso di conoscenza. La consapevolezza, "sapere con", puo' aiutare a raggiungere frammenti di una ricomposizione di se' che fino a pochi decenni fa era data da sedi politiche e religiose, oggi difficili da accettare nella loro visione troppo organica, e per questo motivo percepita pesantemente artificiale. Rispetto alla domanda di Barcellona, relativa alla difficolta' dell'uguaglianza formale idonea a interpretare una societa' diseguale, mi sembra di poter affermare che non sia sul piano delle condizioni materiali che si giochi ormai la cittadinanza, ma sul piano della spiritualita'. Se i poveri del mondo si fossero sempre sentiti cittadini avrebbero gia' fatto una rivoluzione da tempo, ma non basta accertare la propria condizione materiale per richiedere, di conseguenza, piu' diritto e rispetto. Bisogna essere convinti del proprio valore, certezza che consegna solo la coscienza di se'. Per questo motivo e' necessaria una normativa interiore che indichi gli articoli chiave di una cittadinanza interiore. Quando, infatti, le autorita' sono molte, la personalita' umana si sente eterodiretta, "tentata" da piu' parti, senza sapere chi ascoltare. Nel contendersi la sua egemonia, le varie autorita' tendono al reciproco annullamento, lasciando libero il campo all'unica autorita' rimasta a sceglierle: il singolo individuo, il quale o resta in balia del loro incantamento o rafforza la sua cittadinanza interiore. * Cittadinanza e' parola forte e difficile; proviene dal termine "citta'" e ne condivide tutta la complessita'. Citta' e' "il dispositivo topografico e sociale capace di rendere efficace al massimo l'incontro e lo scambio tra gli uomini" (4). Le forme delle citta' sono la storia proiettata in uno spazio reale di vita, che raccoglie non solo i dispositivi per soddisfare le esigenze fisiche e sociali, ma le speranze, le ambizioni e le utopie di chi le abita. La citta' unisce una popolazione caratterizzata da una certa composizione demografica, sociale, etnica, che vive secondo alcune regole dettate da molti segnalatori automatici: uffici, negozi, cartigli, luci, orari, ecc. La citta' attrae perche' pare contenere "tutto" il "possibile", il "moderno", l'"avanzato" rispetto alla campagna. Una citta' e' governata, oltre che da flussi di traffico materiale, da fili sotterranei e invisibili, come la citta'-Ersilia di Calvino, che interpretano "il sogno che nasce dal cuore delle citta' invivibili" (5) e che spesso esplode nelle citta' europee in forma rovesciata, nell'incubo delle banlieues messe a fuoco dalla rabbia di chi ha troppo sognato invano. Cittadinanza e citta' non sono state sempre sinonimi nella storia. La citta' e' piu' antica della cittadinanza, in un certo qual modo l'ha fondata, sviluppando un'egemonia rispetto ad altri luoghi geografici, sotto forma di concentrazione di risorse economiche, profitti, stili di emancipazione, possibilita' di carriera, accesso all'informazione, ecc. La storia della citta' accompagna il sorgere della cittadinanza attraverso il formarsi dei nuovi gruppi dirigenti, e non e' un caso, quindi, che il diritto erediti il vocabolo cittadinanza e non "montagnanza" o "campagnanza". La cittadinanza, parola dunque di origine urbana, consolida il suo carattere con la rivoluzione francese. A quel tempo, infatti, le "citta' blu" della rivoluzione settecentesca, aperte alla modernita', si contrapposero alle campagne "bianche", sinonimo di arretratezza. Dal 1789, la cittadinanza evolve verso l'uguaglianza dei cittadini, passando dalla nobilta' al censo, dalla proprieta' all'essere semplice abitante di una citta'. Cio' che accomuna questi passaggi e' la centralita' della persona che a poco a poco diventa la sede di diritti e doveri sanciti da una Costituzione, mentre la forma di governo che meglio accoglie il profilo della singolarita' si conferma la democrazia. Nel corso dei secoli, le pratiche democratiche sono state estese dai detentori di censo all'abitante "comune", dal genere umano agli animali e a tutte le forme di vita del pianeta. Il campo dei diritti sembra davvero raggiungere, sul piano formale, la "repubblica mondiale", dove, non a caso, sarebbe un nonsenso la guerra come mezzo per risolvere le controversie, perche' in una comunita' inclusiva del mondo intero non esisterebbero conflitti esterni. Il nucleo innovativo di questa prospettiva risiede nella necessaria "conversione del diritto internazionale, in quanto diritto degli Stati, in un diritto cosmopolitico in quanto diritto di individui" (6), soggetti giuridici non solo piu' nei rispettivi stati, ma nella comunita' internazionale, retta da un diritto universale, prospettiva nella quale, a maggior ragione, si renderebbe indispensabile l'agire della cittadinanza interiore, per rendere forte l'individuo senza altri riferimenti che se stesso. La citta' non e' luogo dove solitamente le divinita' parlano, ne' dove si ricevono le verita' profonde. In citta' si costruiscono Torri di Babele, non si incidono Tavole della Legge. Eppure, contenuta nella radice della parola cittadinanza permane una dimensione assiologia, derivante da axia, valore. "La cittadinanza e' la promessa di una possibilita', la possibilita' di essere soggetto politico nelle citta'" (7). La cittadinanza, nello stesso tempo, teoria politica di regolazione della polis e pratica di relazione, esige valori ben fondati nell'interiorita', la quale, a sua volta, esige la loro conferma dentro una cornice sociale democratica. Il diritto collettivo, in altre parole, deve riscattare il valore della persona, confermando la speranza che la costruzione del futuro dipenda anche da lei. La democrazia, proprio perche' evoca una societa' di eguali, ha bisogno di suscitare in loro la consapevolezza del sapersi soggetti del diritto. Non basta, infatti, essere stati dichiarati tali dalla legge, bisogna anche aver appreso strumenti e modi per esercitarlo. Si deve aver coltivato, in altre parole, la cittadinanza interiore: il valore di essere nel luogo dove si vive. La cittadinanza interiore unisce in un legame indissolubile il diritto e la soggettivita' di un individuo. La cittadinanza e' pregna di senso psichico. "Il sentimento di cittadinanza ha un'accezione psichica e una dimensione interna, oltre che una dimensione sul piano del diritto-dovere e dell'azione" (8). Occorre, dunque, dipanare la cittadinanza, aiutarla a rappresentare la vita singola in simultaneita' con le storie parallele dei propri simili che ugualmente hanno le loro dimensioni interiori, per rivelarne le parti che possono diventare politiche, cioe' condivise. "Pensare la cittadinanza come un paradigma che ha anche una dimensione psichica, che risponde non solo a un riconoscimento sul piano esterno del diritto, ma anche a un processo di autolegittimazione ed autoriconoscimento, apre nuove direzioni di pensiero e ricerca connessioni fra cittadinanza e identita'" (9). La cittadinanza, infatti, puo' essere multipla al pari delle identita'. Le identita', a loro volta, contengono un'espressione di cittadinanza. Apici estremi di uno stesso filo, identita' e cittadinanza, l'una sul fronte interno, l'altra su quello esterno, contengono la singola presenza umana. Tuttavia, come ogni aspetto della vita affettiva mostra livelli differenti di consapevolezza, cosi' anche la cittadinanza puo' presentare differenze fra i diritti agiti. Non sempre, infatti, si raggiunge l'armonia fra questi "settori". In amore possiamo essere meno decisi che sul lavoro, sul lavoro presentarci meno accoglienti che in amore. Il profumo della cittadinanza interiore sono i "valori", palesamenti della coscienza che si fanno idee irrinunciabili. Far entrare la spiritualita' in tale ambito significa legarla indissolubilmente all'idea della nonviolenza come modo di agire. Molti hanno testimoniato la forza di questa opzione. Aldo Capitini (1899-1968), principale teorico italiano, la propone per liberare l'uomo attraverso l'"unita'-amore", forma empatica in cui l'altro "e' atto di vicinanza infinita" (10). Capitini si avvicina al suo simile senza parole, perche' "c'e' un silenzio anche nell'altro, un'interiorita' da cui sale la sua vita, un sostegno che la regge". Solo dopo questa muta contemplazione, l'accesso ai fatti delle reciproche esistenze e' varato, sicuro che il "diverso" regala sempre "un elemento importante, che dica qualche cosa intorno a me, mi dia occasione di compiere un atto di amore" (11). Far entrare la spiritualita' nella politica, dunque, e' imparare la nonviolenza, che si raggiunge solo considerando la democrazia un continuo ragionamento e agendo la cittadinanza interiore, fra pratica di diritto e desiderio di essere, nell'ininterrotto viaggiare dal "dentro" al "fuori" di noi, nella ricerca continua di sacche di aggressivita' accumulata da trasformare in progetti al servizio dell'altro. * Far entrare la spiritualita' nella politica e', di conseguenza, sostenere le lotte nel mondo che utilizzano pratiche di sapienza antica, dove politica e spiritualita' agiscono unite. E' il caso delle donne indiane del Chipko (12) che salvano i loro alberi sacri abbracciandoli. Gli alberi sacri, paladini di un ecosistema di sopravvivenza per le popolazioni locali, sono invece considerati erbacce dalle multinazionali agricole, che in nome del mercato dell'oro verde preferiscono l'eucalipto. Questo arbusto, dalla polpa di legno facile a lavorarsi, non produce l'humus necessario a rendere fertile il sottobosco, privando le comunita' locali dei frutti naturali che la terra offre per la loro sussistenza. Come le donne indiane, anche le comunita' indigene Munda, i Navaho e i Laguna Pueblo degli Usa e le comunita' lungo il Rio San Francisco in Brasile, combattono per difendere i loro ecosistemi dai profitti delle multinazionali, mantenendo viva una visione della natura in armonia con i suoi abitanti, perche' i modi di lavorare una terra non sono solo semplici tecniche agricole. Quei gesti e quegli strumenti rappresentano anche una filosofia di vita. Fare entrare la spiritualita' nella politica e' credere nel potere educativo della pace. La rivista "Azione nonviolenta" descrive dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta, ispirate da Giuliano Pontara: ripudio della violenza, capacita' di identificarla, empatia, rifiuto dell'autorita', fiducia negli altri, disposizione al dialogo, mitezza, coraggio, abnegazione e pazienza. Sono dieci caratteristiche che potrebbero benissimo essere considerati percorsi di consapevolezza, ricordando che, come i Dieci Comandamenti che evocano, non sono tanto dei divieti, quanto delle scoperte per vivere bene insieme. Il mondo della nonviolenza si sta ampliando sempre di piu', pur non godendo di eccessiva attenzione mediatica. Gruppi, associazioni, laboratori, riviste, singoli sono instancabili testimoni di riconciliazione. Fra gli altri, l'importante contributo che svolge attraverso internet "La nonviolenza e' in cammino", foglio quotidiano di approfondimento, proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (13). Fare entrare la spiritualita' nella politica significa restituire senso al pudore: non rivelare cio' che non puo' essere accompagnato da un discorso che aiuti a capirlo. Elaborare i territori che attengono alla sfera privata impone il concedere spazi alla cultura della vita quotidiana. A questo proposito si assiste a un paradosso. Da un lato, la politica rifiuta di prendere in considerazione i sentimenti che colpiscono tutti nel corso di una vita, dalla felicita' al dolore, compresi i momenti liminali della vita stessa: nascita, vecchiaia, morte, di cui sa parlare, quando ne parla, solo in modo assistenziale. Dall'altro, i media mandano in onda il privato piu' privato, che suscita livelli inauditi di voyeurismo ("Grande Fratello"). In queste trasmissioni si spiano morbosamente situazioni esistenziali che sono consegnate al pubblico come sequenze da fotoromanzo, senza approfondimenti, ne' vere spiegazioni. La complessita' delle relazioni umane non giunge alle parole, spesso purtroppo solo alle parolacce. Il limite del pudore e' sfondato, violando l'intimita' della persona con la visione di simili che si espongono, e che rendono pertanto possibile, legittimandola, la visibilita' di ciascuno. * Far entrare la spiritualita' nella politica significa ancora ascoltare la lingua della madre. La lingua della madre e' quella dello stato intrauterino, nutrita nell'acqua protettiva che filtra le voci di un esterno ancora da scoprire e al quale svelarsi. La lingua della madre e' quella del corpo a corpo, intuizione senza parole, che puo' - deve - farsi linguaggio affinche' la mente non viaggi separata dalle passioni. La lingua della madre e' il "mettere al mondo il mondo" (14), la prima voce che lo nomina. Perche' gli uomini non hanno messo al mondo il mondo della politica con il sentimento che li lega alle madri? La fissazione alla madre potrebbe agire in loro come "il chicco di sabbia nell'ostrica perlifera, attivando la struttura circolare propria della mediazione" (15), accendendo nuove dimensioni simboliche. Fondare anche il discorso della ragione sulla struttura circolare significa integrare la parola con il gesto d'amore alla base dello scambio dialogico fra due, fra gruppi, fra eguali e diseguali, fra conosciuto e straniero, fra maschile e femminile: "la pace si riceve", dice Raimon Panikkar, e per riceverla e' necessario un atteggiamento "femminile", ricettivo nei confronti della vita che, accogliendo e abbracciando, penetra "il senso profondo della commensalita' con le cose, gli uomini, gli dei" (16). Accettare la lingua della madre significa, infine, non aver paura di parlar d'amore e viverlo in ogni cosa che si fa e in ogni dimensione dello scambio umano, fino a trovare l'amore con una persona sola, l'anima gemella, colta dal lampo di un'intuizione che la "prende" nella sua "ghianda". Fare entrare la spiritualita' nella politica e' pretendere un nesso fra politica e verita'. La domanda sul senso delle cose e' diventata prerogativa della filosofia, mentre la "Verita'", anche se non le si addice "l'aria schizzinosa di una dea che si concede a pochi" (17), spesso e' dettata da istituzioni, come chiese e partiti, che ne pretendono l'egemonia. La "Verita'", all'unicita' della quale forse ormai sono in pochi a credere, dovrebbe essere democratica e appartenere a tutti, cercata e non regalata. L'uomo europeo, plasmato sulle coppie oppositive della cultura greca irrimediabili artefici della separazione dell'individuo dal cosmo, e' avviato a produrre sempre nuove separazioni, perche' solo cosi' riesce a pensare. Natura e cultura, sacro e profano, morale e diritto, finito e infinito, teoria e pratica sono opposti che non spiegano piu' tutta la realta' che per essere capita pretende ormai altri approcci, con altre intuizioni. La democrazia sostanziale, per esempio, esige la coerenza fra la parola che spiega e la situazione spiegata, invece che la classificazione degli eventi in "bene" e "male", "bianco" o "nero". Barcellona afferma al proposito che primi fra tutti gli intellettuali "dovrebbero avere con il popolo il rapporto che sussiste fra mente e corpo: allargare la consapevolezza di cio' che il corpo esprime con i suoi sintomi. Arrogarsi il diritto di definire cio' che e' bene e cio' che e' male li ha trasformati in una sorta di preti laici che predicano senza razzolare coerentemente con cio' che dicono" (18). Fare entrare la spiritualita' nella politica e' impegnarsi in una nuova cultura politica in cui c'e' posto per le parole della vita, in cui i programmi politici osino parlare d'amore, perdono, paura e mitezza, in cui le lingue "di mezzo" siano rispettate, in cui nella lingua risuoni la verita' del corpo, in cui i linguaggi siano radicati in qualcosa di vero e non maschere difensive. Le persone soffrono perche' la politica non le vede e tratta le cause della sofferenza con dati solo quantitativi. Le cause generali descritte dalle statistiche sono fatte da persone in carne e ossa. Perche' si continua a negare le parole dell'anima? Non soddisfa piu' il bisogno infinito di capire la condizione umana la rivendicazione delle "cose" che mancano. Serve recuperare la "passione di essere" (19), per lasciare l'impronta del proprio spirito. La politica non e', infatti, solo l'amministrazione dell'esistente. "La politica e' messa in forma dell'eccesso che l'uomo porta dentro di se' oltre il mero bisogno di sopravvivenza. La politica e' come la religione: una risposta all'inadeguatezza del mero sopravvivere, sapendo che alla fine si e' destinati a morire. La tradizione, l'utopia, la resurrezione dei morti sono modalita' di pensare l'oltre dell'orizzonte umano. La politica deve riuscire a coniugare la consapevolezza della mortalita' con la speranza che qualcosa duri oltre la vita personale, anche se soltanto sul piano della memoria storica delle nuove generazioni" (20). * La politica, per esempio, risponde con una legge alla sofferenza e certo e' giusto anche questo. Tuttavia, dovremmo saper vedere la necessita' interiore degli eventi storici li', negli avvenimenti stessi, dove "interiore" non significa privato e proprieta' di un se', di un'anima, o di un "io"; dove "interiore" non e' piu' "un luogo letteralizzato entro un soggetto, ma e' la soggettivita' negli eventi stessi" (21). La politica ha bisogno di senso. E solo le parole dell'anima possono darglielo. Dice rabbi Michael Lerner, leader del movimento statunitense contro la guerra negli anni Sessanta e fondatore della rivista "Tikkun" e della Tikkun Community (Berkeley, California), gruppo interconfessionale aperto ai laici: "Immaginate se chiedessimo alla politica estera di produrre piu' amore nel mondo e non solo piu' potere. O se insistessimo che e' l'amore per gli altri, non il dominio sugli altri, la via migliore per la sicurezza interna e declinare tutto questo in un "Piano Marshall" globale" (22). Chissa' cosa succederebbe... (...) Fare entrare la spiritualita' nella politica significa realizzare un'etica del gesto ecologico quotidiano rispettoso dell'ambiente. E' possibile, basta impegnarsi a sapere, poi agire: rifiutare, per esempio, gli acquisti di prodotti a prezzi bassi quando sono il risultato dello sfruttamento di altri, oppure usare senza spreco risorse come l'acqua che si sa non sono inesauribili. Si tratta di sviluppare una relazione sentimentale con il mondo naturale, che aiuti a percepire l'ambiente come parte della propria integrita' umana. Senza il rispetto della biodiversita' delle forme viventi si perdono le riserve "verdi", l'oro del futuro. Grazie all'Unione Europea sono stati tutelati diecimila siti che fanno parte della rete "Natura 2000", ma questa politica di difesa dell'ambiente non vince se non sono gli individui stessi a rispettare un codice di comportamento che lo salvaguardi. L'ambiente che ospita il nostro abitare e' parte di noi nell'ispirare la spiritualita' di una stessa appartenenza che le parole di Albert Einstein ben descrivono: "Se c'e' qualcosa che si possa definire sentimento religioso e' proprio quella infinita ammirazione per la struttura del mondo rivelata dalle scoperte della scienza" (23). Fare entrare la spiritualita' nella politica implica la proposta di cittadinanza come offerta di percorsi per diventare cittadini nella citta' dove il pellegrino giunge. Non basta riconoscere il diverso, essere gentili con gli emigrati che incontriamo nelle nostre citta', parlarne bene e non essere razzisti. Si tratta di costruire politiche di accoglienza affinche' essi si trasformino da stranieri a cittadini. Cio' e' possibile soltanto con alcune strategie: con l'offrire loro spazi di incontro; con il permettere loro di continuare a parlare la lingua materna mentre entrano nelle lingue "di mezzo"; istruendoli nella legislazione del paese di accoglienza perche' imparino la Costituzione italiana, un documento bellissimo che puo' fondare l'identita', oltre che la cittadinanza; e ancora, accompagnandoli a conoscere gli spazi di una citta' (dalle poste agli ambulatori, dai supermercati ai trasporti, dal Comune ai quartieri con la loro storia). Sarebbe un inizio di convivenza con gli stranieri simbolicamente solidale, che forse li aiuterebbe a sentirsi meno soli e autorizzati a sentirsi in una nuova casa. * Infine, fare entrare la spiritualita' nella politica e' sognare "la terra senza il male". I Guarani' del Sud America lo facevano. Vagabondarono secoli per la foresta, in cerca della "terra senza il male", suscitando l'invidia degli spagnoli invasori che la scambiarono per una semplice terra ricca di bottino. Invece, il senso del loro esodo era contenuto nella preghiera che ripetevano andando, e che suona pressappoco cosi': "Noi siamo quelli che sappiamo ingannevole il nostro linguaggio, che non abbiamo risparmiato sforzi per raggiungere la patria del vero linguaggio, la dimora degli dei, la terra senza il male, dove nulla di cio' che esiste puo' essere detto secondo l'Uno" (24). Il linguaggio piu' vero, forse anche la verita' stessa, non si trovano nella struttura delle lingue umane. Hanno un "loro" luogo, un infinito spirituale in cui tutto e' riunito. Da questo luogo scende la lingua della cultura, ma se mancano parole per dire le cose, non e' una deficienza del vocabolario: e' il limite dell'apertura storica che lo ospita. * Note 1. P. Barcellona, Il ritorno del legame sociale, Torino, Bollati Boringhieri,1990, p. 49. 2. A. Bonomi, Il trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della societa' che viene, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 28. 3. Ivi, p. 45. 4. M. Roncayolo, Citta', in "Enciclopedia", Torino, Einaudi, vol. 3. 5. I. Calvino, Le citta' invisibili, Milano, Mondadori, 1993. 6. J. Habermas, L'Occidente diviso, Bari, Laterza, 2004, pp. 116-117. 7. Rene' Gallissot, Anna Maria Rivera, L'imbroglio etnico, Bari, Dedalo, 1997, p. 62. 8. S. Rossato, La dimensione psichica della cittadinanza. La narrazione di se' come pratica di cittadinanza interna, in AA. VV., Da straniere a cittadine, Torino, Anolf-Cisl Piemonte, 2003, p. 53. 9. Ivi, p. 55. 10. A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti a cura di Mario Martini, Ets, Pisa, 2004, p. 36. 11. Ivi, p. 40. 12. V. Shiva, Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo, Torino, Utet, 2002, p. 6 e ss. 13. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Inoltre altri siti in merito: www.nonviolenti.org; www.peacelink.it/users/mir; www.peacelink.it. Consigliamo di leggere la Carta del Movimento Nonviolento, una Costituzione per la nuova politica. 14. L. Muraro, L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 49. 15. Ivi, p. 57. 16. R. Panikkar, Pace e disarmo culturale, Milano, Rizzoli, 2003, p. 28. 17. P. Barcellona, Il suicidio dell'Europa, Bari, Dedalo, 2005, p. 5. 18. P. Barcellona, Intervista rilasciata a Giuseppe Cantarano, "l'Unita'", Cara sinistra, quando ci farai sognare?, 30 aprile 2002. 19. M. Zambrano, Persona e democrazia, Milano, Mondadori, 2000, p. 37. 20. P. Barcellona, Intervista rilasciata a Giuseppe Cantarano, cit. 21. J. Hillman, Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Milano, Cortina, 1984, p. 32. 22. "La domenica della nonviolenza" n. 19, primo maggio 2005. 23. A. Einstein, Il lato umano. Spunti per un ritratto, Torino, Einaudi, 1980, p. 41. 24. U. Galimberti, La terra senza il male, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 27. 4. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2007 Come ogni anno le Edizioni Qualevita mettono a disposizione l'agenda-diario "Giorni nonviolenti", un utilissimo strumento di lavoro per ogni giorno dell'anno. Vivamente la raccomandiamo. Il costo di una copia e' di 9,50 euro, con sconti progressivi con l'aumento del numero delle copie richieste. Per informazioni ed acquisti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: qualevita3 at tele2.it 5. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: LE CERIMONIE PER L'ANNIVERSARIO Ai morti che hanno mandato a morire gli assassini fanno poi la predica. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1477 del 12 novembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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